Conosciutissimo in Campania e semi conosciuto nel resto del paese, Tony Tammaro è una generation icon. Dopo 25 anni di carriera il cantore dei “tamarri” valicherà i confini campani per cinque concerti prodotti da L’Azzurra Management di Giovanni Brignola. Dopo il debutto casalingo al teatro Diana di Napoli (7/11), Tony approderà nel tempio milanese del rock (22/11 all’Alcatraz), in uno dei più antichi teatri della città di Bologna (24/11, Teatro Duse), nel covo della musica live romana (27/11, Jailbreak), prima di far ritorno al Teatro delle Arti di Salerno (29/11). Ad accompagnarlo on stage, una band composta da cinque musicisti - Nino Casapulla (tastiere), Luciano Aversana (chitarre), Paolo Pollastro (basso), TonyMartuccelli (batteria) e Rossella Bruno (cori). Vincitore tre volte del Festival Italiano della Musica Demenziale, Tony si è raccontato in questa intervista, andiamo a scoprirlo.
Tony, finalmente valichi i confini della Campania. Come mai proprio adesso?
Sono “appena” 25 anni che faccio il cantante e in tutto questo tempo ho girato in tutti i 540 comuni della Campania, anche più di una volta. Credo che abbia fatto abbastanza gavetta per poter affrontare il tour italiano. Ho avuto l’idea grazie al web: mentre chattavo con i miei fan, mi sono accorto che moltissimi di loro sono tutti emigrati al nord Italia quindi ho deciso di andarli a trovare.
Come sarà strutturato il live show?
Ho intitolato lo spettacolo “Tony Tammaro alla conquista dell’Italia” e ho ritenuto opportuno che tutti noi ci vestissimo adeguatamente per l’occasione. Avremo elmi, corazze, tuniche e accessori da antichi romani. I costumi di scena saranno curati da Annalisa Ciaramella. La filosofia alla base di questa scelta è: se deve esserci una conquista dell’Italia, è giusto attrezzarsi in modo adeguato. Per la scaletta sono un po’ in difficoltà, ho scritto 90 canzoni e per un concerto di due ore dovrò fare una precisa selezione. Sicuramente ci saranno tutti i classici del mio repertorio insieme ad altri più recenti, tratti dal mio ultimo lavoro “Tokyo Londra Scalea”. Sto facendo anche dei sondaggi sui miei canali social, credo che proverò ad accontentare più persone magari racchiudendo un po’ di brani in un medley.
Nei tuoi brani è sempre presente un sottotesto da cui si evince una forte personalità. Quali sono i tuoi interessi?
Sono un appassionato di musica jazz e leggo molto. Non ho la laurea, sono un autodidatta, le mie canzoni sembrano scritte da e per tamarri, la verità è che spesso le persone restano sorprese quando interagiscono con me. Ascolto di tutto e di più, sono un gran curioso, mi concentro soprattutto sugli arrangiamenti ma raramente mi sconvolgo. Mi sono emozionato quando vidi cantare Vasco Rossi “Vita spericolata” a Sanremo, quando ho ascoltato i Neri per Caso cantare a cappella e poi sono rimasto colpito dal fatto che una giovanissima cantante come Ariana Grande abbia le carte in regola per giocare alla pari con la grandissima Mariah Carey.
Come vive il tuo pubblico la tua persona e come vivi tu le persone che ti seguono?
Quando ero ragazzo andavo ai concerti, ogni volta che pensavo di avvicinare uno dei miei idoli c’era qualche bodyguard che mi menava. Da grande ho deciso che avrei avuto un rapporto diverso con i fans e così è stato. Quando finisco i concerti mi fermo tanto con loro, spesso mangiamo anche qualcosa insieme. In questo modo mi sono fatto tanti amici e continuo ad imparare tante cose ogni giorno.
Cosa significa essere un artista indipendente?
Ho iniziato 25 anni fa con l’autoproduzione, mi sono sempre autofinanziato e ogni volta che ho pubblicato qualcosa di nuovo mi sono sempre affidato al passaparola.
Quali sono state le evoluzioni e le involuzioni della figura dell’ “italcafone”?
Sono anni che osservo e studio le persone che vengono a sentirmi. Le mode sono cambiate, adesso tra il pubblico ci sono tanti studenti universitari molto più raffinati di un tempo. L’involuzione si vede soprattutto in rete ed in particolar modo sui social; la tamarragine è diventata qualcosa di violento e si presenta soprattutto in forma di insulti, calunnie ed offese gratuite.
Come si colloca il genere della musica demenziale all’interno dello scenario musicale contemporaneo?
Questo genere ha un ruolo molto marginale. Io ho scelto di arrivare al pubblico utilizzando la via melodica senza le mitragliate di parole che usano i rapper. Mi rifaccio ai vecchi poeti, gli stessi che hanno scritto le migliori pagine della musica classica napoletana, quelli che usavano le quartine. Io non uso scariche di parole, in genere mi fermo entro i limiti di un foglio A4.
Nel frattempo hai scritto qualcosa di nuovo?
Sono molto pigro e poi sono dell’idea che un artista debba scrivere solo quando ha qualcosa da dire. Diffido degli artisti troppo prolifici, io ho deciso di fare come i Beatles: mi fermo a 10, sono a 8 ma me la prenderò molto comoda, prima che esca un disco devo essere assolutamente sicuro che faccia ridere chi lo ascolta.
Raffaella Sbrescia
Video: Fornacella