Steve Hackett in concerto all’Auditorium di Roma. Il live report

E’ stato un gruppo che ha letteralmente segnato una generazione. Oddio, difficile dirlo, in quegli anni tanti musicisti e tante formazioni hanno segnato la generazione fortunata che ha avuto la possibilità di viverli in contemporanea. Però per i Genesis il discorso fu lievemente diverso. Sì, perché per molti, me compresa, i Genesis nascono nel 1968 e muoiono nel 1975: quando il cofondatore Peter Gabriel uscì dal gruppo, lasciando il ruolo di frontman, e cantante a Phil Collins. Insomma, i Genesis rimasero, continuarono a produrre ottima musica, Phil Collins è stato un personaggio di rilievo nel panorama musicale mondiale, abbandonato pochi mesi fa per motivi di salute con un ultimo commovente concerto.
Eppure per molti non furono più i Genesis.

Steve Hackett live @ Roma ph Roberta Gioberti

Steve Hackett live @ Roma ph Roberta Gioberti

Ora, averli vissuti in contemporanea, durante la prima fase artistica, significa essere nati nel 1950/55 più o meno. E invece non fu propriamente così. Una generazione successiva a quella dei coetanei strettamente intesi, ha avuto come punto di riferimento proprio i Genesis prima maniera, lontani dal sound molto più accessibile che ne caratterizzò la produzione dopo il 1975.
E molta parte di questa generazione la contemporaneità anagrafica con quel gruppo, nel momento in cui si inseriva tra i massimi esponenti del progressive rock britannico non l’ha avuta. Per essere più chiari, un live non ha mai avuto modo di vederlo.
Ora sarebbe lungo ripercorrere le dinamiche che portarono alla spaccatura, per altro mai artisticamente risanata, del gruppo. Gabriel intraprese con un successo e una popolarità indiscussi, la carriera da solista, creando veri capolavori, addentrandosi in un lavoro di ricerca, di collaborazioni, di impegno anche politico.

Steve Hackett live @ Roma ph Roberta Gioberti

Steve Hackett live @ Roma ph Roberta Gioberti

I Genesis da A Trick Of The Tail in poi approcciarono al pubblico in maniera più orecchiabile, anche se sempre con un sound di altissima qualità. Da Duke in poi, proprio dopo l’uscita di Hackett che rappresentò la soluzione totale di una qualsiasi forma di continuità con il progressive, virarono decisamente al Pop. E il pubblico fu diverso, generazionale, attaccato a quella contemporaneità. Ma chi ha amato Foxtrot o Nursery Crime, è rimasto ancorato a quei Genesis. Non ci fu un dopo. Si trattò di un’omonimia.
La scelta di Steve Hackett, ultimo filo di seta che lega ad un ricordo e a delle suggestioni, di riproporre, con arrangiamenti addolciti, il repertorio delle origini, è stata, a mio avviso una scelta sicuramente vincente dal punto di vista emotivo.

Steve Hackett live @ Roma ph Roberta Gioberti

Steve Hackett live @ Roma ph Roberta Gioberti

Per i molti che li hanno amati e ancora li amano, e per i quali, come dicevo, non è stato mai possibile assistere ad un’esibizione dal vivo, per una questione di tempi, il concerto del 30 luglio a Roma si è trasformato in una specie di sogno realizzato. Certo, manca la voce di Gabriel, e la sua teatralità interpretativa, potente e mai eccessiva, con cui, per quanto oramai contestualizzato, Nad Sylvan non è in grado di competere; ma non lo sarebbe chiunque. Manca Phil Collins, con il suo ritmo calibrato e brillante, mancano molte cose che un tempo si sarebbero trovate. Ma l’impatto è forte, e la Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, vibrante di emozione. Un Hackett assolutamente padrone di sé, sereno, empatico, paziente quando, su Robbery per un guasto tecnico la chitarra si è dovuta fermare per buoni cinque minuti, e lui con lei. Ma la musica è andata avanti, senza interruzione.
Applausi a scena aperta, dieci minuti di standing ovation, un pubblico decisamente datato tornato adolescente.
Penso davvero che a un concerto non si possa chiedere di più .

Roberta Gioberti

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“I concerti nel Parco – Summer Time”: le suggestioni di Suzanne Vega

Gli anni ‘80 hanno rappresentato un momento particolare nel panorama musicale mondiale. Sono stati sicuramente anni in cui proporsi alla maniera cantautoriale, raccontando storie malinconiche con l’aiuto di una chitarra e poco altro richiedeva coraggio. Un coraggio che Suzanne Vega ebbe, e vide giustamente premiato.
Nata in California, ma cresciuta nei sobborghi portoricani di New York, sarebbe stato forse più facile per lei restare suggestionata e influenzata da un sound di rottura. Punk, Rock, Rap. Invece questo non accadde, e quella esile e diafana ragazzina riuscì ad imporre all’attenzione del mercato il suo modo di fare musica, essenziale, da folksinger un po’ in ritardo sui tempi.

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Sicuramente molto influì nelle sonorità la prima Joni Mitchell, mentre per quello che riguarda la poetica, prevalse una visione abbastanza descrittiva degli aspetti della vita di tutti i giorni. Il racconto di quello che ci circonda, dei momenti più ordinari e apparentemente insignificanti del quotidiano, trasformato in poesia, attraverso versi essenziali e minimalisti. Gli sguardi di Tom’s Diner, la storia nascosta e dolorosa di Luka, gli oggetti che riflettono le anime delle persone in Night Vision. La solitudine, una specie di spettro, un’ombra sulla porta, pronta a voltarsi se qualcuno arriva, in Solitude Standing.
Qualcosa di fuori moda, piatto, privo di fronzoli, essenziale, molto lontano dai luccichii, dal glam, dal divismo, dal pompaggio spesso voluto dalle case discografiche in quegli anni, eppure qualcosa che seppe farsi apprezzare al punto da arrivare a ottenere una visibilità internazionale di considerevole impatto: un’oasi di pace in mezzo a tanto rumore.

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

E’ un poco questa la Suzanne Vega che ritroviamo sul palco della Casa del Jazz, ospite della rassegna “I concerti nel Parco – Summer Time”: 63 anni meravigliosamente portati, in versione acustica, voce e chitarra, accompagnata da un ottimo Gerry Leonard (già collaboratore di David Bowie), intrattiene incantevolmente una platea accaldata ma attenta, con il timbro di voce magnetico che da sempre la caratterizza.
Poca coreografia, molta empatia, una lieve brezza emotiva che va a toccare i cuori, e in qualche maniera porta serenità.
A Ottobre del 2020, per dare il suo contributo al mondo della musica, messo così duramente alla prova dalla pandemia, la cantautrice Statunitense si è esibita in streaming dal Blue Note Jazz Club di New York. Un evento importante, simbolico, durante il quale è riuscita a riunire circa un centinaio tra musicisti, operatori, e organizzatori mondiali, ed ha presentato il suo album più recente, An Evening of New York Songs and Stories che ripropone i suoi grandi successi. E’ da questo album che è tratta la scaletta proposta al pubblico romano, con una piccola sorpresa sul bis: una Walk on the Wild Side, che commuove tutti.
Mentre Ultimo al Circo Massimo richiama circa 70.000 persone, in un piccolo spazio sonoro, si fa musica in delicatezza. E mai suggestione fu più evocativa di un incipit di carriera su cui avrebbero scommesso in pochi.

Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

 

Simple Minds live all’Auditorium Parco della musica di Roma: il report del concerto

Un tour attesissimo, quello dei Simple Minds in Italia. E attesissimo il concerto di Roma, penultimo del tour.
A distanza di quattro anni, uno dei gruppi che hanno segnato la storia musicale degli anni ’80 torna a esibirsi in Italia. Un tour purtroppo in ritardo sui tempi a causa delle ben note vicende sanitarie che hanno coinvolto il mondo intero, causandone il rallentamento in termini di attività, e anche parecchi cambiamenti epocali. Ma di questi cambiamenti epocali, ieri sera il pubblico romano per un paio d’ore ha perso memoria.
Fa caldo e nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, almeno tre generazioni attendono impazienti di scoprire cosa accadrà su quel palco. E, alle prime note di Act of Love risulta immediatamente chiaro: un salto di 40 anni indietro nel tempo.

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Il gruppo, formato in Scozia a Glasgow da Jim Kerr e dal chitarrista Charlie Burchill, ha una caratteristica non comune: non ha mai ceduto al trasformismo. Nel corso di una lunga carriera fatta di successi internazionali, ha sempre mantenuto tanto in termini di contenuti quanto di sonorità, una linea coerente che non delude e non stanca: un evergreen. Quando si affacciarono alle soglie del successo internazionale, i Simple Minds rappresentarono per un’intera generazione una sorta di punto di svolta sotto il profilo dell’interpretazione musicale: poter portare sulla scena contenuti importanti, alleggerendoli grazie a un sound decisamente pop, ma altrettanto sofisticato.

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Un sound caratterizzato dalla valenza compositiva di Burchill, e dall’estro interpretativo di Jim Kerr, che a distanza di tanto tempo è rimasto intatto. Generoso, empatico, Kerr entra immediatamente in contatto con il pubblico, scendendo dal palco e cantando tra la folla in delirio: un concedersi preannunciato dalla frase “Roma, è da tanto che manchiamo, non ci risparmieremo”.
Prende così vita uno spettacolo coinvolgente e intenso che ripercorre buona parte dei brani di successo della band: Colours Fly and Catherine Wheel, Waterfront , Book of Brilliant Things , Mandela Day, First You Jump, She’s a River, Let There Be Love, si susseguono a ritmo incalzante, incoraggiando cori e danze sottopalco, in origine non previste, ma assolutamente inevitabili.
Ne è passato di tempo da quel 15 marzo del 1983, quando, al teatro Lido di Roma, che li ha visti spesso protagonisti, proposero un nuovo sogno dorato a un pubblico che, in buona parte, era presente anche ieri sera: tuttavia sembra proprio di essere tornati a quel concerto a quella dimensione, a quegli anni, così diversi da quelli che stiamo vivendo oggi.
Il momento di maggiore intensità si ha sui nove minuti di Don’t You (Forget About Me), con un coro ininterrotto del pubblico di ben quattro minuti, durante il quale Kerr gigioneggia, gioca, dirige, fa scemare le voci, per riportarle ad un’esplosione finale che è una sferzata di energia incontenibile.

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Quasi due ore di entusiasmo euforico, nessuna retorica verbale, nessun accenno o presa di posizione politica relativa alle attuali vicende, solo musica, come è nel loro stile. Un sentito Mandela Day, considerato anche il fatto che il giorno successivo, 18 luglio, è il compleanno di Nelson Mandela, e un finale Sanctify yourself, sanctify, che sintetizza tutto: liberati, è l’amore ciò di cui hai bisogno.
E mai come in questo momento questo vecchio brano conosciuto in tutto il mondo ci indica la strada per ritrovare un equilibrio e una serenità che vacillano.
Se la musica ha un potere catartico, sicuramente il concerto dei Simple Minds di ieri sera lo ha dimostrato.

Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

 

 

 

 

 

 

 

Venditti & De Gregori live allo Stadio Olimpico di Roma: 50 anni di emozioni. Il report del concerto

Certi amori non finiscono, e sicuramente dopo cinquant’anni è rimasto intatto l’amore verso Venditti e De Gregori, da parte di un pubblico che, seppure a volte diviso nel dichiararsi più a favore della scrittura dell’uno o dell’altro, ieri sera si è trovato ad applaudirli, cantarli, ringraziarli, in totale sintonia.
L’attesa per l’evento, annunciato già da tempo e poi sospeso a causa del lockdown, è molta. I due artisti cominciarono a suonare insieme e condividere note e versi, cinquant’anni fa al Folk Studio, in una situazione all’epoca di grande fermento per il cantautorato in Italia.
Insieme, cinquant’anni fa, incisero un LP che, pur senza un grande riscontro di vendite, ha rappresentato un punto di svolta nel mondo della canzone d’autore: Theorius Campus.
Un lavoro dai contenuti importanti, ricercato, decisamente di altissima qualità, in cui i brani delle due giovani promesse del mondo musicale si alternavano, dando vita a una proposta innovativa e ambiziosa.
Dopo di allora le strade dei due artisti si divisero. Tuttavia, nel pubblico, è sempre rimasto vivo il ricordo del sodalizio iniziale, e forse per questo trovarli insieme sul palco dell’Olimpico ha acceso l’entusiasmo di ben 44.000 persone. Un concerto di dimensioni sicuramente importanti.
Venditti & D Gregori ph  Canitano

Venditti & D Gregori ph Canitano

Una trentina di canzoni, 32 per l’esattezza, scritte nell’arco di un cinquantennio, e restituite con sonorità ricche ed attuali, rese da una band che, composta dai musicisti che fanno solitamente da accompagnamento ai due artisti, ha suonato in perfetta sintonia.
L’esordio del concerto è musicalmente ambizioso: Richard Strauss – Also Sprach Zarathustra, il tema di Odissea nello Spazio, introduce il brano di Venditti che, in qualche modo, racconta gli inizi della loro storia, ossia “Bomba o non Bomba”. E a Roma ci sono arrivati, ci sono in questo preciso istante, di fronte a un pubblico in delirio.
Nel seguito del concerto, Venditti e De Gregori continueranno ad incrociarsi per cantare, scambiandosi spesso le voci, brani che sono nel cuore di tutti noi: “La leva calcistica della classe ’68”, “Modena” “Generale”, “Che fantastica storia è la Vita”, “La Donna Cannone”, “Unica”, “Sempre e per sempre” (che resa dalla voce di Venditti, va detto, acquista un fascino ancora più intenso), “Pablo”, introdotta dall’incipit di Shine on You Crazy Diamond, con De Gregori alla chitarra, “Ricordati di me”, cui sempre De Gregori regala un sentito assolo di armonica, e poi ancora “La Storia”. Unico accenno all’ esordio discografico di cinquant’anni or sono, “Dolce Signora che Bruci”, eseguita a due voci.
Un sentito omaggio a Lucio Dalla, che, va ricordato, ha a lungo collaborato con De Gregori, con l’esecuzione di “Canzone”.
Circa i riferimenti all’attuale situazione internazionale e all’interpretazione e al peso che ritenevano di dare a determinati brani, è proprio De Gregori, in conferenza stampa, a chiarire che ogni canzone assume un significato aderente alla realtà in cui si vive, e che il loro repertorio sarebbe stato eseguito al riguardo senza enfasi particolari, lasciando ai sentimenti di ognuno la personale interpretazione. Certo, “Generale” è un brano contro la guerra, ma lo è da quando fu scritto, ed è da sempre presente nel repertorio live del cantautore romano. Il fatto che in questo momento storico possa risultare ancora più significativo non lo contestualizza necessariamente; resta un brano contro la guerra, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, senza demagogia.
Venditti esegue al pianoforte “Buonanotte Fiorellino”, che diventa un valzer molto elaborato e dalle sfumature lievemente gitane.
Nello scambiarsi versi e note, è particolarmente sentita la partecipazione di Venditti ai brani dell’amico, e De Gregori, che notoriamente dà del suo repertorio un’interpretazione sempre diversa e personale durante i live, rispetta questa volta senza muovere una nota, le scritture di Antonello.
Pochi brani (“Sara”, “Ci vorrebbe un amico”, “Notte prima degli esami”, “Rimmel”, “Titanic”) i due artisti li riservano a un’esecuzione individuale, personale e classica, ciascuno con la propria peculiare e riconoscibile espressione.
Sul finale un brivido. Sì, perché è universalmente conosciuta la dedizione ai colori della maglia giallorossa di Venditti, come lo è pure quella di De Gregori. Pertanto intonare “Grazie Roma” in uno stadio, l’Olimpico, stracolmo sicuramente non solo di Romanisti, ma anche di cugini Laziali, di parecchi Juventini e via dicendo, potrebbe voler dire rischiarsela. Ma “questa notte è ancora nostra”, è di tutti, proprio come Roma è di tutti. La partecipazione è commovente, e, personalmente, ritengo che questo sia stato un vero e indicativo segnale di pace e distensione, oltre ogni demagogia.
Roberta Gioberti

Claudio Baglioni e la sua opera-concerto alle terme di Caracalla: il live report, le foto e la scaletta

Scrivere qualcosa su  Claudio Baglioni che non sia già stato scritto, è impresa davvero ardua, se non impossibile.
Con dodici date a Roma, nell’incantevole scenario delle Terme di Caracalla è tornato a sublimare le scene, il cantautore romano che lega tra loro almeno quattro generazioni, senza soluzione di continuità.
Dodici date, dodici note, dodici sold out, pubblico arrivato da tutt’Italia per godersi uno degli eventi più affascinanti nel panorama estivo della musica leggera nostrana.
110 tra musicisti, coristi, ballerini, per oltre tre ore incantano la platea, mentre la voce straordinaria, potente e versatile che tutti ben conosciamo fa quasi da sottofondo a uno scenario da musical, dove l’espressione corporea assume il ruolo di protagonista. Un concerto che si fa guardare, prezioso, elegante, una proposta musicale sicuramente originale e innovativa.
Non è una novità per Baglioni essere circondato da un corpo di ballo, ma questa volta le coreografie non sono un semplice contorno, diventano il filo narrante di un racconto che si dipana con raffinatezza e gusto, mentre la colonna sonora di parecchie vite si amplifica nell’aria.

Non penso esista una sola persona che, a prescindere dal fatto di esserne o meno fan, non abbia avuto almeno una volta a che fare, nella vita, con un brano di Baglioni: stati d’animo raccontati con un’abilità affabulatoria che riporta un poco alla mente, complice anche la location, la magia di certe antiche rappresentazioni teatrali, impreziosita da perfetti giochi di luce, delicate proiezioni, piccoli intarsi di danza pura. Uno spettacolo curato in ogni dettaglio, corale imponente ma senza darne la sensazione, che scivola leggero, con naturalezza, richiamando a emozioni che si fanno coro, battito di mani, di cuori, sorrisi, commenti, pathos.
I brani storici, come da tradizione, eseguiti in medley al pianoforte, e su un paio la chitarra virtuosa di Giovanni, per il quale “Avrai” non manca di certo, con un piccolo momento di commozione che il padre non si cura di nascondere.

Tre ore dense disturbate solo da piccole gocce di pioggia che non preoccupano né il pubblico né lo staff, tre ore che volano via lasciando l’amaro in bocca per qualche mancanza: del resto, un repertorio così vasto, che attraversa cinquant’anni di vite, non può essere rappresentato nell’arco di un solo concerto.
Baglioni si concede sempre al pubblico con generosità e con generosità il pubblico lo ricambia: si può amarlo, si può non amarlo, ma un suo spettacolo vale sempre la pena di essere vissuto.
Cinquantuno, Montesacro e tutto cominciava…e sembra dare l’impressione di voler durare ancora a lungo.

Roberta Gioberti

 

 

 

 

 

 

Scaletta:

Ouverture
Io Sono Qui
Dodici Note
Acqua Dalla Luna
Dagli Il Via
Un Nuovo Giorno O Un Giorno Nuovo
Gli Anni Più Belli
Un Po’ Di Più
Amori In Corso
Come Ti Dirò
Io Non Sono Lì
Quante Volte
Mal D’amore
E Adesso La Pubblicità
Io Me Ne Andrei
Con Tutto L’amore Che Posso
Quanto Ti Voglio
Fammi Andar Via
W L’inghilterra
Poster
Uomini Persi
Ninna Nanna Della Guerra
Buona Fortuna
Noi No
Medley (Questo Piccolo Grande Amore, Amore Bello, Sabato Pomeriggio, E Tu, E tu come stai?)
Uomo Di Varie Età
Strada Facendo
Avrai
Mille Giorni Di Te E Di Me
Via
La Vita È Adesso

Giovanni Truppi live all’Auditorium Parco della musica di Roma. Il report del concerto

La prima cosa che ci si chiede, mentre si ascolta Giovanni Truppi dal vivo, è come mai non fosse sul palco del Primo Maggio: perché sicuramente rappresenta al momento una delle vette più elevate, originali, intelligenti e genuine del cantautorato italiano, e su quel palco avrebbe avuto la sua da dire. Non siamo in grado di fornire risposte. Tuttavia il sold out di pubblico che lo ha calorosamente accolto, attentamente seguito, entusiasticamente applaudito in standing ovation e commentato, commosso, all’uscita del concerto tenuto ieri sera in Auditorium a Roma, Sala Sinopoli, probabilmente lo esigerebbe, e andrebbe tenuto in considerazione. Ma è un’altra storia.
Truppi live - Roma - Roberta Gioberti

Truppi live – Roma – Roberta Gioberti

Come un’altra storia possiamo definire il concerto di ieri: nel rispetto di tutti gli artisti che hanno ripreso ad esibirsi, dopo un periodo buio, Truppi ci ha messo una marcia in più, un ingrediente che è difficile contenere nella sintesi di un termine. Più precisamente, arrivare direttamente al petto, lì, dove le emozioni per loro natura si amplificano.
L’incipit, “Conversazione con Marco sui destini dell’umanità”, è un monologo, velocissimo, fitto, denso riflessivo, e già cattura l’attenzione della sala per la spontaneità, l’assoluta naturalezza con cui si diffonde, quasi un’improvvisazione a flusso di coscienza.
Segue un piccolo grande “Respiro”, un desiderio di cambiare, il volersi diverso, ma anche no, poi alla fine: “Vorrei poterti dimenticare, ma anche no come se t’avessi amato quanto adesso ti piango”. Riflessioni che coinvolgono, fanno pensare senza pesare, quasi ci partissero da dentro e non fossero suggerite da fuori.
Truppi live - Roma - Roberta Gioberti

Truppi live – Roma – Roberta Gioberti

Un ringraziamento alla città che lo ospita (e, oso dire, ne è lusingata) e alle persone che hanno creduto in lui, nella sua maniera particolare, personalissima di proporre versi in musica: alle volte Gaber, ma più sciolto. Altre Bennato, ma meno accelerato. Alla fine però è inequivocabilmente e solo Giovanni Truppi, unico nel suo genere e unico in un panorama musicale per altro spesso valido, ma che fa fatica a scollarsi dai canoni e riuscire a rielaborarli e offrirli come se si trattasse di un menù destrutturato. Ecco, in Truppi si trovano tante cose, tanti riferimenti, tanti versi, ma tutti destrutturati e ricomposti, e penso sia lì la chiave del fascino.
C’è rock nelle note ma anche melodia. E quello che arriva è magico. Una band di tutto rispetto fa da contorno, lasciandolo protagonista, ma avvolgendolo come in un abbraccio: la sintonia si sente forte, e a ogni scroscio di applausi è un brivido e un crescendo di calore.
Truppi live - Roma - Roberta Gioberti

Truppi live – Roma – Roberta Gioberti

Da “Il Mondo è come te lo metti in testa”, a “Adamo”, a “Hai messo incinta una scema”, un susseguirsi in enfasi di entusiasmi, e un’esplosione di liberazione da canoni, anche lessicali, che oramai si fanno sempre più stringenti, standardizzando anche la trasgressione in gesti rituali e volutamente scomposti, ma sempre calibrati al punto da non riuscire a sfondare come la musica, quella che “acchiappa”, dovrebbe fare. Ecco, Truppi ci riesce.
Ci riesce con un sorridente e commosso Francesco Motta e con l’affettuosa presenza di Niccolò Fabi, leggeri, in disparte, complementari e in sintonia perfetta nei due brani in cui lo accompagnano.
Si susseguono: “Amici nello spazio”, “La Domenica”, “Stai andando bene”, “Tuo Padre Mia Madre Lucia”, in quasi due ore di intenso e affascinante coinvolgimento, al punto che il pubblico esplode sul finale in una standing ovation che parte dal cuore e stenta a fermarsi.
Truppi live - Roma - Roberta Gioberti

Truppi live – Roma – Roberta Gioberti

All’uscita, è un unanime commento positivo, volti sorridenti, scambi di opinioni tra persone che non si conoscono, ma sentono il bisogno di condividerla ancora l’intensa emozione che Truppi è riuscito a generare.
La musica come dovrebbe evolversi, la musica come la vorremmo, la musica che meno male che c’è Sanremo, che tre anni fa eravamo in quindici ai suoi concerti, e lo sentivamo che non era quello il numero di persone che avrebbero meritato di più di una monotona nenia rap o trap, in cui sembra che l’evoluzione musicale si sia impantanata.
Una cosa ci auguriamo, e la chiediamo coralmente: Giovanni, non cambiare mai.
Roberta Gioberti
Truppi live - Roma - Roberta Gioberti

Truppi live – Roma – Roberta Gioberti

Truppi live - Roma - Roberta Gioberti

Truppi live – Roma – Roberta Gioberti

Truppi live - Roma - Roberta Gioberti

Truppi live – Roma – Roberta Gioberti

Truppi live - Roma - Roberta Gioberti

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Truppi live – Roma – Roberta Gioberti

Truppi live - Roma - Roberta Gioberti

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Concertone Primo Maggio Roma: al lavoro per la pace

Il Concertone di San Giovanni torna in piazza, dopo due anni di assenza, e lo fa con tutta l’energia, l’impegno, l’entusiasmo e la scenografia che si devono ai grandi ritorni.
Nell’ entrare in Piazza San Giovanni, e nella sua atmosfera festosa, sembra quasi che questi due anni di difficoltà e restrizioni non siano trascorsi: però lo sono e non possiamo dimenticarcene.
Non è il caso di addentrarsi nel merito delle performances degli artisti, delle scelte della Direzione Artistica, della qualità della musica. C’è sempre chi sarà contento e chi invece muoverà delle critiche. Anche perché questa manifestazione musicale oramai consolidata nel tempo tutto può essere definita, meno che un momento di riflessione e di celebrazione, soprattutto sulle problematiche del mondo del lavoro, mondo che sicuramente in questi due anni ha subito delle notevoli difficoltà in tutti i settori, e in molti fa fatica a entrare nuovamente a regime.
Insomma di spunti ce ne sarebbero per portare in piazza un discorso diverso dal solo fare musica, a prescindere dal genere di musica, e sicuramente nell’ambito di una manifestazione che si tiene in un giorno celebrativo sarebbe auspicabile e opportuno. Tuttavia è altrettanto opportuno cogliere un aspetto diverso del Concertone, aspetto che è andato sempre più delineandosi nel corso dell’ultimo decennio.
Il suggerimento ce lo dà la piazza: giovane, molto giovane, colorata, più composta rispetto alle precedenti edizioni, e tanto desiderosa di lasciarsi alle spalle problemi, difficoltà, restrizioni che hanno caratterizzato le nostre vite soprattutto nel corso degli ultimi due anni, e di fare il carico di spensieratezza.
La musica è per lo più quella della generazione più fresca: i ragazzi che mi sono di fianco sanno tutto di artisti di cui ignoro l’esistenza. Si entusiasmano, saltano, sono felici. A mia volta cerco di raccontare loro chi sia e cosa faccia Marco Paolini, e ascoltano. Lo scambio è divertente, ci offriamo a vicenda del cibo, io di qua loro di là dalla transenna. Insomma, voglia di divertirsi, ma anche la disponibilità ad aprire fessure attraverso le quali far passare qualcosa di più articolato. Un Primo Maggio troppo impegnativo probabilmente lo rifiuterebbero.
E se la musica non è sempre in linea con quella che la generazione dei Miti ha come punto di riferimento, poco importa: avranno tempo per assorbirla. Il tempo a noi un poco più anziani invece sfugge, e forse proprio sforzandoci (lo ammetto per me è uno sforzo), di entrare nel loro mondo, potremmo impiegarlo proficuamente per comprendere anche noi stessi oggi, eterni ventenni cosparsi di rughe.
La Signora Vanoni, commovente al punto che è giusto valutarne la presenza e non la performance, porta sul palco un brano da brividi, che in passato fece parte del suo repertorio, e viene acclamata all’unanimità.
Max Pezzali è attesissimo. E forse è il giusto anello di congiunzione generazionale, tra noi su con gli anni che cominciavamo, ai tempi degli 883, a concederci qualche digressione sul pop commerciale senza troppi sensi di colpa, e loro che invece hanno attinto principalmente dal pop, per evolversi nel rap e nella trap.
Tuttavia un momento che mette a tacere tutti e catalizza l’attenzione senza sé e senza ma è quello dedicato al ricordo di Gino Strada, per il quale pochi giorni fa al teatro Argentina, con il patrocinio della Regione Lazio e del Comune di Roma si è tenuto un acclamato e commovente evento commemorativo.
strada PH  Roberta Gioberti
Su Gino Strada e sul suo operato nessuno ha nulla da ridire. Lo conoscono i giovani, i meno giovani. Ne riconoscono il ruolo e l’importanza. E soprattutto si riconoscono sotto un motto: non esiste una guerra buona. E se anche soltanto questo valore restasse impresso a fuoco nelle anime e nelle coscienze degli uomini e delle donne che verranno, beh, potremmo scegliere qualsiasi accompagnamento musicale e andarne fieri.
Insomma, per i contenuti politici e sociali ci sono le piazze e la quotidianità.
Il Concertone oramai è diventato una sorta di regalo che viene fatto in un giorno che andrebbe celebrato ogni giorno. Perché il diritto al lavoro, che sia dignitoso, retribuito, contrattualizzato, non si rivendica il Primo Maggio: si rivendica 364 giorni l’anno. E la riflessione nasce naturale: “hanno rappresentato realmente un momento di valorizzazione del mondo del lavoro tanti anni di Primo Maggio vissuti all’insegna di una imprescindibile componente politica?”.
I fatti lo negano, per quanto possiamo ricordarli, giustamente, con nostalgia. Tanti ragazzi venuti dal centro sud, che forse non avranno i soldi per andare a sentire Mengoni o Coez, hanno approfittato dell’occasione.
Scevri da sofismi, prendiamoci il dono, facciamone tesoro, eliminiamo la retorica delle commemorazioni, e, passata la festa, cominciamo a parlare di diritti, e soprattutto di Pace: il tempo per la musica di “qualità”, quella che molti rimpiangono, arriverà anche per loro, i quindicenni di oggi: noi ne siamo stati fortunati contemporanei, insieme ai tempi migliori che l’hanno accompagnata, e questo dovrebbe bastarci.
Roberta Gioberti
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Storie sospese tra presente e passato, storie tramandate di voce in voce, di bicchiere in bicchiere, di nota in nota: il report del concerto degli Inti Illimani a Roma

Gli Inti Illimani hanno dismesso il look uniforme, l’aspetto serioso, la disposizione statica , hanno aggiunto fiati, sax agli strumenti tradizionali, elementi di colore, sonorità e ritmi. Ma vederli ritornare sul palco della Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, produzione Ventidieci, in quella che è stata la loro Patria di adozione, e in quella che è stata la Città che li ha ospitati durante l’esilio è sicuramente sempre un’emozione grande.
Inti Illimani @Auditorium Parco della Musica - Roma ph Roberta Gioberti

Inti Illimani @Auditorium Parco della Musica – Roma ph Roberta Gioberti

Insieme a Giulio Wilson, e in collaborazione con Amnesty International, il “Vale La Pena” Tour si è svolto in cinque tappe nei teatri italiani, e si concluderà oggi a Salsomaggiore Terme.
Il nome del tour degli Inti Illimani trae origine dal brano composto insieme a Wilson, durante le manifestazioni di protesta tenutasi in Cile nel 2019 contro il carovita e la corruzione, di cui tutti ricordiamo la portata e la risonanza a livello internazionale, e fa parte dell’album “Storie vere tra alberi e gatti”, ultimo lavoro del cantautore/enologo toscano.
La prima parte del concerto è dedicata alla presentazione di una selezione della produzione di Wilson, quella cantautoriale, ovviamente: brani lievi, lirici, critici, composti con uno stile che unisce ricercatezza e poesia. Storie di uomini, animali, storie commoventi, che accarezzano i sentimenti senza cadere nel banale o nel melenso.
Storie sospese tra presente e passato, storie tramandate di voce in voce, di bicchiere in bicchiere, di nota in nota, storie da léggere, come in un libro, passando dai gatti di Magritte, a Fido, a una rivisitazione di Bella Ciao davvero degna di menzione:
“Una mattina mi son svegliato mia “Bella Ciao” e questo mondo era impazzito, una mattina mi son trovato mia “Bella Ciao”, con i miei sogni appesi al muro, come una foto in bianco e nero.”
Inti Illimani @Auditorium Parco della Musica - Roma ph Roberta Gioberti

Inti Illimani @Auditorium Parco della Musica – Roma ph Roberta Gioberti

Pochi minuti di parole, parole per la pace, parole che invitano alla riflessione, parole necessarie per cambiare scena, ed ecco che compaiono sul palco, nella formazione che vede in Jorge Coulon Larrañaga quello che potremmo definire leader, ma preferiamo inquadrare nella sua dimensione reale e umana di coordinatore, coloro che sono stati un assoluto punto di riferimento per un paio di generazioni, qui in Italia, tanto da esserci sentiti privati di una parte anatomica, quando fecero ritorno in patria, pur essendo felici per loro.
Ma la musica non conosce confini, almeno quella, e qui sono rimaste le loro note, tra tradizione andina, canti di protesta, brani d’autore e il mercato Testaccio, che ancora ci suona nel cuore.
In una Sinopoli gremita, come non accadeva oramai da un paio di anni, per i motivi che tutti sappiamo, il canto intona America Novia Mia, e un fremito percorre la sala: una canzone d’amore dedicata a tutto il sud America, che acquista ancora maggiore significato alla luce dei recenti risultati elettorali in Cile, dove si comincia davvero a respirare quell’aria di libertà e giustizia sociale e quella speranza di indipendenza, che un giovane Jorge Coulon aveva visto dolorosamente e spietatamente interrompersi l’11 settembre del 1973.
Inti Illimani @Auditorium Parco della Musica - Roma ph Roberta Gioberti

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La scelta dei brani da eseguire non è facile, lo dice lo stesso Jorge, perché molti appartengono alla nostra memoria e vissuto collettivo, altri invece sono frutto di ricerche e composizioni più recenti che non hanno raggiunto tutti coloro che, ai tempi, non potevano ignorare la musica e il messaggio degli Inti Illimani. “El surco”, “A la casa de Nandù”, “Rondome”, si alternano a “Lo que mas quiero”, “El rin del Angelito”, “Senora Chichera”.
Due brani dedicati interamente a colui che nella storia ha significativamente dimostrato quanto la musica possa incidere nella vita delle persone, possa accompagnare le rivendicazioni, le lotte, ma anche l’amore, e il cammino verso la pace.
Inti Illimani @Auditorium Parco della Musica - Roma ph Roberta Gioberti

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E’ stato talmente un simbolo da essere massacrato e ucciso. El Arado, El Aparecido, e, con una sala in delirio, El Pueblo Unido, di Sergio Ortega, in ossequio a Victor Jara, artista che il martirio ha reso eterno.
Un piccolo dono, affiancati da Giulio Wilson, alla canzone d’autore italiana, con la delicata “Buonanotte Fiorellino”, di De Gregori, e poi Vale la Pena, la composizione che dà il titolo al Tour, come detto all’inizio.
Con Samba Landò il concerto sembrerebbe doversi chiudere, e invece esplode la Fiesta de San Benito e con lei tutta la Sinopoli danzante, Un Jorge visibilmente emozionato, un effluvio di applausi, e un fitto corridoio di persone commosse che abbandonano la sala, portando nel cuore un carico di fiducia e di speranza, in un momento in cui, davvero, ce n’è bisogno come dell’aria che respiriamo.
Molti giovani, all’uscita.
Inti Illimani @Auditorium Parco della Musica - Roma ph Roberta Gioberti

Inti Illimani @Auditorium Parco della Musica – Roma ph Roberta Gioberti

Mi fermo a prendere l’acqua alla fonte Acea, e ad alcuni di loro, nemmeno ventenni, chiedo se li conoscessero già, quei brani. “Signo’, a casa nostra non hanno mai smesso di essere ascoltati”.
Un tour breve, intimo e intenso per una musica che rimarrà perennemente messaggio di un popolo che ha sofferto, ha lottato, ha visto orrore e morte, distruzione e sangue, ma alla fine ha vinto. Unito.
Vorremmo fosse un auspicio: la pace la costruisci, la pace è possibile, se veramente la desideri, se davvero la desideriamo tutti, con ostinazione.
Roberta Gioberti
Inti Illimani @Auditorium Parco della Musica - Roma ph Roberta Gioberti

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Alex Britti live alla Casa del Jazz di Roma: poche parole e tanto buon blues

Alex Britti @ La Casa del Jazz

Alex Britti @ La Casa del Jazz

Di Alex Britti conosciamo tutti il pop. E tutti sappiamo quale sia la sua abilità di chitarrista, e la sua passione per la musica, prima che per la scrittura, nonostante la sua ultima fatica sia proprio un libro, “Strade”, in cui racconta del suo spirito intimamente on the road. Quello che forse può sfuggirci è la capacità di questo cantautore romano (e concedetemi una puntina di orgoglio), di interfacciarsi con dimensioni sonore molto distanti da quella in cui lo vediamo solitamente esibirsi.
Alex Britti @ La Casa del Jazz

Alex Britti @ La Casa del Jazz

Sul palco della Casa del Jazz a Roma, in occasione dell’appuntamento romano del “Progetto Speciale” Tour 2021, Britti è accompagnato da Flavio Boltro alla tromba, Davide Savarese alla batteria, Emanuele Brignola al basso e Mario Fanizzi al pianoforte e tastiere. Il concerto parte con “Gelido”, uno dei brani di Britti a mio avviso più belli, per scaldare in un batter d’occhio la platea coinvolta ed entusiasta, con un susseguirsi di giri di blues incantevoli.
E’ virtuosismo sicuramente, quello di Britti, ma per nulla stucchevole. E soprattutto, chi ha avuto modo di seguirlo più approfonditamente lo sa, ha un suo stile dal quale mai si distacca, ma che sa integrare armoniosamente con altri meccanismi interpretativi musicali. Sia la tromba di Boltro, sia la chitarra di Mesolella, sia il rock di Bennato. Insomma, sostiene tutto. Ieri sera ne ha data ampia dimostrazione, oscillando tra blues e jazz, con qualche intersezione rock, che male non fa.
Alex Britti @ La Casa del Jazz

Alex Britti @ La Casa del Jazz

Le canzoni le conosciamo, fanno parte della colonna musicale della vita di tutti noi. Meno noti invece i giri armonici che quei testi possono supportare.
Dal Blues al Funk, al Jazz , senza negarsi un poco di melodia, con “Una su un milione”, che coccola un pubblico cantante e commosso.
Britti parla poco ai concerti, quando lo fa, è sempre timido e impacciato, come lo era trent’anni fa. Ma musicalmente maturo e in grado di sostenere l’ineguagliabile tromba di Boltro, sul finale, in un lungo duello di note che si rincorrono senza mai scontrarsi.
Britti ha tre caratteristiche impareggiabili: la modestia, la simpatia e la bravura.
Senza accelerare i tempi, è ora giunto a una maturità musicale che lo mette sul podio del panorama sonoro italiano. E, se osasse di più, anche oltre.
Roberta Gioberti
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Alex Britti @ La Casa del Jazz
Alex Britti @ La Casa del Jazz
Alex Britti @ La Casa del Jazz

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Filippo Timi in scena con “Sciarada, Trilogia della vita”. “Parlo a una truppa di creature terrestri: siamo stati sconfitti ma ce la faremo”. Il report dello spettacolo

“Parlo a una truppa di creature terrestri: siamo stati sconfitti ma ce la faremo” E’ l’incipit della nuova creatura di Filippo Timi, che pare un poco riprendere la dimensione visionaria di Bellocchio e proiettarla in una articolazione teatrale e musicale, scenograficamente ammiccante al circo, a Fellini, quasi a voler rafforzare la caratteristica frammentaria , enigmatica e in parte anche onirica di questo articolato montaggio di scrittura e passaggi sonori. Potente come sempre nella recitazione, eccentrico nei costumi, originale, nella scelta di piazzare un attrezzato frigorifero in scena, che non stona e dà sostenibilità, Timi non cede al compiacimento del mattatore che è naturalmente portato ad essere, e, affiancato da un gruppo di giovani ed entusiasti musicisti, porta in scena uno dei lavori più intriganti degli ultimi 10 anni.

Filippo Timi - Petra Magoni E’, come lui stesso dice, un work in progress, e dal titolo si può intuire. Sciarada: Trilogia della vita, monologhi e musica non propriamente scritti, né improvvisati, frammenti da comporre, e emozioni da elaborare. Le componenti sono eterogenee: c’è il Timi autore dei monologhi, il Timi interprete dei monologhi, il Timi cantante, l’apporto di Giovanni Onorato, che ha scritto le liriche, e i musicisti Mario Russo, Claudio Larena , il sound engineer Lorenzo Minozzi , e l’inimitabile Petra Magoni col suo entusiasmo che si protrae anche a concerto ultimato, e che sul palco non solo porta la consueta originalità interpretativa, ma in qualche modo gestisce, muove e smuove, organizza e prende iniziativa. Quanto mai adatta alla sua personalità e sensibilità artistica questa Sciarada, così dinamica e fuori dagli schemi. Timi, pronto a dare fuoco al mondo (come se la calura romana non fosse sufficiente), perché è proprio quando non si ha niente che bisogna saper spendere tutto. Il divario, la dicotomia, il tutti dentro o tutti fuori, il manicheismo, in un paradossale quadretto di comparse che cercano di sopravvivere passo dopo passo, giorno dopo giorno, almeno fino alla fine dell’anno. A comporre in musica tutto questo la Pavane, che in chiave poeticamente rock accompagnale parole incendiarie di uno cui il cerino resta alla fine in mano.

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All’onirico e delirante, ma spassoso monologo sulla sessualità di Mussolini, fa seguito, provocatoria, la riflessione “Ma cosa succederebbe se mentre stai giocando la partita della tua vita sentissi di appartenere alla squadra rivale?” Il Goal, il gioco di squadra, una squadra cui potresti sentire di non appartenere più. E qui la provocazione è per chi la vuole cogliere, ma Timi stempera, sorride, scherza scende tra il pubblico senza muoversi dal palco. E se a Roma, al debutto, chiami Totti in causa, il pubblico rumoreggia, lui lo sa e sta al gioco dicendolo chiaramente “sciarada è un rischio”, qualcosa che si alimenta mentre vive e vive per alimentarsi. Nel terzo capitolo, si parla di desiderio, lo spunto è “Nella solitudine dei campi di cotone”, il costume a dir poco intrigante, per un’evocazione di dispute tra uomini insoddisfatti, animali insoddisfatti, il tutto concertato da una Jam Session ben sostenuta dall’eterogenea ma armonica cornice sonora. Petra Magoni, nel corpo dello spettacolo, con I wanna be loved by you, esce alla fine per esibirsi in una strazzacore interpretazione in duetto di un brano di Scialpi, Cigarette and coffee, che sembra davvero scritto ad hoc per raccontare i vuoti e le solitudini di questa pandemia, che sono andati ben oltre le difficoltà economiche generate, e che sicuramente (l’evidenza è agli occhi), porteranno i loro effetti nefasti nell’anima di ognuno ancora per parecchio tempo.

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Sciarada è uno spettacolo in crescita, un enigma da comporre, in qualche frammento anche improvvisato, ma frutto di un grande lavoro fatto durante la pandemia, che, per chi ne ha avuta la capacità, ha potuto rappresentare un giusto momento di riflessione, anche per dare una spallata a degli schemi che, forse, avevano raggiunto livelli di stucchevolezza che spesso lasciavano lo spettatore con un senso di mezzo pieno non proprio piacevole. Questo con Sciarada sicuramente non accade. Un Made in Trastevere, che ci auguriamo possa essere messo a disposizione di tutti quanto prima.

Roberta Gioberti

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