Gli anni ‘80 hanno rappresentato un momento particolare nel panorama musicale mondiale. Sono stati sicuramente anni in cui proporsi alla maniera cantautoriale, raccontando storie malinconiche con l’aiuto di una chitarra e poco altro richiedeva coraggio. Un coraggio che Suzanne Vega ebbe, e vide giustamente premiato.
Nata in California, ma cresciuta nei sobborghi portoricani di New York, sarebbe stato forse più facile per lei restare suggestionata e influenzata da un sound di rottura. Punk, Rock, Rap. Invece questo non accadde, e quella esile e diafana ragazzina riuscì ad imporre all’attenzione del mercato il suo modo di fare musica, essenziale, da folksinger un po’ in ritardo sui tempi.
Sicuramente molto influì nelle sonorità la prima Joni Mitchell, mentre per quello che riguarda la poetica, prevalse una visione abbastanza descrittiva degli aspetti della vita di tutti i giorni. Il racconto di quello che ci circonda, dei momenti più ordinari e apparentemente insignificanti del quotidiano, trasformato in poesia, attraverso versi essenziali e minimalisti. Gli sguardi di Tom’s Diner, la storia nascosta e dolorosa di Luka, gli oggetti che riflettono le anime delle persone in Night Vision. La solitudine, una specie di spettro, un’ombra sulla porta, pronta a voltarsi se qualcuno arriva, in Solitude Standing.
Qualcosa di fuori moda, piatto, privo di fronzoli, essenziale, molto lontano dai luccichii, dal glam, dal divismo, dal pompaggio spesso voluto dalle case discografiche in quegli anni, eppure qualcosa che seppe farsi apprezzare al punto da arrivare a ottenere una visibilità internazionale di considerevole impatto: un’oasi di pace in mezzo a tanto rumore.
E’ un poco questa la Suzanne Vega che ritroviamo sul palco della Casa del Jazz, ospite della rassegna “I concerti nel Parco – Summer Time”: 63 anni meravigliosamente portati, in versione acustica, voce e chitarra, accompagnata da un ottimo Gerry Leonard (già collaboratore di David Bowie), intrattiene incantevolmente una platea accaldata ma attenta, con il timbro di voce magnetico che da sempre la caratterizza.
Poca coreografia, molta empatia, una lieve brezza emotiva che va a toccare i cuori, e in qualche maniera porta serenità.
A Ottobre del 2020, per dare il suo contributo al mondo della musica, messo così duramente alla prova dalla pandemia, la cantautrice Statunitense si è esibita in streaming dal Blue Note Jazz Club di New York. Un evento importante, simbolico, durante il quale è riuscita a riunire circa un centinaio tra musicisti, operatori, e organizzatori mondiali, ed ha presentato il suo album più recente, An Evening of New York Songs and Stories che ripropone i suoi grandi successi. E’ da questo album che è tratta la scaletta proposta al pubblico romano, con una piccola sorpresa sul bis: una Walk on the Wild Side, che commuove tutti.
Mentre Ultimo al Circo Massimo richiama circa 70.000 persone, in un piccolo spazio sonoro, si fa musica in delicatezza. E mai suggestione fu più evocativa di un incipit di carriera su cui avrebbero scommesso in pochi.
Roberta Gioberti