Brunori Sas presenta “A casa tutto bene”: canzoni che ti acchiappano alla gola senza tanti complimenti

copertina-album-A-Casa-Tutto-Bene-Brunori-Sas

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A casa tutto bene” (Picicca Dischi) è il nuovo album di Dario Brunori, in arte Brunori Sas. Dopo averlo lasciato sul palco del Teatro dal Verme in occasione dello spettacolo Brunori Srl, lo ritroviamo oggi con un disco che lascia da parte l’ironia per porci alcune fondamentali domande. Registrato nella casa padronale di una vecchia masseria del 1100 con il brillante contributo di Taketo Gohara, “A casa tutto bene” è un album musicalmente complesso e stratificato. Flussi e richiami della Calabria s’intersecano con i sintetizzatori e le tessiture sonore della metropoli meneghina. Il risultato di questi innesti è un sapiente equilibrio tra mondi vicini e lontani al contempo. Il disco si apre con “La verità”: “Te ne sei accorto sì che parti per scalare le montagne e poi ti fermi al primo ristorante e non ci pensi più” – canta Brunori – prendendosi la responsabilità di mettere nero su bianco che “il dolore serve proprio come serve la felicità” e che “La verità è che ti fa paura l’idea di scomparire, l’idea che tutto quello a cui ti aggrappi prima o poi dovrà finire”. Uno dei brani fondamentali del disco è “L’uomo nero” in cui viene messa in risalto la mentalità ottusa e  ipocrita che ci circonda. Dario si sporca le mani e si mette in mezzo: “In fondo tutto bene mi basta solo non fare figli e invece no”. Esorcizzante e spiazzante allo stesso tempo è “Canzone contro la paura”: “In mezzo a tutto questo dolore e a questo stupido rumore sarà una stupida canzone a ricordarti chi sei”. Abituato a percorrere la tratta interessata, in “Lamezia-Milano” Brunori canta la differenza tra la vita reale e la vita cellulare. Le domande senza risposta si susseguono a piè sospinto anche in “Colpo di pistola”: “forse quel che ho non è abbastanza, l’amore è un colpo di pistola, un pugno sulla schiena, uno schiaffo per cena”; l’autoanalisi di un assassino. Bauman ci ha lasciati da pochissimo ma alcuni dei suoi concetti vengono ripresi nel testo de “La vita liquida” tra sonorità western. L’intensità travolgente dell’apparato strumentale di “Diego e io”, l’unico pezzo con il pianoforte e gli archi, in cui Brunori ha coinvolto anche Antonio Dimartino, racchiude il picco sonoro  dell’album. Citazionista e di impatto immediato il testo di “Sabato bestiale”: “stasera sei cascato male con la tua barba da intellettuale, perché io sono un animale e non sarai certo tu a farmi la morale. Lo sai anche tu siamo figli delle stelle e della tv”. Brunori punta a metterci dritti con le spalle al muro in “Don Abbondio”: nel silenzio, nell’assenza, nei funerali della nostra coscienza, Don Abbondio sono io con lo sguardo che si poggia sempre altrove. Disilluso sì ma non fino in fondo, Brunori Sas aggiusta il tiro ne “Il costume da Torero”: “non sarò mai abbastanza cinico da smettere di credere che il mondo possa essere migliore di com’è ma non sarò neanche tanto stupido da credere che il mondo possa crescere se non parto da me”. La realtà è una merda ma non finisce qua”. In “Secondo me” Dario Brunori prova a rispondere ad altre canzoni che ci sono nel disco descrivendo una condizione di continua discussione interiore. Il disco si chiude con “La vita pensata”: “l’ho capito finalmente che del mondo non ci ho capito niente” e poi, ancora,”la vita è una catena che chiudi a chiave tu”.  L’esame di coscienza finisce così con poche certezze, tante domande e l’intelligenza di essere stato capace di farsele e farcele.

Video: La verità

Intervista

Qual è il punto di partenza del disco?

L’album è nato in un periodo particolare. Avevo appena concluso l’esperienza di Brunori Srl, lo spettacolo con cui avevo ironicamente giocato con la mia forma giuridica per parlare del tema della responsabilità. Una sorta di teatro-canzone in cui ho trattato temi che in genere non tocco nelle mie canzoni grazie alla presenza dei monologhi. Quello spettacolo ha rappresentato la spinta a scrivere altro, a dosare l’ironia, a ragionare sulla mia disillusione rispetto al mio concetto di umanità. Lo svolgimento della scaletta  del disco mette in risalto l’amarezza. Le canzoni seguono un percorso mentale, quando ho cominciato a scriverle sapevo bene cosa non volevo fare…

Affronti in modo diretto argomenti spigolosi

Il percorso è stato difficoltoso, spesso in forma di dialogo fra parti di me. Rispetto alle mie canzoni precedenti non c’è per forza un lieto fine, ho toccato molte volte un terreno scivoloso e pieno di insidie. Quello che mi ha dato coraggio è stata la voglia di affrontare le paure. Questo è un disco serio, ho parlato dell’amarezza che mi ha scosso mettendomi nel mezzo cercando di rappresentare quella stessa condizione che ci accomuna: siamo tutti d’accordo nel dire che bisogna fare qualcosa ma alla fine guardiamo sempre altrove.

“L’uomo nero” è la canzone più politica della tua carriera?

Questo per me è IL pezzo. In questo testo c’è un pensiero che ho fatto realmente pur trattando un argomento molto attuale. L’obiettivo era mettere in evidenza una naturale amarezza. La radice sta in “Povera patria” di Battiato, a questo bisogna aggiungere il sentimento di chi in genere tende a stare a casa a guardare le cose in modo mediato. In questa canzone cerco di dipingere l’attrito tra le mie idee e quello che sono realmente. Questo è il fulcro del brano e, più in generale del disco: una messa in discussione della propria comfort zone.

Da dove arriva “Lamezia – Milano”?

Questo è l’episodio più divertente del disco. Il brano nasce da uno spaesamento di uno come me afflitto da una pigrizia incredibile ma che non riesce ad appendere le pantofole al chiodo. Percorro molto spesso questa tratta, il brano mi forniva un legame con le altre canzoni. Il classico pezzo pop che renderò ballabile nei live, si tratta di un pezzo di respiro con l’attenzione ferma al mood del disco. Ecco, sono stato molto attento a non scivolar via e a non lasciare la pesantezza.

E cosa pensi di Milano?

Mi ci sono trovato molto bene negli ultimi tempi. Ho messo da parte molti pregiudizi. Il mio lavoro mi consente di vedere i lati più stimolanti di questa città. Sicuramente non ci vivrei sempre perché ho anche bisogno del mio paese dove ho la possibilità di dedicare molto tempo a me stesso

Raccontaci degli arrangiamenti del disco

La band con cui ho lavorato è la stessa fin da Volume 2. L’idea per questo album era rompere lo schema della sala prove. Ho lavorato singolarmente con ciascun musicista a casa mia in modo che ciascuno potesse dare il proprio contributo su un’idea di base preparata da me.  A questo va aggiunto il fondamentale contributo di Taketo Gohara che ha dato un’impronta al disco e che lo porta fuori dall’Italia. Io tendo ad essere molto italiano nelle cose che faccio,  Taketo invece è anche capace di vedere le canzoni in un modo che non suona italiano e che rimanda a dischi che in questi anni ho apprezzato di artisti non italiani; era giusto che facessi i conti con questo confronto con altre realtà, qui mi emancipo e trovo una mia cifra personale. Le canzoni vanno dritte mentre intorno ci sono suoni eterei, fatti di colori. Abbiamo preso ispirazione anche da cose molto lontane e le abbiamo portate dentro questo progetto.

Quanto c’è di te in veste di produttore in questo album?

Il principio è che se deleghi, devi delegare. Io delego ma sono sempre lì, mi piace mettermici dentro. Prima di essere cantautore, nasco produttore. Ero dall’altra parte della barricata e in più quando ho una cosa in testa devo portarla avanti fino in fondo. Anche i momenti di attrito hanno portato a questo risultato, penso debba esserci una dialettica necessaria tra le parti, non sono molto tecnico ma so quando una canzone mi emoziona e riesco a capire a livello sonoro cosa non mi sta nella direzione che voglio. In questo disco mi interessava fare emergere il fatto che sono un musicista e che lavoro con musicisti.

Dario Brunori

Dario Brunori

Anche la location della registrazione è particolare…

L’idea della masseria è stata funzionale alla creazione di un’atmosfera concentrata. Desideravo stare lì, vivere lì per 15 giorni in un posto isolato di campagna perché anche i momenti di noia potevano essere importanti per l’ispirazione, era importante che fossimo sempre lì per catturare il momento. Per questo motivo, per quanto riguarda l’aspetto produttivo di questo album non ho rimorsi e non ho rimpianti.

Nel brano “Diego e io” hai convolto Antonio Di Martino. Perché?

Questo brano si tira fuori dal disco segnando la fine del primo tempo e l’inizio del secondo.  Il testo nasce da una suggestione seguente alla visione di un documentario dedicato a Frida Kahlo e, dato che Antonio ha appena pubblicato un album e un libro insieme a Fabrizio Cammarata dedicato alle canzoni di Chavela Vargas, dopo aver trascorso un lungo periodo in Messico, ho pensato che potesse restituire in forma di canzone qualcosa di inerente al reale e non ad una visione mediata. A questo aggiungo che Antonio è uno dei migliori autori italiani per cui lavorarci mi ha reso felice.

Che rapporto hai con l’infanzia e in che modo questo tema emerge nel testo de “Il costume da torero”?

Il brano riassume in modo giocoso il senso del disco. In me la parte che tende alla disillusione convive con un’altra che emerge in maniera sempre molto viva. In effetti bisogna uccidere le proprie illusioni per poterne creare di nuove. Se non ci fossero illusioni e speranze non si scriverebbero canzoni. “La realtà è una merda ma non finisce qua”.

Cos’ hai in serbo per il tour?

L’impresa sarà riuscire a portare dal vivo un disco molto stratificato. Ci sono decine e decine di tracce. La cosa interessante sarà riproporre il mood del disco, voglio che questa energia rimanga, mi piacerebbe che il live non fosse troppo cerebrale però metterò molta attenzione alla connessione dei suoni con la scelta della strumentazione. Ai balletti ci sto ancora lavorando (ride ndr).

Come hai lavorato allo script del video de “La verità”?

Lì si è trattato di un gioco. Non volevo un playback, volevo che ci fosse una storia. Dopo aver superato il pregiudizio nei confronti delle serie tv, ho messo in evidenza i concetti di morte delle illusioni e di amarezza generata dalla sconfitta. Il lavoro fatto con Giacomo Triglia è veramente notevole. Mi pare quasi più bello il video che la canzone stessa, mal che vada posso fare lo sceneggiatore (ride ndr). Scherzi a parte, mi stimola l’idea di comunicare cose che a volte non riesco a comunicare per niente. Confrontarmi con diversi strumenti di comunicazione mi dà la possibilità di non precludermi niente.

Raffaella Sbrescia

A CASA TUTTO BENE TOUR 2017

24.02 - UDINE - Palacongressi
25.02 - BOLOGNA - Estragon
02.03 - MILANO - Alcatraz
03.03 - TREVISO - New Age
09.03 - TORINO - Teatro della Concordia
16.03 - CESENA - Teatro Verdi
17.03 - FIRENZE - Obihall
18.03 - NAPOLI - Casa della Musica
24.03 - GROTTAMMARE (AP) - Container
25.03 - PERUGIA - Afterlife
31.03 - BARI - Demodè
01.04 - ROMA - Atlantico
06.04 - PALERMO - Teatro santa Cecilia
08.04 - CATANIA - Ma
24.04 - GENOVA - Supernova Festival

Info e prevendite: www.brunorisas.it

Ascolta qui l’album:

Comunisti col Rolex: J-Ax e Fedez in un’istantanea del modus operandi Made in Italy

cover Comunisti col Rolex

cover Comunisti col Rolex

Esce oggi, distribuito da Sony Music Italy, “Comunisti col Rolex”, il nuovo atteso album di J-Ax e Fedez. L’album è stato registrato negli studi di Newtopia a Milano e prodotto dalla coppia Takagi & Ketra. Da MC a creatori di tormentoni, i pop-rapper del momento sono codificatori di una corrente giovane e in questo lavoro, frutto di quattro anni vissuti fianco a fianco, sperimentano mondi diversi lasciando spazio alla rispettiva parte creativa. Il titolo del disco viene fuori da una polemica: “Ci hanno chiamato spesso “Comunisti col Rolex”. Un modo per indebolire le nostre posizioni insistendo sul concetto di incoerenza da parte di due artisti che, pur essendosi arricchiti, continuano a trattare tematiche sociali. Si tratta della polemica tutta italiana, del “cuore a sinistra e portafogli a destra”. Ecco, per noi “Comunisti col Rolex” non significa incoerenza, ma merito. È la dimostrazione che in Italia ci si può ancora arricchire onestamente. Ed è una cosa di cui andiamo fieri”.  Questo hanno raccontato i due alla stampa ieri mattina presentando il disco proprio a casa dello stesso Fedez.  La forza di questo album sta, in effetti, in un’attitudine musicale decisamente variegata in cui vengono disciolti i canoni del pop tradizionale ad appannaggio dell’interscambio tra elettronica, rap, punk. Il risultato è attuale, fresco, contemporaneo e, perché no, divertente. La formula di J-Ax sarà furba o paracula ma, checchè se ne dica, “Comunisti col Rolex”  venderà, eccome.

Video: Piccole cose

Il fulcro dell’album sta in una sapiente alternanza di suggestioni: si va da momenti introspettivi alla standardizzazione dei trend passando per un curioso incrocio di nomi pop: Giusy Ferreri, Arisa, Loredana Bertè, Nek e Alessia Cara. L’album si apre con “Assenzio”, un pezzo incentrato su una formula particolare e che ha ospitato anche Levante e Stash dei The Colors. Nel brano in questione J Ax e Fedez rappano 24 barre tra eterna dannazione e maschere appiccicate addosso. La titletrack tira in ballo i due pesi e le due misure con cui la stampa ha gestito le vicende legate all’acquisto di un appartamento di lusso da parte di Fedez. “La verità è che la gente ti odia sempre, tanto vale farsi odiare facendo quello che ami veramente”. Tutt’altro registro per “Il giorno e la notte” feat. Giusy Ferreri: “Avere il tuo odio è meglio di avere l’amore di un’altra”. Proseguendo il tour nel museo dell’ostentazione, arriva il turno di “Senza pagare”, brano annunciato come prossima hit estiva e basato sul costume tutto italiano di offrire qualunque cosa a chi gode di una certa popolarità (con o senza meriti). Di stampo emotivo “Fratelli di paglia”: “Tutti ascoltano cosa canto ma non cosa sento”. Particolarmente incisivo il j’ accuse di “Tutto il mondo è periferia”. “Milano intorno” (scritta insieme a Calcutta) è uno spunto per confrontare la «New York che non dorme mai» alla Milano «che non sogna più». “Io credo alla gente ma non sono praticante”, canta J-Ax, salvo poi parlare bene dell’Italia in “L’Italia per me” feat. Sergio Sylvestre. Un odi et amo alla ricerca di un “antifurbo”. L’elogio della musica che non avrà certo cambiato il mondo ma che ha sancito la crescita dei “nostri eroi” è racchiuso in “Musica del cazzo”. Il nuovo singolo “Piccole cose” feat. Alessandra Amoroso viene presentato come uno dei brani più rappresentativi di questo nuovo progetto. Nella vita di tutti i giorni, in cui l’attenzione è rapita costantemente da innumerevoli distrazioni  proverai sempre nostalgia per cose piccole e semplici. “Dalla cameretta al camerino, tutti ti stanno accanto ma nessuno ti sta vicino”. Ottima la prova in italiano della talentuosa Alessia Cara in “Cuore Nerd”, brano dal testo pieno di esercizi di stile. Di stampo più melodico e tradizionale il featuring con Nek in “Anni luce”, intenso e nostalgico quello con Arisa in “Meglio tardi che noi”. “Non so pensare in piccolo, meglio precipitare che volare basso”, scrivono i due in “Allergia”, ancora una volta insieme a Calcutta. Un brano controverso che trova nel contributo di Loredana Bertè un indiscutibile plus.  Il disco si chiude con “Pieno di stronzi”, la chiosa perfetta per un album che tra battute facili e spesso aggressive trova modo, tempo e spazio per spiazzanti input di autoanalisi. A questo punto non rimane che attendere il tour, organizzato da Clemente Zard, il cui obiettivo sarà portare in scena la piramide sociale e il concetto di rivalsa raccontato nel disco.

Raffaella Sbrescia

LA TRACKLIST:

1. Assenzio feat. Stash e Levante

2. Comunisti col Rolex

3. Il giorno e la notte feat. Giusy Ferreri

4. Senza Pagare

5. Fratelli di paglia

6. Tutto il mondo è periferia

7. Milano intorno

8. Vorrei ma non posto

9. L’Italia per me feat. Sergio Sylvestre

10. Musica del cazzo

11. Piccole cose feat. Alessandra Amoroso

12. Cuore Nerd feat. Alessia Cara

13. Anni Luce feat. Nek

14. Meglio tardi che noi feat. Arisa

15. Allergia feat. Loredana Bertè

16. Pieno di Stronzi

 

GLI INSTORE

Il 20 gennaio saranno a Torino, il 21 a Orio al Serio, il 22 a Milano, il 23 a Cagliari, il 24 a Roma, il 25 a Nola (Napoli), il 26 a Palermo, il 27 a Belpasso (Catania), il 28a Lonato del Garda (Brescia), il 29 a Torri di Quartesolo (Vicenza), il 30 a Paderno Dugnano (Milano) e il 31 a Varese. Afebbraio, invece, terranno 5 instore: il 2 a Campi Bisenzio (Firenze), il 3 a Perugia, il 4 Savignano sul Rubicone (Forlì-Cesena), il 5 a La Spezia e il 6 a Genova.

IL TOUR

Il tour, organizzato da Saludo Italia e Newtopia, partirà da Torino l’11 marzo e si chiuderà a Pesaro il 22 aprile, passando per le maggiori città italiane.

11 Marzo – Torino PalaAlpitour

13 Marzo – Bologna Unipol Arena
15 Marzo – Firenze Nelson Mandela Forum
18 Marzo – Roma Palalottomatica SOLD OUT
19 Marzo – Roma Palalottomatica
28 Marzo – Napoli PalaPartenope
31 Marzo – Acireale Pal’Art Hotel
3 Aprile –  Reggio Calabria PalaCalafiore
5 Aprile –  Bari PalaFlorio
7 Aprile –  Padova Kioene Arena
8 Aprile –  Conegliano Zoppas Arena
10 Aprile –  Milano Mediolanum Forum SOLD OUT
11 Aprile –  Milano Mediolanum Forum SOLD OUT
13 Aprile – Milano Mediolanum Forum
16 Aprile – Trieste PalaTrieste
19 Aprile – Genova 105 Stadium
21 Aprile – Montichiari (BS) PalaGeorge
22 Aprile  - Pesaro Adriatic Arena

Ascolta qui l’album:

I Baustelle presentano “L’amore e la violenza”: intervista e recensione dell’album

L'amore e la violenza -Cover album

L’amore e la violenza -Cover album

Disinibiti, liberi e maturi i Baustelle ritornano in scena con il settimo album in studio intitolato “L’amore e la violenza”. Prodotto artisticamente da Francesco Bianconi e mixato da Pino “Pinaxa” Pischetola, il disco è composto da dodici brani – dieci canzoni e due brani strumentali che mettono in evidenza un glorioso azzardo melodico e armonico con una particolare attenzione al suono. I Baustelle usano una dolcezza amara dal timbro antico per cantare una vita in guerra lontano dalle vere trincee, un amarcord senza satira né melodramma. Dopo l’intro strumentale di “Love”, si entra nel vivo del discorso con “Il Vangelo di Giovanni”: io non ho più voglia di ascoltare questa musica leggera, resta poco tempo per capire il senso dell’amore, l’idiozia di questi anni, la mia vera identità”. Meglio sparire nel mistero del colore delle cose quando il sole se ne va. Segue il primo fortunatissimo singolo estratto dal disco “Amanda Lear”: niente dura per sempre neanche la musica. Lo zibaldone del disco è “Eurofestival”, un brano giocosamente esistenzialista che non lascia nulla al caso. Inneggia alle grandi hit Made in Italy e a Viola Valentino “La musica sinfonica”: vivere è rimanere giovani nel cielo con le rondini in terra in mezzo agli uomini. “Io non sono mai stato così schiavo del mondo e attaccato alla vita” cantano i Baustelle in “Lepidoptera” ma è nel brano “La vita” che emerge la fragilità, l’inutilità e la bellezza della vita. Pensare che la vita sia una sciocchezza aiuta a vivere. Molto intenso il brano che chiude il disco, intitolato “Ragazzina”, in cui i Baustelle affrontano il tema dell’adolescenza descrivendo la protagonista come una Biancaneve tra milioni di maiali e la incitano a combattere in questa grotta al freddo e al gelo tra Gesù Bambino e l’uomo nero: “Certe volte l’esistenza si rivela come violenza intorno a me”, scrive Bianconi, e così come si aperto all’insegna dell’amore, così il cerchio si chiude con il tema contrapposto per una struttura organica e completa.

Intervista a Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi

 Cosa è racchiuso nel titolo del disco?

Tutto nasce da questo titolo. In genere scriviamo prima la musica e poi passiamo ai dischi. Da un paio di album a questa parte mi trovo invece di fronte a 18 caselle da riempire. Visto che mi capita di bloccarmi, lo stratagemma è quello di darmi dei temi cercando di svolgerli. Il tema di questo disco è osservare il mondo e rendersi conto di essere in guerra, una guerra di tipo diverso da quella a cui siamo abituati, una guerra che entra nel privato, nel nostro intimo.

Quale potrebbe essere il valore aggiunto dato da questo modo di scrivere?

Non so se si tratti di un valore aggiunto, sicuramente è un modo non giornalistico di raccontare il mondo. Descriviamo la contemporaneità attraverso un’ottica per forza di cose distorta, in un certo senso privata. C’è un filtro molto soggettivo davvero inevitabile, stavolta ci siamo dati come obiettivo quello di raccontare una cosa completamente pubblica e politica quale è lo stato di cose che l’Occidente sta attraversando in modo soggettivo. Puoi essere descrittivo quanto vuoi ma di fatto siamo noi ed il nostro privato calati in un contesto di guerra. Ecco queste sono canzoni d’amore sotto i bombardamenti.

Quanto c’è di apocalittico in un brano così ricco come “Eurofestival”?

Questo brano si appoggia sul contrasto tra melodia e testo. Non lo troviamo apocalittico, anzi, è molto ironico, quasi sarcastico. Gioca molto sui contrasti, si tratta di una grande fiera delle atrocità, un circo in cui si mischia tutto tra il caos che disorienta e l’idiozia di questi anni.

Molti sono gli spunti offerti da “Il Vangelo di Giovanni”

Dallo stato di cose che viviamo nasce spesso un mio stato d’animo che corrisponde al volermi staccare dal mondo in cui mi trovo, mi ritrovo a non sopportare quello che vedo ma non si tratta di una rinuncia, c’è anche un aspetto positivo nel sentirsi non allineati all’andazzo generale del mondo, la mia vorrebbe essere una nobile sparizione.

In contrasto a questa affermazione viene da pensare ad una frase contenuta in “Lepidoptera”: “Io non sono mai stato così schiavo del mondo e attaccato alla vita”

Questo lo si dice quando si ha paura di morire. Questa è una cosa che mi ha mandato in crisi, forse coincide con il diventare padre. Quando hai un figlio diventi l’animale che difende il cucciolo, non sono un padre giovane ma ho un senso di estremo attaccamento alla vita. A me non è mai fregato un granchè della morte ma mai così come in questo momento ho paura di morire.

Cosa avete racchiuso nei suoni di questo disco? C’è chi li definisce vintage, chi inneggia agli anni ’70…cosa dite voi?

Quando si parla dei Baustelle spesso ricorrono termini come vintage e citazionismo. Noi semplicemente facciamo uso di strumenti di un certo tipo, ci sono tecnologie che sono ancora all’avanguardia. Le nostre canzoni si compongono di melodia, di parole e di suono. Grande importanza riveste il timbro con cui vengono eseguite, certe canzoni diventano un’altra cosa se suonate con altri strumenti. Per noi un moog o un sintetizzatore analogico non è equiparabile al digitale. Nei nostri dischi teniamo alla stratificazione dei suoni, anche nella musica pop i timbri e gli arrangiamenti hanno un’importanza fondamentale. Detto ciò, abbiamo usato tonnellate di sintetizzatori analogici ed il mellotron un primordiale campionatore divenuto popolare tra la fine degli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta, organi elettrici, chitarre acustiche e tante tastiere

A giudicare dai testi delle vostre canzoni, avete una considerazione molto alta del vostro pubblico. Questo dato di fatto è motivo di speranza per il futuro?

Ovviamente sappiamo che il pubblico è intelligente. Il mito dell’accessibilità è in realtà il frutto di una nostra paura, di una nostra proiezione. Se abituato a farlo, il pubblico può ascoltare ed apprezzare anche cose pesantissime. A volte il vero caprone è proprio “l’artista” che va sul sicuro per la paura di non vendere abbastanza dischi.

Rachele, quanto ha influito l’esperienza da solista in questo album?

Onestamente non riesco a quantificare la cosa. Per me è stata un’esperienza nuova, mi ha dato più sicurezza, ho lavorato con persone nuove, ho superato qualche vecchia barriera per cui mi ha fatto sicuramente bene.

Il nuovo tour vi vedrà nuovamente protagonisti dei principali teatri italiani. Come mai questa scelta?

Con “Fantasma” ci siamo trovati molto bene nella dimensione teatrale. In questo caso sarà diverso perché il nuovo album sarà costretto ad un ascolto più intimo. Vediamo cosa succederà, sarà una bella sfida!

Uno dei brani più suggestivi e più veritieri del disco è “La vita”

Questo brano dice le cose come stanno, non usiamo grandi giri di parole. Nel testo c’è scritto quello che penso della vita, forse cercarne il senso è sbagliato, forse va presa alla giornata. Quello che dico è: la vita non è inutile ma è tutta estetica, pensala come una cosa bellissima ma che non serve a niente. Quando cominci a pensare che serva a qualcosa, sei fregato”.

Cos’è “L’era dell’Acquario”?

Il brano nasce da due cose: la prima è una corrispondenza con una mia amica che dice: “Stai tranquillo, vedrai adesso che siamo appena entrati nell’era dell’Acquario, tutto migliorerà” e poi da un articolo uscito il giorno successivo all’attentato che c’è stato al Bataclan in cui c’era scritta una cosa verissima e devastante: “Ci si abitua a tutto, anche al terrorismo”. Ecco, l’unico modo per disintegrare il terrorismo è quello di considerarlo come un’abitudine. Il terrorismo è una forma di terrore basata sulla paura e sull’agire di sorpresa senza motivo apparente, la cosa più difficile a cui abituarsi. Questa è quindi una canzone autoconsolatoria, per l’appunto un’altra storia d’amore sotto i bombardamenti.

Baustelle

Baustelle

Cosa ci dite del singolo “Amanda Lear”?

Questa è una canzone cervellotica, lei scrive una lettera a lui che la prende in parola. Un doppio flashback e la similitudine con la struttura di un Lp. Ho scelto di omaggiare Amanda Lear sia per questioni di metrica sia perché lei è il simbolo di un certo tipo di femminilità.

In che modo il contributo di Pischetola ha influito nella resa del disco?

Abbiamo scelto lui per creare un contrasto tra la scelta degli strumenti ed il missaggio. Lui è il suono della musica leggera italiana ed è stato bravo ad affrontare questa sfida in modo stimolante. A lui va il grande merito di aver capito la nostra visione.

E poi c’è “La musica sinfonica”. Un brano che sposa il passato al presente con un omaggio a Viola Valentino

Sì, questo è un rondò veneziano. Siamo lieti di confessare che questo disco maneggia e manipola i nostri amori proibiti. A me, per esempio, i Ricchi e Poveri sono sempre piaciuti molto, erano i miei Abba italiani. In questo album tiriamo fuori le nostre passioni dell’infanzia, cose opposte che si mettono insieme. Gli anni ’80 erano anni in cui la musica leggera era bella e varia in ogni campo, c’erano arrangiamenti interessantissimi e siamo stati felici di poterli omaggiare

E oggi cosa ascoltiamo?

C’è un sistema che porta alla creazione di cose prive di personalità e finalizzate ad un successo più immediato. Se mi mettessi nei panni di un emergente, probabilmente ne capirei le motivazioni ma è triste che questa sia la deriva di questo tempo. In ogni caso c’è ancora molta musica interessante in giro, all’estero in particolar modo, questo è un fatto che ci fa ancora ben sperare.

Raffaella Sbrescia

 Video: Amanda Lear

Di seguito la track list dell’album:

1-Love

2-Il vangelo di Giovanni

3- Amanda Lear

4- Betty

5- Eurofestival

6- Basso e batteria

7- La musica sinfonica

8- Lepidoptera

9- La vita

10- Continental stomp

11- L’era dell’acquario

12- Ragazzina

Da oggi i Baustelle incontreranno i fan negli store delle principali città italiane: Venerdì 13 gennaio  a Milano – Feltrinelli Piazza Piemonte 2 (h.18.30), Sabato 14 gennaio   a       Firenze – Feltrinelli RED Piazza della Repubblica 26 (h.18.00) ; Domenica 15 gennaio a Torino – Feltrinelli Stazione Porta Nuova(h.18.00); Lunedì 16 gennaio a Napoli – Feltrinelli Piazza Martiri (h.18.00) e Martedì 17 gennaio a Roma – Feltrinelli Via Appia Nuova 427 (h.18.00).

Ascolta qui l’allbum:

All’uscita del nuovo album, seguirà un tour che porterà la band ad esibirsi in alcuni dei teatri più prestigiosi d’Italia.

Si parte con la data zero il 26 febbraio a FOLIGNO (Auditorium S. Domenico) per proseguire poi il 4 marzo a VARESE (Teatro Apollonio), il 5 marzo a TRENTO (Auditorium S. Chiara), il 6 marzo a FIRENZE (Teatro dell’Opera), il 13 marzo a ROMA (Auditorium Parco della Musica / Sala S. Cecilia), il 14 marzo a BOLOGNA (EuropAuditorium), il 15 marzo a PESARO (Teatro Rossini), il 20 marzo a MILANO (Teatro degli Arcimboldi), il 28 marzo a VENEZIA (Teatro Goldoni), il 29 marzo a TOLMEZZO (Udine, Teatro Candoni), il 7 aprile a TORINO (Teatro Colosseo), il 12 aprile a GENOVA (Teatro Piazza Delle Feste / Anteprima Supernova), il 13 aprile a MASSA (Teatro Guglielmi), il 18 aprile a BARI (Teatro Petruzzelli), il 19 aprile a PESCARA (Teatro Massimo), il 21 aprile NAPOLI (Teatro Augusteo). Il tour è a cura di Ponderosa Music & Art.

Apriti cielo: la recensione del nuovo album di Alessandro Mannarino.

Apriti cielo - cover album

Apriti cielo – cover album

Un’attesa lunga ma prontamente ripagata quella a cui Alessandro Mannarino ha sottoposto il suo pubblico. Con “Apriti cielo”, il suo nuovo album di inediti, il cantautore romano posa un altro importante tassello sul suo cammino lastricato di successi. Nel farlo, l’artista si serve come di consueto della sua potente scrittura evocativa e di quei suoni sempre più stratificati e corposi. Tra incroci, richiami, metafore e profezie, Mannarino ci apre le porte di un varco spazio- temporale in cui perdersi beati. Il disco, composto da 9 brani, si apre con “Roma”: un brano verace, spontaneo, cantato in romanesco e scandito da un intrigante piglio western. “Un brindisi con la cicuta ad una città che resta muta” e che avrebbe così tanto da dire da non poterlo dire a parole. Un amore al rovescio che sfocia in “Apriti cielo”, la preghiera laica che dà il titolo al disco in cui la scrittura di Mannarino si fa portatrice di amore, speranza, intelligenza. “Lasciateme passà che non ho tempo. Ho già dormito tanto, adesso ho un grande appuntamento. Il vento che passa, il cielo che vola. È una vita sola”, canta Alessandro. “Apriti cielo. Per chi non ha bandiera, Per chi non ha preghiera, Per chi cammina dondolando nella sera”; un monito, un grido, una richiesta di aiuto per la sopravvivenza collettiva.

Alessandro Mannarino ph Ilaria Magliocchetti Lombi

Alessandro Mannarino ph Ilaria Magliocchetti Lombi

Il discorso continua con “Arca di Noè”: ripartendo dall’epopea dei due protagonisti di “Al Monte”, ci si rimette in viaggio e si finisce in Brasile. “Un po’ d’amore è il carburante del motore dell’astronave”. E allora via, con pochi mezzi e ancora meno certezze, bisogna andare, comunque andare a camminare sulla terrazza con vista mondo dove ogni alba è anche un tramonto. Ritmiche latine trascinanti, basculanti, inebrianti affollano la nostra andatura sbandata su questa Arca di Noè che va perduta alla deriva. “Questa mia vita è tutto quel che ho, più breve lei sarà più forte io canterò”; impossibile resistere. Di grande impatto emotivo è “Vivo” il brano registrato tra Italia, New York e Rio de Janeiro trascrive nero su bianco un aggrapparsi alla vita: “porto scavata sulla fronte una poesia bellissima, riga su riga l’ho scritta me ne andrò senza averla capita”. Un melting pot autentico e completo che profuma di integrazione riuscita.

Video: Arca di Noè: http://vevo.ly/WMPZcN

Di stampo sarcastico è la complessa digressione di “Gandhi”, un brano di 7 minuti che attraverso un incedere country parla in modo controverso delle più infime dinamiche socio-politiche contemporanee. “Nei polmoni ciminiere, nella testa le preghiere”. Spazio ai mitici personaggi ideati dalla fantasia di Mannarino con “Babalù”, un personaggio immaginifico, l’ipotetico ex ragazzo di Marilù nonché capro espiatorio di una società ipocrita e superficiale. Molto suggestiva la trama di “Rane”, la ballad che Mannarino ha inciso insieme a Ylenia Sciacca, voce e anima di Scordìa, il paese in provincia di Catania legato a doppio filo con tutto il repertorio del cantautore romano. “Navigare è cosa dura, hai detto me ne vado per la mia avventura, ma dove sei arrivato? C’è solo spazzatura, ti scaldi con il fiato e c’è da aver paura”. Il nocciolo dell’album è racchiuso ne “La frontiera”, una camminata western di richiamo morriconiano e di stampo profetico: “Venne il tempo che questo paese fu di un solo colore, il sangue cadendo sembrò dello stesso colore”; un folk melò di bellezza botticelliana. L’album si conclude con un finale aperto, quello di “Un’estate”: uno spiraglio aperto per un ipotetico proseguo in cui il profumo di una vita vera fatta di sudore ci incita a cantare senza paura persi dentro al mondo. “Alessà n’do vai, vie qua, via qua: Guarda!” Guarda come le tue parole si trasformano in strumenti di rivalsa, guarda come le tue canzoni espongono le nostre nudità emotive tramutandole in risorse. Guarda e sentiti compiaciuto di questo nuovo importante traguardo che hai raggiunto.

Raffaella Sbrescia

 Ascolta qui l’album:

 

Le date di APRITI CIELO Tour: Pala Lottomatica di Roma (25 e 26 marzo), Estragon di Bologna (28 marzo), Nelson Mandela Forum di Firenze (31 marzo), Gran Teatro Geox di Padova (1 aprile), Fabrique di Milano (3 aprile), Teatro della Concordia di Torino (6 aprile), PalaSport Giovanni Paolo II di Pescara (8 aprile), Casa della Musica di Napoli (10 aprile).

Tiziano Ferro presenta “Il Mestiere della Vita”. Intervista e recensione

Tiziano Ferro - Il Mestiere della Vita

Tiziano Ferro – Il Mestiere della Vita

“Una vita in bilico, un libro epico…. Fine primo capitolo”. Tiziano Ferro va punto e a capo con “Il Mestiere delle Vita” (Universal Music) certificato da FIMI terzo disco di platino, dopo solo quattro settimane dalla pubblicazione. Con questo nuovo album registrato tra Los Angeles e Milano con la produzione di Michele Canova, Ferro si prende il lusso di osare e di contraddirsi. Smarcatosi dalla gelosia per il foglio bianco, Tiziano si è aperto al mondo, si è lasciato ispirare da Los Angeles aprendo le porte a freschezza, vivacità e forza. “Con la serenità per accettare le cose che non riesco a cambiare e il coraggio per cambiare quelle che posso in precario ma sufficiente equilibrio. Lascio che sia, il mestiere della vita”, con queste parole Tiziano Ferro consegna questo album al pubblico che, nel corso degli anni, ha imparato ad amarne la profonda e controversa sensibilità. Oggi ritroviamo un cantautore pronto a rimettersi in gioco, ad emozionarsi e a divertirsi per primo. Dal punto di vista sonoro, l’album è caratterizzato da un ampio uso dell’elettronica e della programmazione ritmica con suoni ottenuti da beats vintage e moderni coadiuvati da sintetizzatori modulari, tanto vocoder e parentesi trap, hip hop. A trainare il disco è stato il singolo “Potremmo ritornare”, una ballata semplice e diretta, per un approccio tradizionale che non rispecchia il mood dell’album. Ci sono momenti più vicini al pop sincopato, altri in cui si gioca più sul downtempo.  Tra i brani più belli del disco segnaliamo “Il conforto”, in duetto con Carmen Consoli, “Solo è solo una parola,” in cui si Tiziano affronta magistralmente il tema della solitudine, e la title-track scritta Alex Vella, in arte Raige: “Goditi il trionfo, crea il tuo miracolo, cerca il vero amore dietro ad ogni ostacolo”; una ballata veramente potente. Non solo tormento dunque, ma anche leggerezza senza rinunciare alla profondità di cui Tiziano Ferro ha ormai fatto il suo inconfondibile marchio di fabbrica.

Intervista

Come nasce il “Mestiere della vita”?

Questo è un disco importante scritto senza starci troppo a pensare su. In quel periodo Canova aveva trasferito tutto lo studio a Los Angeles, città in cui ho anche preso una casa. Ho scritto i brani da solo, senza registrare o produrre demo insieme a lui. Ero in camera mia, cazzeggiavo, ogni tanto facevo delle cose senza la pressione di pensare che sarebbero finite in un disco.

Che tipo di responsabilità senti di avere nei riguardi di chi ti segue?

L’unica è questa: non avere paura di esporre la mia ricerca personale. All’inizio mi spaventano e mi chiudevo dietro le mie canzoni ma poi mi sono reso conto che la scrittura poteva essere utile anche per me. Ho amato questo tipo di processo, invece di mettermi in un angolo, ho assunto un atteggiamento di attacco e apertura. Non amo molto i social, tendo a non esserci troppo, scrivere è l’unico modo che conosco per vivere. Ogni tanto ho fatto salti nel buio che hanno funzionato più delle scelte a tavolino, queste canzoni nascono proprio così: con un atteggiamento più divertito e disinvolto.

Perché il disco si apre con “Epic”?

Questo capitolo suona quasi come una negazione del precedente. Ci tenevo a tracciare questa linea, è molto importante per chi ascolta capire chi c’è dietro le canzoni. L’inglese usato in questo brano è un caso, avevo in mente di farlo cantare ad un artista ma non è successo. Non sapevo neanche che l’avrei usato, il ruolo del brano è cambiato nel tempo.

Tiziano Ferro

Tiziano Ferro

Raccontaci de “Il Confronto”, in cui canti con Carmen Consoli

Carmen è la mia cantante preferita da sempre. Per una serie di suggestioni soltanto mie, la ritengo la vera erede di Mina. Possiede quel suo gusto per il canto istintivo e per la scrittura, non ho mai pensato che lei volesse scrivere una canzone con me ma ho finito con lo scoprire una persona molto simile a me. Due anni fa al Forum la presentai come la mia controparte maschile. In questa canzone cantiamo come se cantassimo insieme da 20 anni, le nostre sono voci diverse ma simili, non ci sono armonie. Il risultato è un duetto lontano dai manierismi degli ultimi anni, si evita la rincorsa all’acuto e all’urlo, non si tratta di un duetto di facciata, ci tenevo a lasciar trasparire tutto il contenuto che c’è al suo interno.

La cover del disco è piena di riferimenti…

Questa copertina mi piace tantissimo, finalmente uso il linguaggio grafico e non solo fotografico. In questo scatto è racchiuso il percorso che mi ha portato a fare questo disco: il sogno, la realtà, lo spostamento geografico, la fantasia. Los Angeles è diventata inaspettatamente lo scenario di questo disco, ci ho messo 10 anni per capirla e per trovarmici discretamente. Devi vivere quella zona per capirla, se ci vuoi fare delle cose, lì le puoi fare, i musicisti vogliono suonare con te, gli autori ti danno ascolto ma soprattutto realizzano le cose. Da noi si parla, lì si fa. Questa cosa all’inizio mi ha spiazzato, sono sempre stato molto geloso della pagina bianca, invece qui ci sono sessioni di scrittura con altre persone, un fatto che non era mai successo e con autori giovani per di più. La cosa che più è piaciuta è che il mio percorso è stato quasi quello di tutor. Mi hanno inviato dei demo, li ho ascoltati, li ho aiutati a semplificare il linguaggio, a pulire un po’ l’atteggiamento in studio. Alla fine sono stati loro ad aiutare me, a rinfrescarmi, a rinvigorire la mia voglia di fare le cose. Ecco cosa metto in evidenza nella cover del disco. Esporsi agli altri e non sottrarsi: questo è il Mestiere della Vita.

Che idee stai maturando per il tour?

Succederà qualcosa di diverso, nella mia testa da fan che va ad un concerto del proprio artista preferito, immagino un live al servizio della musica e dello spettatore. Non ho mai fatto tour egoriferiti quello che deve emergere è il ricordo, la riflessione, la possibilità di rivivere delle esperienze attraverso le canzoni più importanti. In questo caso ci sarà anche il disco nuovo e, come ogni volta, sfoglieremo un album fotografico partendo dal passato. Non comprendo gli artisti che riducono i pezzi di maggiore successo ad un medley, lo considero un atto di autolesionismo, non c’è niente di più bello che vedere le persone che ti restituisco lo stesso messaggio in sincrono, un fatto che non si può descrivere a parole!

Cosa racconti nel brano di chiusura “Quasi quasi”?

Per credere alle cose che succedono devo confrontarmi, è difficile esistere come persona solitaria, lo specchio sono le persone che ho intorno. Per questo motivo ho abbassato i ritmi della mia vita, avevo perso i contatti con i miei amici e parenti, c’erano momenti in cui ero in un posto bellissimo ma non c era nessuno di quelli che io volevo accanto a me, non aveva senso fare un milione di cose senza poterle condividere.

Tiziano Ferro

Tiziano Ferro

A chi ti sei rivolto in “Casa è vuota”?

Questo è uno dei primi pezzi che ho scritto quando ho capito che Los Angeles era un angolo di mondo che poteva darmi qualcosa in più- Ho scritto il testo di getto ma ci tengo a dire che la rabbia fa parte di una fase di passaggio e di cambiamento. Non credo nell’ odio, credo nella zona grigia tra la serenità e il fastidio, non riesco a provare rancore, posso chiudere rapporti e relazioni amorose amichevoli e familiari ma posso farlo con serenità, passo la fase grigia ma poi vado avanti.

Come vivi questa Italia?

Sono andato in America nel momento peggiore per gli americani, per la prima volta immersi in un mare d’umiltà. Sono anni che vivo all’estero ma non sono mai andato veramente via da qua, prima vado poi torno, questa è la mia peculiarità ma forse anche la mia condanna.

Qual è il vero fulcro di “Potremmo ritornare”?

Ricordo esattamente dov’ero quando ho scritto questo brano. Al contrario degli altri è il frutto di un lungo lavoro. In questo caso ho fatto una cosa che non facevo da tanto, ho preso la musica e ho scritto il testo da zero senza nemmeno una parola da parte. Non si tratta di una canzone d’amore, è una canzone che parla di ritorno e l’ho scritta pensando a una persona che non c’ è più.

Che rapporto hai con la paura?

Non auguro a nessuno di fare scelte per paura. La verità è che bisogna imparare un po’ ad aspettare, alla fine le cose tornano ad essere centrate nella maniera giusta, non bisogna mai lasciare che la paura diventi la principale consigliera, ti dà sempre la versione sbagliata delle cose.

 Raffaella Sbrescia

TRACKLIST

  1. Epic
  2. Solo è solo una parola
  3. Il mestiere della vita
  4. Valore assoluto 
  5. Il conforto (feat. Carmen Consoli)
  6.  Lento / Veloce 
  7.  Troppo bene (Per Stare Male) 
  8. My Steelo (feat. Tormento)
  9.  Potremmo ritornare 
  10.  Ora perdona 
  11.  Casa è vuota 
  12.  La tua vita intera 
  13.  Quasi quasi 

Video; Potremmo Ritornare

 

Questo il calendario ufficiale di TIZIANO FERRO TOUR 2017:

11 giugno                    LIGNANO (UD)       Stadio Teghil

16 giugno                    MILANO                    Stadio San Siro

17 giugno                    MILANO                    Stadio San Siro

21 giugno                    TORINO                     Stadio Olimpico

24 giugno                    BOLOGNA                Stadio Dall’Ara

28 giugno                    ROMA                        Stadio Olimpico

30 giugno                    ROMA                       Stadio Olimpico – nuova data!

5 luglio                          BARI                          Arena della Vittoria

8 luglio                          MESSINA                 Stadio San Filippo

12 luglio                        SALERNO                 Stadio Arechi

15 luglio                         FIRENZE                 Stadio Franchi

Ascolta qui l’album:

Blindur: ecco l’omonimo album d’esordio. La recensione

Blindur ph Luigi Reccia

Blindur ph Luigi Reccia

Arriverà il 13 gennaio l’atteso album d’ esordio dei Blindur, al secolo Massimo De Vita e Michelangelo Bencivenga. Il disco uscirà per l’etichetta La Tempesta Dischi, distribuzione Master Music_Believe. Più che un punto di partenza, questo disco rappresenta un importante traguardo giunto dopo oltre 150 concerti e la collaborazione con Birgir Birgisson, storico fonico e produttore di Sigur Ros. Realizzato tra Roma e Napoli, interamente in presa diretta, l’omonimo album dei Blindur si compone di 9 brani ed è caratterizzato da sonorità autentiche e coinvolgenti. Tra picchi folk e sfiziosi richiami country, i Blindur si muovono con sicurezza e consapevolezza sui fluidi territori di una contemporaneità un po’ incerta, un po’ malinconica. Il brano di apertura è “Aftershock”: “Vorremmo tante scarpe ma abbiamo solo 2 piedi e un paio di gambe storte”, cantano i Blindur mettendo subito sul piatto una verità ricca di echi e conseguenze. E poi, ancora “ci aggrappiamo al mondo ma il mondo costa caro”, evidenziano i due, come dargli torto? “D’altronde basta un passo e poi un altro e sei già in gara per definizione”, così come afferma il duo in “Canzone per Alex”. Sogni, rimpianti e riflessioni intime fanno capolino in “Foto di classe”. Lo stesso mood lo ritroviamo in “Vanny”: “quante storie e quante promesse al cielo di questa provincia che non ci ha mai capiti”. Una frase, quest’ultima, in grado di rispecchiare in modo fedele lo stato d’animo di tantissimi figli di un paese che troppe volte finisce per stargli stretto. Il grido che sorprende in questo brano è “Non tornare Vanny”, una netta contrapposizione rispetto a quanto ci aspetteremmo. Questo è il tocco in più di un album divertente, vario e imprevedibile fino all’ultima traccia in cui compare l’unico gradito ospite Bruno Bavota che, con il suo delicato e rassicurante tocco al pianoforte, disegna i contorni di “Lunapark”: un invito a vivere senza troppe remore.

 Raffaella Sbrescia

Video: Aftershock

Il TOUR di presentazione di “BLINDUR”:
12.01 Frattamaggiore (NA) – Sound Music Club – Presentazione album
3.02 Fontanafredda (PN) – Astro Club
4.02 Modena – Off
8.02 Pozzuoli (NA) – Factory
9.02 Arezzo – Sottopiazza
10.02 Milano – Arci Bellezza
11.02 Correggio (RE) – I Vizi del Pellicano
12.02 Paratico (BS) – Belleville Rendezvous
17.02 Narni (TR) – Tabard Inn
19.02 Roma – Le Mura
26.02 Contursi Terme (SA) – Circolo Arci Bandiera Bianca
3.03 Asti – Diavolo Rosso
4.03 Torino – Officine Corsare
23.03 Caserta – Unplugged
24.03 Colle di Val D’Elsa (SI) – Bottega Roots
7.04 Catania – La Cartiera
8.04 Barcellona Pozzo di Gotto (ME) – Perditempo
9 .04 Palermo – Fabbrica 102
13.04 Ragusa – Primaclasse
14.04 Rosolini (SR) – MAD
15.04 Siracusa – Hmora

Ti devo un ritorno: un esordio letterario avvincente per Niccolò Agliardi. Intervista

Niccolo-Agliardi ph Francesca Marino

Niccolo-Agliardi ph Francesca Marino

Sarà perché si è laureato in Lettere Moderne con una tesi sui luoghi reali e immaginari presenti nelle canzoni di De Gregori, sarà per la sua mano di autore affermato, Niccolò Agliardi ha firmato un romanzo (Ti devo un ritorno) sinceramente bello perché delicato e significativo. Un esordio letterario che, in realtà, rappresenta il culmine di un percorso in crescendo. Da paroliere di successo a cantautore fino allo stadio di autore, Agliardi conferma una sensibilità particolare nel riuscire a parlare dritto al cuore di chi vive momenti di transizione esistenziale. In “Ti devo un ritorno”, edito da Salani e pubblicato lo scorso 6 ottobre con il contributo della curatrice Maria Cristina Olati e la supervisione giornalistica di Andrea Amato, Niccolò Agliardi si ispira ad un fatto di cronaca realmente accaduto nel 2001 e che ha coinvolto in maniera drammatica la popolazione delle Isole Azzorre. Nel mettere insieme i tasselli di una storia appassionante però, Niccolò lascia emergere alcuni piccoli particolari legati alla propria essenza individuale rendendo tutto l’insieme avvincente. Il protagonista del libro è Pietro, un trentaduenne prigioniero di se stesso che, subito dopo la morte di suo padre, decide di partire alla volte delle Azzorre annaspando fra i sentimenti e le paure. Giunto sul posto, Pietro incontra Vasco, un ragazzo tanto genuino quanto controverso, con cui il protagonista costruisce un rapporto molto intenso, del tutto simile a quello tra padre e figlio. Costretti a fare i conti con le conseguenze di un naufragio che porterà un enorme carico di cocaina sull’isola, Pietro e gli altri protagonisti del libro si troveranno davanti a scelte importanti. Tutto quello che accadrà sarà fondamentale ai fini della svolta esistenziale del protagonista.  Toccante ma mai straziante, delicato e coinvolgente, il racconto gioca su più livelli attraverso tanti temi: quello della natura, della fuga, delle onde, ma anche della tossicodipendenza, della vita criminale, dell’ingiustizia. Da leggere.

Intervista

Un esordio letterario che nasce da una tua esperienza personale visto che sei andato sul posto dopo esserti incuriosito in merito a un fatto realmente accaduto…

Sì, ho unito la mia voglia di viaggiare, sempre molto presente, alla curiosità per un fatto di cronaca davvero surreale. Sono partito 5 anni fa insieme ad un gruppo di amici per andare a vedere che cosa fosse accaduto veramente, lì la verità era di gran lunga superiore all’immaginazione. Al mio ritorno ho cercato di capire cosa potessi fare di questa storia, ho provato a scriverla ma non ha funzionato, i miei editori all’epoca sono stati molto feroci, non hanno capito che direzione volessi prendere quindi l’ho lasciata da parte.

E poi cos’ è successo?

Poi ci sono stati i Braccialetti Rossi, la collaborazione con la Pausini,  ho cambiato casa e città, poi l’anno scorso ho incontrato una mia cara amica dell’università che non vedevo da un po’ e che è diventata una grande editrice (si chiama Maria Cristina Olati) le ho raccontato questa storia ed è stata proprio lei a suggerirmi di unire i tasselli della mia storia personale con questa qui.

Come hai affrontato la fase successiva?

Piano piano ho scritto i capitoli, Maria Cristina li guardava obbligandomi alla disciplina, a stare a casa e mandarle tutte le sere qualcosa. Questo modo di lavorare mi ha insegnato il rigore necessario per fare questo mestiere e mi ha consentito di stare tanto da solo insegnandomi a non essere molto indulgente con me stesso, a non affezionarmi alle prime cose che scrivo. La stessa cosa si riflette  in musica, oggi so quando una canzone c’è e quando non c’è. Andrea Amato, un mio amico giornalista, ha poi supervisionato con grande rigore tutta la parte relativa alla cronaca perchè lì non si può sbagliare, tutto il resto è la vita che si è messa in mezzo.

Ti devo un ritorno

Ti devo un ritorno

Un’espressione, quest’ultima, che riassume con un fotogramma preciso quello che è lo spirito di questo progetto.

Esatto!

Pietro, Vasco e le onde, i padri, le figlie, la droga, l’amicizia vera, l’alleanza, la paura, i ritorni. Partiamo dalla figura del padre…

La linea tra un uomo normale e un padre sbagliato è molto sottile perché spesso un padre è visto come sbagliato dai propri figli: lo si vuole severo invece è morbido, lo vuoi accondiscendente invece è sfuggente etc… Questo libro riabilita la figura paterna da entrambe le parti, la perdita del padre rappresenta il motore propulsivo per la svolta di Pietro; nel caso di Vasco, invece, il problema è che suo padre è un uomo che sbaglia molto.

Che tipo di ritorno è quello di cui parli?

Pietro ha bisogno di tornare diverso perché ha deciso di scappare. Pietro sa, così come lo so io, che la fuga è una vigliaccata però è anche vero che in certi momenti scappare ti salva la vita, rappresenta un modo per potersi perdonare e tornare con un qualcosa in più. Questo viaggio per Pietro è l’occasione di tornare uomo e lasciare per sempre la sua comfort zone. Per quanto mi riguarda, in qualità di grande viaggiatore, adoro i biglietti di andata ma anche i ritorni, soprattutto quelli dai viaggi importanti e quando c’è qualcuno che ti aspetta.

Com’è l’amicizia, quella vera?

 Pietro e Vasco sono amici davvero perché parlano pochissimo. Questo è un libro in cui l’amicizia è come quella nella prima canzone di Braccialetti Rossi in cui si parla dei sottotitoli del cuore. Pietro e Vasco hanno una sintonia di questo tipo, si prendono tanto in giro ma si vogliono bene per davvero.

A proposito di Braccialetti Rossi, cosa ci dici di “BRACCIALETTI ROSSI 3” (Carosello Records), il disco della colonna sonora della terza stagione dell’amata serie?

“Braccialetti Rossi 3” è il disco più completo di tutte le tre edizioni. Così come i ragazzi sono cresciuti e sono diventati belli da morire, le canzoni di oggi raccontano questa evoluzione. Sono canzoni che vanno fuori dall’ospedale, dal dolore, dalla dinamica malattia-guarigione; sono canzoni che guardano verso il mondo e sono molto fiero di questo disco. Credo che siano le canzoni più belle che ho scritto insieme a Edwin Robert e gli altri ragazzi.

“Alla fine del peggio” è una delle più suggestive…sei d’accordo?

Sì, la canzone è nata sempre insieme a Edwin. Collaboro con lui da molto tempo e insieme a lui ho scritto anche i pezzi per la Pausini. In questa occasione eravamo in Messico, c’era una giornata un po’ nuvolosa su una bellissima spiaggia, ci siamo guardati in faccia e, dopo aver realizzato di aver superato parecchie tempeste, ci siamo detti che potevamo permetterci il lusso di dire che stavamo bene e che il peggio era passato; una bellissima sensazione di consapevolezza.

Come vivi il grande affetto che i fan, i colleghi e tanti addetti ai lavori hanno nei tuoi riguardi?

Forse ho semplicemente scelto delle buone persone, tutte le persone che mi circondano parlano la stessa lingua, quella della riconoscenza e dell’umiltà.

 Raffaella Sbrescia

 

Edoardo De Angelis: “Il cantautore necessario” è un pronto soccorso culturale.

Edoardo De Angelis ph mariacristina-di-giuseppe

Edoardo De Angelis ph mariacristina-di-giuseppe

In un mondo saturo di polemiche, sapete di cosa abbiamo veramente bisogno? Di bellezza e di poesia, di sogno e di leggerezza. A questo proposito, risulta particolarmente adatto a questo tipo di esigenza emotiva l’ultimo lavoro di Edoardo De Angelis, intitolato, non a caso, “Il cantautore necessario”. Cantautore e paroliere fra i più noti del panorama italiano, Edoardo De Angelis, nel corso della sua lunga carriera, ha contribuito allo sviluppo e all’immagine della canzone d’autore collaborando con i più grandi nomi della musica italiana. Oggi, con l’importante ausilio di Michele Ascolese (storico chitarrista di Fabrizio De André) e la direzione artistica di Francesco De Gregori, Edoardo ci restituisce alcuni dei più grandi capolavori del cantautorato italiano. Ben lungi dall’essere ascritta ad operazione nostalgica, la pubblicazione di questo disco è piuttosto un atto d’amore, un pronto soccorso culturale, un’iniezione di scintillìo. Conoscere, riconoscere, approfondire, ricordare sono solo alcune delle cose che si potrebbero fare ascoltando queste dodici canzoni scelte, non senza sacrificio, all’interno di un ricco forziere.

Edoardo De Angelis e Michele Ascolese ph mariacristina-di-giuseppe

Edoardo De Angelis e Michele Ascolese ph mariacristina-di-giuseppe

Ritratti di cantautori, fotogrammi di storie senza tempo, stralci di ricordi emergono traccia dopo traccia. E così, immersi nella commovente lettura del dolcissimo libretto che accompagna il disco, ci incantiamo ad ascoltare brani senza tempo come “La canzone dell’amore perduto” (De Andrè), “Oltre il muro” (Ascolese); “Amara terra mia” (Modugno – Bonaccorti – Modugno), “Décembre” (Di Biase), “Santa Lucia” (De Gregori), “Cosa portavi bella ragazza” (Jannacci), “Io che amo solo te” (Endrigo), “Fratello che guardi il mondo” (Fossati),  “Porta Romana” (Simonetta – Gaber); “Il mare, il cielo, un uomo” (Paoli), “La casa nel parco” (Lauzi,  “Se Stasera Sono Qui” (Mogol –Tenco). Suggestive anche le tracce strumentali eseguite da Michele Ascolese che, alternate alla voce di Edoardo De Angelis, tracciano i solchi lungo cui immetterci per seguire il cammino senza perderci. Non possiamo fare altro che ringraziare De Angelis per averci fatto dono di questi suoi ricordi tanto preziosi e per averci reso partecipi di legami artistici e rapporti umani che oggi, purtroppo, stanno tendendo a scomparire sempre di più.

Raffaella Sbrescia

La tracklist dell’album: “La canzone dell’amore perduto” (De Andrè); “Oltre il muro” (Ascolese); “Amara terra mia” (Modugno – Bonaccorti – Modugno); “Décembre” (Di Biase); “Santa Lucia” (De Gregori); “Cosa portavi bella ragazza” (Jannacci); “Tango solitario”(Ascolese);  “Io e te Maria” (Ciampi – Marchetti); “Io che amo solo te” (Endrigo); “La voce di tua madre” (Di Giuseppe – Ascolese); “Fratello che guardi il mondo” (Fossati); “Porta Romana” (Simonetta – Gaber); “Ortigia” (Ascolese); “Il mare, il cielo, un uomo” (Paoli); “La casa nel parco” (Lauzi); “Megisti” (Ascolese); “La casa in riva al mare” (Bardotti – Dalla); “Se Stasera Sono Qui” (Mogol –Tenco).

Ascolta qui l’album “Il cantautore necessario”

New Air: con “Venus” gira davvero aria nuova in Italia

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New Air è il nome ma anche l’intento della musica prodotta dalla band romana costituita da Andrea “Fungo” Morganti (Piano, Keyboard, Music Sequencer, Vox) e Gabriele “Arfa” Carone (Synth, Drum Machine, Music Sequencer, Vox/Vocoder). In questa occasione parleremo del loro nuovo progetto intitolato “Venus”, promosso e distribuito dall’etichetta discografica indipendente La Stanza Nascosta Records. Anticipato dal singolo “Stuck In This Abyss”, arricchito dall’ intensa vocalità di Brightie, questo album intende lasciarci intravvedere la possibilità che qualcosa di nuovo in fatto di musica può ancora essere possibile. La ragione di questa affermazione risiede non solo nella forte eterogeneità dei suoni e del contenuti proposti dai New Air ma anche dalla loro capacità di sorprendere e sconvolgere l’ascoltatore privandolo di riferimenti e approdi sicuri. Le tracce incluse in “Venus” sperimentano veleggiando tra psichedelia e musica trance. Attraverso un continuo spostamento di baricentri, i New Air si sdogagano completamente dalla scena musicale in cui nascono per traghettarci in un altrove che ciascuno di noi potrà liberamente definire.

Raffaella Sbrescia

Ascolta qui l’album “Venus”

Blue & Lonesome: i Rolling Stones rispondono al richiamo del blues

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I Rolling Stones ritrovano la via della stella polare, quella del Chicago Blues grazie al nuovo album “Blue & Lonesome” (Polydor Records). Registrato in soli 3 giorni a Londra presso i British Grove Studios a West London e coprodotto da Don Was e The Glimmer Twins, l’album racchiude dodici cover che rispecchiano le radici e l’essenza stessa della band; un omaggio agli esordi da blues band, anni quando, ancora imberbi, i Rolling Stones suonavano Jimmy Reed, Willie Dixon, Eddie Taylor, Little Walter e Howlin’ Wolf, gli stessi artisti grazie ai quali ha preso forma questo album che possiede a tutti gli effetti le caratteristiche di un dono autentico e disinteressato. Mick Jagger (vocals & harp), Keith Richards (guitar), Charlie Watts (drums), e Ronnie Wood (guitar), insieme ai fidati Darryl Jones (bass), Chuck Leavell (keyboards) e Matt Clifford (keyboards hanno riversato in questo lavoro privo di sovraincisioni tutto l’amore per la produzione di casa Chess e dintorni. Presente anche Eric Clapton nelle vesti di guest star in “Everybody knows about my good thing” e in “I can’t quit you baby” di Willie Dixon.

Video: Hate To See You Go

Per quanto riguarda la tracklist dell’album non troviamo standard di fama bensì una selezionata manciata di perle di genere. Dieci pezzi su dodici risalgono al periodo 1955-1961, mentre “All of your love” (1967) e “Everybody knows about my good thing” (1971) rappresentano, ancora una volta, la tangibile testimonianza di un amore per il blues che è rimasto invariato nel tempo. Istinto, chimica e bel suono sono i lati più lucenti di questo prisma sonoro che, sebbene non rappresenti una pietra miliare, è sicuramente un piccolo gioiello di cui i Rolling Stones potranno fare sfoggio come solo loro sanno e possono fare.

  Raffaella Sbrescia

Questa la tracklist completa:

 

1. Just Your Fool (Original written and recorded in 1960 by Little Walter)

2.  Commit A Crime (Original written and recorded in 1966 by Howlin’ Wolf – Chester Burnett)

3. Blue And Lonesome (Original written and recorded in 1959 by Little Walter)

4. All Of Your Love (Original written and recorded in 1967 by Magic Sam – Samuel Maghett)

5. I Gotta Go (Original written and recorded in 1955 by Little Walter)

6. *Everybody Knows About My Good Thing (Original recorded in 1971 by Little Johnny Taylor, composed by Miles Grayson & Lermon Horton)

7. Ride ‘Em On Down (Original written and recorded in 1955 by Eddie Taylor)

8. Hate To See You Go (Original written and recorded in 1955 by Little Walter)

9. **Hoo Doo Blues (Original recorded in 1958 by Lightnin’ Slim, composed by Otis Hicks & Jerry West)

10. Little Rain (Original recorded in 1957 by Jimmy Reed, composed by Ewart.G.Abner Jr. and Jimmy Reed)

11. Just Like I Treat You (Original written by Willie Dixon and recorded by Howlin’ Wolf in December 1961)

12. *I Can’t Quit You Baby (Original written by Willie Dixon and recorded by Otis Rush in 1956)

 Ascolta qui l’album

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