Lorenzo Jovanotti presenta “Oh, vita”: “L’album in cui mi sono messo a nudo”

Jovanotti e Rick Rubin ph Michele Lugaresi

Jovanotti e Rick Rubin ph Michele Lugaresi

Cosa può spingere un artista a ricominciare da zero, uscire dalla propria comfort zone, reinventarsi e mettersi in gioco? Sono tante le variabili da tenere in considerazione: la fame di vita, la curiosità, la voglia di accrescere la propria esperienza, più semplicemente l’esigenza di esprimersi. Quello appena citato è il caso di Lorenzo Cherubini Jovanotti che con il nuovo album di inediti intitolato “Oh, vita!” dimostra ancora una volta di non riuscire a stare fermo.

La grande avventura questa volta è stata farsi produrre il disco da Rick Rubin, uno dei produttori più famosi in America e nel mondo, un risultato che ha completamente assorbito Lorenzo  stravolgendo i suoi punti di riferimento consuetudinari.

«Questa è stata l’esperienza più forte da quando pubblico dei dischi. Rubin in studio è veramente un artista, la sua capacità di concentrazione è molto alta. La sua missione è stata quella di portare le canzoni alla loro essenza estrema. Questo album ha avuto un lungo tempo di preparazione anche se la realizzazione ha richiesto dei tempi molto brevi. Così come nel rock’n’roll la tensione si libera in una performance, allo stesso modo Rick Rubin concepisce la lavorazione di un disco non come un’architettura ma come un gesto. Per quanto mi riguarda, mi sono sentito come quando 30 anni fa entrai nello studio di Claudio Cecchetto a Milano: volevo essere all’altezza della situazione».

Queste le parole appassionate con cui Jovanotti racconta la genesi di un album che, tra le mura del temporary store Jova pop shop in Piazza Gae Aulenti a Milano, acquisisce le vesti di happening trasversale; in sintesi un aggregatore culturale. Il party letterario è confluito anche in Sbam! Un volume ricco di contenuti prodotti da grandi esponenti della cultura, un’occasione per integrare all’ascolto del disco, un dettagliato racconto di viaggio, nonché una serie di approfondimenti correlati a tematiche più ampie.

Tornando al disco, tutto è cominciato dal singolo “Oh, vita!”: «Questo pezzo l’ho realizzato tutto in una notte. Avevo a due disposizione due campionamenti con ritmiche che avevano un suono, seppur piccolo. Nelle mani di Rubin, l’ho visto diventare altro nel giro di due secondi. In quel momento ero ancora un suo fan, sentivo dentro di me la voglia assoluta di essere alla sua altezza, lui che ha dato una struttura all’hip hop di massa, che ha creato una forma canzone per qualcosa che prima era solo improvvisazione. Per me è stata una grande esperienza di vita e di formazione professionale» – spiega Jovanotti.

Jovanotti ph Michele Lugaresi

Jovanotti ph Michele Lugaresi

«Queste 14 canzone sono state scritte, vissute, volute, sognate con tutto il cuore. Un anno fa, dopo aver visto i miei numeri, Rubin mi disse che non avrebbe potuto aggiungere una sola copia al mio venduto sul mercato ma che il suo interesse primario era mettere in atto uno scambio di esperienze artistichea. Questo era era esattamente quello che volevo: perdere il controllo della mia leadership in studio, volevo essere un cantate prodotto da Rubin, mi sono affidato completamente a lui che non ha voluto le traduzioni dei testi sostenendo che le canzoni dovevavano arrivargli senza capire nemmeno una parola. Inutile ribadire quando sia stata incredibile questa esperienza. Mi sento di dire che sono felice di aver fatto questo disco, qualcuno si stupirà, qualcun’altro resterà deluso ma siamo nell’ambito dei gusti. Questo è il pezzo di vita di un essere umano e la vita non è discutibile, si tratta di un fatto importante, aldilà di quanto sia bello o brutto».

Il disco ha due anime opposte in qualche modo: l’ anima da cantautore incontra quella da beat maker, i primi pezzi in effetti sono ruvidi e asciutti, poi qualcosa cambia, il guizzo tipico dell’irrequietudine che caratterizza Jovanotti prende piega ed è che l’album diventa vario: «Rubin ha capito come sono fatto e ha assecondato la mia inclinazione naturale. Alla fine della produzione mi ha detto che questo è il disco più vario mai prodotto in vita sua e ne è stato felice».

Viene naturale chiedersi come tutto questo finirà sul palco nel corso dell’imminente tour: «Abbiamo già fatto due settimane di prove con la band, in un paio di giorni mi sono reso conto che c’era bisogno di intervenire anche nei pezzi vecchi. Questo disco getta una luce positiva anche sul mio passato, costringendomi piacevolmente a vivere i primi brani in modo più scarno e informale. Abbiamo asciugato i pezzi, quasi rivivendo i consigli di Rubin, la parola d’ordine è: less. Questo non implica una forma di minimalismo, si tratta di fare spazio per far funzionare meglio le cose. Per ora abbiamo provato 7 pezzi del disco nuovo, non so se li farò tutti e sette, il mio pubblico viene ai concerti con l’idea di partecipare a una mega festa, ho il problema di dover fare dei tagli ed eliminare molte cose a cui tengo, il grosso comunque si baserà sui pezzi storici».

Un progetto diverso da sempre, quindi. Figlio, tra l’altro, di un lungo periodo in cui Jovanotti ha vissuto negli Stati Uniti: «Partirei da una citazione: se vai a vivere per un po’ in America, all’America non cambia niente ma a te cambiano un sacco di cose. L’America è un paese vivo e pulsante, un paese selvatico, un paese in cui ti svegli e devi sopravvivere contro tutto e tutti. A New York sei da solo in una giungla, non ho mai pensato di sconfinare in America con la mia musica, so di sapermi mettere in comunicazione con qualunque pubblico ma non ho mai avuto un progetto americano e non c’è neanche in questo caso».

Video: Oh, vita!

Parlando dei testi, diventa importante soffermarsi sulle parole: tante quelle sentite in questo album. Si parte dal concetto di libertà: «La libertà sta al centro del disco. Ogni generazione ha il compito di ridare significato ad alcune parole importanti nel nostro vocabolario. Anima, giustizia, amore sono parole che ogni volta perdono senso, vengono sfilacciate, il nostro compito è cercare di ridargli vita soffiandoci dentro lo spirito. Dal mio punto di vista di cantante è bello cantarla, posso pronunciarla senza troppa pesantezza, sono diventato grande quando i movienti politici erano finiti, per me la rivoluzione è soprattutto interiore» – racconta Jovanotti. «Più in generale – aggiunge – lavoro tantissimo ai testi ma non seguo mai una regola. Alcuni dei miei pezzi più famosi sono nati in pochissimo tempo. “Piove”, ad esempio, è nato in 45 minuti mentre per “L’ombelico del mondo” ci sono voluti 4 anni. L’aneddoto relativo a questo nuovo album è relativo al singolo “Oh, vita!”: ho scritto il testo recitandolo sul telefonino come un free style ma mi ci sono impegnato così tanto che non ho cambiato neanche una virgola. Non riuscivo ad uscire da quel tipo di leggerezza, poi l’ho fatto ascoltare un giorno in macchina alla mia famiglia e il commento di mia figlia mi ha convinto definitivamente. Per il resto il disco è tutto scarno dal mio punto di vista, mi sono sentito nudo dentro questi testi, continuamente a confronto con i miei limiti da interprete. Con Canova ho realizzato 10 dischi e siamo in ottimi rapporti. L’approccio con lui era molto diverso, la voce era trattata con le macchine, con Rubin invece è l’opposto, non ci sono correzioni, non avevo mai lavorato in questo modo. Mi sento ancora elettrizzato».

Jovanotti cover Sbam

Jovanotti cover Sbam

A corredare “Oh, vita!” ci saranno un docufilm e un almanacco letterario intitolato Sbam”. Ecco come li presenta Jovanotti: «Michele Lugaresi, film maker e web master lavora con me dal 1997 e ha seguito tutte le mie attività web fin dall’inizio. Quando lo stesso Rubin mi ha scritto che se volevo, potevo portare qualcuno per riprendere il making del disco, ho colto subito l’occasione e ho invitato Michele a venire con me. Ci siamo esaltati, il film è molto crudo, ripreso con una sola telecamera, non ci sono luci artificiali. L’aspetto più interessante è che nel film non si sente il disco, ho scelto della musica d’ambiente, si sentono solo dei frammenti delle canzoni, il senso è seguire la genesi del disco che prende forma. Potrete vederlo gratuitamente il 10/12/2017 in tutti gli UCI cinemas. Sarà un film per appassionati di musica. A proposito di cose che mi gasano, non dimenticatevi di “Sbam”: ho voluto invitare alcuni degli esponenti letterari che mi stanno più a cuore, ho giocato a fare il direttore e mi sono divertito anche a scrivere un diario di viaggio di questa mia nuova avventura. Mi piacerebbe che questo progetto diventasse un periodico, non è un libro nì una rivista, è semplicemente “Sbam”!».

 Raffaella Sbrescia

 Jovanotti in concerto nel 2018:

Febbraio

  • 12, 13, 15, 16, 18, 19, 21, 22, 24, 25 Mediolanum Forum, Milano

Marzo

  • 3, 4 Rds Stadium, Rimini
  • 10, 11, 13, 14, 16, 17, 19, 20 Nelson Mandela Forum, Firenze

 Aprile

  • 3, 4, 6, 7 Pala Alpitour , Torino
  • 13, 14 Unipol Arena, Bologna
  • 19, 20, 22, 23, 25, 26, 28, 29 Palalottomatica, Roma

 Maggio

  • 8, 9 Pala Art Hotel Acireale
  • 15, 16, 18, 19, 21, 22 Arena di Verona
  • 25, 26 Palasele, Eboli

 Giugno

  • 1,2 Pala Prometeo, Ancona
  • 16 Porsche Arena Stoccarda
  • 19 Stadthalle, Vienna
  • 21 Hallenstadion, Zurigo
  • 23 Forest National, Bruxelles
  • 30 Pala Resega, Lugano

 

Addio a Marco Tamburini, trombettista jazz e non solo

Marco Tamburini

Marco Tamburini

Avrebbe dovuto essere sul palco tra una ventina di giorni ad Ancona al fianco di Jovanotti per il tour “Lorenzo negli stadi 2015”,  come succedeva ormai pressoché regolarmente dal 1997, da quando il sound caldo e lirico della sua tromba aveva arricchito le canzoni del cantautore di colori nuovi e incisivi. Purtroppo il destino ha voluto diversamente: venerdì 29 maggio scorso attorno alle 19,30, Marco Tamburini ha cozzato con la sua moto contro uno scooter, coinvolgendone un secondo in una carambola che gli è costata la vita.

Nato a Cesena 56 anni fa, si era diplomato in tromba al Conservatorio Martini di Bologna nel 1979 e da allora aveva iniziato a frequentare il mondo del jazz, dapprima nostrano e poi internazionale, oltre a collaborare con i maggiori artisti pop di casa nostra – tra gli altri con Raf, Vinicio Capossela, Irene Grandi, Cesare Cremonini, Laura Pausini (e anche George Michael e Grace Jones al Pavarotti International) – e a insegnare – ultimamente era titolare di cattedra al Conservatorio Venezze di Rovigo.

Solista raffinato e persona molto piacevole, Tamburini ha suonato con tutti i migliori jazzisti italiani, da Giorgio Gaslini a Paolo Fresu, da Enrico Rava a Giovanni Tommaso, da Gianni Basso a Franco Cerri, e con una buona dose di grandi jazzisti stranieri: Eddie Henderson, Ben Sidran, Steve Lacy, Jimmy Cobb, Joe Lovano, Steve Coleman…

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A suo nome è titolare di nove album (sono oltre 100 quelli in cui appare come collaboratore) di un jazz lirico e intenso, pieno di mille colori differenti che la sua abilità tecnica e la sua sensibilità espressiva riuscivano a convogliare in un flusso poetico senza urla, senza contraddizioni, senza passi falsi. Dal “The Trumpet in the XX Century” con il pianista Stefano Bollani all’emozionante “Frenico” del 2006, dal debutto nel 1988 di “Jazz Contest” al “Two Days In New York” con una manciata di jazzisti americani pregio, si è sempre mosso in maniera elegante e non convenzionale, sommando imprevedibili trovate armoniche a una fluidità melodica immediatamente accattivante.

In una delle ultime interviste, aveva detto: “Secondo me è sbagliato mettere barriere tra un genere e l’altro. Io credo nella musica e basta. È bella o è brutta, suonata bene o suonata male. Quando la suoni male? Quando non sei sincero. La musica sei tu, è la tua cosa più intima. Quando si suona è come mettersi a nudo.”

Raffaello Carabini