E’ trascorso qualche giorno dalla conclusione della cinquantunesima edizione di Umbria Jazz, un’edizione che ha visto, come evento clou dell’ultima giornata, l’esibizione di Djavan, interprete cult della musica brasiliana, che ha scelto proprio Perugia per una delle sue due date italiane del D. Tour: l’altra al teatro Arcimboldi di Milano.
I brasiliani in Arena Santa Giuliana sono moltissimi, e brasilianamente accettano l’invito dell’artista ad avvicinarsi sottopalco, ed è subito festa.
Balli, canti, bandiere e tanto romanticismo per questo delicato portavoce di note dal Brasile che oramai ha consolidato una carriera ultracinquantennale, e che ha lasciato un’impronta indelebile nella scena musicale del suo paese e non solo.
Originario di Maceió, membro di una famiglia poverissima, Djavan ha saputo combinare le radici musicali della sua terra d’origine con le influenze internazionali, creando uno stile molto personale e riconoscibile. Così al samba e al forrò si vanno a intrecciare le note proprie del rock, del pop, della musica africana creando a una miscela scoppiettante che lo ha reso uno degli artisti brasiliani più conosciuti e apprezzati al mondo.
Sin dagli esordi, dal 1976, quando pubblicò il suo primo album “A Voz, o Violao e a Arte del Djavan” si è imposto all’attenzione del pubblico con la famosa “Flor de Lis”: da allora sono stati tantissimi i riconoscimenti ricevuti, e molte le collaborazioni con artisti di fama internazionale. Tra loro i Manhattan Transfer, Zucchero, Fiorella Mannoia, Loredana Berté, Al Jarreau, e in patria Chico Barque, Caetano Veloso e Gal Costa.
Particolarità di questo artista è la descrizione del quotidiano, dell’amore, delle storie di tutti i giorni, della vita semplice, il tutto reso a pennellate delicate, a tratti carezzevoli. E in questo quadro di semplice intimità si incastona il concerto di Perugia, con un pubblico coinvolto, sognante, innamorato. Una coppia di amici, venuta appositamente da Napoli, mi ha confessato che è stato la colonna sonora del viaggio di nozze in Brasile: e come non commuoversi?
Sul palco una band di tutto rispetto, composta da Paulo Calasans e Renato Fonseca alle tastiere, Luis Felipe Alves alla batteria, Joao Castillo Neto alla chitarra, Marcelo Mariano al basso, Jesse Sadoc alla tromba e Marcelo Martins al Sax, ne accompagna le evoluzioni vocali, a parte la parentesi a solo durante la quale si crea un momento di grande empatia col pubblico: pubblico con cui è evidente che Djavan ci tiene a entrare in intimo contatto. E il pubblico lo ricambia con commozione ed affetto, creando una sorta di atmosfera dalle tinte oro e rosa, per un concerto che va a pizzicare le corde dei sentimenti più delicati e positivi.
A seguire, la Pacific Mambo orchestra, dalla California, conclude letteralmente le danze di un’edizione che ci ha appassionato assai.
Lenny Kravitz, Nile Rodgers, Carl Potter e il suo quartetto di numeri primi, Hiromi, Chucho Valdés, Roberto Fonseca, la divina Raye, Rita Marcotulli, Capossela, Galliano…
Un’edizione ricca, serrata, di qualità assoluta. A nostro avviso, entusiasmante, come entusiasmanti sono stata i numeri relativi alle presenze: 250 eventi, 12 location, 600 musicisti, 42.000 biglietti venduti.
L’organizzazione, come sempre, perfetta, e non ci resta che augurarci che Umbria Jazz ci accolga con affetto anche per la prossima edizione. Noi di Ritratti di Note, rinnovando una consuetudine che va avanti da tempo, saremo felici di esserci.
Grazie Perugia, Grazie Umbria Jazz.
Roberta Gioberti