La Serenata per Roma, quando è stata pensata, non immaginava certo che sarebbe diventata un evento simbolico. Quasi una premonizione, dice Stefano Mannucci, nell’introdurre la kermesse musicale, da lui fortemente voluta, e che, lunedì sera, ha scaldato il cuore del pubblico presente al teatro Quirino: preziosa realtà del panorama culturale capitolino, incastonata tra il Quirinale e Fontana di Trevi. Una nutrita schiera di artisti ha reso omaggio alla Città di Roma, donandole la personale interpretazione di alcune delle più belle canzoni del repertorio autoctono. Non sono tutti romani di nascita, gli artisti convocati a raccolta da Stefano. Alcuni lo sono di adozione. Altri di “passaggio”. Ma non per questo sentono meno vivo l’affetto per una città che, come le belle donne, spesso scatena invidie, gelosie, sentimento di rivalsa o desiderio di abuso, propri di una mentalità provinciale e campalinistica che l’Italia tutta, nonostante i moniti di pasoliniana memoria, fa fatica a superare. Purtroppo.
Ad aprire la serata, tre giovani ragazzi, armati di chitarra e voce, accolgono il pubblico direttamente in platea. Due ci avevano lasciato con lo stesso brano qualche giorno fa al’ “N’Importe quoi”: “Lella” la bellissima canzone di Edoardo de Angelis, portata al successo dalla Schola Cantorum negli anni ’70, nella fresca interpretazione di Gianmarco Dottori, Durden (David Boriani) e Ghita Casadei, in versione acustica e senza amplificazione, fa da “ingresso” al palco.
Palco di cui prende possesso Mario Venuti, cantautore di origine siciliana, che, ricordando i tempi del Folkstudio, percorre le note di Roma Capoccia, con l’apporto canoro di Diodato, di commovente intensità (“tu m’hai adottato Roma, io t’ho scoperta…..” ). A seguire si alternano Nathalie (“Te possino dà tante cortellate”), Jack Savoretti, accompagnato dal “pianista” (ma non solo) di Califano, Enrico Giaretta, visibilmente commosso, (“Roma Nuda”), Raiz e Mesolella (“Arrivederci Roma”), Zibba (“Affaccete Nunziata”), Alessandro Mannarino (“Sinno’ me moro”) Dolcenera , accompagnata da Michele Papadia (“Sempre” e “La società dei magnaccioni”), Diodato (“Nina si voi dormite”), Mariella Nava e Gianmarco Dottori (“Roma nun fa la stupida”), Renzo Rubino (“Vecchia Roma”).
Assente giustificata della serata, Noemi, che però ci risponde al telefono e ci saluta con febbricitante affetto, mentre Mannucci media un intrattenimento “senza fili” con Marco Dottori, alle prese con ” Er barcarolo”. Potente il coinvolgimento di Elena Bonelli, che, accompagnata dal chitarrista Giandomenico Anellino, interpreta ad effetto una “Chitarra Romana”, alla maniera fadista, che già avevamo avuto modo di apprezzare durante un’altra recente manifestazione, sempre condotta dall’insostituibile Mannucci. Amalia Rodriguez sosteneva che tra il fado e la canzone napoletana esiste un comune denominatore. Canzoni di “porto”, che sanno di salmastro e di struggente nostalgia marinara. Beh, non solo. Il fado è sentimento, e tutto ciò che ne è permeato può essere “fadizzato”. Ce lo ha “svelato” Francesco di Giacomo in un disco in collaborazione con Eugenio Finardi, dove ad essere arrangiata alla portoghese fu “Piazza Grande”. Ed oggi l’ambasciatrice della canzone Romana nel mondo, cui dobbiamo molto proprio per questo lavoro di ricerca e divulgazione, ce lo conferma.
L’intensità interpretativa, la passione, l’amore, esplodono poi nell’improvvisazione di una “Stornellata” quasi “a dispetto”, cui il pubblico fa da coro “stornando” tutta la fierezza di cui questa meravigliosa e generosa donna è capace. Generosa ed avvolgente anche quando insieme all’amica Mariella Nava ci fa dono di una intensa “La bella donna” scritta da quest’ultima proprio per lei. Insomma, tanta partecipazione sentita, ma anche tanta originalità. C’è chi Roma ce la canta alla Dean Martin, chi come Dolcenera arriva a vedere ne “La società dei magnaccioni” un Rhythm and Blues, che se ce lo avessero raccontato non ci avremmo creduto, chi interpreta con tanto calore “Affaccete Nunziata”, da far quasi pensare che l’abbia composta lui per l’ amata. E, tra le tante belle frasi dedicate a Roma, Mannarino le fa una dedica come ad una donna. E, come se fosse una donna, ci invita a riconquistarla e non a depredarla. Il tutto accompagnato alla oramai imprescindibile aneddotica di Mannucci, che ci racconta la Roma dei monticiani serciaroli, il festival di San Giovanni, il senso delle “stornellate a dispetto”, la festa dei “Lanternoni”, la notte delle “streghe”, le decapitazioni a ponte Sant’Angelo, quando le teste mozzate rotolavano giù per via di Panico. Per chi, come me, ha avuto i nonni o i genitori che quei periodi in parte li hanno vissuti, è un ripercorrere dei racconti di famiglia: la “favole de paura” che ci raccontavano da piccoli per conciliarci (a modo loro), il sonno.
Per i molti giovani presenti in sala che queste cose probabilmente le ignorano, la scoperta di una Roma, e di una storia che “non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo” perdere. Ci sarebbe ancora tanto da scrivere: una serata che, per raccontarla, non basterebbero quattro pagine su cinque colonne. Ma io me la cavo forse meglio con le immagini. E, nel ringraziare Mannucci e tutti gli artisti per i brividi e le emozioni, affido il resto alle foto. Sperando che di iniziative simili ne vengano prese sempre di più.
Roberta Gioberti
Photogallery a cura di: Roberta Gioberti