“E’ vita che evapora, si condensa nella poesia e piove di nuovo, in gocce d’oro e disperazione. L’album prende il nome dell’autore, e forse è una benedetta coincidenza tematica, perché in esso imperano gli uomini cui la luce ha girato le spalle, gravitano nella nudità le cose che accadono “al di sopra delle parole”come avrebbe detto Fabrizio De Andrè che proprio in Oliviero vide il coautore del suo ultimo album di notturni, rimasto incompiuto…”. Queste le parole, estratte dalla prefazione scritta da Giuseppe Cristaldi per “Malaspina”, l’ultimo album del cantautore e poeta pavese Oliviero Malaspina. Pubblicato lo scorso 15 maggio, ad otto anni di distanza da ‘Marinai Di Terra’, questo disco è considerato uno dei più importanti ed intensi della carriera dell’artista che, attraverso le 12 tracce racchiuse nel disco, ci svela il lato più intimo ed introspettivo del suo mondo fatto di parole e musica.
Prodotto da Amedeo Pesce, che ha curato gli arrangiamenti dei brani, e da Cosimo Lupo, “Malaspina” è il frutto della sinergia tra due etichette discografiche, si tratta di Hydra Music e Ululati dell’editore salentino Lupo Editore. All’interno dei brani pensati, costruiti, cesellati come piccole sculture di pensieri, Malaspina lascia convergere delicate riflessioni che si muovono agli antipodi dell’animo umano.
Ad aprire l’album è “Poi”: 51 secondi di musica psichedelica accompagnano la perturbante voce di Teresa Draghi: “Poi diedero la parola agli innocenti ed il silenzio fu terrificante”; poche intense parole su cui potremmo edificare un vero e proprio trattato la cui utilità, di fronte alla schiacciante efficacia delle parole della Draghi, sarebbe sicuramente ben poca. “Volevo essere la luna sui campi” è, invece, il primo singolo estratto dal disco. Grande protagonista della melodia è un violino delicatamente imperante. Tra fontane di salamandre, fieno ed erba marcita si consuma il ricordo di un passato beneficiario di un indiscusso amore filiale. “Vita ancora viva” racconta un’anima poco pratica dell’amore eppure traboccante di ardente desiderio: di terra e di mare, di carne e di saliva, di schiaffi e dolore. Toni cupi e crepuscolari attraversano la malinconica drammaticità di “In viaggio, fermi”: “senza orizzonti né costellazioni, senza sogni e senza rancori. Solo il vuoto intorno ai nostri occhi sfondati”, canta Oliviero Malaspina che, senza voler spegnere sogni e prospettive baratta “i ricordi peggiori per un abbaglio di futuro”.
Un insolito latin sound attraversa, invece, il mood di “Quasi tutti”, una canzone che, tirando in ballo l’umanità tutta, affronta il difficile tema della preghiera, intesa come atto di vicinanza e di immedesimazione collettiva. L’enigmatico testo di “Vostra signora dei fiori” racconta una storia senza benedizioni né consacrazioni mentre “La strada”, cantata da Oliviero Malaspina in duetto con Roberta Di Lorenzo, offre all’ascoltatore un liberatorio e motivante invito all’amore “senza pensare che il tempo non ci potrebbe bastare”, “Senza scusa e senza rimpianto”, “senza tempo perché il tempo è un inganno”. Volti che raccontano miseria, lamento e dolore sono quelle dei “Migranti” descritti nell’omonimo brano di Malaspina. Facce che chiedono luce e colore ricevono in cambio dolore in mondovisione. Facce mediocri dal sorriso sicuro comandano l’esercito dei senza niente seminando sconforto e sconcerto.
Bellissimo anche il testo de “Il vuoto”: “Fa paura questo freddo nell’anima. Fa paura questo odio nel mondo, Fa paura questo vuoto che avanza. Fa paura quasi tutto qui intorno. Il vuoto ci parla…ci parla…e sa colpire duro, implacabile, indifferente, esso ci annulla nel corpo e nello spirito. Spaventosamente affascinante, questo brano racconta, nero su bianco, il nostro oggi. Ancora un duetto con Ennio Salomone sulle note di “Vengo a portarti il mio nuovo amore”, un “pensiero che si muove tra la risacca alla gola e la stella polare”, che “non ha interessi, non ha difetti, non ha ricchezze e non ha tesori, è senza sogni e senza dolori”. “Signore dei naufragi e degli incendi dacci un minimo di dignità e allunga la tua mano più bella a cambiare il nostro destino. Signore degli innocenti fa che nessuno muoia invano e lasciaci un segno di pace e uno sbocco di sangue benigno” scrivono Malaspina e Cristaldi in “E dell’infinito fine”, dando voce ad una collettiva, intensa preghiera, arricchita da un finale nichilista: “l’amore è morto (virgola), l’amore è morto (punto). Quando la merda avrà un valore noi nasceremo senza culo”. A chiudere questo prezioso lavoro di poesia e musica è “Dopo”, un finale ciclico, vissuto insieme a Joy Zanetti, che individua negli anfratti dell’anima un anelito di salvezza in nome di un abbaglio di futuro.
Raffaella Sbrescia
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Video:” Volevo essere la luna sui campi”