Sboccia l’amore tra Romeo e Giuletta Ph Luigi Maffettone
“Romeo e Giuletta – Ama e cambia il mondo”, il musical che ha conquistato il pubblico italiano sbancando i botteghini è approdato al Teatro PalaPartenope di Napoli lo scorso 9 aprile e resterà in città fino al 13. Con la regia di Giuliano Peparini, le musiche di Gérard Presgurvic e l’adattamento di Vincenzo Incenzo per i testi italiani, la produzione di David e Clemente Zard si conferma come una delle più imponenti mai viste in Italia. Il nucleo centrale è, come sempre, “la storia del sacrificio di due germogli perché tutto l’albero possa generarsi”, ambientazioni antiche e coreografie moderne regalano una linfa innovativa alla tragedia Shakespeariana che abbandona, così, le tradizionali vesti classicheggianti, per lasciarsi sedurre da una rinnovata concezione di sentimenti eterni.
Il corpo di ballo Ph Luigi Maffettone
Protagonisti di questa speciale storia d’amore sono Davide Merlini, noto per aver partecipato al talent show X-Factor, nei panni di Romeo, e Giulia Luzi, già nel cast della serie tv I Cesaroni, nelle dolci e delicate vesti di Giulietta. Le maestose scenografie, arricchite da scenari digitali, un corpo di ballo realmente inserito a 360 gradi all’interno del progetto, con spettacolari e complesse coreografie e i dettagliati costumi sartoriali sono i particolari che hanno concretamente contribuito a fare la differenza all’interno di un progetto ambizioso e molto apprezzato anche dai non più giovanissimi.
Entrando nello specifico, il cantato ha ampiamente superato le aspettative: voci potenti e ben amalgamate sono riuscite a rendere l’emozione di un testo pregno di riflessioni intense ed intimiste.
Mercuzio Ph Luigi Maffettone
Tra le interpretazioni più riuscite in assoluto quelle di Barbara Cola nel coinvolgente e combattuto ruolo di Lady Capuleti, l’originale ed erotica rivisitazione del personaggio di Mercuzio da parte di Luca Giacomelli e la controversa personalità di Tebaldo nella vistosa individualità di Gianluca Merolli. Grandi pose e maestose movenze hanno scandito lo svolgersi di vicende senza tempo in una Verona luccicante e dannata, culla del male incastrata tra strade e balconi, mentre tutt’intorno grida, minacce e violenza si reincarnano nei volti felini e animaleschi di ballerini acrobati. Molto intensa anche la recitazione di Vittorio Matteucci nel ruolo del Conte Capuleti, scenica, invece, la figura del Principe, impersonificato da Leonardo di Minno. Decisamente sottotono è apparsa Roberta Faccani, alias Lady Montecchi, soprattutto nel duetto “L’Odio” con Barbara Cola.
La morte apparente di Giuletta Ph Luigi Maffettone
La voce pulita e lo sguardo sognante di Romeo sono i pregi dell’ indovinato rappresentante di una giovinezza fatta di colpi di testa e gesti avventati. Lui, Mercuzio e Benvolio (Riccardo Maccaferri) sono i re del mondo, giovani leoni, angeli con spade e coltelli: l’elogio alla follia. In un mondo che mischia anime senza pietà rimane coinvolta anche la balia (Silvia Querci), una donna destinata a rivestire le funzioni di una madre a termine, in eterna combutta con la felicità.
Romeo è disperato Ph Luigi Maffettone
L’amore in questo musical riveste un ruolo universale, diventa una forza in grado di smantellare qualsiasi convenzione umana. Il triste e fatale destino dei due giovani innamorati si compie, implacabilmente, ancora una volta: Giuletta e Romeo muoiono l’uno tra le braccia dell’altro; il loro sacrificio ripristinerà valori e priorità all’interno di due famiglie corrose dall’odio e dalla presunzione, per ricordarci, una volta in più, che, di fronte alla morte, le cose davvero importanti sono molto poche.
“Apocalypse Town” è il titolo del terzo disco del gruppo partenopeo The Gentlemen’s Agreement, pubblicato oggi per Subacava Sonora. Al centro di questo lavoro c’è l’uomo, un operaio senza nome che, esclusivamente grazie alla propria forza d’animo, riesce ad uscire dalla fabbrica di una metropoli apocalittica e a riappropriarsi del proprio cuore, dei propri sogni, della propria vita. Raffaele Giglio (Voce, Chitarra), Antonio Gomez (Contrabbasso, Basso elettrico, Cori), Gibbone (Percussioni, Pedaliere proto-industriale, Rumori, Cori), Mauro Caso (Batteria, Rumori), Pepo Giroffi (Sax baritono, Sax tenore, Sax soprano, Clarinetto, Flauto traverso) hanno dato vita ad un progetto davvero molto speciale ed avanguardistico, prodotto interamente attraverso il baratto e rilasciato esclusivamente con licenza Creative Commons. La tracklist del disco segue un preciso percorso scandito da sonorità esotiche, ispirate al lavoro di Tom Zé, ed ottenute grazie all’utilizzo di strumenti inventati ed auto-costruiti ( Psycho sitar, Mollofono) oppure trapani e lucidatrici sfregati su campanacci, rullante con freno macchina, macina bulloni.
“Apocalypse Town” è un disco artigianale, intagliato pezzo per pezzo e rifinito grazie ai rapporti di fiducia e fraterno rispetto che i membri della band hanno saputo instaurare con tutte le persone che hanno incrociato durante il loro percorso.
The Gentlemen’s Agreement
Ad aprire il disco è “Leitmotiv #1 Incubo”, il primo dei 4 divertissement strumentali presenti nell’album: ossessività, monotonia, rumori indistinti ricreano la frenesia di una fabbrica che ingurgita gli uomini privandoli della propria identità. La fabbrica è un orribile mostro adorato come una divinità, cantano i The Gentlemen’s Agreement in “Moloch!”:la sveglia esplode demolendo sogni e rendendo la vita molto meno interessante. L’uomo è parte di un ingranaggio destinato a consumarci e a buttarci via. Molto suggestivo è il testo de “Il milione”: la mente veleggia tra le onde di sogni gratis, senza turni e senza debiti, mentre una leggera brezza strumentale allevia le pene del corpo martoriato da una routine asfissiante. “Dire…direttore” è il geniale singolo incentrato sullo sterile rapporto tra dipendente e datore di lavoro: lavoro qui da te, ma tu con me non ci sei mai, parlo tanto di te, ma tu con me non parli mai, perdo il tempo per te, ma tu perché non perdi mai? Il testo è incalzante e si sposa appieno con il coinvolgente ritmo di sonorità che rimandano l’immaginario al Sudamerica. A seguire c’è “Rumore su rumori”: il rumore del cuore è il perno centrale su cui regge tutto il testo, l’animo del protagonista sta per cedere alla resa fino ad un repentino punto di svolta: sento il mio cuore e non lo perdo più. Davvero incoraggiante ed energico è “Mordi! Prendi! Vivi!”, un brano incentrato su una serie di implacabili imperativi intesi come monito finalizzato alla rinascita indiduale di ciascuno di noi. Questa presa di coscienza trova uno sbocco naturale tra le note dei “Leitmotiv #2 Consapevolezza”: intuizione, coscienza, luce, scossa e infine fuga; il karma dello Psycho sitar orientaleggiante sullo sfondo sortisce l’effetto sperato.
In “KABOOM! Chiude la fabbrica” l’iniziale terrore è sostituito dall’esigenza di inventare un sogno, di occupare una campagna e riprendersi il proprio tempo, la città si svuota ma chi rimane gode. Il cammino prosegue con “I piedi lo sanno”, nuovo tempo e nuove strade guariscono le ferite del passato ed ecco sopraggiungere “Leitmotiv #3 Risveglio”, un samba di scombussolamento scuote i sensi e li rieduca all’amore per la natura.
“Adeus” è un brindisi alla libertà: decido il mio tempo, ora io ho tempo, ora il profumo di vita si sveglia anche in questa città. I The Gentlemen’s Agreement si lasciano ispirare dal fascino del Salento, la terra in cui hanno registrato l’album, proprio nel SudEst Studio di Campi (Lecce) di Stefano Manca la band ha lavorato per un mese alla costruzione di una delle sale di ripresa dello studio, in cambio di un mese di registrazione. Siedi, vivi, cerca, scopri, guardati dentro, viaggia, torna, cura il tuo centro, prova, riuscirai, queste le meravigliose parole di “Come l’acqua”, che non hanno bisogno di un ulteriore commento. “Il tempo del sogno” è un addestramento al mondo, la vita qui è un momento, qui non si aspetta nulla, cantano i The Gentlemen’s Agreement mentre “Leitmotiv #4 Evoluzione” sigla i titoli di coda di una rivoluzione intesa come evoluzione armoniosa.
“Apocalypse Town” è, in sintesi, un investimento per il proprio Benessere Interno Lordo, agisce in piccolo ma pensa in grande, provare per credere!
Ogni concerto, una sorpresa… la rassegna Suo.Na, organizzata da Ufficio K, in collaborazione con Bulbartworks e Wasabee, continua a mietere successi: lo scorso 3 aprile è toccato agli scatenati Calibro 35 infiammare il pubblico del Duel Beat di Napoli. Ad aprire il concerto A new horizon. Il gruppo napoletano, eccezionalmente in formazione acustica, ha presentato al pubblico alcuni dei brani inediti contenuti in “Penrose”, l’album di inediti pubblicato poco più di un mese fa. In scaletta “Non è più tempo per noi”, “Più che esistere”, “Radioactive” ( Imagine Dragons), “We just go”, tratto dal precedente album “Go back”, “Vorrei”, “Biblical” (Biffy Clyro) e “Leggera”. Subito dopo il palco si è riempito dell’energia dei Calibro 35.
Massimo Martellotta alle chitarre e ai lapsteel, Enrico Gabrielli agli organi e ai fiati, Fabio Rondanini alla batteria, Luca Cavina al basso e Tommaso Colliva alla regia sono stati in grado di costruire un vero e proprio marchio di fabbrica. Band di culto dedita a riproporre le più interessanti rivisitazioni delle colonne sonore dei film polizieschi, che hanno decretato la fortuna del cinema italiano anni 70, i Calibro 35 hanno subito imposto un mood molto speciale alla serata.
A partire da un rock vintage, a tratti prog o jazzato, i Calibro si sono resi protagonisti di una performance scenica e sonora degna delle più rinomate piazze musicali europee. A proposito di Europa, il gruppo è reduce da una massica trasferta oltreconfine che li ha visti al centro di numerosi palcoscenici di elevata connotazione avanguardistica. Criminali, uomini del potere, malavitosi, pericolosi gangsters sono i protagonisti delle composizioni strumentali dei Calibro 35 che, dall’alto del loro repertorio intriso di prestigiosi riferimenti a famose colonne sonore, hanno concesso ampio spazio ai brani originali del loro ultimo lavoro discografico intitolato “Traditori di tutti”, i cui brani si ispirano al romanzo omonimo di Giorgio Scerbanenco.
Calibro 35 Ph Luigi Maffettone
Attraverso un continuo saliscendi sonoro, che attinge da personalità estremamente eterogenee e tutte molto forti, i Calibro 35 riescono a trasmettere la propria essenza attraverso un virile scuotimento fisico dello strumento. Il fascino della loro performance riesce a coinvolgere il pubblico rendendo fruibile e fascinosa l’essenza di una musica cruda, truce e sanguinolenta. Non c’è spazio per metabolizzazioni, cucchiaiate di riff e martellanti percussioni vanno giù insieme a dolci sessioni di sax e flauto traverso. Il risultato è un’originale visione estetica del suono, avvincente!
Il prossimo 22 aprile Claudio Domestico, in arte Gnut, pubblicherà “Prenditi Quello Che Meriti”, il suo terzo album di inediti, edito dall’etichetta torinese INRI. Undici tracce delicate ed intimiste raccontano le avventure e le emozioni di Claudio che, nel corso degli anni, si è dedicato anima e corpo alla musica. Lunghi viaggi, notti insonni, mille progetti e mille sogni hanno dato vita ad un lavoro che intende seguire una direzione diversa dal passato. “Prenditi quello che meriti” racchiude un messaggio preciso, diretto, semplice ma efficace, un invito alla costruzione di se stessi e del proprio destino. A poco meno di un mese dall’uscita del disco, abbiamo sentito Claudio per lasciarci conquistare dal fascino dei segreti e degli aneddoti che hanno dato vita ad un piccolo grande capolavoro.
Perchè ti definiscono uno chansonnier errante?
Più che adun motivo musicale, questo appellativo è forse dovuto alla vita che faccio, ho vissuto Milano dal 2007 al 2011 e sono due tre anni che mi sposto così velocemente da non avere fissa dimora. Sono napoletano ma quando mi chiedono dove vivo, la mia risposta è “non lo so”.
“Prenditi quello che meriti è, non solo il titolo dell’album, ma anche un monito importante…come lo motivi?
Mi piaceva molto l’idea di un usare un titolo del genere perché ha una valenza sia positiva che negativa: se non sei stato abbastanza bravo da costruirti un futuro che ti piace è anche giusto che tu non riesca a raggiungerlo. D’altro canto, però, se semini bene, raccogli bene altrimenti no. Inoltre penso che quando una persona si costruisce piano piano un suo obiettivo, a prescindere da quale esso sia, il raggiungimento di quest’ultimo rappresenta la più grande soddisfazione che si possa avere. In sintesi si tratta di un consiglio che do sia a me stesso che a tutti coloro che ascolteranno le mie canzoni.
Claudio Domestico Ph Alessandra Finelli
Questo terzo disco nasce dopo una lunga gestazione. Quali sono i retroscena, i pensieri, le intuizioni che si nascondono tra le note di questo lavoro?
Sono canzoni che ho iniziato a scrivere nel 2008, quando ancora stavo registrando l’altro disco. Ho girato tantissimo e ho fatto tante altre cose, colonne sonore, produzioni artistiche, progetti paralleli… si tratta di testi che ho scritto di notte o quando avevo un po’ di tempo per stare da solo, quelle poche volte che non mi trovavo a condividere casa con qualcuno. Terminata la fase della scrittura, ho deciso di registrare andando in giro dai miei amici musicisti: ho registrato i violoncelli e le chitarre acustiche con Mattia Boschi, la sezione fiati nel soggiorno di un altro amico poi sono sceso di nuovo a Roma e ho registrato i pianoforti a casa di Fish, altre chitarre a casa di Roberto Angelini. Poi ho raccolto il tutto e sono andato a Sorrento per rifinire il lavoro. In quell’ occasione riaffiorarono gli incontri, i ricordi, le emozioni, i viaggi… e, ancora oggi, mi emoziona molto riascoltare l’album.
Il tema portante dell’album è il viaggio. Rifacendoci alle parole del singolo “Non è tardi”, si tratta di un viaggio “contro un mondo che non ci risponde”?
I viaggi sintetizzano un po’ tutti gli aspetti della vita: ci sono momenti in cui ti senti capito, altri in cui ti senti solo, momenti in cui il tuo vicino di posto in treno diventa il tuo migliore amico… Si tratta di una sintesi della vita, una buona valvola di sfogo per raccontare il proprio percorso.
Come nascono i featuring presenti nel disco e, in particolare, quello con Giovanni Gulino dei Marta sui Tubi in “Fiume lento”?
Io e Giovanni ci conosciamo da un po’ di anni perché anche lui si è trasferito a Milano intorno al 2005-2006, ci incontravamo alla Casa 139 e sono andato a sentire tante volte i Marta dal vivo. Spesso parlavamo di come sarebbe stato bello fare qualcosa insieme, qualche volta ho aperto qualche loro concerto, Mattia Boschi ha suonato nel mio disco e, anche se a distanza, Giovanni ha seguito l’ evoluzione di questo lavoro. Poi c’era questa canzone” Fiume lento” e una sera ho detto a Giovanni che, secondo me, questo brano poteva essere quello giusto per cantare insieme e lui ha accettato. A Milano, durante un pomeriggio, abbiamo provato il pezzo, ci siamo emozionati perché ci è piaciuto un sacco. L’intuizione era stata giusta, mi ero immaginato dei cori che lui poteva fare nel secondo ritornello e alla fine è andata più che bene! Dopo le prove ci siamo abbracciati, siamo contenti e adesso non vediamo l’ora di cantarla insieme dal vivo.
“Prenditi quello che meriti e dona a chi merita quello che puoi, dona a chi merita la tua poesia… sono parole forti e dirette…
Per stare in pace con sé stessi , l’unica cosa che si può fare è cercare di realizzare i propri obiettivi guadagnandoseli, con questo brano vorrei cercare di spingere me stesso e chi ascolta ad essere migliore. Non ci sono doppi fini, se hai qualcosa da dare, dallo a chi lo merita… è un meccanismo simile al karma “prendi e dai”.
Gnut Ph Alessandra Finelli
“Nun saccio se è amore o guerra ma ‘o segno resta, ‘o segno resta”, canti nella drammatica “Solo una carezza”, come sei riuscito a rendere per iscritto il dramma di una storia vera?
In realtà si tratta di un brano che ho scritto dopo che mio padre mi raccontò la storia di sua nonna, una storia di fine 800. Questa donna fu costretta sposare un uomo che le aveva fatto violenza per costringerla a sposarlo e, quando mio padre mi raccontò questa storia, un paio di anni fa, rimasi completamente scioccato perché ero cresciuto inconsapevole di una cosa così allucinante. Fortunatamente c’è stato un lieto fine perché quel personaggio cattivo dopo un po’ è morto e lei, in seguito, è riuscita a trovare un altro giovane uomo che l’ha sposata e, insieme, hanno dato vita a mia nonna. La forza di questa donna che ha combattuto per la vita che meritava, il suo percorso, la sua reazione sono un esempio da seguire. Ecco perché dopo il racconto mi sono messo subito a scrivere per poter raccontare la storia nella maniera più lineare possibile. Il risultato è una piccola magia, tutti i parenti si commuovono quando la sentono…
“Foglie di Dagdad” ed “Estate in Dagdad” hanno un segreto in comune… qual è?
Sono sempre stato affascinato dalle accordature aperte ma sono molto pigro e, ogni volta che in passato ho cercato di usare un nuovo tipo di accordatura, dopo un po’ mi annoiavo e non riuscivo a trovare le soluzioni che cercavo. Due estati fa mi è capitato di fare un incidente in macchina e ho avuto dei problemi alla mano per cui non riuscivo a suonare con tutte le dita, potevo usarne solo due, avevo voglia di suonare ma non sapevo cosa suonare e quindi ho accordato la chitarra in questo modo strano. Grazie all’uso di due dita sono riuscito a comporre “Estate in Dagdad”, me la sono suonata 20-30 volte al giorno perché era l’unica cosa che riuscivo a suonare, la volevo intitolare in un altro modo ma, memore del fatto che sono smemorato, ho scelto di intitolarla “Estate in Dagdad” così, tra dieci anni, se la dovrò risuonare, mi ricorderò dell’accordatura e non avrò problemi dal vivo (ride ndr). Dopo un po’ ho scritto anche “Foglie di Dagdad” e ho scelto di creare questo gioco di parole, guardando la lista dei titoli delle canzoni, mi sono reso conto che Dagdad faceva pensare sia un posto che ad una pianta e quindi ho sorriso pensando alle eventuali interpretazioni delle pubblico. Adesso, però, sto suonando “Estate in Dagdad” con accordatura normale e la chiamo “Estate in accordatura normale”…
“In dimmi cosa resta” ti esponi davvero molto in frasi come ”Guardami negli occhi e dimmi cosa vedi” cosa intendi comunicare in questo brano?
In realtà questa canzone è nata dopo un litigio con una persona a cui tengo molto, cioè mio padre. Ci sono un po’ tutte le cose che ciascuno di noi si sente dire o dice quando ci si scontra con una persona che si ama in un momento di forte rabbia. Si tratta di uno sfogo in cui, nel ritornello in particolare, si evince che quando due persone si vogliono bene e ci sono dei legami d’affetto profondi, guardarsi negli occhi diventa ancora più importante, soprattutto nei momenti di rabbia. Questa canzone vuole quindi creare proprio un contrasto tra una musica allegra e solare e questo rinfacciarsi cose cattive…
“Per ogni vittoria, ci sono cento sconfitte”?
Questa è una frase che ho scritto per “Torno”, un brano che ho composto dopo che ero tornato da 14 concerti e 200-300 km percorsi ogni volta… Gli ultimi live erano stati particolarmente avvilenti perché si erano tenuti in contesti poco carini come pizzerie dove parlavano tutti, una cosa allucinante. Dopo tutto questo giro incredibile, ero tornato a casa alle 5 e mezza del mattino, era quasi l’alba, quel momento del giorno in cui ritorna la luce e le notti che sono trascorse ti attraversano gli occhi e il viso, mi sono guardato allo specchio e sentivo l’esigenza di dovermi sfogare, non stavo bene in quel momento e, mentre scrivevo le parole del testo, mi sono reso conto che stavo raccontando un milione di ritorni a casa in cui torni deluso o soltanto stanchissimo per tutto quello che stai cercando di dare e non ti è tornato abbastanza. Ho scritto le parole in maniera molto veloce, ho registrato il brano su un piccolo registratore che avevo, si erano ormai fatte le 6.30, non riuscivo più a tenere gli occhi aperti, sono andato a dormire e l’ho messa nello scatolone con le altre canzoni che stavo raccogliendo. Ritrovandola mi ha colpito il fatto che, leggendo il testo, non ho rivisto solo quella notte, ne ho riviste davvero tante altre e quindi mi sono fatto un pò tenerezza nel constatare il tentativo di combattere tutte queste notti e di portare a casa un sorriso e di accettare tutte le sconfitte godendo delle piccole soddisfazioni. Scoprire che le nostre vite si somigliano e che, dopo essermi raccontato, possa trovare delle persone che si ritrovano in quello che ho scritto è una sensazione che mi fa sentire meno solo, si tratta di uno scambio magico e meraviglioso che mi fa alzare la mattina sentendomi felice.
Gnut Ph Alessandra Finelli
Facendo un gioco di parole con il testo di “Universi”: Cosa prendi? Come spenderai il tuo tempo? Come ti senti?
Prendo tutto quello che posso e che penso di meritarmi, spenderò il mio tempo come ho fatto fino ad adesso, cercando di esprimere quello che sento quello che vedo, vivendo come ho fatto finora. Oggi mi sento molto bene, ogni tanto stanco, però mi stanco a fare cose che mi piacciono.
In “Passione”, la bellissima reinterpretazione dell’intensa canzone di Libero Bovio, hai creato un particolare passaggio dal temporale al canto degli uccellini…come mai questa scelta?
Si tratta di un discorso molto semplice: quando ho iniziato a registrare non sapevo quanto sarebbe durato il disco e, nel momento in cui ho realizzato che chiesto in tutto durava 30 minuti, mi sono accorto che era troppo poco tempo e che mi serviva un altro pezzo, quindi ho deciso di fare una cover. Avevo scoperto “Passione” da 3-4 mesi , ero in una fase emotivamente sensibile a quelle parole, a quell’atmosfera, a quella melodia, inoltre era la canzone che suonavo ogni volta che mi trovavo da solo, alle 4-5 di notte mi chiudevo in una stanza e la suonavo, era diventata morbosamente mia. Dunque serviva un altro pezzo per il disco e decisi di inciderla; il fonico, dall’altra stanza, mi disse di chiudere la finestra perché in quel momento stava piovendo, io, invece, gli dissi di posizionare un microfono proprio vicino alla finestra per registrare la pioggia e ho realizzato questa versione chitarra e voce del pezzo. Il problema si presentò, quando, alla fine della canzone, c’era ancora questo temporale in corso e, considerando che volevo sceglierla come finale del disco, stavolta il mio intento era quello di lasciar emergere un mio lato più solare per cui ho inserito il cinguettìo finale sfumando il temporale.
A che punto è il progetto legato alla realizzazione di un libro per bambini, che vedrà anche la collaborazione di Alessandro Rak?
Un paio di anni fa regalai a mio nipote un tamburo e, mentre eravamo ad un cenone di Natale, lui arrivo da mE e mi disse che aveva scritto una canzone intitolata “Il Pupazzo strapazzato”, poi tornò e mi elenco altri titoli meravigliosi, li segnai tutti sul cellulare e li ho tenuti in bozze per mesi. Dopo un pò mi sono ricordato di avere questi 8 titoli sul cellulare, sono tornato a casa e mi sono messo a scrivere queste canzoncine durante un’estate di due anni fa. Ho iniziato a registrarle piano piano e infatti non ho ancora finito perché, nel frattempo, ho fatto tante altre cose. Intanto è uscita “L’arte della felicità”, il film di Rak e lo staff del film ha lavorato pomeriggi interi a queste canzoncine durante la lavorazione del film. Ci siamo organizzati per curare il progetto insieme con delle illustrazioni da abbinare a queste canzoni e piccoli corti animati… vorrei realizzare un libro con tutte le illustrazioni, come quelli con le copertine morbide, organizzare dei concerti per bambini, ma ci vorrà un po’ di tempo perché Rak è impegnatissimo tra vari lavori e anche io…
Che rapporto hai con i Foja?
Sono molto amico di Dario Sansone da 3-4 anni. Ci siamo conosciuti meglio grazie a Gino Fastidio, che è un amico comune, poi ci siamo inventati il progetto Tarall &Wine con dei pezzi in napoletano, su tutti “L’importante è ca staje buono” e, verso la fine di quel periodo, c’erano anche i Foja che dovevano registrare il loro secondo disco. Io venivo da un altro paio di produzioni che avevo fatto tempo prima, si era creato un ottimo rapporto di amicizia, conoscevo bene tutti i membri del gruppo e, in virtù di una stima reciproca molto forte, mi hanno chiesto di rimanere in famiglia e io ho accettato. Ci siamo messi a lavorare per quattro mesi alle loro bellissime canzoni ed è una bella esperienza sia dal punto di vista umano che artistico. Sono molto soddisfatto del risultato e, quando posso, sono ospite ai loro concerti.
Cosa ci anticipi del progetto “Nevermind” in napoletano con Gino Fastidio e Jonathan Maurano?
E’ nato tutto per caso anche questa volta. non vedo l’ora che esca questo progetto perchè è la cosa più divertente che abbia mai fatto in vita mia! In realtà è nato tutto all’Angelo Mai a Roma, che in questo momento sta vivendo un momento molto difficile, l’ si tenevano delle serate a tema intitolate “Long Play”: diversi artisti si esibivano interpretando un disco intero con la scaletta originale e mi hanno chiesto di partecipare al progetto. Il fatto è che io sono molto pigro nello studio dei pezzi degli altri: o mi viene come passione o diventa solo studio. Da ragazzino suonavo i Nirvana con Gino Fastidio e gli ho chiesto di rifare “Nevermind”. Lui è stato molto contento e, durante le prove, ci siamo molto divertiti perché lui si inventava delle cose che facevano davvero ridere e mi è venuto in mente che a Napoli, durante gli anni 70 /80, c’erano gli Shampoo, un gruppo che interpretava i pezzi dei Beatles in napoletano, per cui e ho pensato che, in omaggio a questo gruppo, potevamo chiamarci i Balsamo… ognuno di noi ha un alter ego, io, per esempio, suono il basso…
In conclusione, tra Tarall &Wine, le mie serate, i Balsamo e i pezzi per bambini la mia vita è molto piena. Il percorso per sentirsi arrivati è ancora lungo ma, forse, è meglio non sentirsi mai arrivati perché altrimenti ti spegni e non hai più voglia di fare le cose.
Raffaella Sbrescia
Si ringraziano Claudio Domestico e Stefano Di Mario di Metratron per la disponibilità
DiscoDays, la Fiera del Disco e della Musica, giunge alla XII edizione con un nuovo atteso appuntamento previsto per domenica 6 aprile, dalle 10.30 alle 21.00 (ingresso 4,00 euro gratis sino a 18 anni) presso il Palapartenope di Napoli, in via Barbagallo. Il format del team guidato da Nicola Iuppariello rimane consolidato senza, tuttavia, rinunciare a nuovi spunti creativi. Punto di riferimento per appassionati e cultori della musica di tutto il mondo, la fiera offrirà come di consueto numerose rarità: vinili made in UK, edizioni giapponesi, Ep dei Beatles autografati. Ad arricchire la preziosa giornata numerosi eventi organizzati ad hoc.
Tra tutti, spicca la premiazione di Guido Harari, riconosciuto come uno degli autori più significativi nel campo del ritratto fotografico. L’artista dell’obiettivo riceverà il Premio DiscoDays «Fotografia per la Musica» ed incontrerà il pubblico presente raccontando aneddoti legati alle leggendarie storie impresse nei suoi storici scatti.
La Maschera
DiscoDays è da molti anni anche occasione di visibilità per numerosi gruppi. In occasione della dodicesima edizione sarà La Maschera a ricevere il Premio Rete dei Festival e a presentare il proprio progetto anche al M.E.I. – Meeting degli Indipendenti, l’evento che si terrà a Faenza tra il 26 e il 28 Settembre 2014. Grazie alla partnership con Godfather Studio, il gruppo potrà anche incidere un brano in analogico su un ATR 24tracce. Sul palco del Discodays quest’anno ci saranno anche altre interessanti realtà musicali come The Burlesque e Dreamway Tales, Massimo Bevilacqua e i True Blues Band.
Per concludere, la Fiera del Disco e della Musica sarà anche la sede di una mostra esclusiva dedicata ai Queen a cura di QueenMuseum.com, tra i maggiori siti mondiali di riferimento per gli appassionati del gruppo inglese: dischi rari, edizioni ricercate, pezzi unici come dischi d’oro, lettere, foto da collezione, riviste d’epoca, poster, biglietti, volantini dei concerti ripercorreranno la storia del leggendario gruppo rock. In questa edizione ci sarà anche lo speciale contributo di Ferdinando Frega, che da oltre 25 anni colleziona oggetti unici provenienti da ogni parte del mondo e collabora a pubblicazioni internazionali su riviste specializzate.
A completare il ricchissimo parterre, la mostra fotografica di Valeria Bissacco, intitolata “Musica in Faccia”. Vincitrice della scorsa edizione del concorso nazionale di fotografia indetto da DiscoDays “Musica a Scatti”, l’artista proporrà un percorso fotografico incentrato sull’emozione che si legge sulle facce dei musicisti.
Per tutte le info sul programma consultare il sito discodays.it
Bruno Bavota è un pianista, chitarrista e compositore napoletano. “Il pozzo d’Amor”, “La casa sulla luna” e “The secret of the Sea”, in uscita il prossimo 21 aprile, per l’etichetta discografica irlandese Psychonavigation Records, sono i titoli dei suoi lavori discografici. «La musica ogni giorno mi abbraccia e mi salva da ogni povertà…soprattutto da quella più grande, quella dell’anima», sostiene il giovane e appassionato Bruno che, avvicinatosi alle note e agli strumenti all’età di vent’anni, è riuscito a trovare un sentiero che lo porterà davvero molto lontano nel mondo della musica. Reduce dal concerto sold-out che ha tenuto in Russia, per l’inaugurazione della Philarmonic of new musical art, lo scorso 30 marzo, Bruno ha aperto le porte del suo cuore per aiutarci a capire fino in fondo le evoluzioni stilistiche che hanno determinato la felice creazione di “The Secret of the Sea”.
La musica è una fedele compagna delle tue emozioni giornaliere. Come si è evoluto nel tempo il tuo rapporto quotidiano con le note? Cosa ti aspetti dalla musica e cosa le dai tu, a tua volta?
La musica mi ha semplicemente salvato la vita, per cui l’unica cosa che posso fare è esserle grato e cercare di darle il mio piccolo contributo. In realtà essa è arrivata molto tardi nella mia vita, avevo vent’anni, uscivo da una storia d’amore importante e cominciai a suonare la chitarra mancina di mio fratello per colmare un vuoto, solo in seguito scoprii il pianoforte e mi sentii finalmente completo. La musica per me è un abbraccio continuo e spero di poter continuare questo viaggio d’amore ad un certo livello.
“Il pozzo d’amor”, “La casa sulla luna” e “The Secret of The Sea” sono i titoli dei tuoi dischi. Cosa rappresenta per te ciascuno di questi lavori?
Amore, luna e mare sono gli elementi centrali. Il primo album è nato per caso, ho composto i brani nel giro di qualche mese, pur registrandoli in modo professionale in uno studio. Non sapevo cosa fosse un comunicato stampa, cosa significasse inviare materiali in giro, eppure cominciai a farlo, anche un maniera un po’ rozza, fino a quando, grazie ad Internet, mi scoprirono due ragazzi, oggi miei amici stretti, che mi fecero fare dei concerti a Palermo, quella fu la mia prima uscita ufficiale, suonavo il piano da nemmeno un anno e si trattò di un’emozione davvero molto forte. In seguito ho scritto nuovi brani e nel secondo disco ho cercato di dare qualcosa in più, collaborando con una valida etichetta, la Lizard. In questa occasione ho ricevuto tantissimi riscontri positivi, al punto da essere scelto per suonare alla Royal Albert Hall. Questo ha sicuramente rappresentato un punto di svolta per me, mi ha fatto capire di volerci provare fino in fondo. Ho iniziato questo viaggio insieme ad un giornalista e mio caro amico, Alessandro Savoia, che mi fa da manager e mi supporta. Con il secondo disco ho iniziato a pensare in grande, l’ho inviato a tutti e pian piano sono riuscito ad inserirmi nel roster della Tourpartout, l’agenzia di booking che lavora con artisti che fanno il mio genere musicale. Quando poi sono riuscito ad ottenere il contratto con Felix, l’agente dei miei artisti preferiti e del mio gruppo preferito, ho pensato di stare al centro di un sogno. A partire dal quel momento, ho cominciato a pensare al nuovo disco, volevo fare qualcosa di completamente differente dagli altri due.
Dove e come nasce “The Secret of the Sea”?
Per questo disco avevo in testa i retaggi sonori dei Sigur Rós e la voglia di creare una musica eterea, fino a quando non ho trovato degli strumenti in grado di riprodurre queste sonorità, il delay e il riverbero, che mi hanno dato il suono che volevo. “The Secret of the Sea” è il disco più luminoso dei tre e il cardine principale è sempre la speranza. Il titolo nasce da un legame molto forte che ho con Napoli. Quando mi dicono di andarmene, io dico di no, non me ne voglio andare, io amo troppo questa città! Quando scendo in bici, in 10 minuti sono al mare e penso che questo sia impagabile. Il mare mi dà un’idea di libertà e non posso stare senza. Spesso ci vado anche alle 22.30 di sera, mi piace stare di fronte al mare, mi fa sentire pieno… se ci pensiamo il mare è qualcosa che sta sulla terra ma è la cosa meno umana che ci sia.
L’immagine delle onde che fanno l’amore con la luna è quanto di più sensuale possa esserci in questo album… come sei riuscito a trovare l’ispirazione per trasformare tutto questo in note?
Ho sempre pensato che una delle cose più belle sia l’influenza della luna sul mare e sulle maree… Questi elementi si attirano a vicenda e, in questo senso, stanno insieme, creando un tutt’uno, soltanto noi esseri umani siamo fuori posto. Quando penso alle stelle, alla luna, al sole non posso fare a meno di chiedermi il perché dei loro movimenti e ne resto affascinato. Nei miei lavori parlo soprattutto di luoghi: “Il pozzo d’amor” rispecchia un mio triste momento amoroso, un pozzo vuoto da colmare, “La casa sulla luna” è un altro luogo – non luogo, una casa per continuare a sognare, dove pensare a me e a quello che c’è sulla terra. In “The Secret of the Sea” c’è un ritorno sulla terra, anche se non ancora definitivo, si tratta di un tentativo di avvicinamento…
E la copertina del disco?
Devo ringraziare Luca Scognamiglio che, ogni volta, realizza delle copertine- capolavoro. La foto è stata scattata ad Sant’Angelo d’Ischia, dove c’è un mare bellissimo. L’ombrello che ho in mano rappresenta sia una protezione che una possibile scappatoia, oltre che un enigmatico gioco vedo-non vedo.
Come hai pensato ai complessi titoli delle tue composizioni?
Prima compongo i brani e poi penso a come titolarli. In questo caso ci sono due brani che sono molto legati alla letteratura: il primo è “Les nuits blanches”, ispirato all’omonimo libro di Dostoevskij, l’altro è “Plasson” che si rifà a “Oceano Mare” il libro di Alessandro Baricco. Plasson è un pittore che prova a dipingere il mare usando esclusivamente acqua marina e finisce per raffigurare vedute oceaniche su tele che restano ostinatamente bianche. Poi c’è “You and me”, un dialogo tra me e il mare, “The Man Who Chosed The Sea” un brano che finisce in dissolvenza, un never ending, un sogno inafferrabile. “Hidden lights through smoky clouds” è il frutto della scelta di un mio caro amico, Domenico, che, in ogni mio lavoro, ha il compito di scegliere il nome di un brano. La composizione che sento più mia è “If only my heart were wide like the Sea”: il brano dura un minuto e 58 secondi eppure credo che, in un così breve tempo, esso riesca a racchiudere tutto quello che volevo dire. Il momento più intimo arriva con “Constellations”, un’ apertura tra cielo e stelle. Poi ci sono brani un pò più cupi sul finale come “The boy and the whale”, in cui ho sentito l’esigenza di inserire il suono selvaggio delle onde uggiose del mare di Mergellina. La title track “The Secret of the Sea” è un brano inquieto, il segreto del mare forse sono io stesso, un essere umano e il mare che trovano un punto di connessione…
Che rapporto c’è, secondo te, tra la luce e il mare?
Quando vado vicino al mare mi sento completo, tutti dovrebbero poter aver dei momenti in cui rimanere da soli con se stessi…Penso che ci si possa fidare del mare ma la luce la si può trovare lo stesso dentro di sé.
Bruno Bavota
Continua ancora il percorso parallelo con gli Adaily Song?
In realtà sono molto preso dal mio progetto personale ma è anche vero che purtroppo non vedo un futuro per la musica italiana! C’è una lotta continua per cercare serate, per provare a suonare,i gestori dei locali non pagano o non vogliono pagare. Per questi ed altri motivi sto provando ad esportare la mia musica… Con Psychonavigation, un’etichetta discografica irlandese, ho scoperto che esiste tutto un mondo legato al mio genere musicale, ci sono etichette che lavorano ancora con le redazioni, io e Keith Downey ci sentiamo tutti i giorni via mail, insieme lavoriamo a questo sogno e mi sento molto coccolato…sì, è proprio un altro mondo!
Quali sono gli altri tuoi contatti più importanti all’estero?
Dopo l’esibizione alla Royal Albert Hall di Londra, ho ricevuto il Premio Speciale Cultura Albatros 2013, poi partecipai all’edizione di Piano City Milano e cominciai a contattare gli agenti degli artisti che mi piacevano… Fui vicino a concretizzare l’apertura dei live di Olafur Arnalds ma i tempi erano troppo stretti, nel frattempo sono entrato in contatto con Felix, che ora è il mio agente. Certo, ci è voluto un po’ ma l’ho aggiornato costantemente delle cose che facevo fino a quando, lo scorso ottobre, egli mi scrisse una mail in cui mi diceva di voler essere il mio agente, quella notte non chiusi occhio per la gioia!
Non rimane che augurarti in bocca al lupo!
Crepi il lupo! Vi aspetto il 29 aprile alla Libreria del Cinema a Roma!
Continua la stagione musicale dell’Arenile Reload di Napoli che, lo scorso 29 marzo, ha ospitato sul proprio palcoscenico gli Snap. Si è trattato di un vero e proprio tuffo indietro nel tempo quando, agli albori degli anni ’90, i produttori Luca Anzillotti e Michael Münzing diedero vita all’ambizioso progetto che scalò le classifiche di tutta Europa, grazie alla fortunata miscela di due generi molto diversi tra loro come l’Hip Hop e l’Eurodance.
La carica esplosiva e la carica aggressiva dei due performer Thea Austine e Turbo B sono gli indiscussi elementi chiave che hanno arricchito e completato un repertorio non vastissimo.
Turbo B
Tra i brani più apprezzati dal pubblico naturalmente “The Power” e “ Rhythm is a dancer” eppure gli Snap sono stati in grado di rivisitare i loro stessi brani integrandoli con le più svariate contaminazioni, passando, tra le altre canzoni, dalla contemporanea “Get Lucky” dei Daft Punk alla molto meno recente “The Rythm of the night” di Corona.
Thea Austine
Techno, acidhouse, drum’n bass convergono nel calderone dance degli Snap che, con “Ooops Up”, “Cult of Snap!”, “Mary Had a Little Boy”, “Welcome to Tomorrow” provarono ad essere i precursori della dance, un movimento musicale che, nonostante gli alti e bassi, è riuscito a mantenere intatto un fascino senza tempo. Dopo il concerto degli Snap, la serata è proseguita con gli interventi in consolle del trio di dj composto da Marco Corvino, Roberto Biccari e Claudio Cerchietto per una notte incurante delle lancette dell’orologio.
Si è tenuto lo scorso 29 marzo, presso l’Auditorium Salvo D’Acquisto di Napoli, il terzo ed ultimo concerto previsto dalla rassegna “I Colori del Jazz”, prodotta dal Live Tones. Protagonisti del palcoscenico il celeberrimo Enrico Rava alla tromba e Andrea Pozza al pianoforte, due veri e propri fuoriclasse che, insieme, hanno conquistato l’affollata platea partenopea.
Partendo dal presupposto che si sta parlando di musicisti di fama internazionale, straordinariamente preparati dal punto di vista accademico, l’aspetto che, più di altri, rimane impresso è sicuramente quello legato alle speciali doti interpretative con cui i due artisti sono riusciti a trasformare toni e significati di ciascun brano. Risulterebbe superfluo sottolineare gli innumerevoli successi ed il consenso mondiale che Enrico Rava ha saputo conquistarsi nel corso di una carriera a dir poco stellare perché, anche chi non ascolta jazz abitualmente e non conosce il grande repertorio da cui egli è solito attingere materiali e ispirazioni, sa rendersi perfettamente conto che il suono della sua tromba è un richiamo ancestrale alla bellezza.
Enrico Rava e Andrea Pozza Ph. Luigi Maffettone
Rava e Pozza hanno spaziato tra melodie e brani tratti dalla miglior tradizione jazzistica, dagli standards più antichi, tratti dal repertorio di Miles Davis e Chet Baker, a qualche incursione nella musica brasiliana di Jobim fino a brani composti dallo stesso Rava; il tutto elaborato in maniera originale ed estemporanea. Il tocco delle dita di Enrico Rava assume la fisicità di una ritualità inquieta, pronta a stravolgere suoni e pensieri. Elegante e consapevole, l’andatura del suo suono rappresenta un monito algido e austero in grado di trasformarsi, da un momento all’altro, lasciando che le increspature strumentali di Andrea Pozza s’intersechino come temibili cavalloni all’interno della melodia.
Enrico Rava Ph. Luigi Maffettone
Enrico e Andrea hanno saputo lasciarsi andare ad un giocoso scambio di intro e out, prima sulle note di uno standard americano, poi su volteggi di “Certi angoli segreti”. Il brano di Rava rappresenta una ricerca strumentale verace e vorace in cui il pianoforte rimane coinvolto in un’affannoso gioco amoroso; un continuo rincorrersi e ritrovarsi dedicato a Nino Rota.
Andrea Pozza Ph. Luigi Maffettone
Sulle note di “Retrato em braco e Preto”, Rava e Pozza ripercorrono la costruzione del suono, segmento per segmento, niente è lasciato al caso eppure una grossa percentuale di quello che abbiamo sentito è soprattutto frutto della personalità dei musicisti in questione. Questa è, forse, una delle caratteristiche più affascinanti del jazz: si passa da un’energia frizzante, “malupina” e beffarda alla cupa drammaticità di un soffio finale nella tromba. Il lirismo e le infinite capacità improvvisative di Rava trovano terreno fertile nella padronanza che Andrea Pozza ha del pianoforte, insieme viaggiano nel tempo e tra i generi musicali, vanno da “Cheek to Cheek” alla bossanova e in questo viaggio c’è tanto spazio anche per il pubblico che, su invito di Rava, si lascia coinvolgere in una corale esperienza di compartecipazione che, insieme all’ultimo bis, ha segnato la conclusione di una serata davvero speciale.
La macchina sforna note del Suo.Na continua a mietere successi. Ultimo, in ordine di tempo, il concerto dei Perturbazione, tenutosi lo scorso 27 marzo presso la Sala 1 del Duel Beat di Agnano. La band made in Rivoli, provincia di Torino, è approdata a Napoli, caricata a molla, per una serata fatta di canzoni cantate a squarciagola e di fiumi di sudore. Ad inaugurare l’evento il sofisticato djset di Irene Ferrara, regina della movida partenopea, e i Borderline che hanno eseguito brani inediti, voce e chitarra, per dare spazio a urlate riflessioni esistenziali. Cinque brani che lasciano intendere l’esistenza di una gioventù ancora attenta a ciò che smuove il mondo che ci circonda… da approfondire.
Alle 23.30 salgono sul palco i beniamini della serata: Tommaso Cerasuolo (voce), Gigi Giancursi (chitarra), Elena Diana (violoncello), Cristiano Lo Mele (chitarra), Rossano Antonio Lo Mele (batteria), Alex Baracco (basso) si lasciano subito travolgere dal gran calore con cui il pubblico di Napoli li accoglie. L’elettronica la fa da padrona in “Musica X”, primo brano in scaletta, seguito da “Se mi scrivi” e dalla fresca e coinvolgente “Diversi dal resto”. I Perturbazione rappresentano uno dei frutti migliori che il sottobosco della musica italiana ci propone, ascoltarli dal vivo è una gioia per gli occhi e per le orecchie.
Allegra è anche “Buongiorno Buonafortuna”, un po’ meno il testo de “Il senso della vite”: “Col senso della vite vai incontro a frustrazioni, non trovi il verso giusto è come scrivere canzoni”, cantano i Perturbazione, che hanno un’idea molto chiara di cosa significhino le parole sacrificio e passione. La musica della band piemontese è fresca, è carica, è, in una parola, bella. I testi riescono ad offrire una chiave di lettura diversa della quotidianità e questo rappresenta un importante punto a favore dei Perturbazione che non si risparmiano nemmeno per un momento.
Perturbazione live
La scaletta continua sulle note del brano sanremese “L’Italia vista dal bar”: “questi siamo noi, poeti, santi ed avventori e mediamente eroi”, dice il testo della canzone, dipingendo un fedele ritratto del popolo italiano. “Se l’amore è un gioco quali regole ti dai?” , questo il leit motiv di “Battiti per minuto”, uno dei brani più apprezzati dal pubblico, seguito dal ritmo travolgente di “Questa è Sparta” e dall’arrangiamento romantico di “Baci vietati”. “Mondo tempesta” lascia che l’elegante ed irrinunciabile fascino del violoncello di Elena Diana regali un’aura speciale al brano. “Non è la fatica è lo spreco che mi fa imbestialire, non è la fatica è lo spreco”, canta Tommaso in “Del nostro tempo rubato”. Lo spettacolo non conosce intervalli, i Perturbazione proseguono implacabili con la loro super scaletta. Subito dopo “La vita davanti” arriva “L’Unica”, il brano che ha riscosso un grande successo durante l’ultima edizione del Festival di Sanremo e che ha letteralmente fatto scatenare tutti i presenti. Al sopraggiungere dei bis c’è spazio per “Chiticapisce”, l’intima magia di “Agosto” e “Nel mio scrigno” per non lasciare niente in sospeso in un live di ineccepibile qualità.
Tra le scorie di sogni e sentimenti infranti di “Complimenti”, Samuele Bersani ha dato il suo inconfondibile benvenuto al pubblico del Teatro Augusteo di Napoli in occasione della data partenopea del “Nuvola numero Nove tour”. Impeccabile nella voce e nella mise, Samuele inizia il concerto dietro un velo che, subito dopo il primo brano, cade giù sia fisicamente che metaforicamente. Sì, perché l’artista romagnolo, pur non proferendo parola fino al quarto brano in scaletta, ha tutta l’intenzione di abbattere le barriere per una serata all’insegna della condivisione incondizionata.
E così, “Cattiva” e “Psycho” scorrono via fino alle prime emozionate parole di Samuele: «Chi mi conosce sa che ho spesso la tentazione di parlare di cose che esulano dalla mia musica ma stasera non accadrà, il repertorio si è allargato e non ho intenzione di tenervi in ostaggio del mio ego», spiega con la sua solita verve, aggiungendo: «Sono figlio unico e scrivo in solitudine ma non avrebbe senso vivere le emozioni da solo su un palco» e così, primus inter pares, Samuele scende in platea fermandosi all’altezza delle prime file per consentire una minima visuale anche al pubblico della galleria, regalando una struggente versione di “Ex e Sanax”, eseguita solo con l’accompagnamento del pianoforte e di una chitarra, proprio «così com’è nata, spiega, nuda e cruda». Già, nuda e cruda come il sentimento d’amore che ha avvolto la vena creativa di Samuele, quello in cui due persone lottano come giganti di fronte al dolore e che, dopo aver litigato, sovrappongono i reciproci battiti cardiaci.
La penna di Bersani si sa, è tra le più versatili e, a conferma di ciò, si passa dai nobili sentimenti di “Ex e Sanax” alla sottile ed intelligentissima ironia di “Chiamami Napoleone”: non c’è niente da conquistare in questo stivale ridotto a pantofola, canta Samuele, mentre il “Pescatore di asterischi” si perde in un gioco di pensieri sporchi. Il pubblico è davvero coinvolto al punto da esplodere nell’immancabile coro sulle note di “Spaccacuore”. «Il teatro è bello per due motivi, racconta Samuele, il primo è relativo proprio ad un fatto di acustica, in teatro il suono si asciuga, ed è bello avere quest’atmosfera che tante volte noi artisti cerchiamo e non troviamo. Il secondo è legato a Napoli, in particolare, ci sono posti in cui ci metto tre turbo per cantare e Napoli è uno di questi». A proposito di umanità, Samuele introduce “Reazione Umana” divertendo il pubblico senza mai lasciare le parole al caso. Nel raccontare la divertente storia della sua fida tastierina Casio che, dopo essere stata riposta per anni, si è riaccesa ed è tornata a funzionare, nonostante le pile ossidate, a colpi di on-off. Proprio questo aneddoto offre il là a Samuele che rivela: «La tastiera mi ha insegnato che se si insiste, si riprende a reagire. Come essere umano mi sono abituato ad essere un semplice spettatore e a non dire la mia. Ogni volta rimango perplesso di come ormai non si riescano a vivere le proprie emozioni senza doverle filtrarle ogni volta attraverso uno schermo. Come se senza quello schermo fosse impossibile conoscere la realtà o mantenere il ricordo». Vivere in emergenza anestetizza l’anima, prima legge e poi canta Samuele, tanto per essere ancora più incisivo di quanto non lo fosse stato fino a pochi secondi prima.
Le emozioni continuano sulle note di “Replay”, “Ferragosto”, “Le mie parole” raggiungendo il massimo picco con “Il mostro”, eseguita al pianoforte, in un angolo del palco:« Ci sono canzoni che sanno spiegare cose meglio di altre cinque», racconta Samuele, spiegando che «A volte ho fatto il grosso sbaglio di eliminare questa canzone dalla scaletta, ma più cantavo e più mi chiedevo perché non l’avessi inserita». Ed eccolo il mostro che “riapre gli occhi sul mondo, questo mondo di mostri che hanno solo due zampe ma sono molto più mostri”. Subito dopo, un piccolo incidente di percorso rivela che Samuele e la sua band stanno registrando il cd live del concerto e questo diventa improvvisamente un incentivo in più sia per l’artista che per il pubblico. La scaletta procede spedita, attraverso le parole, le emozioni e gli anni di una vita spesa a cercare note e parole: “Settimo cielo”, l’implacabile “Ultima chance” e una coinvolgente versione folk di “Occhiali rotti” lasciano piccoli segmenti di spazio a “Un pallone”, “Freak” e “Coccodrilli” fino al grande classico del cantautore romagnolo: “Giudizi universali”. Completato il preavviso di rito di non scambiare la frase del ritornello “potrei ma non voglio” con “vorrei ma non posso”, Samuele ritorna in platea ed è un tripudio di voci che cantano all’unisono. “Chiedimi se sono felice”, “Il re muore”, “Chicco e spillo” sono i bis che chiudono una serata perfetta. “Servono soldi musica e strada da fare” ma almeno con Samuele Bersani la bisaccia delle emozioni è ancora al suo posto.
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