The Strumbellas nascono nel 2009 con un EP omonimo che riceve riconoscimenti da numerosi settimanali di Toronto. La CBC inoltre definisce la band come “band to watch”, una band che merita di essere vista dal vivo. Nel 2012 la folk band pubblica l’album di debutto “My Father And The Hunter” un disco pieno di testi tormentati intrecciati con accattivanti melodie. È il 2013 quando viene pubblicato “We Still Move On Dance Floors”, secondo album che vede The Strumbellas vincere sei premi tra cui il loro primo JUNO award. Nei primi mesi del 2015 il gruppo torna in studio per registrare “Hope” il nuovo album pubblicato il 24 giugno 2016 e prodotto da Dave Schiffman (Johnny Cash, Haim, Weezer). Per questo nuovo lavoro in studio The Strumbellas non hanno voluto rinunciare all’uso di numerosi strumenti e ai cori, ormai marchio di fabbrica e segno di riconoscibilità. In diverse canzoni dell’album ricorre la parola “hope”, intesa come una sorta di leit motiv che possa aiutarci ad affrontare con il piglio giusto anche le prove più difficili. In cima alle classifiche delle hits più suonate in Italia con il singolo “Spirits”, la folk band canadese composta da Simon Ward (vocals, acoustic guitar), David Ritter (piano, percussion, vocals), Jeremy Drury (drums, percussion), Isabel Ritchie (violin, vocals), Jon Hembrey (electric guitar), Darryl James (bass) ci ha incontrato negli studi della Universal Music a Milano parlando a lungo di sè e di questi nuovi importanti traguardi.
Intervista
Partiamo dall’ultimo singolo “Spirits”. Secondo voi da cosa è dipeso il grande successo ottenuto da questo brano?
La canzone rappresenta un invito a vivere al meglio il presente, ad affrontare e superare i momenti bui. Quando scrivi un brano non pensi se funzionerà o meno in radio, cerchi semplicemente di realizzare una bella canzone; sarà forse per questo che il successo di “Spirits” ha sorpreso anche noi!
Nella vostra discografia ricorre spesso il contrasto ancestrale tra vita e morte, come mai?
La nostra musica trae ispirazione dal country americano intriso di storie che parlano di uomini dalla grande personalità che cantano tutta la loro malinconia. A differenza della tradizione country, però, le nostre canzoni sono come una specie di tunnel: alla fine c’è sempre la luce.
Così come in “Hope” anche in “My Father and the Hunter” la natura è uno sfondo importante…
Il Canada è un territorio molto vasto e poco popolato. A due ore da Toronto, la presenza della natura, delle montagne e de laghi diventa davvero imponente; sarà forse per questo che la maggior parte delle nostre canzoni è stata scritta on the road.
Come vi siete conosciuti?
Ci siamo formati nel 2008 a Toronto (Ontario), grazie ad un annuncio di Simon pubblicato su Craiglist, un portale che ospita annunci dedicati al lavoro.
Come siete riusciti a raggiungere l’equilibrio all’interno del gruppo?
Il sistema è piuttosto “democratico” (ridono ndr). Diciamo che Simon comanda e il resto segue. Sei persone sono tante, a volte gli animi si scaldano ma alla fine ognuno riesce a dare il proprio contributo. Siamo come una grande famiglia e ognuno di noi porta all’interno del gruppo le proprie caratteristiche e le proprie influenze musicali. La cosa più importante è mettere da parte l’ego e portare in studio solo la volontà di lavorare ad un obiettivo comune.
The Strumbellas
Qual è il concept che racchiude il significato della copertina del disco?
Volevamo riproporre anche graficamente l’anima del disco “Hope”. Abbiamo conservato l’oscurità e la malinconia contenute nei precedenti lavori aggiungendo elementi di speranza. Il risultato è veramente pittoresco.
Questa estate sarete in tour in Canada e negli Stati Uniti e poi arriverete anche in Italia, il 31 Agosto a Sestri Levante per il Mojotic Festival e il 1° Settembre a Milano per Unaltrofestival. Come descrivereste un vostro concerto?
Il nostro live è una grande festa dove tutti ballano, cantano e si divertono. Quando siamo sul palco saltiamo e coinvolgiamo il pubblico al massimo. Siamo dei pazzi scatenati, venite ad ascoltarci, non ve ne pentirete!
Cosa c’è nel vostro futuro immediato?
Sarà un anno davvero intenso, pieno di concerti e di viaggi in giro per il mondo, speriamo di divertirci il più possibile e di crescere sempre di più!
Joan Thiele è giovane, è talentuosa, ha una voce peculiare e ama sperimentare. Nata nel 1991 in Italia da madre italiana e papà svizzero-colombiano, Joan conduce una vita che la porta a viaggiare molto spesso, questo le ha consentito di sviluppare un gusto musicale internazionale e variegato, incentrato sul connubio creativo tra sfumature stilistiche diverse. Cantautrice fin dalla prima adolescenza, Joan ha pubblicato il suo primo Ep “Save Me”, lo scorso 10 giugno per Universal Music. Il disco, anticipato dai singoli “Save Me” e “Taxi Driver”, contiene sei brani inediti scritti da Joan (“Save me”, “Cup of coffee”, “Heartbeat”, “Rainbow”, “Taxi Driver”, “You & I”) e una cover di Lauryn Hills “Lost Ones” in una nuova veste. I brani del disco sono stati registrati fra Milano, Amburgo, New York e Los Angeles e sono stati prodotti da Andre Lindal e Anthony Preston, Farhot, Fabrizio Ferraguzzo e gli Etna. Nate in epoche diverse, le canzoni di “Save me” parlano di storie quotidiane, di momenti di rottura, di scelte coraggiose. A metà strada da acustica ed elettronica, Joan si muove con carisma tra momenti eterei ed altri più ritmici. Title track a parte, il brano più importante del disco è “Rainbow”, una canzone che Joan ha scritto per sua madre; un arcobaleno che vorrebbe raccontare le sfumature di una donna e che, in senso più ampio, racchiude la natura di un progetto affascinante perchè intriso di spunti e contaminazioni assolutamente eterogenei.
Joan sarà in tour, in viaggio sul Red Bull Tourbus, da giugno a settembre 2016 nei più importanti festival estivi italiani accompagnata dagli Etna: 10 giugno – Milano Market Sound; 21 giugno Roma Rockinroma; 9 luglio – Monza I Days; 16 luglio – Genova Goa Boa; 23 luglio – Vasto Siren Fest; 16 agosto – La Villa Val Badia Jazz; 3 settembre – Treviso Home Fest; 30 settembre – Trieste
Will Baptiste (viola) e Kev Marcus (violino) sono i Black Violin, un duo che nel giro di pochi anni ha saputo affermarsi all’interno dello scenario musicale internazionale grazie alla potenza strutturale e scenica della propria formula basata sul curioso connubio tra musica classica e hip hop. Numeri alla mano, il recentissimo tour dei due musicisti afroamericani, che si sono esibiti in concerto anche all’Arci Bellezza di Milano, ha dimostrato un continuo crescendo di consensi, destinati a moltiplicarsi sulla scia della pubblicazione di “Stereotypes”, l’album uscito lo scorso 27 maggio per Universal Music.
Intervista
Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono la vostra miscela musicale?
Da piccoli abbiamo studiato musica classica poi fuori scuola ascoltavamo soprattutto musica hip hop. Le nostre strade si sono incrociate al college in Florida e da lì è iniziato il nostro cammino che si fonda sull’unione di due generi così distanti. Per noi si è trattato di un processo naturale, abbiamo semplicemente unito le nostre più grandi passioni, un po’ come quando cerchi di creare un cocktail perfetto…
Come avete scelto il nome del duo?
Ci siamo ispirato al titolo dell’omonimo disco del violinista jazz Stuff Smith, un luminare che, con il suo esempio, ci ha dato la forza, il coraggio e l’entusiasmo di continuare a perseguire la nostra carriera musicale all’insegna della sperimentazione.
Cosa ci potete raccontare in merito alla genesi di “Stereotypes”, un album che vi espone anche al “giudizio” del pubblico di tanti artisti che hanno collaborato con voi come Melanie Fiona a Robert Glasper, da Daru Jones a Rob Moose…
Il processo creativo che sta alla base del disco è stato molto naturale. Spesso ci siamo trovati in studio ad improvvisare dei brani e a suonare seguendo l’istinto fino a quando non trovavamo il suono che ci piaceva. Solo in un secondo momento abbiamo aggiunto gli altri strumenti dando una struttura più complessa ai brani.
“Stereotypes” è una dichiarazione d’intenti per rompere le barriere? Quale ruolo pensate possa svolgere la musica in questo senso?
Partendo dall’ovvio presupposto che i pregiudizi sono frutto di congetture mentali, la musica riveste un ruolo di primaria importanza. Per quanto ci riguarda, la usiamo per far capire a tutti coloro che ci ascoltano che non bisogna mai fermarsi alle apparenze. In quanto musicisti afroamericani, noi stessi siamo l’esemplificazione di questo ragionamento. Quando camminiamo per strada con le custodie dei violini, la gente crede che facciamo jazz, non c’è niente di più divertente che sorprendere tutti stravolgendo cardini e certezze.
Che futuro prevedete per la musica classica?
La musica classica spesso viene percepita come un genere d’élite, con cui i giovani faticano ad interfacciarsi Vorremmo colmare questo gap tra presente e passato, speriamo di riuscirci.
Quali sono i vostri riferimenti musicali?
Oltre a Stuff Smith ci ispiriamo ad autori diversi che vanno dall’hip hop di Jay-Z e Kendrick Lamar, alla musica classica di Paganini, Bach, Beethoven, Vivaldi, Verdi ma anche a Stevie Wonder e Miles Davis.
“Running” chiude l’album ma mette anche un sigillo sulla vostra cifra stilistica…
Abbiamo arrangiato questo brano in due ore e, in effetti, riteniamo sia quello che rappresenta in maniera più esaustiva il nostro stile.
Black Violin durante l’intervista a Milano
Esiste una ricetta perfetta per quella che definireste “buona musica”?
Lavorando in questo settore abbiamo imparato a rispettare tutto. Se l’artista si esprime in modo sincero e arriva a chi lo ascolta non si può certo parlare di cattiva musica. Per noi esiste la musica che ascoltiamo volentieri o meno, indipendentemente dal genere. Una canzone deve trasmettere delle emozioni, saperci smuovere dall’interno, generare una reazione.
Vi siete esibiti davanti a più di 100 mila ragazzi nell’ambito di un progetto educativo realizzato assieme alla VH1 Save the Music Foundation. Qual è il bilancio di questa esperienza?
Ogni anno suoniamo davanti a migliaia di ragazzi per insegnare loro a credere in se stessi e fare al meglio quello che più gli piace.In questo senso ci sentiamo in parte responsabili perché vogliamo condividere con questi ragazzi il nostro dono e fargli capire l’importanza dello studio, della costanza, della disciplina ma anche della curiosità e della fantasia. I bambini non sono stati educati ad apprezzare la musica classica ma non è colpa loro, c’è bisogno di stimolarli ed invitarli ad incuriosirsi.
Avete suonato anche in occasione di alcuni concerti dei 2Cellos, il duo di violoncellisti croati che hanno unito la musica classica al rock. Con la vostra musica avete completato l’offerta di generi. Come è andata?
I 2 Cellos sono molto bravi, hanno pubblico pronto a lasciarsi coinvolgere, per noi è stata un’esperienza molto stimolante.
Nel 2013 Barack Obama vi ha invitato al ballo inaugurale del suo secondo mandato presidenziale. Cosa vi è rimasto nel cuore?
Quello è stato sicuramente il punto più alto della nostra carriera. Avevamo suonato per sua moglie Michelle e le loro due figlie qualche mese prima, durante una cerimonia per l’infanzia, ed è stata proprio la First Lady a richiamarci per il ballo inaugurale del secondo mandato di Obama. Eravamo insieme a grandi star come Alicia Keys, Jamie Foxx, Usher, non ci sembrava vero. La cosa difficile sarà capire cosa fare da adesso in poi! (ridono ndr).
«Napoli è una città che emana un’energia sotterranea incredibile. Ho cominciato ad amarla con i dischi di Carosone, un artista che sapeva fare tutto restando una persona seria». Questo lo spirito con cui Stefano Bollani, eccellente pianista italiano, presenta “Napoli Trip”, il suo ultimo lavoro discografico (Universal Music), in uscita in tutto il mondo il 17 giugno, dopo la pubblicazione europea. Ispirata alle maschere, ai vicoli, alle sette di Partenope, la sfida di Bollani prende le mosse da un’attrazione fatale: «A Napoli c’è un’energia che arriva da sotto, un flusso che i napoletani stessi faticano a gestire vivendo di estremi, tra grandi difficoltà e grandi gioie. Una spinta quasi esoterica che differenzia Napoli da qualsiasi altra città», spiega Bollani, che aggiunge: «Quando ho scoperto Carosone, sono rimasto folgorato, mi ha traghettato verso il jazz, non volevo dedicargli un intero disco, ho quindi allargato il discorso. In questo album non c’è la mia visione di Napoli, ci sono diversi punti di vista. Insieme a Daniele Sepe, un napoletano decisamente atipico con l’anima e l’orecchio rivolti sempre altrove, abbiamo eseguito delle composizioni originali ispirate a Napoli. Daniele mi ha riempito di dischi partenopei, che mi hanno fatto confrontare con personaggi straordinari; su tutti cito Ria Rosa, “la nonna del femminismo” che cantava in maniera forte e volgare canzoni attualissime. I brani sono strati scelti insieme a Sepe, quelli in piano solo sono melodie che mi piacciono, ho risolto l’imbarazzo della scelta affidandomi come al solito al cuore».
Stefano Bollani
Partendo da “’Nu quarto ‘e luna”, Bollani snoda le sue vie strumentali lungo i sentieri di un folk jazz in continua evoluzione. La chiave di lettura del disco è insita nel fondamentale contributo del polistrumentista etno jazz Daniele Sepe, del clarinettista Nico Gori e del batterista francese Manu Katchè, che Bollani porterà con sé anche in tour a luglio e agosto, con l’aggiunta di diverse novità. La commistione tra folclore e avanguardia si riveste di reminiscenze e pulsazioni nuove: si va da “Putesse essere allero” di Pino Daniele a “’O sole mio”, passando per “Caravan Petrol” al piano e “’O guappo ‘nnamurato” di Raffaele Viviani per flauti e legni. La chicca del disco è “Reginella” di Libero Bovio, registrata a Rio con bandolim di Hamilton de Hollanda: «Ero a Rio a registrare il di disco De Hollanda con Chico Buarque – racconta Bollani – Una sera Chico se n’è andato perché voleva vedere una partita così lo studio rimasto a disposizione, già pagato, e ho colto l’occasione per chiedere ad Hamilton di registrare questa versione molto particolare di un brano sempre affascinante».
Stefano Bollani
Tra le curiosità segnaliamo Bollani cantante in “Guapparia 2000”, dell’amico Lorenzo Hengheller, ed il contributo del producer norvegese Jan Bang in “Sette”. La forza di Bollani sta, dunque, nel giocare con la musica all’insegna della più totale libertà, proprio come uno “scugnizzo”: geometrie, spazi, influenze e richiami si fondono in un’unica pozione in grado di ammaliare e divertire l’ascoltare senza alcuna forzatura.
Protagonista di un esclusivo showcase sulla terrazza del ME – Milan Il Duca, Frances si è presentata alla stampa musicale italiana in qualità di nuova stella del pop britannico. Armata della sua voce intensa, autentica e non filtrata, questa giovane ragazza si è già conquistata la partecipazione a diversi festival e grandi eventi come il SxSW, il Coachella, Bestival, Blissfields, Festival No. 6 e Wildlife Festivals ed è amatissima da tanti esponenti importanti dello scenario musicale internazionale. Ad un anno di distanza dalla pubblicazione del singolo di debutto “Grow”, pubblicato per la Communion Records, che le ha consentito di conquistare le nomination sia per i Brits Critics’ Choice che per il BBC Sound of 2016, Frances ha presentato agli addetti ai lavori quattro delle sue canzoni, brani che sanno parlare al cuore di tutti, incentrati sui sentimenti e che trovano nei tasti del suo pianoforte un imprescindibile punto di riferimento.
Frances live @Me Milan – Il Duca
Forte della sua esperienza di studio alla Lipa, l’università della musica in Inghilterra, Frances si appresta a pubblicare un album d’esordio intriso di intimismo ma con un’identità a metà strada tra l’esuberanza di Carole King e l’etereo fascino di Imogen Heap. Autenticità, spontaneità e talento sono gli strumenti con cui Frances lascia che il pubblico si innamori di lei. Viva il talento puro.
Raffaella Sbrescia
Lyric video “Don’t worry about me”
Queste le sue date live:
09/05 – NORWICH – Arts Centre
11/05 - GLASGOW – Oran Mor
13/05 - MANCHESTER – Deaf Institute
15/05 – BIRMINGHAM – Glee Club
16/05 – GATESHEAD – The Sage 2
18/05 – LONDON – KOKO
19/05 – BRIGHTON – The Great Escape (VEVO Stage)
23/05 – BRISTOL – The Lantern
Dal 6 maggio sarà disponibile nei negozi tradizionali, in digital download e in tutte le piattaforme streaming “Monster Moon” il nuovo disco di Jaselli, nato sotto la luna di Los Angeles. “Monster Moon” affonda le sue radici nel blues e nel soul ed è il frutto di quasi due anni di scrittura da parte di Jack e di un lavoro certosino sulle canzoni insieme a Max e Nik. Nato a Milano, il disco ha poi preso forma ai Fonogenic Studios di Los Angeles dove è stato registrato lo scorso luglio. Prodotto e mixato da Ran Pink, che ha collaborato con artisti del calibro di The Wallflowers, David Grohl e Band of Horses, “Monster Moon” segna il debutto di Jaselli per Universal Music Italia. Ecco cosa ci ha raccontato l’artista all’indomani dell’esclusivo showcase di presentazione tenutosi presso il Teatro dei Burattini all’interno della Triennale di Milano.
Intervista
Raccontaci la genesi di questo lavoro a partire della scelta degli arrangiamenti, dei testi, dei contenuti e dei messaggi che tu e la tua band intendete veicolare al pubblico.
La genesi tecnica e storica di questo album risale alla fine di un tour durato un paio d’anni. C’è stata una fase di composizione da ottobre a luglio, sono partito per Los Angeles con 40 pezzi in tasca, poi ne abbiamo scelti 10. Per quanto riguarda il suono c’è da fare un doppio discorso: già durante il tour acustico avevamo creato un suono diverso dal disco precedente, in seguito abbiamo seguito la corrente delle nuove canzoni e abbiamo iniziato a capire quale potesse essere il mondo sonoro più giusto per questo lavoro. Siamo poi andati a Los Angeles per individuare un produttore con cui poter lavorare, abbiamo conosciuto Ran e abbiamo capito che sarebbe stato perfetto per lavorare con noi. Ci siamo scritti e ci siamo mandati tanti provini tra Milano e Los Angeles finchè a luglio è iniziata la vera e propria produzione del disco. Naturalmente anche i testi delle canzoni seguono di pari passo le intenzioni e le atmosfere delle musiche. Questo disco è un po’ più ricco di argomenti ma anche un po’ più lunare, scuro, per così dire; se prima ci venivamo in mente sole, spiaggia, mare, ora la luce è riflessa perciò si va a scavare un po’ più a fondo.
Quanto lo senti tuo questo album?
Lo sento mio tanto quanto gli altri, lo sento perfettamente mio per la fase in cui è stato scritto. Lo sento mio ma soprattutto nostro: quando lo ascolto ritrovo noi tre, la produzione di Ran e la fedeltà nel trasmettere quelli che erano i nostri intenti in fase di produzione.
Quello che salta subito all’occhio del pubblico è una forte sintonia tra tutti voi, si vede che credete in quello che fate…
Credo che questo sia il miglior complimento che si possa fare sia me che ai ragazzi perché la nostra è una storia di assoluta devozione verso la musica. In particolar modo io e Nick abbiamo iniziato a suonare insieme prima del 2010. Ho sempre voluto fare le cose nel mio modo, magari rifiutando le varie scorciatoie che ti vengono proposte quando fai questo lavoro. Alla luce di ciò, sono contento se questo crederci e cercare di fare le cose in modo sincero si veda.
Quanto ti rispecchi nella definizione di “visionario” in qualità di italiano che ragiona, opera, suona e lavora in maniera anglosassone?
Un po’ forse sì, mi rendo conto che siamo un po’ una sorta di pecora nera, strane creature sempre avulse dai meccanismi tradizionali. La verità è che ci siamo sempre solo occupati di suonare e vivere la musica nel modo più sincero possibile compatibilmente con quello in cui crediamo e che ci far stare bene. Nessuno ci ha mai detto di percorrere una strada per arrivare ad un certo livello o detto fare le cose in un certo modo. A me piace sempre chiedermi se ho qualcosa da dire, sono vero e vado dritto per la mia strada, a prescindere dal fatto che questo implichi il raggiungimento del successo o meno.
Alla luce di questi ragionamenti, come vivete la nuova avventura con Universal Music?
Naturalmente siamo molto felici. Abbiamo sempre avuto un forte concetto di famiglia, chiunque si sia mai interfacciato con questo progetto artistico da 10 anni a questa parte, è rimasto a patto che si creasse una famiglia e con Universal sta succedendo esattamente questo. Loro ci hanno dato un segnale molto forte scommettendo su di noi, hanno preso un disco che era già stato fatto a modo nostro in America, siamo arrivati a Milano, glielo abbiamo fatto sentire e hanno detto di sì. Ci hanno preso a pacchetto chiuSo perciò questo è un fatto importante non solo per noi ma anche per testimoniare che ci sono realtà discografiche grosse che possono credere in cose anche meno convenzionali.
Per tornare a “Monster Moon”, raccontaci le atmosfere e gli ambienti scelti per la costruzione di pezzi tanto suggestivi…
In effetti alcune atmosfere sono abbastanza evocative, siamo andati a registrare vicino al deserto e all’oceano proprio per avere degli squarci che si potessero ritrovare nei nostri pezzi. Poi ci sono gli ascolti: dal blues, al rock, alla tradizione americana.
Jaselli
C’è un filosofo che ha elaborato un pensiero che possa essere vicino al messaggio di questo album?
Non la metterei in questi termini…Di certo c’è una corrente filosofica dell’epoca contemporanea secondo la quale si dovrebbe elaborare un sistema di pensiero mirato al recupero della ragion poetica, questo è quello che mi ha fatto pensare che la musica abbia un modo importante per dire le cose: con la musica canti la tua esperienza, se la canti in modo sincero nessuno la può smentire, per cui se racconti col cuore qualcosa che hai vissuto, in quel momento la gente può essere sicura che tu stia dicendo la verità.
Ci saranno tante date… presto anche un concerto importante a Milano?
Certo, ci saranno tanti concerti! Annunceremo presto una data per l’estate a Milano e poi torneremo in autunno. Come al solito sappiamo quando partiamo e non sappiamo quando ci fermiamo…
Ci saranno dei visual, scenografie?
Vorrei subito precisare che siamo dei privilegiati a poter fare un tour. Ci sono tanti colleghi, spesso più esposti di noi con un talent show alle spalle che riescono a fare solo dei firmacopie. In questa prima parte del tour ci saremo noi, i nostri strumenti e il furgone. Avremo le nostre piccole scenografie che ci siamo costruiti da soli per quello che sarà un tour rock e più intenso di quello di prima.
Raffaella Sbrescia
Le date del tour:
12 Maggio – Torino – Lavanderie Ramone;
13 Maggio – Treviso – Home Rock Bar;
15 Maggio – Roma – Monk Club;
20 Maggio – Venezia – Hard Rock Cafe;
7 Giugno Bologna – Bioparco Biografilm;
21 Giugno – Vascon Treviso – Festa dellEstate;
23 Giugno Pescara – Xmasters;
24 Giugno Padova – Il Chiosco;
22 Luglio – Pescara – Teatro Dannunzio (opening Jack Savoretti);
23 Luglio Sarzana – Fortezza Firmafede (opening Jack Savoretti);
Il Natale è alle porte e, come ogni anno, fioccano progetti discografici dedicati alla ricorrenza più attesa. Questa volta il disco perfetto è The Christmas Album, il nuovo album solista del frontman degli Spandau Ballet, Tony Hadley. Registrato e prodotto interamente in Italia su etichetta Universal Music, l’ album, prodotto da Claudio Guidetti, ripropone i migliori classici di Natale e due inediti rispettivamente intitolati Every Seconds I’m Away, scritto da Tony Hadley insieme allo stesso Claudio Guidetti e la nostra Annalisa Scarrone e Snowing all over the World, interamente scritta da Hadley in persona. Con un totale di ben sedici tracce, Tony spazia tra con disinvoltura tra grandi classici natalizi e inaspettate chicche musicali inserite qua e là. Si va dalla riuscitissima Fairy Tale of New York , cantata insieme a Nina Zilli, per un inedito duetto folk in chiave irish a Have yourself a Merry Little Christmas, passando per Shake Up Christmas dei Train, Lonely This Christmas dei Mud, Run Rudolph Run di Chuck Berry, Driving Home for Christmas di Chris Rea la hit degli N’sync, I don’t want to spend one more Christmas without you, Somewhere only we know dei Keane per arrivare a I Believe in Father Christmas di Greg Lake con la speciale partecipazione di Aldo Tagliapietra de Le Orme. Abbiamo incontrato Tony negli uffici della Universal Music a Milano, ecco cosa ci ha raccontato.
Intervista
Come è nata l’idea di realizzare un disco dedicato al Natale?
Si tratta di un’idea che mi ha sempre affascinato e, quando Claudio Guidetti me l’ha proposto, ho subito accettato pensando a qualcosa di non convenzionale. Ho scelto tanti classici della tradizione natalizia ma li abbiamo riarrangiati a modo nostro. Il risultato che abbiamo raggiunto mi piace molto, riesce a creare un’atmosfera magica. L’aspetto più interessante e controverso riguarda proprio i testi di queste canzoni: se ci si sofferma sulle parole è incredibile scoprire che alcuni di essi sono molto tristi.
Come hai lavorato con Claudio Guidetti?
Collaborare con Claudio è stato facile ed estremamente piacevole. Lui è un professionista capace e multitasking, riesce a passare dalla chitarra al piano, ama le belle melodie ed è un ottimo arrangiatore.
Di cosa parla Snowing all over the World?
Quando ho scritto questo brano mi sono sorpreso a pensare che a 55 anni ancora mi piace il Natale! Lo adoro come se fossi un bambino! La più piccola dei miei figli ha nove anni e ama il Natale, come del resto tutti i bambini, questa è una cosa a cui dovremmo pensare più spesso.
E Every Seconds I’m Away ?
Per quanto riguarda Every Seconds I’m Away ho pensato che spesso sono via per lavoro, proprio in quei momenti ripenso all’importanza che ha per me la mia famiglia.
Come mai manca una nuova versione di Do They Know It’s Christmas?
Direi che quattro versioni di questa canzone siano già abbastanza! (ride ndr)
Quali sono i brani che preferisci tra quelli presenti nella tracklist dell’ album?
Sicuramente Have Yourself A Merry Little Christmas. La più difficile da interpretare è stata invece Ave Maria. Ne ho sentite moltissime versioni prima di incidere la mia. Devo ringraziare le lezioni di canto classico che ho preso per anni quando ero giovane, vista la struttura complicata del brano. Sono soddisfatto del risultato che abbiamo raggiunto perché siamo riusciti a dare al brano anche un’anima elettronica oltre a quella più classica.
Quali accorgimenti adotti per mantenere intatta la tua voce?
Beh, sono molto fortunato ma ho anche smesso di fumare molto tempo fa! Riesco ancora a fare quattro o cinque concerti consecutivi senza problemi. Questa cosa mi rende particolarmente felice perché questo lavoro è troppo bello per pensare di dirgli addio! Non smetterò mai!
Ti aspettano cinque live italiani. Che tipo di concerto proporrai al pubblico?
Canterò sia pezzi degli Spandau Ballet sia quelli che ho scritto e prodotto come solista. Ovviamente ci sarà anche qualche canzone tratta dal mio album natalizio. Per l’anno prossimo mi piacerebbe fare un tour di Natale e portare in giro le canzoni di The Christmas Album.
Come ti spieghi il grande amore che il pubblico italiano ti riserva ormai da anni?
Il popolo italiano è molto musicale e melodico, caldo e amorevole. Forse per questo le sonorità molto dolci, classiche e melodiche degli Spandau Ballet gli sono sempre piaciute. A prescindere da questo discorso anche io amo questo paese, se non fosse per la mia povera linea!
Come va con gli Spandau Ballet?
Visto che la band lavora ogni due tre anni, ogni tanto mi dedico ai miei progetti. Tra tutti spicca l’idea di un mio album di inediti che farò uscire in primavera. Lo spunto è nato quando mi è capitato di ripensare al primo periodo degli Spandau, quello dance, quando eravamo ancora molto legati ai club. Quella è la versione che mi piace di più e un po’ di quello ci sarà nel prossimo mio disco. Ci ho lavorato per anni: ci lavoravo e poi dovevo partire per i tour, poi tornavo e continuavo a lavorarci. Un po’ di pezzi di ho scritti assieme a Claudio Guidetti anche se il disco verrà registrato nel Regno Unito.
Come mai hai deciso di partecipare al reality I’m A Celebrity?
L’industria è cambiata molto negli ultimi anni. Sono andato nella casa discografica inglese e mi hanno detto che non stampavano nemmeno più i cd, è tutto in streaming. Bisogna trovare modi diversi per farsi notare, bisogna stare al passo, inventarsene sempre di nuove per essere in tv. So che la mia partecipazione al reality ha destato molte polemiche ma per me è stato fantastico vivere nella giungla, è stato come un ritorno alle origini: via i cellulari, niente caffè, niente zucchero, niente pizza… Ho perso un bel po’ di chili, niente male!
Come affronti dopo decenni la rivalità con i Duran Duran?
Trovo strano che ci siano persone ancora convinte del fatto che fossimo rivali! Siamo amici, quest’anno eravamo a Barcellona tutti assieme, John Taylor è anche venuto in America a vedere la prima del nostro film. Magari un giorno potrebbe addirittura esserci un concerto “Duran Spandau”, mai dire mai!
Come sarà il tuo Natale?
Mi piace l’atmosfera e il senso di comunità che si respira, specialmente la mattina di Natale quando vado a messa. Non sono cattolico praticante, mi considero agnostico, ma ci vado perché è bello. In Inghilterra purtroppo c’è ormai un materialismo dilagante ed è anche per questo ho appena detto a mia moglie di non comprare niente; ho una splendida carriera e una bella famiglia, cosa posso volere di più? Vorrei che ci fosse più raccoglimento.
Esce oggi 27 novembre “Adesso” (Universal Music). Il nuovo lavoro discografico di Emma Marrone è molto più di un semplice album, è la testimonianza tangibile di un inarrestabile percorso di crescita umana e artistica. Emma fa sul serio e lo fa con stile e competenza. Dalle tredici tracce che compongono l’album, in cui l’artista si è messa in gioco come autrice, interprete, musicista, produttrice lavorando fianco a fianco con il produttore Luca Mattioni, si evince una forte potenza espressiva ma soprattutto un sound davvero molto curato, coinvolgente e di respiro internazionale, frutto della collaborazione costante e generosa con il sound engineer Matt Howe che ha mixato l’album e che insieme a Mattioni ha sostenuto i desideri di un’artista pronta a sperimentare senza timori. Figlio di notti trascorse a lavorare, “Adesso” è l’album del canto consapevole, la polaroid di un’artista coraggiosa che sa quello che vuole e come ottenerlo. Canzoni intense e sofisticate, ballate melodiche, groove elettronici si alternano in un susseguirsi di atmosfere che cambiano di canzone in canzone. Oltre ad accogliere storie scritte interamente da Emma, come la title track “Adesso (Ti voglio bene)”, e condivise, come “Per questo paese” scritta con Amara, Cheope e Giuseppe Anastasi e “Il paradiso non esiste”, con Diego Mancino e Dario Faini, “Adesso” racchiude al suo interno tante firme importanti come quella di Giuliano Sangiorgi in “Facciamola più semplice”, Giovanni Caccamo e Alessandra Flora in “Finalmente”, Ermal Meta, che ha firmato rispettivamente con Dario Faini e Matteo Buzzanca i primi due singoli “Occhi profondi” e “Arriverà l’amore”, Alessandra “Naskà” Merola in “Che sia tu” e “Argento adesso”, i fratelli salentini Nicco e Carlo Verrienti che hanno scritto “In Viaggio” e la traccia di chiusura “Poco prima di dormire”. Stefano “Zibba” Vallarino, Giulia Anania e Marta Venturini sono gli autori di “Io di te non ho paura” mentre Ancora Diego Mancini e Dario Faini hanno scritto “Quando le canzoni finiranno”. “Adesso” è, in sintesi, il risultato di due anni di vita che Emma ci ha raccontato nella bellissima Suite di Palazzo dei Segreti a Milano.
Intervista
Perché “Adesso” arriva a distanza di due anni e mezzo da “Schiena”?
Avevo bisogno di fare un disco in maniera diversa, per me stessa. Arrivo da cinque dischi in sei anni, dai concerti ai dvd a condivisione di palco con colleghi e amici. Il bello di questo disco è che ho avuto il tempo di amarlo, odiarlo, capirlo. La gente s’immagina la cantante che entra in studio, canta e impacchetta il disco invece non è così, mi sono presa tempo per entrare veramente dentro le canzoni. In questo disco non c’è nulla di forzato, ho ascoltato circa 400 provini, ho risposto a tutti e mi sono sentita libera di scegliere tra brani pop ad altri con contaminazioni indie, comprendendo anche canzoni prettamente cantautorali.
Cosa è cambiato in questo lungo periodo?
Parto dal presupposto che siamo tutti predisposti al cambiamento. Si cresce, si matura, si assumono consapevolezze diverse e nuove. Io mi sento cambiata rispetto a due anni fa. Ho voluto prendermi questo tempo per capire che direzione volessi prendere a fare delle scelte artistiche precise. Ho voluto fermarmi e considerare il fatto che volessi comprendere a pieno il senso del mio lavoro. In linea più generale sono molto melodrammatica, passo dalla battuta che fa ridere tutti a momenti di vuoto e di sconforto. Ogni tanto per capire il senso delle cose devo andare proprio a picco. Se non accetti il confronto con i tuoi demoni non capirai mai l’importanza della luce, alla fine è tutto un lavoro di costruzione di se stessi. Il mio percorso mi ha portata ad essere coraggiosa, ma soprattutto coerente, perché il coraggio necessita per forza di coerenza. In questo disco il coraggio si sente. Abbiamo fatto un lavoro diverso, ed è anche per questo che ci ho messo un po’.
Quanto c’è di autobiografico in questo album?
A dire il vero, molto poco. In “Adesso (Ti Voglio Bene)” racconto quanto sia importante considerare gli affetti personali, il valore della famiglia e del “ti voglio bene” che, ho capito, spesso ci dimentichiamo di dire. Viaggiando ed essendo spesso fuori casa, capita che telefono mia madre o qualche parente. In questo caso, mi sono resa conto che non mi capitava spesso di dire “ti voglio bene”. L’altro brano che mi è stato cucito addosso è “Poco Prima Di Dormire”, scritto dai fratelli Nicco e Carlo Verrienti, che hanno saputo scrivere un pezzo che sento davvero mio, che parla di me. Per il resto, canto storie di cui è mi è capitato di essere partecipe o di cui sono venuta al corrente per caso.
L’aspetto più sorprendente del disco è la cura maniacale dei suoni…
L’80 per cento dell’elettronica presente nel disco è tutta analogica, frutto di una ricerca manuale; ho portato all’esaurimento Luca Mattioni in una maniera incredibile. Abbiamo fatto diverse volte le 4 di notte in studio, il groove l’abbiamo ricreato con musicisti che hanno suonato dal vivo con chitarre, basti distorti, tastiere, batterie. Il tocco d’autore l’ha dato Matt Howe, un grande ingegnere del suono, ci chiamava da Londra gasatissimo poi è venuto anche in Italia alle Officine Musicali di Pagani e alle 17.00 in punto ci preparava persino il thè!
Anche la grafica del progetto è importante?
Rompo l’immaginario della diva: ci sono diverse anime che coesistono. A 31 anni ho accettato il fatto di poter essere una figa anche io. Sono una ragazza che vive da sola e che quando torna da Milano a Roma svuota le valigie e stira per tre giorni di seguito. La copertina non è stata studiata, ero stanca e nervosa, volevo mostrare l’istinto e il sentimento che attraversa il progetto. Luisa Carcavale ha curato il progetto il modo eccellente e ha comunicato tutto il senso racchiuso in questo disco.
Durante la fase di produzione del disco, avevi già in mente alcune idee per i live?
Si, sono due lavori che faccio contemporaneamente, penso subito a come potrei rendere il senso del brano a cui sto lavorando. Lo ritengo un lavoro fondamentale che non amo suddividere in fasi. Spesso mi capita anche di avere delle immagini improvvise, delle idee che poi cerco di proporre al team con cui lavoro e che cerco di realizzare sul palco. Non suonerei mai il disco così com’è, mi annoierei a morte.
Cos’è per te il palco?
Un posto sacro. Sul palco comandano i backliners e i fonici. Il palco è di chi lo monta, di chi lo gestisce. In genere quando sono in tour alle 16.00 sono già al Palazzetto, quando andiamo in allestimento seguo la costruzione della struttura perchè voglio conoscerla a fondo…
Perché “Argento Adesso” è l’outsider del disco?
Non ha una costruzione standard e non sarà mai un singolo. Per la prima volta parlo di sessualità senza essere fuori luogo, anche le donne hanno le stesse esigenze degli uomini. Mi sono sentita molto sensuale nel cantarla e dal vivo sarà una super bomba così come è successo con “Schiena”, il brano durante il quale facevo robe pazzesche sul palco.
Com’è arrivato il brano di Giuliano Sangiorgi?
Le cose arrivano perché c’è un senso, c’è un bisogno, c’è un’attitudine, in generale comunque non chiedo mai niente a nessuno. Non era un obbligo una sua canzone, ci conosciamo da 15 anni ma non significava che dovesse scrivere anche per me. Un pomeriggio mi ha chiamato e mi detto: “Ho scritto un brano per te, dammi la tua mail che te lo mando, se ti fa cagare dimmelo che non mi offendo”. Me l’ha mandato, l’ho ascoltato più volte, l’ho richiamato e gli ho detto: “Tranquillo, non mi fa cagare me lo tengo”. Tra le varie cose Giuliano mi ha anche lasciato la produzione del brano, mi ha detto: “ Fai quello che vuoi”; anche Caterina Caselli mi ha fatto i complimenti.
“Per questo paese” è il brano a sfondo sociale…
Non è la prima volta che ci metto la faccia per parlare del sociale, l’ho fatto con “Non è l’inferno” al Festival di Sanremo, ho partecipato a “Se non ora quando”, non è un segreto la mia amicizia con Concita de Gregorio. Mi sento rappresentante della categoria dei giovani che si rimboccano le maniche e fanno delle cose. Questo pezzo è una visione sociale di due donne di trent’anni, Amara mi ha mandato una mail con scritto: “In Italia lo puoi cantare solo tu”. Ho chiesto di inserire anche cose più toste e pragmatiche, ho cambiato il ritornello, ho aggiunto la strofa sull’omofobia e sui problemi delle coppie omosessuali. Niente di politico c’è tanto sociale, storie che conosco, storie di persone che studiano e lavorano e di cui non parla mai nessuno. Questo brano è anche un modo per dire” nonostante tutte le offese noi questo paese lo amiamo”. In un’Italia così esterofila è bello quando i giovani rimangono legati alla propria cultura.
“Io di te non ho paura” invece è contro la violenza sulle donne
Il giorno dell’elezione di Papa Francesco ero in auto con alcune amiche a Roma, all’improvviso un uomo ha cominciato a picchiare una donna, nessuno interveniva, io sono scesa dalla mia auto e sono intervenuta a mani nude per poi riaccompagnare la donna a casa. Ho scelto questo brano perché della violenza sulle donne non si deve parlare solo il 25 novembre, bisogna ritornare un po’ all’educazione civica. Gli esempi valgono più delle parole.
Cosa ci dici di “Quando le canzoni finiranno”?
In questo brano la mia voce si lacera. Se dovessi suddividere il disco in capitoli, questo sarebbe quello del cinema. Mi immagino una grande Mariangela Melato che si esprime al massimo delle sue capacità. Mi piacerebbe inserire un brano di questo album in un film che parla di qualcosa di vero e di forte.
In “We Love Disney” hai cantato con Antonino una canzone di Aladdin. Qual è il tuo personaggio Disney preferito?
Mi sento un po’ Dumbo, sicuramente non una principessa.
Hai pensato di cantare “Poco prima di dormire” a fine concerto?
Sì, sarà sicuramente la traccia che chiuderà il live durante il tour perché sembra quasi fatta apposta. Non a caso nella parte finale ci sono gli archi, le voci dei miei fan prese dal 3.0. e gli applausi di uno dei miei ultimi dvd. Sì, sarà il brano che chiuderà il tour e io me ne andrò piangendo dal palco.
Le date confermate dell’#AdessoTour sono: 16 e 17 settembre (Forum di Assago, Milano), 23 e 24 settembre (PalaLottomatica, Roma) e 30 settembre e 1 ottobre (Pala Florio, Bari).
Gli appuntamenti con il tour instore sono: il 28 novembre al Centro Commerciale Porta di Roma (Roma), il 30 novembre al Centro Commerciale Campania di Marcianise (Caserta) e l’1 dicembre al Centro Commerciale Casamassima di Casamassima (Bari).
La tracklist del disco:
01. Adesso (Ti voglio bene)
02. Occhi profondi
03. Quando le canzoni finiranno 04. Facciamola più semplice
05. Finalmente
06. Arriverà l’amore
07. In viaggio
08. Io di te non ho paura
09. Per questo paese
10. Argento adesso
11. Il paradiso non esiste
12. Che sia tu
13. Poco prima di dormire
Esce oggi in tutto il mondo “Purpose”il nuovo album di Justin Bieber. Dopo aver letteralmente sbancato gli EMA vincendo 5 statuette su 5 nomination ricevute: Best Male, Best Collaboration (con Skrillex e Diplo per “Where Are U Now”) Best Look, Worldwide Act: North America e Biggest Fans, la celebre pop star lancia il suo nuovo album in studio mostrandosi con una nuova veste sonora a cavallo fra EDM e R&B. I venti brani contenuti nella versione deluxe del disco sorprendono l’ascoltatore non solo per la varietà di suoni ma anche per la formula innovativa che non appesantisce mai l’ascolto. Per quanto riguarda i contenuti, Bieber non ci racconta nulla di nuovo lasciando aperti ampi spazi autobiografici. Una dopo l’altra le hit mondiali “What Do You Mean” (certificato Doppio Platino in Italia) e “Sorry” hanno dominato airplay radiofonici e visualizzazioni dei video, preparando il terreno all’uscita di questo album che contiene importanti collaborazioni con Ed Sheeran ed Halsey, oltre a quelle già annunciate con Skrillex e Blood. Si tratta della struggente ballata d’amore “Love Yourself”, scritta a quattro mani con l’amico Ed Sheeran e di “The Feeling”, realizzata in collaborazione con la nuova stella nascente canadese Halsey (“New Americana”).
Proseguendo l’ascolto del disco, ci risulta accattivante lo stampo urban che attraversa le note di “Company” e “Get used to it”. Le canzoni più belle sono l’irresistibile Children, l’emozionante The Feeling , Love Yourself, scritta da Ed Sheeran (il cui stile è veramente inconfondibile) e “Life is worth living”, brano particolarmente delicato ed emozionante. Il disco è una perfetta fotografia del pop conteporaneo ed è curato in ogni minimo dettaglio. Considerando il grande numero di vendite dei preorder, rimane da capire se Justin Bieber mostrerà questa nuova maturità anche durante i live del suo Purpose World Tour 2016 che, con ben 58 date nei palazzetti in Nord America, partirà il prossimo 9 marzo da Seattle per concludersi il 18 luglio al Madison Square Garden di New York.
1. Mark My Words
2. Show You
3. What Do You Mean?
4. Sorry
5. Love Yourself
6. Company
7. No Pressure Feat. Big Sean
8. No Sense feat. Travis Scott
9. The Feeling feat. Halsey
10. Life Is Worth Living
11. Where Are U Now feat. Diplo and Skrillex
12. Children
13. Purpose
14. Been You
15. Get Used to Me
16. We Are feat. Nas
17. Trust
18. All In it
19. What Do You Mean (Remix) Feat. Ariana Grande
Dopo il grande successo di ”Burn”, “Love Me Like You Do” e della nuova hit ”On My Mind”, Ellie Goulding pubblica “Delirium” (Polydor/Universal Music) il suo nuovo album di inediti. Si tratta di un disco pop che riflette una globalità di suoni e di influenze e che testimonia la tensione evolutiva di un’artista che, seppur giovane, ha venduto milioni di copie di album in tutto il mondo dimostrando subito grinta e credibilità. Per questo nuovo lavoro scritto e registrato tra Londra, l’Herefordshire, la Svezia e Los Angeles, Ellie ha voluto collaborare con Max Martin, Greg Kurstin, Ryan Tedder degli One Republic, Klas Ahlund e Guy Lawrence dei Disclosure oltre a Jim Eliot, co-autore storico dell’artista. Secondo Ellie Goulding la parola che dà il titolo dell’album, “Delirium” riassume tutto quello che ha passato per arrivare a questo punto. ”Può descrivere stati d’animo di felicità pazzia o anche l’esatto contrario. Sono costantemente in uno stato di delirio”, ha dichiarato. In effetti l’album rappresenta una sorta di punto di arrivo per Ellie: trionfi, dolori, paure, gioie, emozioni. Nelle sedici tracce che compongono il disco, disponibile in versione Standard, Deluxe e Doppio Vinile, in una particolare edizione chiamata AAA “Access All Areas”, che darà accesso esclusivo ad una piattaforma contenente audio, video, streaming, interviste, info sul tour, si va dalla disco-pop di “Something in the Way You Move” e “Aftertaste” agli accenni R&B di ‘Around U’ e del singolo ‘On My Mind’. Stimolante la formula ecletro-tribale che caratterizza ‘We Can’t Move to This’, interessante la freschezza di “Holding on for life”. Immancabile “Love me like you do” , colonna sonora di “50 Sfumature di grigrio”, fonte di popolarità mondiale per la Goulding. Per concludere, “Delirium” è sicuramente un lavoro gradevole, ottimamente confezionato che, se in parecchi casi ci fa ballare, in altri ci lascia indifferenti o quasi. Sarebbe stato bello conoscere più a fondo la vera essenza di Ellie, vederla mettersi veramente in gioco come è solita fare sul palco e come speriamo farà nel corso di una carriera che, fino ad oggi, è stata veramente fulminante.
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