Dear Jack in concerto a Napoli: una band che lascia il segno

Dear Jack @ Palapartenope Ph Luigi Maffettone

Dear Jack @ Palapartenope Ph Luigi Maffettone

Idoli dei giovanissimi, super trasmessi dalle radio e dai canali musicali italiani, i Dear Jack, scoperti dal “re Mida”della tv, Maria De Filippi, hanno dato il via alla loro prima tournée di concerti  sulla scia del grande successo riscontrato dal debut album intitolato “Domani è un altro film – prima parte”. Dopo la prima infarinatura di Forlì e di Roma, i Dear Jack si sono esibiti in concerto al Teatro Palapartenope di Napoli mandando in visibilio migliaia di giovanissimi/e fans. Vista la brevità del loro percorso artistico, Alessio Bernabei e soci hanno scelto di intervallare i loro inediti con una serie di cover, opportunamente rivisitate. Sorprendente la scelta de “L’anima vola”, grande successo contenuto nell’omonimo ed apprezzatissimo album di Elisa. I Dear Jack spiazzano e destabilizzano il pubblico attraverso continui saliscendi tra generi e rimandi musicali: si va da “Beat it” di Michael Jackson a “Demons” degli Imagine Dragons, da “Wonderwall” degli Oasis a “She will be loved” dei Maroon 5, passando per “Solo” di Baglioni, “Pensiero” dei Pooh, “Arrivederci” dell’indimenticabile Umberto Bindi.

Dear Jack @ Palapartenope Ph Luigi Maffettone

Dear Jack @ Palapartenope Ph Luigi Maffettone

Un puzzle di note e parole che intende rispecchiare i gusti musicali e le influenze del gruppo che, pur essendo molto acerbo, dimostra di possedere una buona dose di carattere e personalità nello scegliere di proporre al pubblico un repertorio variegato e non necessariamente modaiolo. A surriscaldare gli animi del pubblico sono le hits, riproposte anche nei bis, “La pioggia è uno stato d’animo” e “Ricomincio da me”, due brani che, grazie ad una rotazione radiofonica e televisiva davvero incalzante, sono riusciti ad entrare nelle grazie della fascia di ascolto popolare. Guardando i presupposti da cui partono, i Dear Jack sembrano possedere le carte in regola per affermarsi all’interno dello scenario musicale italiano e nulla esclude che possano prossimamente presentarsi sul palco del Festival di Sanremo; se così fosse, sarà interessante capire in che modo essi sceglieranno di proseguire il proprio cammino musicale.

Fotogallery a cura di: Luigi Maffettone

Dear Jack @ Palapartenope Ph Luigi Maffettone

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Intervista a Moni Ovadia: “L’accoglienza dell’altro rappresenta la benedizione per il futuro”.

Moni Ovadia

Moni Ovadia

Il Forum delle Culture ospiterà “Senza confini. Ebrei e zingari”, il nuovo spettacolo dell’attore teatrale, drammaturgo, scrittore e cantante Moni Ovadia, considerato uno dei massimi esponenti della cultura occidentale nel Mondo. All’interno del Festival intitolato “In diverso canto”, in programma alla Mostra d’Oltremare di Napoli, il recital intende rappresentare una preziosa occasione di lotta al razzismo. In questa intervista, Moni Ovadia ha approfondito diversi aspetti legati sia alla sua prestigiosa carriera che alla sua filosofia di pensiero, su tutti la definizione di dignità.

Qualche giorno fa Lei ha tenuto una lectio magistralis presso il Museo della Scienza di Milano sul tema della dignità. Cosa ha spiegato agli studenti che l’hanno ascoltata e con quali parole definirebbe questo concetto tanto delicato?

Ho fatto un discorso articolato cercando di trattare diversi aspetti di una questione che in Italia non è stata dibattuta come, ad esempio, lo è stata in Germania. La definizione a mio parere più sintetica e folgorante appartiene allo scrittore premio Nobel Josè Saramago, che ha scritto questa cosa quando era in prigionia durante la dittatura fascista: “…non ci dicano com’è la dignità perché lo sappiamo già perché,  perfino quando sembrava non fosse altro che una parola, noi comprendevamo che si trattava della pura essenza della libertà nel suo senso più profondo. Quello che ci permette di dire, contro l’evidenza stessa dei fatti, che eravamo prigionieri eppure eravamo liberi”. Sono dunque partito da questa definizione articolando un’argomentazione ampia, una riflessione che si è concentrata sullo statuto dei diritti, soprattutto quelli sociali. In verità la dignità stessa precede i diritti. La dignità è qualcosa che l’essere umano sente prima dello Statuto di legge, lo sente in sé come assoluto, si tratta di una condizione assoluta a cui l’uomo ha di natura i requisiti per accedervi. Nel monoteismo abramitico la dignità si pronuncia con un termine che significa “onore a me stesso”, non a caso questo concetto viene espresso attraverso il fatto che ognuno è formato sull’impronta di Dio, contiene in sé una dimensione assoluta, quindi inviolabile. In Germania, dopo il nazismo, i padri costituenti tedeschi hanno capito e hanno messo la dignità in testa alla costituzione in modo assiomatico: “La dignità umana è intangibile”, “tutti gli organi dello stato devono garantire l’intangibilità della dignità umana”. Quando togli la dignità ad un uomo, lo riduci alla pura sopravvivenza, quindi ammazzarlo diventa solo un dettaglio.

Lei è il protagonista di un corto didattico sul rispetto della natura e lo sviluppo eco-compatibile . Di cosa narra questo lavoro, da chi è stato realizzato, con quali obiettivi e qual è stato il suo ruolo attivo in questo progetto?

Si tratta di un progetto molto divertente, pensato per i più piccoli, in cui interpreto la parte del professor Ottusus. In questo corto si immagina un mondo del futuro in cui non esiste più la natura, cancellata da macchine e bolle piene d’aria, perché ingombrante. Attraverso questo paradosso, Elisa Savi, ideatrice del progetto, mi cala nei panni di Ottusus per spiegare ai bambini l’evoluzione dei fatti. Essi, nella loro freschezza, rimangono stupiti dalla bellezza della natura, ormai concentrata nei musei, come un reperto del passato. Quando, infine, Ottusu fa scoprire loro un posto segreto in cui sono conservate tutte le semenze, essi riescono a rubarne qualcuna per piantare le prime piantine e restituire un futuro alla natura.

Ci parla dello spettacolo “Cabaret Yiddish”e di come esso si è evoluto nel corso degli anni?

Il mio spettacolo si è evoluto naturalmente, acquisendo nuove dinamiche, nuovi musicisti etc…Ora, per esempio, si è aggiunto un musicista rom ed è tornato il primo violinista, a questo aggiungo che il mio modo di raccontare si è arricchito grazie alla gavetta fatta e all’evoluzione del rapporto con il pubblico.  Questo è uno spettacolo che continua ad essere magicamente richiesto ed ha un clamoroso successo che stupisce anche me. Il suo segreto sta nel fascino delle prime forme di espressione teatrale in cui i commedianti arrivavano su un carro e allestivano lo spettacolo con pochi strumenti per raccontare il mondo al pubblico. Io, con questo spettacolo, sono riuscito a portare l’epopea di una grande diaspora al pubblico che, in questo modo, non solo fruisce di uno show divertente con musiche molto commoventi che toccano l’animo, ma si avvicina ad una serie di vicende che hanno segnato la storia del mondo occidentale.

Moni Ovadia

Moni Ovadia

Come e quando ha deciso di dare il via ai reading degli Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini? Qual è il suo rapporto con lo scrittore e poeta e in che modo ne ha interpretato l’opera?

Anche se non ho mai avuto il privilegio di incontrare Pasolini, per me è stato maestro di pensiero, di sapere, di arte. Nessuno ha saputo capire il mondo popolare, le sue immense ricchezze come Pasolini. Oggi non abbiamo nessuno che sia in grado di essere altrettanto lucido; Pasolini non è stato profeta, ha semplicemente capito quello che vedeva e che noi non vedevamo ancora ed io, quando leggo questi gli scritti Corsari, ci trovo sempre un nutrimento e penso che essi vadano letti  nelle scuole per capire. Sono testi ricchi di coraggio, lucidità e pathos come difficilmente è stato riscontrato altrove nella nostra storia nazionale.

Il prossimo 18/10 sarà a Napoli con lo spettacolo intitolato “Senza Confini. Ebrei e Zingari”, un contributo alla battaglia contro ogni razzismo. Ci descriverebbe questo spettacolo e cosa intende trasmettere al pubblico?

Anche questo spettacolo avrà una formula semplice. Ad accompagnarmi ci saranno 4 musicisti rom e 3 italiani, ci sarà una parte ebraica molto breve mentre tuto il resto dello spazio sarà dedicato alla cultura musicale rom e alla tragica e continua discriminazione a cui questo popolo è soggetto. I rom che collaborano con me sono miei amici, fratelli e collaboratori, sono in gran parte rumeni ed incarnano il senso più profondo di questo spettacolo. Il repertorio è vasto quanto le terre che i rom hanno attraversato, non c’è terra d’Europa che non abbiano calcato e trovo giusto parlare di loro per spiegare e condannare le vessazioni di ogni sorta che essi abitualmente subiscono per dimostrare anche che la nostra società non è guarita dalla bestia del razzismo.

Cosa pensa di iniziative come quella del Forum Universale delle Culture?

Iniziative come questa sono di estrema importanza perché o noi riusciremo a costruire l’accoglienza delle alterità, o ci saranno sempre guerre e violenze. Le differenze possono convivere e scambiarsi reciprocamente le rispettive ricchezze. Nel mio paese natìo in Bulgaria tre religioni hanno convissuto ed in 400 anni di convivenza non si è registrata una sola violenza; non è un caso che gli ebrei di Bulgaria sono stati salvati dal popolo bulgaro. L’accoglienza dell’altro rappresenta, dunque, la benedizione per il futuro.

Secondo lei esiste una dimensione artistica in grado di coniugare web-musica-social network e poesia?

Certo, dipende dalle capacità dell’artista…Uno dei più grandi cantori della storia italiana era Enzo Del Re, ascoltare lui cantare era come entrare nel tempo, quasi come se avesse vissuto per 2000 anni. Enzo si accompagnava soltanto con una sedia e questo testimonia che, fin quando la tecnologia non sarà in grado di superare la mente umana, l’arta sarà sempre una prerogativa legata alle singole capacità dell’artista in questione.

Raffaella Sbrescia

Antonio Faraò Quartet in concerto al Blue Note di Milano. Il live report

Antonio Faraò Quartet @ Blue Note

Antonio Faraò Quartet @ Blue Note

Proseguono all’insegna della classe e dell’eleganza gli appuntamenti musicali della nuova stagione del Blue Note a Milano. Lo scorso 15 ottobre il pubblico meneghino ha, infatti, potuto deliziarsi con il concerto dell’Antonio Faraò Quartet. Considerato dalla critica di settore come uno dei più interessanti pianisti jazz dell’ultima generazione, Antonio Faraò nasce in una famiglia dalle radici musicali ben salde. Ad accompagnarlo sul palco il bravissimo e particolarmente ispirato Mauro Negri al sax, il raffinato Marco Ricci al contrabasso e l’effervescente Gene Calderazzo alla batteria. I quattro musicisti hanno ipnotizzato gli spettatori con un concerto di circa due ore passando con disinvolta maestria da brani originali ed estrosi agli immancabili standard, ormai veri e propri ever green di settore.

Antonio Faraò Quartet @ Blue Note

Antonio Faraò Quartet @ Blue Note

Con un’ introduzione timida e sussurrata, il quartetto ha scelto di conquistare il pubblico muovendosi in punta di piedi, creando un vortice emotivo e strumentale realizzato in crescendo. Il ritmo veloce ed implacabile del piano di Faraò costruisce e ricama le strutture dei brani proposti in scaletta con veemente vigoria trovando nel sax di Mauro Negri un valido punto di riferimento. La potenza immaginifica dei brani è tanto forte da catapultare l’immaginario nei più disparati contesti. Si va dai bistrot parigini, ai quartieri di New Orleans. Uno battito di ciglia è più che sufficiente per balzare repentinamente da un luogo all’altro. Pathos, malinconia e romanticismo sono i cardini lungo i quali si muovono le fila strutturali di un concerto pensato per accarezzare l’anima smuovendola dall’interno.

Raffaella Sbrescia

“Snob”, la recensione del nuovo album di Paolo Conte

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 “Snob” è il titolo del nuovo album di Paolo Conte, giunto a distanza di 4 anni dal lavoro precedente e riassuntivo della nuova identità artistica di un cantautore abituato a stupire il proprio pubblico con una personalissima e spesso ermetica dimensione sonora e testuale. A comporre l’album sono quindici brani eterogenei, variopinti, immaginifici e metaforici. La chiave interpretativa di questo lavoro sta nella ricerca di una neanche tanto velata critica al modus vivendi contemporaneo. Sono tante le suggestioni letterarie con cui Paolo Conte spennella note e parole creando speziati connubi semantici. Momenti intimi e raccolti irradiano “Snob” che, sia nei fatti che nelle intenzioni, si presenta come un lavoro elitario e ricercato. Ad aprire le danze è la grinta giocosa di “Si sposa l’Africa”: una terra acerba adornata a festa con monili di legno saluta ed introduce “Donna dal Profumo di caffè”, un brano sornione e sensuale, inebriato da pensieri d’amore e dai vocalizzi dello stesso Conte che, a più riprese, si diletta ad utilizzare la sua stessa voce come un vecchio trombone.

Paolo Conte Ph Alessandro Menegatti

Paolo Conte Ph Alessandro Menegatti

Gli appassionati echi di migranti di “Argentina”, le erre arrotate del dandy che irrompe tra i provinciali della title track “Snob” si accompagnano ai ritmi swing e retrò di “Tropical” contrapponendosi in maniera piuttosto decisa al mood solitario ed intimista di “Fandango”. Surreale è la magica storyline di “Incontro”, riscaldata dal pathos e dall’intensità di “Tutti a casa”: “bimba, tu non sai tutto il freddo che ho nel mio cuore”, canta Paolo Conte, tra respiro che illude e caldi mugolii d’amore. L’imponenza ed il carisma dell’ assolo al sax in “L’uomo specchio”illumina e arrotonda gli spigoli delle tracce più introverse mentre le clessidre del ritmo di “Maracas” lasciano che lo spirito ripiombi in un vortice nostalgico. Piedi, mani, sguardi e anime si incrociano in “Gente” (CSIDN) mentre i sogni e le visioni di “Glamour” prendono nuovamente le distanze dal genere umano con un certo vigore. Originale e controverso il racconto proposto in “Manuale di conversazione”: un camionista peruviano dà un passaggio ad una donna dall’idioma indecifrabile testimoniando un fallimentare tentativo di comunicazione. A chiudere l’album sono le metaforiche “Signorina saponetta” e “Ballerina”, tangibili testimonianze di visioni artistiche eleganti e classicheggianti attraverso cui Paolo Conte si riconferma instancabile esploratore di geografie esistenziali e sentimentali.

Raffaella Sbrescia

Acquista “Snob” su iTunes

Video: ” Tropical”

Queste le prime date del tour:

25 Ottobre 2014 Legnano Teatro Galleria
30 Ottobre 2014 Bologna Teatro Europauditorium
9 Novembre 2014 Munchen(D) Philarmonie
11 Novembre 2014 Barcelona(E) Auditori
20 Novembre 2014 Parma Teatro Regio
27,28,29 Novembre 2014 Milano Conservatorio Verdi
4,5,6 Dicembre 2014 Roma Teatro Sistina
26,27 Gennaio 2015 Paris (F) Le Grand Rex
27,28 Febbraio 2015 Amsterdam Theater Carré
14 March 2015 Frankfurt (D) Alte Oper
16 March 2015 Vienna (A) Konzerthaus
30 March 2015 Genova Teatro Carlo Felice

Intervista agli Strani Giorni: “Portiamo avanti con impegno e leggerezza il nostro piccolo grande sogno”

 

Strani Giorni

Strani Giorni

Gli Strani Giorni compiono dieci anni di attività. Il sound del gruppo strizza l’occhio al rock d’autore e si esprime al massimo in occasione dell’attività live coinvolgendo il pubblico con grande energia. In quest’intervista la band presenta il proprio ultimo lavoro, intitolato “L’invisibile spazio”, raccontandosi ad ampio raggio.

 Ci raccontate, a grandi linee, questi 10 anni di musica e di vita vissuta insieme?
Per raccontare dieci anni di Strani Giorni bisognerebbe scrivere un libro di parecchie pagine. La nostra band è il frutto di una profonda amicizia e nasce con l’idea e la voglia di creare un proprio spazio virtuale dove poter condividere idee ed esprimersi senza nessuna forma di censura, emozioni, pensieri, stati d’animo. Dieci anni indimenticabili di musica condivisa in giro per l’Italia a far concerti e a partecipare a innumerevoli festival con la forza di rimanere sempre uniti e di portare avanti con impegno e leggerezza il nostro piccolo grande sogno. Al nostro attivo abbiamo un Ep  “Strani Giorni” (2008) e due LP  “Un Passo Avanti” (2010) e “L’invisibile spazio” (2014).

Come siete riusciti a ritagliarvi un vostro spazio all’interno della sconfinata realtà musicale romana?
Credendo molto in noi stessi, mettendo passione ed entusiasmo in quello che facciamo; la nostra forza crediamo risieda proprio nel sound, nell’energia, nella semplicità ma soprattutto nell’onestà artistica. Le persone sono esseri molto sensibili e capiscono sempre quando un messaggio viene trasmesso con trasparenza…poi ci vuole volontà, pazienza, coraggio e tanta, tantissima fortuna!

Strani Giorni

Strani Giorni

Qual è la vostra dimensione live ideale?
Diciamo che il live in generale è la nostra dimensione!!! Si tratta sicuramente della parte più eccitante e liberatoria del percorso musicale di una band; ogni concerto è unico e irripetibile, anche quelli che non riescono benissimo ti insegnano tantissime cose che, alla fine, contribuiscono a formare la tua coscienza artistica. Sinceramente non abbiamo preferenze, suoniamo ovunque anche perchè dopo tanti concerti abbiamo capito che la differenza importante non la fa mai il posto nel quale ti esibisci ma la gente presente, attraverso la partecipazione attenta e la contagiosa voglia di divertirsi!

Che differenze ci sono tra “Un passo avanti” e “L’invisibile spazio”?
Con “L’Invisibile Spazio”, rispetto al precedente lavoro, abbiamo assecondato l’esigenza spontanea di rinnovarci, metterci in discussione, sperimentando con grande libertà tutto quello che ci è passato per la testa. Significativo l’inserimento dell’elettronica, del computer e dei sintetizzatori; abbiamo curato con minuziosa attenzione ogni piccolo dettaglio, parole, arrangiamenti, sonorità e grafica senza mai perdere di vista però la naturalezza e l’essenzialità che alla fine sono risultati essere i punti di forza dell’intero album

La vostra è una poesia urbana?
Questa è una domanda alla quale dovete rispondere voi. Amiamo semplicemente raccontare tutto quello che percepiamo intorno a noi in modo diretto, sincero, col nostro linguaggio!

cover cd

Quali tematiche affrontate in questo vostro ultimo lavoro?
“L’invisibile Spazio”, fondamentalmente è un concept album. Tutte le canzoni sono sempre in stretta connessione tra di loro,  alimentandosi in un rapporto di continuità. Ci siamo ispirati al concetto “l’essenziale è invisibile agli occhi”, tema centrale e ricorrente nel meraviglioso e famosissimo libro “Il Piccolo Principe”. I testi affrontano temi come il senso della vita, il significato dell’amore della fede e dell’amicizia…volevamo mettere in evidenza tutte quelle emozioni e cose astratte che non possono essere delineate e definite da uno spazio fisico e visivo ma che allo stesso tempo occupano un posto fondamentale nella nostra vita!

Il singolo intitolato “La speranza” racchiude un messaggio di rivoluzione concretamente realizzabile?
“La Speranza” è il brano che, in assoluto, focalizza e racchiude in sé il concetto di rivoluzione interiore: un inno alla gioia, al cambiamento…un vero e proprio canto di liberazione! La storia ci insegna che le rivoluzioni hanno sempre accompagnato e condizionato la vita degli uomini, noi crediamo che ci saranno ancora tantissime rivoluzioni e si manifesteranno in altrettante evoluzioni, in questo mondo niente è impossibile, “chi vivrà… vedrà!”

 Dove e quando potremo ascoltarvi dal vivo?
È appena iniziato il nostro tour invernale in giro per il nostro bel paese ma potete trovare il calendario delle date completo e sempre aggiornato sul nostro sito ufficiale www.stranigiorni.org o sulla nostra pagina www.facebook.com/ stranigiorniband

Avete altri progetti paralleli di cui vi occupate, anche singolarmente?
Per il momento gli Strani Giorni sono il nostro unico credo. Abbiamo realizzato un album nuovo di zecca che ci emoziona e ci rappresenta a pieno e sinceramente non vediamo l’ora di salire sul palco per trasmettere a più persone possibili tutte le nostre “strane vibrazioni”. Vi aspettiamo, veniteci a trovare e sempre buona musica!

Raffaella  Sbrescia

Acquista “L’invisibile spazio” su iTunes

Video: “La speranza”

DiscoDays 2014: una tredicesima edizione da record

Discodays 2014 ph Luigi Maffettone

Discodays 2014 ph Luigi Maffettone

Grande successo per la tredicesima edizione del DiscoDays, il consueto appuntamento con il disco e con il vinile che, per l’occasione, si è spostato dalla Casa della Musica al vicino e più grande Teatro Palapartenope di Napoli. Oltre centomila dischi in vendita, etichette indipendenti e note realtà operanti nel settore della musica, insieme a decine di  espositori, incontri, presentazioni di nuovi progetti musicali, mostre artistiche e diverse memorabilia hanno incuriosito e soddisfatto migliaia di appassionati di musica e vinili. Condotto, come ormai di consueto, dallo speaker e programmatore musicale Gigio Rosa, il Discodays è stato inaugurato dall’ultimo lavoro discografico dei Pennelli di Vermeer, il concept album “NoiaNoir” (Marotta & Cafiero),  musicalmente trasversale i cui testi denunciano in chiave ironica la speculazione attuata dal “sistema dell’informazione” intorno ai casi di cronaca nera. La presentazione è avvenuta contestualmente a quella del recentissimo album – settembre 2014 - “Dramedy” degli The Shak & Speares (Freak House) band folk-rock, che ha già calcato il main-stage del Neapolis Festival.

DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

Subito dopo l’interessante dibattito incentrato sul tema  “L’evoluzione della musica: prima e dopo internet”, a cura dell’Associazione Nazionale Sociologi,  c’è stata la consegna del Premio DiscoDays  al celebre musicista, cantautore e percussionista italiano Tony Esposito per la sua versatilità ritmica,  perfetto connubio tra world music, etnica, funk e jazz. In occasione del ritiro del premio, l’artista ha presentato in anteprima “Kostabeat!” (Azzurra Music), il lavoro discografico realizzato in collaborazione con il pittore e compositore americano Mark Kostabi.  Altro importante e consueto riconoscimento attribuito in ogni edizione di DiscoDays è il Premio Rete dei Festival, in collaborazione con la principale rete dei festival italiani ed il MEI che, quest’anno, è stato consegnato a JFK e la Sua Bella Bionda. Le live session sono poi proseguite in serata con La Pankina Crew, la band nata e cresciuta nella periferia Est di Napoli e con i Titoli di Coda,  che hanno recentemente pubblicato il debut album “Stanza223″ (Full Heads). Ad arricchire l’ampia offerta proposta al pubblico, la mostra interamente dedicata al Festival della Canzone Napoletana a cura del super esperto Antonio Sciotti, la mostra artistica curata dal pittore rock Alessandro Ferrara, considerato uno dei precursori di una particolare tecnica di pittura sul disco in vinile e la mostra fotografica “Musica a Scatti”, giunta ormai alla sua quarta edizione, vinta dal fotografo Daniele Cambria che sarà il protagonista di una mostra a lui dedicata, in occasione della prossima fiera, il 29 marzo 2015.

Fotogallery a cura di: Luigi Maffettone

DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

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DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

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DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

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DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

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DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

DiscoDays 2014 Ph Luigi Maffettone

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“Interlude”, il nuovo album di Jamie Cullum. La recensione

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Il giovane e talentuoso cantante e compositore jazz Jamie Cullum ha appena pubblicato il suo nuovo album intitolato “Interlude”, un lavoro discografico di notevole qualità e dotato di un particolare spessore. Co-prodotto insieme a Ben Lamdin, un producer che lavora sotto lo pseudonimo di Nostalgia 77, il disco è stato registrato in uno studio di registrazione analogico nel nord di Londra insieme agli stessi musicisti del suddetto studio e al bassista Riaan Vosloo. All’interno delle tracce proposte non ci sono  scelte standard, Jamie Cullum ha, infatti, selezionato brani e composizioni variegate, frutto della sua lunga esperienza in radio e di numerosi e particolari riferimenti musicali. Presenti nel disco anche due duetti di notevole qualità: oltre al vocalist, compositore e vincitore di un Grammy Gregory Porter, che duetta con Cullum nel singolo “Don’t Let Me Be Misunderstood”, in “Interlude”  è presente anche Laura Mvula, in coppia con Jamie nel brano “Good Morning Heartache” . Così come dal vivo, l’artista inglese è, dunque, riuscito ad irrorare le proprie composizioni con eclettica creatività, unendo ballate intense ed intimiste ad allegri e travolgenti beat boxing. In “Interlude” Cullum celebra e mette a nudo tutto quello che ha imparato nel corso degli anni, che lo hanno visto attivamente partecipe di numerosi progetti musicali concepiti da artisti di tutto il mondo. Spontaneo e divertente, “Interlude” è un album che si presta a molteplici ascolti, perfetti per i più disparati contesti. Dalle 12 tracce che compongono la versione tradizionale del disco si percepisce la genuina intenzione di Jamie di lasciarsi trasportare dalla poesia e dall’eleganza della tradizione senza perdere di vista un innovativo contributo contemporaneo. Ad arricchire la versione fisica della deluxe version sono i brani registrati dal vivo durante il Jazz a Vienne Festival.

Jamie Cullum

Jamie Cullum

Nello specifico della tracklist a colpire l’immaginario è la classe e la raffinatezza della title track “Interlude”, seguita dalla carica sensuale di “Don’t you know”. Il ritmo ondulatorio ed i richiami latineggianti di “The Seers Tower” differenziano le sensazioni, offrendo delle sfumature variegate. L’enigmaticità latente del testo di “Walkin’’” diventa arrendevole scioglievolezza all’interno del flusso delle vellutate e morbide note di  “Good morning Heartache”: le voci di Laura Mvula e Jamie si fondono in un irresistibile vortice di passione. Divertente e disinibito lo swing’n jazz della ritmatissima “Sack O’ Woe”. Originale e gradevole, invece, la rivisitazione in chiave jazz di “Don’t let me be misunderstood” (feat. Gregory Porter). Malinconico e struggente il mood di “My one and only love”, uno dei brani più intimi e romantici del disco insieme a “Losing you”. Spassosa e sorniona è “Lovesick Blues”: bando alle ombre e ai pensieri tristi, qui c’è solo da ballare. Decisamente fuori dal coro è “Out of this world”, tra le composizioni più controverse delll’album, che si chiude con la bellissima “Make someone happy”: una dedica d’amore incondizionato. “Love is the answer, someone to love is the answer”, canta Jamie, riempiendo, ancora una volta, il cuore di emozione.

 Raffaella Sbrescia

Acquista “Interlude” su iTunes

Video: “Good Morning Heartache”

Napoli jazz winter festival: ottima la prima con “Palavras do som”

Napoli jazz winter Festival Ph Luigi Maffettone

Napoli jazz winter Festival Ph Luigi Maffettone

Grande successo per il primo atteso appuntamento del Napoli jazz winter festival. Ad inaugurare la nuova edizione della rassegna musicale, diretta e organizzata da Michele Solipano, il concerto tenutosi lo scorso 10 ottobre presso l’Auditorium Salvo D’Acquisto di Napoli, intitolato “Palavras do som”: un’esperienza live che ha riunito sullo stesso palcoscenico quattro grandi artisti di caratura internazionale. Stiamo parlando di Marcio Rangel, chitarrista e compositore brasiliano noto per la sua abilità nel suonare la chitarra con la mano sinistra, Flavio Boltro, considerato uno dei più importanti trombettisti della scena jazz contemporanea, ex componente del sestetto di Michel Petrucciani, Lorenzo Tucci, annoverato tra i batteristi di maggior talento della scena jazzistica nazionale ed europea e Antonello Salis, da oltre quarant’anni protagonista della scena musicale mondiale in quanto uno dei musicisti più originali, creativi ed eclettici del nostro tempo.

Napoli jazz winter Festival Ph Luigi Maffettone

Napoli jazz winter Festival Ph Luigi Maffettone

Il progetto, ideato e creato da Marcio Rangel, consiste in una creazione continua di idee che, congiunte al linguaggio del jazz afro-americano, offrono la possibilità di creare l’incontro tra due mondi musicali senza soluzione di continuità. La bellezza estetica offerta dalla forte e coinvolgente presenza scenica di questo ottimo ensemble, si coniuga alla fertile ricerca sonora e alla naturale tendenza alla contaminazione di suoni e ritmi. Le sonorità potenti nei bassi e negli acuti, sviluppate attraverso originali incroci di accordi, diteggiature, arpeggi hanno, dunque, offerto al pubblico un percorso musicale fresco e vivace, foriero di spunti e riferimenti tutti da riascoltare ed approfondire in un futuro prossimo.

Fotogallery a cura di: Luigi Maffettone

Napoli jazz winter Festival Ph Luigi Maffettone

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Napoli jazz winter Festival Ph Luigi Maffettone

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“In Diverso Canto”: a Napoli suoni, rituali e racconti dal mondo

IN_DIVERSO_CANTO

Tutto pronto per “In Diverso Canto”, la rassegna ideata e diretta da Gigi Di Luca nata dall’esperienza ventennale del festival Ethnos, organizzata da La Bazzarra e presentata dal Forum Universale delle Culture di Napoli e Campania. Suoni, rituali, racconti e danze senza tempo, dall’Africa all’Asia, dal Medio Oriente ai Balcani daranno voce alle tradizioni secolari e storie di lotta, canti autentici e di rivalsa, liturgie sonore e popolari. Sono sette gli spettacoli in programma dal 12 ottobre al 2 novembre nel Villaggio del Forum presso la Mostra d’Oltremare di Napoli, contenitore creato ad hoc per tracciare un ideale percorso stilistico tra musiche, culture e linguaggi apparentemente lontani. Ad inaugurare la rassegna domenica 12 ottobre all’esterno dell’Arena Flegrea (ingresso via Terracina) sarà il New Trio del compositore e pianista cubano Omar Sosa, accompagnato dal pluripremiato trombettista tedesco Joo Kraus e dal percussionista venezuelano Gustavo Ovalles. La musica del combo, sospesa tra jazz, elettronica, etnica e contemporanea, creerà un’atmosfera magica originata dall’esperienza di ciascuno dei musicisti e dall’espressione delle loro differenti radici musicali.

Cuban composer and pianist Omar Sosa.

Il 13 ottobre al Teatro Mediterraneo (ingresso piazzale Tecchio)andrà in scena Al-Kindi, uno dei migliori ensemble di musica classica araba, che accompagnerà le suggestioni dei siriani Dervisci Rotanti di Damasco in uno spettacolo evocativo e ipnotico. Una sintesi perfetta tra ricerca spirituale, danza e canto. Sabato 18 ottobre ritornerà a Napoli Moni Ovadia: il drammaturgo, scrittore e cantastorie originario di Plovdiv con la sua Stage Orchestra presenterà, sempre al Teatro Mediterraneo, il recital “Senza confini. Ebrei e zingari”. Un concerto-spettacolo fatto di racconti e sonorità klezmer, di storie rom, sinti e melodie dell’est Europa. Il giorno seguente Seun Kuti & Egypt 80 porterà sul palco allestito all’esterno dell’Arena Flegrea sonorità tipiche della più ricercata black music, fatta di ritmi incalzanti, new soul, rap, funk e testi battaglieri. Il figlio del Fela Kuti – rivoluzionario musicista e attivista nigeriano, inventore dell’afrobeat – accompagnato dai 12 musicisti della più travolgente macchina ritmica dell’Africa tropicale, presenterà l’ultimo album “A long way to the beginning”.

moni-ovadia

Moni Ovadia

Come il padre, Seun lotta con la musica per l’affermazione del proprio popolo. Lunedì 20 al Teatro Mediterraneo, invece, andrà in scena “Donne d’Oriente”. Un affascinante connubio di danza e musica nel quale Sonia Sabri, accompagnata  da Sutapa Dey e Sarvar Sabri, esplorerà le radici del kathak, una danza tradizionale che unisce elementi hindu e islamici, diffusa nell’India settentrionale tra Uttar Pradesh, Rajasthan e Madhya Pradesh. In apertura, l’esibizione del duo coreano S:um, ovvero Jiha Park (piri, saenghwang, yanggeum) e Jungmin Seo (gayageum). Il 30 ottobre Trilok Gurtu renderà omaggio a Don Cherry col suo nuovo progetto “Spellbound”Ad accompagnare il virtuoso percussionista indiano sul palco del Teatro Mediterraneo ecco Frederik Köster alla tromba, Jonathan Ihlenfeld Cuniado al basso e Tulug Tirpan al pianoforte e tastiere. Gran finale il 2 novembre con un’icona della musica sudafricana e della lotta contro l’apartheid: Hugh Masekela.

Hugh Masekela

Hugh Masekela

Il leggendario trombettista e cantante classe 1939 vincitore di due Grammy Awards, in oltre 50 anni di carriera ha esplorato le melodie tradizionali e i ritmi della sua terra riversando nella sua arte sia i colori del jazz che il pop occidentale, inventando di fatto la world music. Nella sua unica data italiana, al Teatro Mediterraneo, presenterà un live set che racchiude il meglio del suo straordinario percorso artistico che ha segnato la storia del continente nero. “In Diverso Canto” è il progetto che il festival Ethnos ha pensato per il Forum delle Culture’ sottolinea il direttore artistico Gigi Di Luca. Un attraversamento culturale che va dal Sud America al Medio Oriente passando per i Balcani, l’Asia e l’Africa. Un Unico Canto di pace intonato a più voci, con più stili e in differenti religioni. Un diverso canto per un diverso futuro d’integrazione e di unione tra i popoli.

“Il Grande Abarasse”, la recensione del nuovo album di John De Leo

Cover Il Grande Abarasse_media (1)

“Tutto quello che pensiate significhi, è”. Con queste parole l’innovativo compositore e cantautore italiano John De Leo ha presentato, lo scorso 7 ottobre, “Il Grande Abarasse”, il nuovo ed ambizioso album di inediti giunto a sei anni di distanza dall’ultimo progetto discografico dell’artista, su etichetta Carosello Records. In questo concept album, ambientato in un ipotetico condominio, ogni brano descrive un’esplosione improvvisa, corrispondente ad una deflagrazione interiore la cui miccia era già accesa in ognuno dei condomini. Dotato di una personalità vocale duttile e di un’attitudine sperimentale, John De Leo usa la voce come uno strumento innestandola all’interno di composizioni eterogenee, spaziando dal folk popolare, al jazz, al rock, alla musica contemporanea. Nel suo universo sonoro convivono particolari combinazioni: la sua voce dialoga con un ensemble di archi, con chitarre e una sezione fiati di legni. Originale anche la ricerca del suono: spesso gli strumenti o la voce stessa vengono filtrati, manipolati attraverso strumentazioni analogiche, dispositivi per chitarra, live looping sampler, modificati con distorsori giocattolo.

John De Leo

John De Leo

La ricerca di possibili rapporti tra suono e parola si esprime nei versi dei brani, scritti dallo stesso De Leo: allitterazioni, assonanze, dissonanze sconfinano nel neologismo o nell’onomatopea. Testi immaginifici, spesso ironici, esplorano la sfera umana e gli consentono di  raccogliere l’eredità di artisti come Demetrio Stratos, Cathy Berberian e Leon Thomas. L’originalità della ricerca vocale-musicale di De Leo e l’alchimia con cui egli combina musica, arte e letteratura lo rendono un artista unico e riconoscibile, un vero e proprio uomo-orchestra. Ne “Il  Grande Abarasse” si va dalle divagazioni sonore e pensierose di “Io non ha senso”, alle fusa in chiave jazz de “Il gatto persiano”, alle parole impossibili di “Muto (come un pesce rosso), passando per le unioni e i grovigli di corpi “Di noi uno”, la spettrale malinconia di “Primo moto ventoso”, in cui si cerca di combinare il gusto e le sonorità di due compositori come Nino Rota ed Ennio Morricone o brani come “Apocalissi Mantra Blues”, vicino al gospel eppure dotato di una propria identità.

John De Leo

John De Leo

Canzoni come armi di una battaglia ludica e creativa come “La mazurka del Misantropo”, “è già finita/Il cantante Muto” o “50 euro”, intriso di elettronica,  rendono “Il grande Abarasse” una fonte di nutrimento per menti libere e curiose. Uno dei componimenti più particolari del disco è “The Other Side of a Shadow” . Il brano vede la partecipazione del pianista e compositore Uri Caine  e contiene un interessante testo recitato, tratto da “La linea d’ombra” di Conrad, finalizzato alla creazione di un geniale sottotesto tutto da interpretare. Sono tantissimi i riferimenti musicali, letterari, cinematografici che potremmo individuare in questo disco che è ulteriormente arricchito da un ghost album, realizzato con l’Orchestra Filarmonica del Comunale di Bologna. Si tratta di sei tracce che, pur muovendosi in un territorio neutro, completano il mastodontico lavoro di John De Leo delineando ulteriori linee guida, in grado di stimolare un ascolto mai uguale a se stesso.

Raffaella Sbrescia

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