Perugia giorno terzo. Piena di eventi da seguire questo Umbria Jazz. Tanti, tantissimi, e tutti interessanti. Però, per forza di cose, e con molto rammarico, bisogna essere selettivi. Nei fine settimana Perugia è affollata assai durante il Festival. Tanti i giovani, tanti gli stranieri. Molte le cose da fare e da vedere, anche in quell’ala cittadina che dalla manifestazione resta tagliata fuori, e che “nasconde” preziosi tesori artistici di valore inestimabile. Merito del festival è anche questo: dare stimolo alle numerose persone che qui affluiscono, a visitare una porzione tra le più ricche del patrimonio artistico nazionale, che spesso viene messa in secondo piano, tanto ne abbiamo qui in Italia.
Ma torniamo alla rassegna. Imperdibile, alle 17 al teatro Morlacchi, “Around Gershwin”, l’esibizione del trio Tommaso, Marcotulli, Paternesi.
La sala è gremita, nonostante alle cinque del pomeriggio il clima sia “proibitivo”. E l’occasione è sicuramente ghiotta. Perché vede riuniti due degli esponenti più autorevoli della musica jazz italiana, e un batterista di indiscutibile talento.
Il concerto è preceduto dalla premiazione di Rita Marcotulli, cui viene riconosciuto il titolo di Ambasciatore della cultura Italiana nel mondo. Ed un bellissimo premio: un piatto in maiolica di notevoli dimensioni, un’opera d’arte.
Eh, sì, perché poco distante da qui abbiamo Deruta, e una delle produzioni di maioliche artistiche più importanti d’Italia. E quindi, oggi come un tempo, i riconoscimenti vengono accompagnati da cotante dediche, omaggio alla tradizione artigianale di un territorio.
La struttura del concerto è impegnativa, ed alterna l’interpretazione di alcuni celebri “standard” con l’esecuzione di composizioni partorite dalla penna di Giovanni Tommaso, personaggio fondamentale nell’identità peculiare del Jazz Italiano. Curriculum lunghissimo, a partire dalla fine degli anni ’50, e estremamente articolato. Dai ruoli “istituzionali”, ai grandi palchi internazionali, alle navi da crociera, alle etichette discografiche. Insomma, una “cariatide”, e non tanto per l’età, che non dimostra, ma per il ruolo portante nel panorama jazzistico nazionale. Le dita gentili e precise, quasi chirurgiche, di Rita Marcotulli volano sulla tastiera, intrecciando “ghirlande” sulla struttura maschia e portante del contrabbasso. Il tutto vigorosamente ed intensamente supportato dalla batteria di Alessandro Paternesi. Una rivisitazione personale di Gershwin, le cui composizioni rappresentano un punto di partenza per un’articolata produzione artistica di indiscutibile originalità.
Alle 21, in Arena Santa Giuliana, ci aspetta l’evento “Tenco, i Cantautori Italiani ed il Jazz”. Questo vuole essere il nesso con la manifestazione: i cantautori ed il Jazz. E Tenco. Perché Tenco? Perché Tenco, oltre ad essere Tenco, l’icona della canzone d’autore in Italia, era anche un saxofonista intraprendente. Sue le esecuzioni al sax nei brani originali. E perché Tenco ha ispirato tutto un cantautorato molto sensibile allo spirito “contaminatorio” del jazz. Un nome su tutti, Francesco Guccini ed i jazzisti con cui per trent’anni si è accompagnato, cui ha affidato gli arrangiamenti delle sua canzoni, e cui deve, sicuramente, la fortuna della sua produzione, così armonicamente interessante, oltre i testi, tra i più belli ed intensi della musica Italiana.
L’incipit introduttivo viene affidato a Danilo Rea, che, al piano, accenna vari brani noti al pubblico, numeroso e “variegato”. “Io che amo solo te”, “Ritornerai”, “Il Pescatore” di De André, “Bocca di Rosa”. Di Tenco c’è poco in questa prima trance del concerto, e poco c’è nelle esecuzioni di Gino Paoli, che con Rea ha realizzato un lavoro sulla propria produzione, e che espone nell’arco di una quarantina di minuti, alcuni dei suoi brani più famosi. Voce e piano e nulla più. A fare il suo ingresso, su “il cielo in una stanza” e l’ironica battuta di Paoli “sono il solo superstite di quella generazione”, un visibilmente emozionato e commosso Giuliano Sangiorgi. Cui non manca certo la celebrità, ma evidentemente il palco di Umbria Jazz è talmente prestigioso da emozionare anche tutti. Il riconoscimento di “manifestazione di interesse nazionale”, ci pare proprio il minimo sindacale, ben oltre le polemiche spesso veramente di bassa lega dei giorni scorsi.
E arriva sul palco anche Fresu, di bianco vestito, parte integrante e “motivante” di questo progetto sul cantautorato e su Tenco. Abbiamo ascoltato spesso Fresu, ma mai come quest’anno a Perugia lo abbiamo trovato fresco, energico e motivato. A riprova del fatto che sta attraversando un ottimo periodo di espressione artistica e motivazione personale. E non possiamo che essere compiaciuti e felici.
Al cambio di testimone, Sangiorgi esordisce con un’intensa interpretazione di “Tu si’ ‘na cosa grande pe’ me”, che sicuramente sente vicina anche per un fatto di identità territoriale. E bisogna dire che la cosa ha una sua indiscutibile efficacia. L’omaggio a Modugno prosegue con “Cosa sono le nuvole”, per poi dirigersi verso Endrigo (“Io che amo solo te”), De André (“Amore che vieni, amore che vai”), Dalla (“Felicità”) e infine Lucio Battisti, che raramente viene rievocato in simili “omaggi”, ma non per disinteresse o scarsa sensibilità: ci sono problemi “tecnici”. Ed è un peccato, perché sicuramente, soprattutto nell’ultima fase della sua produzione, quella più complessa, verso il jazz era orientato, ed oggi potrebbe rappresentare una vera “miniera” d’ispirazione. Però ci fa piacere ascoltarlo dalla voce del frontman dei Negramaro, in “E penso a te”.
Un piccolissimo omaggio a se stesso, e ci sembra giusto, dopo essersi tanto intensamente e commossamente speso, con Fresu che lo accompagna da par suo in “Solo per te”, ed altro cambio di testimone, passato questa volta a Gaetano Curreri, che rievoca in forma “manieristica” Dalla, accostandoci anche De André, e sempre con questa caratteristica distinguerà i suoi interventi nel corso della serata, arrivando a “dallizzare” anche Vasco, con l’esecuzione del brano (scritto a quattro mani), “Dimmi che non vuoi morire”. Che però, forse, è un poco prematuro voler stravolgere, perché, che piaccia o no, la sua la dice bene alla maniera sua.
Venti minuti per il cambio palco, e la serata offre nuovamente intense e frizzanti emozioni. Sì, perché entra in scena il genio di Mauro Ottolini, della sua Band e la struttura imponente dell’orchestra da camera di Perugia. Ottolini è un genio, e le cose che propone sono sempre provocatorie, ma in maniera divertente, ironica e mai offensiva. Lo scorso anno presentò un lavoro interessantissimo su Buster Keaton, e quest’anno, con l’estro che lo contraddistingue, ed il suo scherzoso modo di “alleggerire”, strutturando, ripropone (finalmente, visto che la serata è a lui dedicata), Tenco. E lo fa ricordando che Tenco fu un ironico ed un provocatore, non solamente un intenso melodico romantico. Confessa di averlo praticato poco, e proprio per questo di averlo voluto conoscere e studiare a fondo. E, quando Ottolini approfondisce, lo fa con cattedratica serietà e sistema scientifico.
Ci mette dentro di tutto, dal Rap, alla lirica, allo Swing, al musical, alle arie arabeggianti, con cervello e cuore, ed ottiene un risultato di qualità eccellente, senza possibilità di eccezione. Alla fine della serata, possiamo dire che quello che più ci ha coinvolto, fermo restando l’alto livello qualitativo, sono stati proprio lo “Show” di Ottolini ed i suoi compagni di avventura, (e Fresu, anche qui, dice la sua), e l’intensa emozione autentica di Sangiorgi. Che qualche volta con la voce non ce l’ha fatta, ma ha ampiamente sopperito con il cuore.
Un’altra bellissima esperienza, grazie ad Umbria Jazz.
R.G.
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