Il “Never Again” tour, la nuova avventura live di Briga, inizia dalla Casa della Musica di Napoli e, a giudicare dalla numerosa e calorosa vicinanza del pubblico accorso all’evento, lo fa sotto i migliori auspici. Briga, all’anagrafe Mattia Bellegrandi non è solo il chiacchieratissimo finalista dell’ultima edizione di Amici, è un cantante che ha già avuto modo di interagire con la musica ed i relativi circuiti. Ecco perchè, ad oggi, il suo concerto risulta una piacevole esperienza di ascolto.
Con “Nero” (ArtevoxMusica / BelieveDigital) il quarto album di inediti, Federico Poggipollini raggiunge una nuova e più completa dimensione artistica. Avvalendosi della collaborazione di Michael Urbano alla realizzazione, produzione e arrangiamento dell’album, il noto chitarrista ha centrato una costruzione del suono molto particolareggiata e decisamente vicina al groove propriamente americano. A completare l’ambizioso progetto, una strumentazione vintage anni’60 e una manciata di testi finemente curati in ogni singolo dettaglio. “Nero” è, in sintesi, un disco che rivela molto dell’anima di Poggipollini, un omaggio al vissuto dell’artista, al suo background privato e professionale. Un’esperienza di ascolto che non vi lascerà delusi e che, dal vivo, saprà offrirci anche qualcosa in più.
L’intervista
Quali sono i riferimenti specifici di questo disco e quali sono le particolarità di un lavoro realizzato in un lasso di tempo piuttosto ampio?
Tutto è nato quando nel 2008 sono andato con la band di Ligabue ad arrangiare dei brani in America. Lì ho conosciuto due persone che nei momenti liberi mi facevano ascoltare alcune nuove uscite musicali; in quell’occasione ascoltai per la prima volta i Black Keys. Quel tipo di suono, insieme a quello dei White Stripes che conoscevo già, mi hanno fatto scattare la voglia di realizzare un disco che riprendesse il concetto di blues tradizionale traslato in chiave moderna, il tutto mantenendo le imperfezioni delle registrazioni , un po’ come avveniva in passato. Ho composto alcuni brani e, facendoli ascoltare a Michael in studio, ho capito che il suono che volevo era molto diverso da quello italiano, lui ha saputo mettere a fuoco quel tipo di “sporcizia” che ho sempre ricercato. Inizialmente non avevo in mente di voler fare io il cantante, in un secondo momento abbiamo fatto delle prove a Bologna, avevamo delle melodie ma non i testi definitivi che sono arrivati piano piano nel tempo.
Un album curato a fuoco lento…
Dato che non avevo l’urgenza di farlo uscire, ho potuto capire esattamente quali fossero le cose che funzionavano, lo ascoltavo spesso e lasciavo che le melodie decantassero nel tempo. Questo meccanismo è stato molto utile, ho individuato tutte le cose che non mi piacevano, anche a distanza di un paio di mesi.
Il lavoro sui testi è stato molto accurato.
Ho cercato di raccontare delle cose interessanti. Per ogni brano ho fatto attenzione all’uso e al relativo suono delle parole perché non volevo perdere il flusso melodico. Alcuni brani hanno avuto diversi accorgimenti, anche all’ultimo momento. Tutto il disco è stato una sorta di scommessa, perché un suono così particolare non mi era mai capitato di farlo. Per la scrittura dei testi mi sono avvalso della stretta collaborazione della mia compagna, lei scrive molto bene e siamo arrivati ad essere molto complici nella realizzazione di questa cosa. Mi sono consultato molto sia con lei, sia con altre persone amanti di musica.
Alla luce di tutto questo, possiamo considerare “Nero” come il pupillo di tutta la tua produzione da solista?
Sì, questo è il mio primo vero disco. Non ero mai riuscito a mettere esattamente a fuoco quello che avevo dentro, qui ho lasciato confluire una serie di fattori diversi tra loro.
“Un giorno come un altro” definisce il tuo ingresso nell’età adulta?
Questa è l’unica canzone che ho scritto in maniera tradizionale voce e chitarra. Non volevo includerla nell’album perché la ritengo una parentesi diversa, poi Michael mi ha convinto, mi ha detto che gli ricordava David Bowie nel periodo di “Hunky Dory”.
Sei molto legato anche a “I Mostri”…
Questo brano è molto attuale nonostante il classico groove funky americano, in Italia quella roba non sarebbe mai venuta fuori così!
Federico Poggipollini
È vero che hai utilizzato degli strumenti vintage?
Ci siamo messi in gioco! In America ci sono dei negozi specializzati con degli strumenti anni ’60 italiani. A quel punto li ho cercati a lungo, era importante raggiungere un suono ottimale anche con strumenti che hanno dei limiti ma che, posti un certo modo, regalano una sfumatura diversa al suono.
Sei un vero e proprio collezionista?
Beh, direi di sì. Ho tantissimi strumenti. Ho amplificatori Steelphon, tastiere Farfisa e Crumar, meravigliose chitarre Galanti, Meazzi, Eko, Davoli, introvabili pedali Montarbo e quant’altro!
C’è qualche strumento che sogni e che ancora ti manca?
In verità adesso sono passato agli strumenti giapponesi anni ’70: Kawai, Tokai etc. Si tratta di strumenti che hanno delle particolarità specifiche. Io li acquisto da collezionista poi, ovvio, se capita, li suono volentieri.
Li porteresti mai ad un tuo live?
Non li porterei mai in giro perché sono strumenti piuttosto delicati, in più non ti permettono di fare un concerto al giorno d’oggi. Vanno accordati molto, bisogna starci attenti, potrei rovinarli. Magari se “Nero” avrà successo, farò una tourneè con tutti gli amplificatori che ho usato (ride ndr).
C’è una grossa ricerca anche nel live per ricreare il suono dell’album?
Stiamo cercando di ottimizzare sempre di più il tutto. Abbiamo ricreato sonorità, ambienti e attitudini musicali.
Quali sono le tue prospettive adesso?
In questa fase avrei voglia di portare in giro “Nero” e suonarlo il più possibile. Queste undici date autunnali rappresentano il primo step importante dopo il riscaldamento della scorsa estate.
Federico Poggipollini
Che tipo di riscontri stai ottenendo?
È la prima volta che ho ricevuto delle bellissime recensioni sull’album che, nel frattempo, ha venduto circa 2000 copie. Molti non se l’aspettavano, lo ritengono un disco non scontato, rischioso e la cosa mi ha avvicinato anche a quelli che mi snobbavano ritenendomi mainstream. Anche molti amici mi hanno apprezzato, gente che sì, mi conosceva, ma che in passato non mi ha mai detto: “Che gran disco hai fatto”.
Potrebbe essere un nuovo punto di partenza?
Per il prossimo disco ho già un’idea anche se, partendo dal presupposto che faccio un album ogni sei anni, nel prossimo sarò anziano…. (ride ndr)
Grandi emozioni a Campovolo…
Certo! Ero molto emozionato ma in realtà lo eravamo tutti! Ero emozionatissimo soprattutto nei giorni precedenti e lo sono stato fino a 3 ore prima dell’evento. Poi, nel momento in cui dovevo salire sul palco con gli abiti da scena, è come se mi fossi liberato, ero molto più leggero. A sto giro avevo molta responsabilità, abbiamo fatto “Buon Compleanno Elvis” esattamente come l’originale, ho dovuto usare strumenti che non uso da tanto, con amplificatori diversi e in un modo diverso rispetto alle ultime versioni degli stessi brani. Dovevo essere molto lucido, le prove ci sono state ma non sono state tantissime. Ad ogni modo, ho vissuto quella sera in maniera particolare, è stata un’ attesa molto lunga ma alla fine è stata una bella galoppata.
Anticipato prima da “Holding On” feat. Gregory Porter, poi da “Omen”, l’attuale singolo cantato da Sam Smith, il secondo album dei Disclosure “Caracal” rallenta decisamente i ritmi del lavoro precedente a favore di un suono più raffinato e dai tempi rilassati, una miscela musicale che, in ogni caso, si presta meglio all’ascolto che al ballo. A proposito del titolo dell’album, Howard Lawrence spiega: “Il Caracal è un incredibile gatto selvatico di cui sono rimasto estremamente affascinato durante lo scorso tour; adoro il suo aspetto, le sue capacità fisiche e il suo essere anonimo. Mi è parso calzasse a pennello anche per il nostro marchio Wild Life, così il Caracal ha perfettamente senso come immagine principale per il nuovo album. Nel corso della registrazione, poi, ci è sembrato naturale intitolare così anche il disco”. L’album contiene 15 tracce costellate di featuring stellari, apre le danze il geniale The Weeknd con “Nocturnal”chiarendo subito che si tratterà di un ascolto sensuale, sornione e avvolgente. Il sodalizio con Sam Smith si conferma vincente, tra i migliori dello scenario pop. La traccia più bella in assoluto è “Holding On”: Gregory Porter intaglia la punta di diamante dell’ album mettendo in secondo piano una buona performance di Lorde in “Magnets”. Tra gli altri brani in tracklist segnaliamo la freschezza e l’energia di “Bang That”. Cercando di mostrare al mondo un nuovo modo di comporre, più vicino al cantautorato, i Disclosure lasciano da parte i brani strumentali , rallentano i ritmi incendiari dell’esordio lasciando comunque intravvedere un’ ammaliante richiamo al clubbing più modaiolo. Riconoscendo ai due fratelli il merito e la non scontata capacità di aver creato un proprio sound, “Caracal” può tranquillamente essere considerato come un lavoro completo, curato, ottimamente prodotto e soprattutto omogeneo. Sarà interessante scoprire come i Disclosure porteranno tutto questo materiale dal vivo. Questo autunno i due si lanceranno, infatti, in un tour americano in grande stile.
Si apre, da oggi, un nuovo capitolo per Fred De Palma che, con “Boyfred”,entra nella squadra Warner Music decidendo di raccontarsi in un disco autobiografico, in linea con i tempi, connotato da testi intimi, rime scomode e sonorità trap. Il giovane artista, classe ‘89, scrive e usa il rap, la canzone, il pop, la dance a seconda di quello che vuole raccontare liberandosi dai confini dei generi. All’interno delle 14 tracce che compongono il disco, abbiamo modo di capire ogni sfaccettatura di suo questo importante momento di maturazione artistica. Abbiamo incontrato Fred alla viglia dell’uscita dell’album e questo è quello che ci ha raccontato.
Fred, è vero che il rap è diventato un canone?
Secondo me ci sono due tipi di rap in Italia: c’è il rap puro, più fedele alla vecchia scuola, poi c’è un nuovo filone molto più melodico, pensato per arrivare al maggior numero di persone possibile.
La melodia rende il rap più accessibile?
Anche in questo caso sono anche due tipi di ascoltatori: quelli che ascoltano i testi per scoprire le rime e quelli più casuali che badano solo al ritornello. Il pubblico, in ogni caso, deve ancora assimilare alcune cose. L’aspetto positivo è che prima non c’era tanta distinzione, ora, invece, noto che comincia ad esserci un approccio più critico ed il riconoscimento del valore specifico di ciò che viene fatto.
Tu tieni più al testo o alla musica?
Tengo molto alla scrittura e parto sempre dal testo. La ricerca del ritornello giusto è la mia seconda preoccupazione, deve esserci un momento catchy non solo per il pubblico ma anche per me. Per il resto credo sia ovvio che, da qui a due anni, la melodia nel rap diventerà un trend di tutti quelli che fanno il mio genere.
Questo album segna un distacco ma anche un nuovo inizio?
L’idea di questo disco è nata con la finalità di evolvermi. Tutto qui è diverso, a partire dal modo di scrivere. A differenza di tanti, ho scelto di non duettare con nessuno perché “Boyfred” è un disco personale. Ho pensato che un featuring avrebbe tolto coerenza ai brani e avrebbe reso un po’ dispersiva la storia che volevo raccontare. L’unico modo che ho per entrare davvero in contatto con il pubblico è far conoscere me stesso, oltre alle mie canzoni.
Come mai “Stanza 365” è il brano più importante dell’album?
Questo brano è veramente intimo, mi trasmette tanto e spero che lo stesso avvenga con il pubblico. Nel disco precedente avevo già iniziato questo tipo di percorso di scrittura ma non avevo ancora l’esperienza giusta per scrivere una vera e propria canzone. I rapper in generale scrivono pezzi piuttosto che canzoni. La differenza è alla base è in questa canzone c’è tutto quello che serve per definirla tale.
C’è una metodica in quello che fai?
Non ho mai scritto un pezzo in più di un’ora quindi si tratta di una cosa molto immediata. Mi sono sempre esercitato da solo a scrivere, all’inizio stavo 8 ore a cercare uno stile mio e spero che oggi riesca trasmettere al pubblico tutto questo.
Come è nata la collaborazione con Baby K per “Licenza di uccidere’?
Mi ha scritto mesi fa su Twitter. Sono passato in studio da lei, ci siamo complimentati a vicenda e abbiamo deciso di fare un pezzo insieme scrivendo le rispettive strofe del brano. È stato tutto molto naturale.
Quanto si distacca questo disco dai tuoi lavori precedenti?
“Boyfred” è frutto di una ricerca minuziosa. In genere tendo a scrivere su canzoni di altri, che rispecchiano quello che voglio dire io, e, successivamente, mi faccio rifare tutte le basi da zero. Lavoro sul suono solo dopo aver finito la canzone, si tratta di un metodo abbastanza comune tra i rapper. Ho lavorato con MACE dei ReSet!, uno dei più forti “trappisti” in Italia. Mi sono fatto consigliare molto da lui sul suono, i pezzi mi sono molto piaciuti e abbiamo continuato in questa direzione alternandoli ad altri più suonati. Poi c’è Davide Ferrario, un musicista particolarmente ispirato. Loro due, insieme, hanno creato qualcosa di nuovo.
“Serenata Trap” è un ovvio richiamo al brano di Jovanotti…
Sì, si tratta di un tributo ad un pezzo che è un cult della storia della musica italiana. La mia è una sorta di versione 2.0 di un brano in cui uso con lo slang e l’approccio contemporaneo. La gente mi critica perché a volte uso delle frasi molto forti però, in realtà, quello che faccio io è prendere quello che c’è e portarlo in musica.
Anche in “Fenomeno” ci sono un po’ di frasi che scuotono gli animi?
Questo brano è dedicato ai miei fan. Il testo parla dell’incontro tra me e un fan in metropolitana. L’episodio è accaduto realmente ed è per questo che ho deciso di scriverci una canzone. In questo brano colgo anche l’occasione per rispondere a tutti quelli che, vedendomi impegnato a fare musica, credono che io sia sempre felice, niente di più sbagliato. Ecco, questa è l’occasione per raccontare l’altra faccia della medaglia.
Per quanto riguarda lo stacco tra “Lettera al successo parte 1 e 2” e questo nuovo album, che tipo di evoluzione c’è stata nei temi e nei contenuti?
Si dice sempre che quando un artista cambia, anche il suo pubblico cambia. Spesso le persone si affezionano ad una parte di te che, evolvendosi, viene messa un po’ da parte. In generale, cerco sempre di raccontarmi sui social, rendo le persone partecipi delle mie evoluzioni. Il nocciolo della questione sta nel mondo in cui si scrivono le canzoni: se evolvi in maniera coerente, il pubblicodovrebbe evolvere con te altrimenti non è un pubblico vero.
Cosa racchiude il concetto di “Web credibility”?
Ho realizzato dei video simpatici usando il rap e li ho caricati su Facebook. Tutti usano i social come mezzo per arrivare ad un pubblico più ampio per cui ho pensato di usare questo passatempo come una sorta di nuovo tipo di free style. Il web è la nuova strada.
Hai partecipato a tante competizioni di free style, ne senti mai la mancanza?
Fino ad un certo punto. Del freestyle non mi manca niente perché lo faccio tuttora con i miei amici. Magari mi manca quell’ansia positiva di quando facevo le gare girando l’Italia da solo partecipando a tutti i contest possibili.
Per concludere, come sarà il tuo nuovo live?
Tutto è ancora in via di definizione. Dovrà essere una cosa diversa da quello che c’è in giro, sto cercando un nuovo approccio con il pubblico. Vi aggiornerò molto presto!
Raffaella Sbrescia
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TRACKLIST
1. Dov’eri tu 2. Serenata Trap 3. Stanza n. 365 4. Non scordare mai 5. Canterai 6. BoyFred 7. Buenos Dias 8. Slogan 9. Tutto qui 10 Due cuori e una caparra 11.Fenomeno 12. Noi due 13. VodkaLemonHaze 14.Chiudo gli occhi
Dal 1 al 3 ottobre musica e cinema saranno i protagonisti del Karel Music Expo 2015 di Cagliari. La nona edizione del festival ospiterà un ampio ventaglio di generi musicali e stili cinematografici per una tre giorni dedicata anche alla valorizzazione del territorio. Tra i protagonisti della kermesse ci sarà Giuliano Dottori, un cantautore capace di scrivere testi tanto autentici ed espressivi quando semplici nella loro inusualità e che, oltre la valorizzazione della propria arte, ha imparato a sviluppare e produrre anche quella altrui. In attesa di ascoltarlo dal vivo, ecco cosa ci ha raccontato.
Dopo la pubblicazione dei due volumi de “L’arte della guerra”, chi è oggi Giuliano Dottori?
Un musicista un po’ più consapevole di ciò che sta facendo.
In cosa si differenziano e in cosa, invece, si compensano i due volumi?
Sono due facce della stessa medaglia. Anche con la grafica abbiamo giocato molto su questo aspetto. Una bambina che diventa donna, bianco e nero, nero e bianco, un pettirosso (morto) che prima è nelle mani di una bambina e poi vola nel vestito della donna. È un ciclo, è un disco unico che finisce con le parole “non c’è più” e comincia con le parole “quando tornerai a casa”. È un viaggio che ha una partenza e un ritorno, ma non nello stesso luogo. È come un cerchio che non si chiude perfettamente, perché dopo un viaggio si è sempre un po’ diversi da quando si è partiti.
Come lavori alla costruzione di testi tanto semplici quanto suggestivi?
Di solito parto da una suggestione, una frase, una parola, un’immagine. Questa prima suggestione è fondamentale: se nasce insieme a una melodia o un’atmosfera musicale precisa, ci lavoro, sennò la lascio sui miei taccuini in attesa che arrivi qualcos’altro a smuovermi. Ho imparato a non avere fretta, ad aspettare.
In che modo la città di Milano continua ad essere fonte di ispirazione per te?
Milano è una città. Una città vera, in evoluzione, viva. Mi fa incazzare e mi fa gioire. Ora siamo in un momento di grande orgoglio, c’è un sacco di gente in giro, tanti turisti (non siamo così abituati ad averne), tante infrastrutture finalmente completate che hanno risolto alcuni antichi problemi di viabilità. Ciò che vedo soprattutto è finalmente una visione lungimirante, un voler pensare al futuro e non solo a far quadrare i conti e a rattoppare le buche delle strade. Mancherà moltissimo Pisapia. Ma i milanesi hanno la memoria corta, come tutti gli italiani.
Stai definendo le date del tour invernale. Che tipo di concerto è il tuo? Sarai ancora in formazione con un quartetto elettrico?
Sì, continuerò a suonare in quartetto, anche se a distanza di quattro anni dal Casa tour comincio ad avere di nuovo voglia di fare qualche concerto in solo.
Perché “Siamo tutti degli eroi”?
Perché – come è giusto riconoscere le enormi conquiste sociali ed economiche fatte dai nostri genitori – credo sia doveroso cominciare ad essere meno dimessi e più orgogliosi di ciò che la mia generazione sta facendo. Perché ci siamo relazionati con un cambio epocale (globalizzazione, internet, precariato, un ventennio politico all’insegna del malaffare e della menzogna), eppure siamo qui, ci siamo reinventati, paghiamo le pensioni ai nostri vecchi e cerchiamo continuamente di essere creativi e vivi.
Come è stato lavorare al videoclip di “Fiorire” con DIMARTINO?
Credo che Antonio mi odierà a lungo per questo… sveglia alle 6, quattro ore truccati da cadaveri sotto una pioggia battente ad aspettare di essere convocati per le riprese. Io sono stato un’ora con la faccia nella sabbia bagnata e fredda. Per rendere più credibile la scena mi hanno trascinato per le braccia in mezzo a una sorta di pozza paludosa piena di insetti. Ecco. Questo è quanto.
Conosci la realtà del Karel Music Expo? Come vivi il fatto che suonerai lì?
Ci suonai qualche anno fa con gli Amor Fou e sono felicissimo di tornarci. Un bellissimo festival, con un cast molto coerente e (a che mi ricordo) delle location davvero belle. Da direttore artistico di festival (Musica Distesa) sono sempre felice di conoscere altre situazioni.
Quali sono le attività del Jacuzi studio?
Nasce come mio studio personale e negli anni ho scoperto l’arte della produzione e devo dire che fare il produttore – per lo meno in questo momento – è la cosa che mi diverte e soddisfa di più. Sono passati da me i Riva, Alia, David Ragghianti, Aria su Marte, ora sto lavorando coi Les Enfants. Mi piace lavorare sulle canzoni degli altri, sia perché credo sia un grande arricchimento per me, sia perché credo di aver raggiunto un buon equilibrio nel lavoro artistico.
Quali sono i tratti che caratterizzano il tuo approccio alla musica?
Cerco di essere autentico nei testi e musicalmente non scontato.
Sei un fervido sostenitore del crowdfunding. Cosa ha significato per te questo tipo di raccolta fondi e come ne spiegheresti l’utilità a chi ancora non lo conosce?
È il modo migliore per bypassare la discografia e poter stringere una sorta di patto di fedeltà con l’ascoltatore. La smaterializzazione della musica ha causato i disastri che già conosciamo. La domanda che tutti si fanno è: perché dovrei pagare 1 dollaro una canzone che posso avere gratis? Non c’è una sola buona ragione per pagare quel dollaro ormai. La cosa mi disturba, certo, ma ora è così e fine. Come dicono i saggi “no solution no problem”. La cosa che mi disturba è che la gente spende 60 euro per andare allo stadio o 1 euro per un pacchetto di cicche. O al supermercato prende il vino da 3 euro facendo del male innanzi tutto a se stesso. Discorso complesso. A cosa serve il crowdfunding? A dire: “ragazzi, se amate la mia musica dobbiamo tornare a come si faceva vent’anni fa, perché i dischi costano molti soldi”. Questo è il patto di fedeltà. Aiutate gli artisti che amate o sennò avremo solo platinum collection di Vasco e dischi dei talent. Oddio, è già quasi così in effetti.
Colgo l’occasione per chiederti di parlarci anche di MusicRaiser…
Ho usato Musicraiser più volte, mi sembra una piattaforma davvero ottima e non a caso è un servizio creato da un musicista che sa bene come funzionano le cose nel mondo della musica.
Mika live @ Mediolanum Forum ph Francesco Prandoni
Magia, spensieratezza, allegria e a “little bit of love”. Il quarto concerto italiano di Mika al Mediolanum Forum di Assago (Milano), nell’ambito del No Place in Heaven Tour, è la celebrazione dei sentimenti. Divo senza divismi, Mika è diverso da tutti gli altri, non cerca trucchi, non si affida alla tecnologia, crea una fiaba in cui i protagonisti sono gli outsiders con i loro piccoli difetti da mettere in bella mostra. Genuino, disinvolto, scatenato Mika entra nel cuore del pubblico con immediatezza e lucida efficacia. Lo show è un tripudio di colori e sonorità pop ma non rinuncia all’autenticità del lavoro artigianale ed è così che nell’arco di due ore Mika ci porta alla scoperta della sua personalità con una nuova consapevolezza di sé e della sua arte. Anche la scenografia è la materializzazione di un sogno, si tratta si un paesaggio urbano stilizzato in colori pastello che rispecchia l’animo multiforme di Mika e che esclude l’impatto tecnologico a favore di un coinvolgimento emotivo più intenso.
L’artista sale sul palco intorno alle 21.00 cantando “No place in Heaven” quasi celandosi dietro un impermeabile ed un grosso cappello, appoggiandosi ad una roulotte che si rivelerà essere un palco nel palco . Un inizio in sordina, quasi enigmatico. L’energia cresce e si sviluppa in maniera lenta, inesorabile, quasi viscerale: la scenografia si arricchisce e si espande insieme ai ritmi e i toni dei brani e delle gag con cui Mika coinvolge il pubblico creando un’onda emotiva impattante. “Stasera mi sento un po’ a casa mia – spiega l’artista di origine libanese – Sapete cosa facciamo quando siamo a casa mia? Cantiamo!” E via, su e già per il palco senza fermarsi mai, senza risparmiare sorrisi e sudore. Big Girl (You Are Beautiful), Good Wif, Grace Kelly, Boum Boum Boum, Talk About You, Good Guys, Origin Of Lov, Relax, Take It Easy. Mika spazia con disinvoltura tra le hits che l’hanno reso celebre in tutto il mondo e i brani del suo ultimo album di inediti in cui racconta davvero molto di sé.
Mika live @ Mediolanum Forum ph Francesco Prandoni
Il climax del concerto è racchiuso in “Underwater”, un momento di emozione tanto autentica quanto inaspettata. Con il sorriso di un bambino ed uno sguardo ricolmo di commozione, Mika guarda estasiato il gioco di luci creato dagli smartphones degli spettatori: “Non ci sono mai state tante stelle a Milano, scherza, Facciamo gli scemi tutti insieme, senza orgoglio e senza vergona”, esortando il pubblico a lasciarsi andare dirigendo una spettacolare coreografia di luci e di voci. Costantemente al di sotto di un glitteratissimo mappamondo-mirrorball, Mika riesce a far ballare anche i più abbottonati “senza pensare alle conseguenze, perché a Milano mi sento a casa, e a casa non ci sono conseguenze”.
Mika live @ Mediolanum Forum ph Francesco Prandoni
Di grande impatto anche il duetto con Chiara Galiazzo sulle note di “Stardust”, senza dimenticare la super triade composta da Happy Ending, We Are Golden, Love Today. Con l’animo leggero e lo sguardo disteso, Mika si avvia al finale dello show con grinta: “Prima di andare via, facciamo un po’ di rumore”, e così sia. I bis chiudono la festa pop con Last party ed inedite rime in italiano, frutto di una traduzione maccheronica di “Lollipop”, cantata ancora in duetto con Chiara Galiazzo e che, nonostante la leggerezza della melodia, nasconde un messaggio malinconico: “L’amore ti deluderà”, canta Mika, mostrando fino all’’ultimo istante ogni singola sfumatura della sua anima così colorata e altrettanto stimolante.
Raffaella Sbrescia
La scaletta del concerto
No Place in Heaven
Big Girl (You Are Beautiful)
Good Wife
Grace Kelly
Boum Boum Boum
Talk About You
Good Guys
Origin Of Love
Relax, Take It Easy
L’amour fait ce qu’il veut
Staring at the Sun (Tant que j’ai le soleil)
Promiseland
Underwater
Elle Me Dit
Happy Ending
Stardust (con Chiara Galiazzo)
We Are Golden
Love Today
Lollipop 50s torna all’Estathé Market Sound in una domenica a tutto vintage per salutare quest’estate indimenticabile a suon di swing e rock and roll!
Sul palco del village ci sarà il travolgente Matthew Lee performer, pianista e cantante innamorato del rock’n'roll, che ha fatto propri gli insegnamenti dei grandi maestri del genere. Un vero talento, che, nonostante la giovane età, ha già sulle spalle circa 1000 concerti suonando in tutta Europa: Italia, Belgio, Inghilterra, Francia, Svizzera, Slovenia, Olanda, Germania, e si è inoltre esibito negli Stati Uniti ed in Africa. In quest’intervista Matthew Lee ci parla di “D’altri tempi” (Carosello Records). L’album, realizzato con l’intervento di autori e produttori sia italiani che internazionali come Luca Chiaravalli, Claudio Guidetti, Mousse T e Chris, racchiude 12 tracce (6 in italiano e 6 in inglese), tutte legate da un inconfondibile ritmo rock’n’roll rivisitato in chiave moderna.
Matthew, qual è il mood che attraversa l’album?
Questo è il mio primo “vero” lavoro discografico. Fin dal principio ho curato ogni canzone ed ogni dettaglio insieme ad alcuni dei più importanti produttori italiani ed internazionali. Il disco è stato registrato in tre paesi diversi (Italia, Inghilterra e Germania), ed è un lavoro in cui ho racchiuso tutti i lati della mia personalità: da quella rock’n’roll a quello più blues, fino al mio lato più romantico. Quello che mi ha dato maggiore soddisfazione è stato entrare in studi di registrazione veri e lavorare con eccezionali professionisti.
“E’ tempo d’altri tempi” è il tuo manifesto artistico?
Ho vissuto diversi anni suonando dal vivo il rock’n roll, il blues, lo swing, indie hop, boogie- woogie, tutti generi che son tornati in voga da poco tempo. Ho sempre guardato a questi ritmi con molto interesse per cui, quando mi hanno proposto di lavorare al disco, ho pensato di scrivere sulla base di quanto avevo fatto fino a quel momento. Tutto il disco è interamente pensato per il live, la cosa che mi interessa di più in assoluto.
Matthew Lee
Con più di 1000 concerti alle spalle, come affronti oggi il palco?
Con passione e spensieratezza. Nella mia vita ho girato davvero tanto. In tempi non sospetti caricavo video su Internet e sfruttavo la visibilità del mio canale su Youtube. Mi hanno contattato spesso dall’Inghilterra, poi mi hanno chiamato in Olanda, in , fino ad arrivare in America (New York, Ohio) e persino in Africa (Tunisia e Capo Verde). Le cose sono andate sempre meglio anche se le mie idee vengono sviluppate dal mio ottimo management che lavora alacremente.
Come hai concepito l’arrangiamento de “L’isola che non c’è”, così distante da quello originale di Bennato?
Questo brano mi è sempre piaciuto molto; credo sia uno dei capolavori della musica italiana in generale. La prima cosa che ho fatto quando ho iniziato a lavorare a questo album è stato proprio riarrangiare questo brano con il mio stile ed è stato un processo davvero molto naturale.
Quale versione preferisci tra quella in italiano e quella in inglese?
Le due versioni hanno due storie. Quella italiana è quella che ho inventato, l’altra è giunta poco prima della chiusura del disco perché Bennato, dopo aver ascoltato la registrazione della versione in italiano, mi ha chiesto di farne una in inglese con un testo fornito da lui stesso. L’ho realizzata subito, lui l’ha ascoltata, gli è piaciuta e l’abbiamo inserita. Visto che mi piacciono tutte e due, nei concerti ne faccio una ma la divido in due.
Cosa ci dici di “Così Celeste” di Zucchero?
In questo caso ci ho lavorato molto di più perché la canzone nasceva come un’autentica ballata. Ci ho dovuto ragionare molto ma per fortuna anche questa è piaciuta molto all’autore.
“Can I take a bit” è un pezzo molto energico.
In questo caso abbiamo fatto un lavorone. Siamo andati in Germania, ad Hannover, nello gigantesco studio di Mousse T, abbiamo ragionato pur senza avere un’idea ma alla fine è stata un’esperienza super.
Quanto c’è di te in “Place that I call home”?
Ho scritto questa canzone in Inghilterra durante una session prima delle registrazioni del disco. Di solito vivo con la valigia già pronta ma, per quanto mi piaccia stare in giro, la vita vera è un’altra cosa. Quando sei in tour sei sempre di corsa, dormi in orari strani ed è sempre bello tornare nella mia Pesaro.
Come affronti questa vita così frenetica?
Non saprei, è talmente divertente che a volte non mi soffermo a pensare. Mi appaga fare il musicista, si tratta di una passione che sono riuscito a trasformare miracolosamente in lavoro che non definirei neanche tale. Alla fine sono una persona abbastanza quadrata per cui cerco di bilanciare le cose.
Che aspettative hai per questo album?
Sono contentissimo. Mi piace portarlo in giro perché ci abbiamo messo il cuore e tutta la passione possibile. Non ho paura, c’è tanto di me qui dentro ed è una bella sensazione.
Come ti rapporti con chi ti segue da tempo?
Cerco di parlarci, di essere partecipe e di tenermi in contatto il più possibile. Mi piacerebbe organizzare un bel raduno- incontro con tutti loro.
Sono passati cinque anni da “Casa 69” e, da allora, i Negramaro non hanno mai smesso di cercare e trasmettere emozioni. Con “La rivoluzione sta arrivando”, un album interamente composto da brani inediti che li riporta nella veste di produttori, Giuliano Sangiorgi e compagni compiono un’ evoluzione che non snatura la loro identità. Questo nuovo lavoro è connotato da sonorità meno aggressive e testi particolarmente ricchi, visionari, per certi versi temibili per la loro immensa forza espressiva. In ogni angolo di ogni canzone, i Negramaro raccontano i sentimenti umani e il mondo circostante in modo semplice eppure fortemente impattante. Sono temi forti quelli che stanno alle base de “La rivoluzione sta arrivando” ed giusto così perché questi anni sono stati particolarmente ricchi di eventi e vicissitudini per tutti loro. Partiti da una masseria in Salento, i sei salentini sono finiti su una highway di Nashville alla ricerca del suono perfetto, un viaggio che ha fatto crescere l’album, attimo dopo attimo, fino al risultato finale che ci lascia col fiato corto ed il cuore gonfio. Anticipato da “Sei tu la mia città” e “Attenta”, lanciati rispettivamente ad aprile e agosto, “La rivoluzione sta arrivando” è un disco malinconicamente lucente ed è ricco di visioni e suggestioni che colpiscono l’anima. “Lo sai da qui”, ad esempio, è una piccola preghiera in cui qualcuno che abbiamo perso continua ad esserci e a mostrarci il cammino. Speciali anche le strofe de “L’ultimo bacio” in cui il flusso di coscienza per un amore finito, rappresenta, in realtà, un nuovo punto di partenza . Il nucleo dell’album è racchiuso, però, tra i versi de “Il posto dei santi”, brano in cui testo e musica si intrecciano intorno al difficile tema della morte offrendone una chiave di lettura speranzosa. Morte e rinascita si ritrovano anche in “Onde”. Bello anche il gioco di immagini in opposizione in “L’amore qui non passa”, brano che Giuliano ha voluto dedicare al gruppo nella sua interezza e che, con quegli archi in chiusura, ci lascia con la sensazione di aver vissuto un sogno da cui non vorremmo svegliarci.
Il resoconto della conferenza stampa tenutasi al Museo Nazionale della Scienza e della tecnologia di Milano
«Questo album è la nostra evoluzione di questi anni. I titoli sono dei veicoli che devono far riflettere. Non siamo così presuntosi da credere che ci sia una rivoluzione in questo disco, eppure c’è una piccola rivoluzione in ognuno di noi. Durante la realizzazione dell’album mi sono più volte chiesto se fosse giusto affrontare le questioni personali che io e i miei compagni abbiamo vissuto in questi anni, compresa la scomparsa di persone care, e ho capito che la morte è solo una sfumatura dell’esistenza e ti porta a vivere il mondo esterno in maniera ancora più forte e intensa. La rivoluzione per me parte proprio da questo concetto: portare la vita al centro di ogni cosa – spiega Giuliano Sangiorgi. Visto che viviamo in un’epoca segnata da 140 caratteri, dove spesso contano solo i titoli, vorremmo far riflettere, anche solo per un momento, sull’idea che la rivoluzione possa essere messa in atto ogni singolo giorno da ciascuno di noi – aggiunge il cantante – Nel nostro piccolo ci piacerebbe una piccola rivoluzione contro il cinismo culturale devastante che ci sta infettando».
I Negramaro durante la conferenza stampa a Milano
«Da molto tempo condividiamo vita musica, storia, esperienze. La nostra vita musicale è passata per tante stagioni. “Casa 69” è di cinque anni fa, il discorso musicale era molto diverso. Da lì siamo arrivati a “La Rivoluzione sta Arrivando” attraverso un best off con sei inediti. Siamo stati per mesi in una masseria nel Salento e abbiamo iniziato a parlare e stare insieme tra rivoluzioni ed evoluzioni: ci siamo approcciati a questo disco in maniera tecnicamente diversa, con un discorso musicale immediato e scarno che non significa misero perché il lavoro di costruzione è stato pazzesco – racconta Andrea Mariano –“La rivoluzione sta arrivando” ha girato il mondo per arrivare al sound finale: dal Salento ci siamo spostati a Milano, nelle Officine Meccaniche di Mauro Pagani e in seguito a Madrid, New York e Nashville. Qui abbiamo collaborato con Jacquire King (Kings Of Leon, Bon Jovi, James Bay), un fonico straordinario che, dalla sala prove al mix, ha mantenuto un equilibrio incredibile».
«Per quando riguarda il tour – spiega Lele Spedicato – si tratterà di uno spettacolo, organizzato da Live Nation (in partenza il 4 novembre da Mantova) e sarà raccontato da immagini e visuals che seguiranno il concept grafico del disco. Stiamo lavorando molto sui contributi video, il 15 luglio avevamo già la scaletta pronta e questo non ci era mai successo».
Negramaro
Tornando a parlare dei cardini del disco, molto spazio è stato dedicato al brano intitolato “Il Posto dei santi”: «Questo è un brano in cui mi sono misurato con la metrica del rap, genere che ho sempre amato. Quando avevo 8 anni, il sabato scappavo dal catechismo e mi andavo a comprare i 45 giri rap di quel momento. “Mentre tutto scorre”, “Nuvole e lenzuola”, “Via le mani dagli occhi” racchiudevano un rap in rock e anche questo brano riprende un tipo di metrica rap con sonorità anni ’70», specifica Giuliano. Interpellato in un momento successivo, anche Ermanno Carlà ha commentato il brano in questione: «Il vestito di questa canzone è così diverso da quello che abbiamo sempre fatto, da essere diventato il punto di riferimento per un cambiamento effettivo senza snaturare quello che siamo stati in passato. Per un gruppo il vestito musicale è molto importante, quindi si gioca sempre su quello che si può indossare più facilmente. Quando il pezzo è venuto fuori sembrava quasi non appartenerci – aggiunge Ermanno – Ora, invece, è come essere consapevoli che un centimetro di pancia in più o una ruga sul viso possono anche esibiti con naturalezza seguendo una prospettiva moderna».
In merito al concept grafico, il bassista del gruppo racconta: «L’uomo e la celebrazione della vita sono il perno intorno a cui si sviluppano le nuove tracce dei Negramaro. Il logo ridonda il titolo stesso del disco e i simboli che vi si leggono sono legati all’ im maginario che Giuliano ha sognato e tradotto in musica. Così è nata questa sintesi grafica tra morte, vita e ironia. Questo tipo di lavoro grafico è una cosa che avevo in mente da tanto tempo. Affascinato anche dal lavoro che fecero un po’ di tempo fa i Gorillaz, ho giocato un po’ con le metafore, quindi è come se i nostri sei alter ego fossero una traslazione del genio e della follia umana. Tutto questo vorrebbe offrire uno spunto di riflessione sul percorso che l’uomo ha compiuto dall’ età della pietra al microchip e far riflettere sul contrasto tra moderno e antico. Il concept vorrebbe essere uno stimolo a recuperare il contatto con la natura, che è vita e che comprende tutto. Nonostante il fatto che a volte si possa provare un sentimento di paura verso il cambiamento, noi attraverso la musica siamo pronti ad affrontarlo. Certo, non siamo immuni alla sensazione di timore ma da noi in Salento si dice: “Metti un ramoscello lì dove riesci ad arrivare”, ovvero metti il segno dove sai che puoi arrivare perché quando segni un tuo limite stia già lavorando bene per riuscire a superarlo» – conclude Ermanno.
Immanuel Casto, all’anagrafe Manuel Cuni, torna in scena con un nuovo album inediti, il quarto per esser precisi, intitolato “The Pink Album”, pubblicato il 25 settembre 2015 per Freak&Chic/ Artist First. Composto da undici brani, il disco rappresenta un’evoluzione musicale, ma soprattutto contenutistica, per l’artista ormai riconosciuto come re indiscusso del porn groove. Sonorità dance e synth pop sono le note che scandiscono testi intrisi di ironia ma anche di coraggio. Pronto e sagace nel riconoscere le tematiche più in vista nel nostro quotidiano, Immanuel rivela una forte sensibilità, associata a prontezza di spirito e genuina irriverenza contro gli schemi dettati dall’ ipocrisia Made in Italy. Abbiamo incontrato l’artista all’interno dello Studio Know How di Milano, il più grande sexy shop gay friendly d’Europa; ecco quello che ci ha raccontato.
Partiamo dai forti rinnovamenti testuali e sonori contenuti in “The Pink Album”.
Questo è un disco diverso dai miei precedenti. La sfida era creare qualcosa di nuovo rimanendo fedele a me stesso, ho voluto costruire su quello che è avevo fatto in precedenza. C’è stata un’evoluzione musicale, mi sono avvicinato a suoni più materici, più acustici. Ho sempre amato l’elettronica e la disco anni ’80 ma sentivo la voglia di qualcosa di un po’ più concreto, che si distaccasse dal pop più patinato e bidimensionale. Tutto questo si sente in brani come “Uomini veri”, “Male al cubo” e soprattutto in “Deepthroat Revolution”, il cui arrangiamento è, a mio parere, uno dei più belli che abbia mai fatto. Per quanto riguarda i contenuti, è paradossale dire che questo è il mio disco più coraggioso perché parla poco di sesso.
In che senso?
Di solito sono i contenuti forti richiedono molto più coraggio perché tuttora sono difficili da veicolare, soprattutto attraverso i media convenzionali. In questo lavoro mi sono esposto tanto, soprattutto emotivamente. Certo, non è una cosa che non abbia mai matto in precedenza ma , di solito, i brani più intimi li mettevo sempre in fondo al disco quasi per non guastare l’ascolto a chi si voleva divertire con brani goliardici, divertenti, provocatori. In questo caso, invece, ho voluto che brani ironici e sbarazzini si compenetrassero con altri più significativi.
L’esempio tangibile potrebbe essere “Uomini veri”?
Esatto. Questa è una canzone di Joe Jackson. Il tema del brano è abbastanza vicino a quello di “Da grande sarai fr**io” anche se, a differenza di quest’ultimo brano, in cui sono rimasto molto più fedele al mio stile politicamente scorretto, estremamente ironico e sfacciato, nel caso di “Uomini veri” sono molto più serio e canto con il cuore in mano.
Come vivi il fatto che la tua musica e la tua immagine riscontrano pareri anche molto discordanti tra loro?
Sicuramente è la prova che ci sono dei contenuti presenti, questo è ciò che fa scatenare delle reazioni. Quando si prendono posizioni o, più semplicemente, si dice qualcosa, immediatamente si va a scontentare qualcuno e viceversa. Se non si vuole disturbare nessuno, l’unico modo è non dire niente. Ci sono moltissimi artisti che agiscono esattamente in quest’ultimo modo, non dicono niente e la cosa funziona perfettamente. La mia è una scelta personale e non potrei fare altrimenti.
Questo discorso rientra perfettamente nelle dinamiche e nei riscontri che sta ottenendo il singolo “Da grande sarai fr**io”.
Mi rendo conto che si tratta di un brano politicamente molto scorretto ma lo difendo a spada tratta. Il testo dà un messaggio molto importante: è la voce di un omosessuale adulto che si rivolge ad un ragazzino, addirittura quasi un bambino, i cui atteggiamenti tradiscono quello che sarà il suo orientamento sessuale. Il brano è forte perché nega di fatto tutte le sciocchezze secondo cui l’omosessualità è una scelta. Si tratta di un fatto legato alla natura di una persona che, con l’età adulta, verrà fuori. L’adulto protagonista del brano dice al ragazzino di accettarsi con autoironia, la difesa più grande che abbiamo. Riguardo ai toni goliardici, quasi come se si trattasse di una presa in giro, in realtà metto me stesso nel pezzo quindi posso permettermelo. A questo aggiungo che, se avessi fatto una canzone contro l’omofobia, molti avrebbero detto sono d’accordo con il testo però poi non credo che avrebbero veramente apprezzato il brano. In verità, io ritengo che questo pezzo abbia reso un servizio ancora maggiore al messaggio che volevo trasmettere. Alcuni hanno anche sostenuto che io volessi far passare un messaggio secondo cui tutti i gay siano così come li descrivo in questo brano. Primo: Anche se fosse? Quel ragazzino effeminato non merita di essere accettato? Secondo: Non è vero. Non ho mai detto che questa storia rappresenta tutti. Io racconto una storia e, proprio chi dice questo, parte dal presupposto che esista qualcosa per rappresentare tutti. Siamo diversi, tutti meritiamo di essere rispettati, io ho scelto un aspetto di questa diversità e ho raccontato quello.
Immanuel Casto
Alla fine cerchi l’amore…
Sì, molti brani parlano d’amore e questa per me è la più grossa novità. Un esempio è “Male al cubo”, un brano che nelle strofe si propone con cinismo per poi riscattarsi nel ritornello; mai come nel dolore incrociamo noi stessi per cui nulla è veramente perduto.
Il brano “Rosso, oro e nero” con i Soviet Soviet è molto diverso dagli altri
Sì, in effetti è così. Si tratta di uno dei due adattamenti. L’originale è un pezzo tedesco e ho voluto realizzarlo per omaggiare la mia storia con un tedesco. Anche questa, di fatto, è una canzone d’amore, è capitato un po’ a tutti di stare una persona con cui si faceva fatica ad essere felici.
Immancabile la collaborazione con Romina Falconi
Assolutamente! Ormai siamo veramente legatissimi. Ogni tanto l’accuso di essere una dolce Pollyanna. Se, per esempio, sto frequentando una persona ed è evidente che stia andando tutto male, lei interpreta sempre tutto in chiave positiva.
Perché avete scelto di duettare in “Horror Vacui”?
Non ricordo come è nato, stavamo parlando e avevamo deciso di collaborare in questo pezzo. Io ho scritto le mie parti, lei ha scritto le sue e, insieme, abbiamo scritto i ritornelli. Tra tutti i nostri duetti, il brano è più vicino al suo “Eyeliner” o al mio “Sognando Cracovia”.
“Alphabet of Love” si conclude in modo esilarante…
Ci stava! L’autoironia salverà il mondo!
Sesso, sangue e soldi sono ancora i protagonisti della cronaca e dell’intrattenimento?
Le tre S sono sempre attuali.
Il primo titolo provvisorio del disco era “Disco Dildo”, perché l’hai cambiato?
Il cambiamento è stato dettato dal fatto che non volevamo avere problemi legati alla distribuzione del disco ma è stata una beffa perché poi abbiamo avuto difficoltà con i firmacopie nelle grandi catene ed eccoci qua a parlare in un sexy shop. In realtà sono comunque contento di averlo intitolato “The Pink album” perché era la prima idea che avevo ma soprattutto perché forse “Disco Dildo” avrebbe eclissato i contenuti più emotivi dell’album.
E i richiami al “White album” dei Beatles e al “Black album” dei Metallica?
Anche in questo caso spero che la gente percepisca l’ironia della cosa. I riferimenti culturali sono molto forti ma il mi rosa è un sorriso da affiancare alle icone.
Tra i tanti progetti paralleli alla musica c’è il gioco di carte “Squillo”. Un successo che non conosce sosta…
Si tratta di una fantastica avventura. Dopo aver concluso “La trilogia del piacere” ( “Deluxe Edition”, “Bordello d’Oriente” e “Marchettari sprovveduti”), iniziamo un nuovo capitolo con “Time travels” in cui andiamo a scoprire la prostituzione nelle varie epoche della storia. Si parte con l’Antica Grecia di Satiri e Baccanti, il tema è molto divertente e le stupende illustrazioni sono realizzate da Jacopo Camagni, in arte Dronio, che lavora anche per la Marvel. La cosa divertente è che quando ci si stancherà delle proprie squillo le si potrà anche vendere come schiave o ci si potrà appellare all’Oracolo per richiedere l’intervento dei vari dei.
Immanuel Casto
E la biografia in uscita il prossimo 2 ottobre?
Il titolo è “Tutti su di me”, l’ho proposto io e sono contentissimo di questo volume perché il curatore Max Ribaric ha realizzato un lavoro molto accurato. Sono stati recuperati tutti i miei post sul sito e sui social per una ricostruzione storica dettagliata e che non perde mai di vista l’ironia. Leggendo il libro, mi sono divertito ed emozionato, si tratta di un bel modo per scoprire tutto il mio percorso.
Hai collaborazioni in mente?
Ci sono dei progetti in testa ma ancora non so a quali di questi mi dedicherò.
Hai mai pensato ad un palcoscenico come quello di Sanremo?
Sì, certo. Mi piacerebbe, è un tentativo che si fa e, come molti artisti fanno, si prova diverse volte prima di riuscire ad avere questa occasione. Sanremo è probabilmente l’unico contesto istituzionale che mi interesserebbe per dare uno schiaffo in faccia all’ipocrisia.
Quali sono i tuoi interessi?
Fondamentalmente sono un nerd. Le mie passioni sono principalmente i giochi, naturalmente c’è la musica, poi ci sono le serie tv e la lettura.
Alla luce del grande rinnovamento presente nel nuovo album, apporterai cambiamenti anche all’interno del nuovo tour?
In verità continuerò sulla linea del tour precedente quindi avrò grande cura e attenzione per i dettagli, a livello musicale avrò un batterista elettronico che suonerà dal vivo, ci saranno ovviamente dei visuals grafici realizzati da me per ogni video, le coreografie, una nuova corista e non mancheranno svariate guest stars come Romina Falconi, Soviet Soviet e Tying Tiffany.
IMMANUEL CASTO firmerà le copie del disco e incontrerà i fan anche sabato 26 settembre a Roma alla Ludoteca TORA STORE (Via dei Galla e Sidama, 57 – ore 16.30),domenica 27 settembrea Bologna allaGalleria Ono (Via Santa Margherita, 10), sabato 3 ottobre a Bologna al RED durante il party di gay.it, venerdì 9 ottobre a Torino alla Libreria Luxemburg.
Petra Magoni e Ferruccio Spinetti ph Simone Cecchetti
Musica Nuda è un progetto che racchiude due anime speciali, quelle di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti. Una voce sublime ed un contrabbasso magico e versatile uniti da dodici anni nel nome dello sconfinato amore per la musica. Lo scorso 31 marzo i due artisti hanno pubblicato “Little Wonder” (Warner Music), un album fatto di rivisitazioni di canzoni più e meno famose, la tangibile dimostrazione che nonostante lo scorrere del tempo, i dischi pubblicati e migliaia di concerti, la curiosità e la passione possono portare a volersi rimettere nuovamente in gioco senza limiti. Alle porte del tour che li porterà a girare l’Europa in lungo e in largo, Petra e Ferruccio si sono raccontati a cuore aperto.
L’intervista
“Little Wonder” è un regalo che avete fatto a voi stessi?
Ferruccio: Questo album ripercorre artisticamente quello che è successo nel corso di dodici anni: 7-8 dischi, più di mille concerti in giro per il mondo e tante belle esperienze. Dopo aver realizzato due album di inediti, che erano “Banda Larga”e “Complici”, abbiamo deciso di fare nuovamente un disco di cover per vedere con dodici anni di esperienza e, si spera, con una certa maturazione artistica in più, cosa ne sarebbe venuto fuori. Mantenendo intatte libertà e istinto, e in questo mi riferisco alla scelta dei brani, abbiamo scelto delle canzoni che ci piacevano, che ci emozionavano e le abbiamo trasformate in Musica Nuda.
Cosa vi ha sorpreso di questo lavoro? C’è qualche elemento che dopo tanti anni vi ha messo alla prova?
Petra: Sì, certo. A partire dal modo in cui è stato realizzato questo disco; l’abbiamo registrato sul palco del teatro di San Casciano, a porte chiuse, senza cuffie, in presa diretta e senza la separazione che c’è nello studio di registrazione, il tutto per ritrovarci nel nostro habitat naturale. Tutto il lavoro è stato molto immediato. Per esempio, la versione che abbiamo inciso di “Is this love” di Bob Marley è la prima e unica. Questo disco è simile al nostro primo album, anche quello fu registrato in presa diretta. Abbiamo scelto di fare cover di tutti i tipi, compreso un nostro stesso brano, con la curiosità di scoprire quale fosse stato il risultato. Little Wonder può sembrare un titolo presuntuoso ma in realtà “wonder” è anche lo stupore, la meraviglia di scoprire qualcosa di nuovo dopo 12 anni. La meraviglia di voler fare nuove cose con più maturità ma con lo stesso entusiasmo.
Come mai hai avete scelto di rifare “ Io sono metà”?
Quella è la prima canzone che abbiamo scritto insieme, un giorno la stavamo suonando, ci è venuta in una nuova versione e ci siamo detti: “perché no?!”
Dopo 1000 concerti e tanti palchi, fareste un parallelo tra le locations italiane ed estere? Come cambiano le vostre aspettative di volta in volta?
Ferruccio: Quando si va a fare un concerto è difficile avere delle aspettative, la sorpresa spesso giunge anche durante il concerto stesso. Come dice Petra, il live si fa in due: noi sul palco e il pubblico giù. Quando andiamo a suonare in una città che non conosciamo come può essere Lima, Buenos Aires, Charleston o Belgrado siamo molto curiosi di vedere quale sarà la reazione del pubblico a questo strano duo. A dire il vero la scaletta che proponiamo potrebbe scatenare lo stesso tipo di reazione anche se all’estero ci chiedono di fare più pezzi in italiano perché il pubblico è curioso nei riguardi della nostra lingua madre.
Petra: Nonostante le differenze nel mondo è bello vedere che la gente ride per le stesse cose, si emoziona per le stesse cose. La musica è davvero un linguaggio universale che va oltre le parole.
Petra, usi la voce in tutti i modi possibili, dal sussurro al virtuosismo. Questa è una dote che in tantissimi ti riconoscono e che fa del tuo live un’esperienza da non perdere…
Petra: E’ una cosa di me che avevo intuito da molto tempo però, in effetti, fin quando non ho incontrato Ferruccio non avevo proprio gli spazi per poter fare quello che faccio adesso. Con un gruppo normale, ma anche solo con un chitarrista, non avrei la possibilità di far sentire tanti piccoli dettagli. Noi abbiamo tantissime dinamiche, andiamo dal pianissimo al fortissimo e cambiamo spesso repertorio. Tutto questo fa sì che un concerto contrabbasso e voce, che io per prima sulla carta definirei palloso, in realtà poi non lo sia affatto. Abbiamo una grande curiosità da ascoltatori e cerchiamo di trasmetterla anche in qualità di interpreti. L’uso che faccio della mia voce è frutto di necessità e virtù, anche Ferruccio si è dovuto inventare un nuovo modo di suonare. La prima volta che è venuto ad ascoltarci Peppe Servillo, con cui Ferruccio ha suonato per sedici anni negli Avion Travel, Peppe gli ha detto:“Ferrù ma tu suoni così?”
Ferruccio, a proposito degli Avion Travel, c’è qualche novità in vista?
L’anno scorso siamo stati in tour con 20 date, ricordo con particolare affetto il concerto al Castel Sant’ Elmo di Napoli. Quest’anno cercheremo di inventarci qualcosa di nuovo.
Parlando di sperimentazione, ci parli del progetto Inventa Rio?
Ferruccio: Inventa Rio è un gruppo che esiste dal 2010 formato da me, Giovanni Ceccarelli al piano, Francesco Petreni alla batteria, Dadi Carvalho alla chitarra. Alla base c’è l’idea di fondere la musica italiana con quella brasiliana in maniera innovativa. Il primo disco è uscito nel 2010 con brani in italiano e qualcuno in napoletano, nel 2012 abbiamo omaggiato Ivan Lins, con altri artisti compresa Petra, Bungaro, Maria Pia De Vito, Samuele Bersani, Chico Buarque. La cosa bella è che Ivan è stato dieci giorni con noi a registrare il disco. L’anno scorso l’album è stato anche candidato ai Latin Grammy, tra i cinque migliori dischi della musica popolare brasiliana; questo, però, in Italia non l’ha saputo quasi nessuno.
Tornando a voi due, dopo la lavorazione di “Little Wonder” avete continuato a scrivere e comporre?
Petra: Sono conscia di essere più forte come interprete che come autrice quindi non ho l’ansia di voler per forza scrivere cose mie. Ferruccio invece è più prolifico.
Ferruccio: Non mi definisco un compositore come prima professione. Già con gli Avion Travel, da strumentista lavoravo principalmente sulla musica. Oggi per i testi collaboro quasi sempre con Alessio Bonomo. Magari per un anno non scrivo niente poi magari in venti giorni vengono fuori tre pezzi. Non c’è una regola fissa. Io e Petra abbiamo registrato molte canzoni inedite, scritte da tanti bravissimi autori, per cui il prossimo album è già quasi pronto. Questo “Little Wonder” è stato voluto perchè negli ultimi due album c’erano molte canzoni in italiano e, suonando tanto all’estero, il mercato esigeva un disco più internazionale.
Petra Magoni e Ferruccio Spinetti ph Pasquale Modica
Il palco è la vostra linfa.
Ferruccio: La prima promozione per un’artista è, in effetti, proprio il palco. Il live ti dà credito anche tra gli organizzatori e ti fa circolare negli ambienti musicali giusti.
Petra: Confermo. All’inizio venivano a sentirci dieci persone che ci hanno aiutato molto con il famoso passaparola. Non abbiamo avuto chissà quale battage pubblicitario; anche in tv non ci chiamano spesso.
Avete qualche collaborazione in programma o nel cassetto?
Ferruccio: Punto in alto. Per l’estero dico Sting e Paul McCartney. In Italia cerchiamo le collaborazioni che sentiamo più vicine a pelle: per esempio Joe Barbieri, sempre presente nei nostri ultimi dischi, Pacifico con cui abbiamo collaborato in passato. Per il resto, vedremo…
Petra: Io aggiungo Fausto Mesolella e Benjamin Clementine!
Sab 26 Settembre MUSICA NUDA – Teatro Brancaccio – ROMA
Merc 7 Ottobre MUSICA NUDA – Maison de Georges Sand -Nohant -FRANCE
Gio 8 Ottobre MUSICA NUDA – Auditorium Jacques Coeur- Bourges-FRANCE Sab 10 Ottobre MUSICA NUDA – Centre Culturel Jean-Arp- Clamart-FRANCE
Lun 19 Ottobre MUSICA NUDA-Istittuto Italiano di Cultura- Belgrado – SERBIA
Mar 20 Ottobre MUSICA NUDA – Jazz Festival – Pancevo – SERBIA
Ven 30 Ottobre MUSICA NUDA – Teatro delle Ali – Breno – BRESCIA
Sab 31 Ottobre MUSICA NUDA-Reims JazzFestival-Caveau Mumm-FRANCE
Lun 9 Novembre Pippo Delbono, Petra N Magoni, Ilaria Fantin ‘IL SANGUE’- Liege – BELGIQUE
Mar 17 Novembre Delbono, Magoni e Fantin ‘IL SANGUE’ – PRATO
Merc 18 Novembre MUSICA NUDA – Teatro Puccini – FIRENZE
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