Gaetano Morbioli insieme a Francesco Silvestre dei Modà
Gaetano Morbioli è uno più noti registi italiani. Tantissimi dei videoclip musicali più visti portano la sua firma, che individua nell’essenzialità del suo approccio artigianale l’unicità del suo stile. Nel corso di trent’anni di carriera Gaetano ha saputo instaurare un rapporto di fiducia con tantissimi artisti, grazie alla sua professionalità e all’amore per il rispetto della musica. Creatore del canale televisivo Match Music prima e della società Run Multimedia poi, Gaetano Morbioli è riconosciuto come uno dei massimi esponenti del settore audiovisivo italiano. In questa intervista il regista racconta il suo lavoro approfondendone gli aspetti tecnici senza tralasciare problematiche, sfide e nuove prospettive.
Gaetano, con quali parole spiegherebbe il suo lavoro?
Il nostro è un lavoro molto particolare, l’audiovisivo fonde la comunicazione classica di uno spot pubblicitario con lo sviluppo di un cortometraggio con l’obiettivo di poter far ascoltare la canzone esaltandola. La particolarità sta nel fatto che bisogna cercare di suscitare la stessa emotività che solitamente viene stimolata quando si guarda un film.
Quali sono le fasi e i passaggi principali che scandiscono la produzione di un video musicale?
I brani composti dagli artisti sono legati ad un progetto discografico, già frutto di una linea guida precisa, in grado di fornire l’idea generale su cui si svilupperà il videoclip. Il mio ruolo è, quindi, quello di cercare, insieme all’artista, di individuare il tipo di linguaggio e la storia da creare attraverso l’ideazione di un video. Nella prima fase ci sono due teste e quattro mani non solo per scegliere la storia ma anche il tipo di abbigliamento, le comparse, la tipologia di produzione da mettere in piedi… si discute di tutto e di più poi ci si rivede il giorno dopo e la ricerca creativa continua. La seconda fase, molto più produttiva, consiste nel cercare di mettere insieme quello che si è deciso di fare: c’è la ricerca delle modelle, dello styling, della location, fino ad arrivare al giorno delle riprese, durante il quale si procede allo shooting. Da qui in poi c’è la fase più delicata del lavoro ovvero l’editing e il montaggio: è importante sottolineare che il montaggio di un videoclip rappresenta la parte essenziale di tutto il lavoro. A differenza della pubblicità, che in 30 secondi mostra quello che hai realizzato, o del cinema in cui hai, invece, dei tempi lunghi per decidere che tipo di montaggio realizzare, nel videoclip comanda la musica, non puoi prescindere da essa! Sarà il montaggio a determinare se il videoclip sarà un grande successo o un grande fallimento. Dopo una settimana di montaggio si arriva al prodotto ideale che, dopo essere stato confrontato sia con l’artista che con i discografici, viene poi inserito in un percorso di programmazione dominato soprattutto da internet e dalla comunicazione via social networks.
Gaetano Morbioli sul set di un videoclip di Laura Pausini
Come cambia, di volta in volta, il suo approccio nella trasformazione della musica in immagini?
Partiamo dal presupposto che è sbagliato pensare che il regista di un videoclip sia un autore. Fare il regista di videoclip significa innanzitutto mettersi a disposizione di una fase creativa già eseguita e realizzare quello che vuole l’artista. Nel momento in cui un artista non si interessa del proprio progetto o dice “voglio quel regista perché vorrei che egli mettesse a frutto la sua visione” si verificano gli errori più clamorosi che si possano fare. Di fondo è come se si volessero incrociare due comunicatori diversi: da un lato c’è la visione del regista, dall’altro c’è la canzone…il risultato sarebbe la stratificazione di due comunicazioni diverse: la canzone che vuole dirti qualcosa e il regista che la vede alla sua maniera, per un risultato scadente. Molte volte i video che realizziamo noi vengono visti e funzionano su internet per un motivo preciso: ci mettiamo a disposizione di un percorso creativo che c’è già. Il ruolo del regista è simile a quello di un meccanico in questo senso. Poi è chiaro che la capacità di filmare in una certa maniera o di scegliere un posto piuttosto che un altro determinano il valore del videoclip che, in ogni caso, ha la funzione principale di arrivare al maggior numero di persone possibile.
Lei ha iniziato a lavorare in questo settore a 17 anni… come si è evoluta, da allora la sua carriera?
Nella vita si fanno delle scelte ma a volte è anche una questione di casualità… Il destino può essere vario e la fortuna incide tantissimo nella vita di ogni persona. Nel mio caso, quando ho iniziato ho sempre detto:«Mamma mia nella mia vita non farò mai videoclip», questo è un lavoro veramente snervante, anche dal punto di vista produttivo: hai 3 minuti in cui devi girare come se si trattasse di un cortometraggio quindi, dovendo lavorare a bassi costi, devi farti un mazzo tanto in un giorno per poi concentrare tutto in quei tre minuti; questo è devastante, anche dal punto di vista psicologico. Il mio percorso è molto semplice: nasco in provincia, da una famiglia molto povera, di origine contadina, anche io sarei diventato un contadino oppure avrei lavorato nel terziario ma dall’età di 15 anni ho cominciato a fare diversi lavori. Ho fatto l’elettricista, il meccanico e per guadagnare qualcosa in più anche il facchino in un’azienda di traslochi. Questo lavoro, in particolare, era faticosissimo, ci si spaccava la schiena dal mattino alla sera. In seguito ho intercettato, per caso, in estate, la possibilità di poter dare una mano ad una tv locale di Verona ed essere il classico garzone di bottega che dava una mano agli operatori che andavano a fare le riprese in giro. A quell’epoca l’operatore non aveva la telecamera completa quindi aveva bisogno per forza di un aiuto, ho fatto questo lavoro a tempo perso, mentre gli altri erano in ferie, facendo anche la messa in onda, mettevo in onda dei video in una tv locale con dei turni notturni e lì ho capito tante cose, mi sono detto che se mi pagano per guardare la televisione, mia grande passione negli anni ’70, dovevo assolutamente imparare questo lavoro. Da qui è partita la passione, mi sono avvicinato al mondo della tecnologia, ai mixer, ai video, vedevo cose che per me erano veramente fantascienza per il tipo di percorso che avevo fatto prima.
All’inizio si è trattato soprattutto di applicazione, volevo imparare a tutti i costi per capire e ho cominciato a studiare in maniera quasi maniacale, di notte, per imparare le cose. Se uno si applica, impara anche le cose più impensabili ed è così che è cominciata la classica gavetta. Insieme ad un amico inventai un programma che si chiamava “Match Music”, prima ancora di Mtv, volevamo lanciare un tipo di linguaggio nuovo per i ragazzi e pian piano Match Music è diventato un canale televisivo. Nel corso degli anni ho conosciuto tantissimi artisti della musica italiana, abbiamo iniziato con piccoli prodotti audiovisivi realizzati con le telecamere di una televisione locale poi, la qualità del lavoro e la determinazione ci hanno permesso di arrivare ad essere quello che siamo dall’1984 ad oggi. Sono passati 26 anni e, attraverso varie fasi, siamo una realtà basata sul voler rendere un servizio alla musica.
I suoi lavori sono ormai tantissimi e altrettanto numerosi sono gli artisti che si affidano a lei e a Run Multimedia per la realizzazione dei loro videoclip. Come riesce ad instaurare un rapporto di fiducia con gli artisti?
Per me è importante svolgere questo lavoro dietro le quinte e cercare di farlo il più seriamente possibile. In questo momento, se ci si pone come una persona seria e professionale e se ci sono dei risultati importanti, è chiaro che gli artisti vengono da me non solo come amico, ma anche come azienda, e vengono per ottenere dei risultati. Firmare i video genera una sorta di meccanismo per cui i registi fanno in fretta a volersi chiamare tali. Ormai tanti ragazzi si buttano in questo mondo e vogliono prima di tutto essere chiamati registi invece di essere effettivamente pratici nelle cose ed è uno dei danni maggiori per chi si avvicina a questo settore. Nell’audiovisivo, il segreto per svolgere un buon lavoro sta nel lavorare con la stessa dinamica, la stessa passione, la stessa voglia di far bene sia se lavori per una piccola bottega di provincia sia se devi lavorare per Adriano Celentano.
Che rapporto ha con la cinepresa?
Nel corso della nostra vita ci capita tante volte di fare involontariamente ricerca: guardando un libro o leggendo una rivista abituiamo la nostra testa alla bellezza. La scoperta della mia passione è arrivata attraverso la fotografia: con la macchina fotografica posso creare un vero e proprio gusto. Il gusto della scelta, di un’ottica, della ripresa del campo, etc… il tutto per ottenere il risultato che voglio. Durante un pomeriggio della mia giovinezza, fotografai mia sorella e usai per la prima volta una reflex, in quell’occasione ho capito che la reflex ti permette di realizzare quello che tu vedi nell’obiettivo. La comprensione di quel segreto mi ha fatto andare avanti in tutte le scelte che ho fatto in seguito: dal tipo di ripresa all’inquadratura, al tipo di macchina da usare per riprendere fino alla decisione di realizzare video coi 35 mm, che all’epoca nessuno usava. In funzione del mio rapporto fisico con la macchina, ho deciso di essere anche direttore della fotografia, oltre che video-operatore e regista.
Come mai Verona compare spesso nei suoi lavori?
Verona è una città di mezzo tra una città di provincia e grande città e ricorda tutta l’Italia come immagine, ha un fiume che l’attraversa, caratteristica di tantissime città ed è il simbolo di un’Italia che mi piace. Ho girato un po’ dappertutto, in Sicilia, in Sardegna, in Puglia, a Napoli ma sono molto più comodo a Verona. Non si tratta di un rapporto speciale, se abitassi in un paese di provincia delle basse, troverei, forse, anche lì’ un modo per riuscire a valorizzare quel posto. Se sei in un mondo in cui c’è crisi economica, devi risparmiare, devi trovare delle soluzioni, devi cercare di trovare delle condizioni che rispondano ai requisiti che cerchi e Verona è in grado di fare fronte a queste necessità. L’ho scelta anche quando ho lavorato con Adriano Celentano per l’apertura dell’evento “Rockpolitik”: 10 minuti di volo sulla città mi hanno dato lo stesso effetto che avrei avuto volando su Roma o Berlino.
Se si utilizzassero le città italiane come cartoline, cioè per il valore estetico che possiedono, si farebbe un grande lavoro di rispetto del proprio luogo e delle proprie tradizioni. A proposito di questo, vorrei estendere il discorso anche alla musica: tante volte gli artisti italiani tentano di scimmiottare gli americani ma noi abbiamo un valore che esiste a prescindere, siamo legati alla nostra melodia, nostra storia musicale che è nel nostro Dna.
Cosa pensa delle colossali produzioni video d’oltreoceano?
E’chiaro che se si opera in un mercato con un potenziale pubblico di 500 milioni di persone, si procede alla realizzazione di mega produzioni create in funzione di questo aspetto. In Italia dobbiamo basarci su un panorama di 50 -60 milioni di persone e questo determina il fatto che ci siano investimenti molto bassi. In America si parla di un bacino di utenza in grado di raggiungere tutto il mondo e c’è una selezione molto più serrata degli artisti. In Italia, invece, la competizione deve basarsi sulla storia della nostra musica, bisogna evolvere pur rimanendo legati alle nostre radici ed è lo stesso motivo per cui funzionano i Modà o Pino Daniele, il quale è riuscito a portare la nostra melodia un elevato livello di ricerca e di raffinatezza.
Quali sono, secondo lei, le nuove frontiere del suo settore?
Il nostro mestiere è quello in assoluto più legato alla comunicazione. L’audiovisivo è uno dei settori più in espansione per quel che riguarda il prossimo futuro perché qualsiasi tipo di azienda, in qualsiasi tipo di settore, dal comune, alle imprese private, all’industria, alla musica, avrà bisogno di comunicare, soprattutto attraverso le immagini. Ci sono grandissime opportunità nel mondo dell’audiovisivo e, se riusciamo a creare i giusti presupporsti, possiamo creare un’importante opportunità di lavoro per i nostri figli. Credo in un futuro che passi attraverso l’audiovisivo ma deve esserci una formazione seria. Abbiamo una cultura e dei posti che ci differenziano dagli altri e abbiamo la possibilità di giocare la nostra grande partita e questa partita io la voglio giocare!
Vorrei far capire che c’è qualcosa di positivo nel nostro settore oltre che fare il regista per videoclip. Vorrei far capire quanto è importante imparare bene e infatti abbiamo in mente vari progetti, su tutti la Run Academy un progetto che vedrà la luce nei prossimi mesi. Si tratterà di un contesto serio in grado di insegnare questo mestiere a chi lo desidera davvero. Il nostro mondo è molto duro, si pensa che sia tutto facile ma, se si sbaglia un lavoro, ci vuole un attimo ad esserne rigettato fuori.
Raffaella Sbrescia
Si ringrazia Gaetano Morbioli per la disponibilità