Dopo una lunga attesa i Perturbazione tornano su pubblica piazza con (Dis) amore. Un concept album doppio, stratificato, variegato e ricco di spunti sia letterari che musicali. Il racconto racconta l’evoluzione di un rapporto a due servendosi di personaggi senza nome e senza sesso che attaversano la scoperta, l’innamoramento, la pienezza della condivisione, il consolidamento, il dubbio, le crepe, il silenzio, la distanza, l’assenza, il dolore, il disamoramento. Si tratta di persone che, nella loro unicità, ci lasciano lo spazio necessario per identificarci attraverso dettagli carnali e tangibili. Lo speciale diventa normale in disco che parla sottovoce ma con fermezza e che per questo è destinato a lasciare un segno.
Intervista a Tommaso Cerasuolo.
Ciao Tommaso, questo lavoro si prende il tempo necessario per raccontarci una storia dentro tante storie attraverso una stratificazione di sentimenti e immagini. Come vi è venuta questa idea?
In questo lavoro c’è forte corrispondenza tra musica e vita. Le nostre canzoni sono molto aperte, ognuno le abita a suo modo e anche i testi sono in grado di evolversi nel tempo lasciando dei. Non c’è un utilizzo metaforico delle immagini, la nostra scrittura può essere felicemente abitata da chi la fa sua. Il nido domestico dei protagonisti del disco ci ha dato il là per pensare ad un progetto raccontato in ordine cronologico.
La prima sensazione che balza alla mente è una forte corrispondenza filmica, come se ogni canzone fosse propedeutica all’altra in una susseguirsi di inquadrature traslabili nel reale.
Abbiamo effettuato un lavoro di stratificazione. All’inizio abbiamo valutato quanto materiale avessimo sull’innamoramento e disamoramento da un punto di vista non convenzionale. Quando poi abbiamo capito che volevamo sviluppare il lavoro in ordine cronologico, abbiamo cesellato la scrittura quasi come se ci stessimo muovendo con una cinepresa. Le voci dei due protagonisti non sono definite, ognuno le abita come vuole. A volte ci serviva l’esterno per raccontare in che modo potesse influire il contributo della società all’ interno dell’idillio domestico prima e della rottura poi. Amore e disamore hanno la stessa energia emotiva sia dentro casa che fuori. Abbiamo usato anche dei tagli di montaggio, a volte serviva l’inquadratura lunga, altre volte un bel primo piano con uno stacco breve senza essere ridondante. Abbiamo adottato un molto diverso di lavorare che ci ha regalato molta soddisfazione.
Ogni tassello è funzionale all’altro dunque.
Esatto. Abbiamo scritto in funzione della narrazione, questo è stato molto stimolante.
Da un punto di vista testuale, si evince un importante impegno narrativo. Da dove nascono queste suggestioni?
Prima di tutto dall’osservazione delle vite intorno a noi, siamo circondati da parenti e amici della nostra età che hanno vissuto montagne russe emotive ma ci siamo ispirati sicuramente anche a tanta letteratura. Una scrittrice molto importante è Natalia Ginzburg, la scintilla iniziale è nata nei primissimi pezzi. In particolare “Io mi domando se eravamo noi” è proprio una frase che la scrittura usa in un contesto abbastanza diverso da quello attuale ma comunque parla dello spaesamento. In particolare abbiamo attinto da spettacolo teatrale, rappresentato presso il Teatro Stabile di Torino alla fine del 2016, che si intitolava “Qualcuno che tace”, una trilogia tratta dai pezzi teatrali della Ginzburg. Rossano (ndr) è più letterario di me ma abbiamo questo collaudatissimo metodo di scrittura a 4 mani; lui scrive con una sua metrica sapendo che io poi ci metto mano e smonto i versi per cercare linee melodiche, siamo molto elastici. Ross dà sempre moltissimo materiale e in questo disco c’è moltissimo di suo. Ad esempio aveva letto delle pagine di Albinati per il tema dell’adulterio e del possesso, poi c’è l’influenza di John Cheever, e poi ancora Romagnoni, George Fontana, Buzzati, Parise, Domenico Starnone. Si tratta di letture che aveva interiorizzato e che è riuscito a mettere in luce con una predisposizione emotiva importante. Ci sono anche frasi afferrate dalla vita reale, come accade nel brano “Taxi Taxi”. Una sera Io Cris e Rossano eravamo a Milano per della promozione, il tassista parlava di storie di persone estranee in un turno di notte e abbiamo fatto nostro il suo racconto. Al fianco alla razionalità letteraria è bello imbattersi nella realtà per rendersi conto della reale vibrazione e sfumatura che stai cercando.
Forse è per questo che è destinato a fare la differenza?
Questo è un aspetto importante. Il problema della musica italiana è che c’è un abuso di parole astratte come mondo, universo, infinito, vita, amore, cuore, tutto è grande. A noi piace scendere nel dettaglio, afferrare la realtà con dettagli molto carnali, dare l’idea della concretezza nella scrittura, presentare un’immagine personale per farci capire da chi ci sta ascoltando. In questo modo dal particolare puoi aggiungere l’universale. Un po’ avviene con la siepe di Leopardi, senza la siepe non c’è l’infinito; in questo modo le cose vengono messe a fuoco e diventano tangibili.
Un altro aspetto che dà completezza a questo lavoro è anche la varietà musicale che lo attraversa.
I testi di Natalia Ginzburg erano ambientati negli anni ‘60 e ‘70 per cui ci siamo presi dei riferimenti di quelle atmosfere. La musica è come una pietra che rotola si un piano inclinato e tu ci finisci sopra (ride ndr).
La cosa bella di Cris che ha prodotto tutto il lavoro è che ha ampliato molto il suo bagaglio e lo spettro armonico perché ha lavorato a tanti altri progetti un po’ più sghembi, sotterranei di matrice blues. L’anno scorso Cris ha musicato un bel documentario su Anna Magnani, diretto da mio fratello e che è stato presentato anche a Cannes. Tutte queste cose sono finite nel suo bagaglio e io, che sono un cagnaccio che usa l’istinto per lavorare sulla parte metrica e melodica, mi sono reso conto di trovarmi su terreni nuovi. Abbiamo suonato tanto i pezzi in sala prove e abbiamo cercato di registrarli in modo da restituire fedelmente questo mood, tenendo anche i piccoli errori, senza mettere a posto i rullanti o quantizzare tutto. Adesso la musica è sempre tutta in briglia, molto artificiale, il gusto attuale ricorda il gluttammato: tutto è buono ma si assomiglia molto come sapore. Noi volevamo essere selvatici e meno sovraprodotti.
Coerenti in tutto nella forma e nella sostanza.
Il messaggio che danno questi personaggi è racchiuso nella capsula del tempo che contiene la nostra verità, fatta di entusiasmi ma anche di sbagli, di assenze. Senza le parentesi non verrà fuori la verità.
Il brano più prezioso è “Conta su di me”. Il concetto di fiducia è, ad oggi, quello più perseguibile da parte di tutti noi.
La fiducia arriva a due terzi del disco e non è un caso. I temi si compenetrano: pazienza, fiducia, sostegno reciproco sono racchiusi in una dichiarazione di coraggio e allo stesso tempo di resa. Questa è una canzone disarmata ma è anche una delle più belle del disco. Possiamo aver attraversato grandi paludi ma dentro una grande tempesta per un attimo di squarciano le nubi e quello che rimane è l’autenticità di un rapporto che unico che nessuno potrà toglierci.
Raffaella Sbrescia
Video: Io mi domando se eravamo noi