La recensione di “Recess”: Skrillex sfida se stesso.

Skrillex-recess-cover“Recess” è il titolo del primo vero e proprio album di Skrillex, il giovane produttore americano, all’anagrafe Sonny Moore, padre del “brostep”. Questo lavoro si compone di 11 tracce molto diverse tra loro e che, nell’insieme, danno l’idea di un progetto più ballabile e melodico del solito. La trasversalità di “Recess” ha già scatenato detrattori e seguaci del talento losangelino che, in verità, si è concesso diversi momenti meno autoreferenziali e molto apprezzati. Il disco si apre con “All is fair and Brostep” feat. Ragga Twins, un’apertura quanto meno paradigmatica: tutto è concesso in amore e nel brostep; seguita dalla title track “Recess” feat. Kill the Noise e Fatman Scoop: “Fight till up can’t fight, don’t let it stop, make it to the daylight”, cita il testo, in un’iperbole sonora. Killa Graham & Sam Dew accompagnano Skrillex in “Stranger”, una delle tracce che rappresentano le varie declinazioni di genere presenti nel disco. “Try It Out” feat. Alvin Risk è il singolone in auge mentre “Coast is clear” feat. Chance the Rapper è, in assoluto, il brano più commentato in rete: la liricità dell’arrangiamento si discosta parecchio dalle tracce precedenti grazie ad un’inedita formula composta da house, 2-step e soul. Un inaspettato cambio di rotta subito annientato da “Dirty Vibe”, il brano in cui Diplo, assieme a C-Dragon e CL, prende parte ad una infernale sessione di ghetto-tech: “We gon’ celebrate every fucking day, I’m as dirty as they could and there’s only one”, cantano i tre, mentre i Ragga Twins tornano sulle note di “Ragga Bomb”. Skrillex sconfina spesso in altri generi, altrettanto spesso senza un’idea precisa, il risultato è tuttavia gradevole e d’atmosfera ma la mancata ricercatezza nella cura del dettaglio c’è e si sente. Nel disco compare di tutto un po’, a metà strada da tradizione ed avanguardia: si va dalle sonorità miste di “Doompy Poomp” alla futuristica “Fuck That”, scandita da una massiccia serie di “Drop!”. “Tonight I want to forget”, questa l’essenza di “Ease my mind”, remix di Nicki and the Dove, mentre la conclusiva e affascinante aura onirica di “Fire Away” lascia in sospeso una serie di input che Skrillex segnala a se stesso per eventuali, ed auspicabili, sviluppi.

Raffaella Sbrescia

Video: “Ragga Bomb feat. Ragga Twins”

Calibro 35: i “traditori di tutti” sul palco del Duel Beat di Napoli

A New Horizon Ph Luigi Maffettone

A New Horizon Ph Luigi Maffettone

Ogni concerto, una sorpresa… la rassegna Suo.Na, organizzata da Ufficio K, in collaborazione con Bulbartworks e Wasabee, continua a mietere successi: lo scorso 3 aprile è toccato agli scatenati Calibro 35 infiammare il pubblico del Duel Beat di Napoli. Ad aprire il concerto A new horizon. Il gruppo napoletano, eccezionalmente in formazione acustica, ha presentato al pubblico alcuni dei brani inediti contenuti in “Penrose”, l’album di inediti pubblicato poco più di un mese fa. In scaletta “Non è più tempo per noi”, “Più che esistere”, “Radioactive” ( Imagine Dragons), “We just go”, tratto dal precedente album “Go back”, “Vorrei”, “Biblical” (Biffy Clyro) e “Leggera”. Subito dopo il palco si è riempito dell’energia dei Calibro 35.  

Massimo Martellotta alle chitarre e ai lapsteel, Enrico Gabrielli agli organi e ai fiati, Fabio Rondanini alla batteria, Luca Cavina al basso e Tommaso Colliva alla regia sono stati in grado di costruire un vero e proprio marchio di fabbrica. Band di culto dedita a riproporre le più interessanti rivisitazioni delle colonne sonore dei film polizieschi, che hanno decretato la fortuna del cinema italiano anni 70, i Calibro 35 hanno subito imposto un mood molto speciale alla serata.

Calibro 35 Ph Luigi Maffettone A partire da un rock vintage, a tratti prog o jazzato, i Calibro si sono resi protagonisti di una performance scenica e sonora degna delle più rinomate piazze musicali europee. A proposito di Europa, il gruppo è reduce da una massica trasferta oltreconfine che li ha visti al centro di numerosi palcoscenici di elevata connotazione avanguardistica. Criminali, uomini del potere, malavitosi, pericolosi gangsters sono i protagonisti delle composizioni strumentali dei Calibro 35 che, dall’alto del loro repertorio intriso di prestigiosi riferimenti a famose colonne sonore, hanno concesso ampio spazio ai brani originali del loro ultimo lavoro discografico intitolato “Traditori di tutti”, i cui brani si ispirano al romanzo omonimo di Giorgio Scerbanenco.

Calibro 35 Ph Luigi Maffettone

Calibro 35 Ph Luigi Maffettone

Attraverso un continuo saliscendi sonoro, che attinge da personalità estremamente eterogenee e tutte molto forti, i Calibro 35 riescono a trasmettere la propria essenza attraverso un virile scuotimento fisico dello strumento. Il fascino della loro performance riesce a coinvolgere il pubblico rendendo fruibile e fascinosa l’essenza di una musica cruda, truce e sanguinolenta. Non c’è spazio per metabolizzazioni, cucchiaiate di riff e martellanti percussioni vanno giù insieme a dolci sessioni di sax e flauto traverso. Il risultato è un’originale visione estetica del suono, avvincente!

Raffaella Sbrescia

 

Intervista a Gnut: “Prenditi quello che meriti”

cover_prenditiquellochemeritiIl prossimo 22 aprile Claudio Domestico, in arte Gnut, pubblicherà “Prenditi Quello Che Meriti”, il suo terzo album di inediti, edito dall’etichetta torinese INRI. Undici tracce delicate ed intimiste raccontano le avventure e le emozioni di Claudio che, nel corso degli anni, si è dedicato anima e corpo alla musica. Lunghi viaggi, notti insonni, mille progetti e mille sogni hanno dato vita ad un lavoro che intende seguire una direzione diversa dal passato. “Prenditi quello che meriti” racchiude un messaggio preciso, diretto, semplice ma efficace, un invito alla costruzione di se stessi e del proprio destino. A poco meno di un mese dall’uscita del disco, abbiamo sentito Claudio per lasciarci conquistare dal fascino dei segreti e degli aneddoti che hanno dato vita ad un piccolo grande capolavoro.

Perchè ti definiscono uno chansonnier errante?

Più che ad un motivo musicale, questo appellativo è forse dovuto alla vita che faccio, ho vissuto Milano dal 2007 al 2011 e sono due tre anni che mi sposto così velocemente da non avere fissa dimora. Sono napoletano ma quando mi chiedono dove vivo, la mia risposta è “non lo so”.

“Prenditi quello che meriti è, non solo il titolo dell’album, ma anche un monito importante…come lo motivi?

Mi piaceva molto l’idea di un usare un titolo del genere perché ha una valenza sia positiva che negativa: se non sei stato abbastanza bravo da costruirti un futuro che ti piace è anche giusto che tu non riesca a raggiungerlo. D’altro canto, però, se semini bene, raccogli bene altrimenti no. Inoltre penso che quando una persona si costruisce piano piano un suo obiettivo, a prescindere da quale esso sia, il raggiungimento di quest’ultimo rappresenta la più grande soddisfazione che si possa avere. In sintesi si tratta di un consiglio che do sia a me stesso che a tutti coloro che ascolteranno le mie canzoni.

Claudio Domestico Ph Alessandra Finelli

Claudio Domestico Ph Alessandra Finelli

Questo terzo disco nasce dopo una lunga gestazione. Quali sono i retroscena, i pensieri, le intuizioni che si nascondono tra le note di questo lavoro?

Sono canzoni che ho iniziato a scrivere nel 2008, quando ancora stavo registrando l’altro disco. Ho girato tantissimo e ho fatto tante altre cose, colonne sonore, produzioni artistiche, progetti paralleli… si tratta di testi che ho scritto di notte o quando avevo un po’ di tempo per stare da solo, quelle poche volte che non mi trovavo a condividere casa con qualcuno. Terminata la fase della scrittura, ho deciso di registrare andando in giro dai miei amici musicisti: ho registrato i violoncelli e le chitarre acustiche con Mattia Boschi, la sezione fiati nel soggiorno di un altro amico  poi sono sceso di nuovo a Roma  e ho registrato i pianoforti a casa di Fish, altre chitarre a casa di Roberto Angelini. Poi  ho raccolto il tutto e sono andato a Sorrento per rifinire il lavoro. In quell’ occasione riaffiorarono gli incontri, i ricordi, le emozioni, i viaggi… e, ancora oggi, mi emoziona molto riascoltare l’album.

Il tema portante dell’album è il viaggio. Rifacendoci alle parole del singolo “Non è tardi”, si tratta di un viaggio “contro un mondo che non ci risponde”?

I viaggi sintetizzano un po’ tutti gli aspetti della vita: ci sono momenti in cui ti senti capito, altri in cui ti senti solo, momenti in cui il tuo vicino di posto in treno diventa il tuo migliore amico… Si tratta di una sintesi della vita, una buona valvola di sfogo per raccontare il proprio percorso.

Claudio Domestico Ph Alessandra Finelli

Come nascono i featuring presenti nel disco e, in particolare, quello con Giovanni Gulino dei Marta sui Tubi in “Fiume lento”?

Io e Giovanni ci conosciamo da un po’ di anni perché anche lui si è trasferito a Milano intorno al 2005-2006, ci incontravamo alla Casa 139 e sono andato a sentire tante volte i Marta dal vivo. Spesso parlavamo di come sarebbe stato bello fare qualcosa insieme, qualche volta ho aperto qualche loro concerto, Mattia Boschi ha suonato nel mio disco e, anche se a distanza, Giovanni ha seguito l’ evoluzione di questo lavoro. Poi c’era questa canzone” Fiume lento” e una sera ho detto a Giovanni che, secondo me,  questo brano poteva essere quello giusto per cantare insieme e lui ha accettato. A Milano, durante un pomeriggio, abbiamo provato il pezzo, ci siamo emozionati perché ci è piaciuto un sacco. L’intuizione era stata giusta, mi ero immaginato dei cori che lui poteva fare nel secondo ritornello e alla fine è andata più che bene! Dopo le prove ci siamo abbracciati, siamo contenti e adesso non vediamo l’ora di cantarla insieme dal vivo.

“Prenditi quello che meriti e dona a chi merita quello che puoi, dona a chi merita la tua poesia… sono parole forti e dirette…

Per stare in pace con sé stessi , l’unica cosa che si può fare è cercare di realizzare i propri obiettivi guadagnandoseli, con questo brano vorrei cercare di spingere me stesso e chi ascolta ad essere migliore. Non ci sono doppi fini, se hai qualcosa da dare, dallo a chi lo merita… è un meccanismo simile al  karma “prendi e dai”.

Gnut Ph Alessandra Finelli

Gnut Ph Alessandra Finelli

“Nun saccio se è amore o guerra ma ‘o segno resta, ‘o segno resta”, canti nella drammatica “Solo una carezza”, come sei riuscito a rendere per iscritto il dramma di una storia vera?

In realtà si tratta di un brano che ho scritto dopo che mio padre mi raccontò la storia di sua nonna, una storia di fine 800. Questa donna fu costretta sposare un uomo che le aveva fatto violenza per costringerla a sposarlo e, quando mio padre mi raccontò questa storia, un paio di anni fa, rimasi completamente scioccato perché ero cresciuto inconsapevole di una cosa così allucinante. Fortunatamente c’è stato un lieto fine perché quel personaggio cattivo dopo un po’ è morto e lei, in seguito, è riuscita a trovare un altro giovane uomo che l’ha sposata e, insieme, hanno dato vita a mia nonna. La forza di questa donna che ha combattuto per la vita che meritava, il suo percorso, la sua reazione sono un esempio da seguire. Ecco perché dopo il racconto mi sono messo subito a scrivere per poter raccontare la storia nella maniera più lineare possibile. Il risultato è una piccola magia, tutti i parenti si commuovono quando la sentono…

“Foglie di Dagdad” ed “Estate in Dagdad” hanno un segreto in comune… qual è?

Sono sempre stato affascinato dalle accordature aperte ma sono molto pigro e, ogni volta che in passato ho cercato di usare un nuovo tipo di accordatura, dopo un po’ mi annoiavo e non riuscivo a trovare le soluzioni che cercavo. Due estati fa mi è capitato di fare un incidente in macchina e ho avuto dei problemi alla mano per cui non riuscivo a suonare con tutte le dita, potevo usarne solo due,  avevo voglia di suonare ma non sapevo cosa suonare e quindi ho accordato la chitarra in questo modo strano. Grazie all’uso di due dita sono riuscito a comporre “Estate in Dagdad”, me la sono suonata 20-30 volte al giorno perché era l’unica cosa che riuscivo a suonare, la volevo intitolare in un altro modo ma, memore del fatto che sono smemorato, ho scelto di intitolarla “Estate in Dagdad” così, tra dieci anni, se la dovrò risuonare, mi ricorderò dell’accordatura e non avrò problemi dal vivo (ride ndr). Dopo un po’ ho scritto anche “Foglie di Dagdad” e ho scelto di creare questo gioco di parole, guardando la lista dei titoli delle canzoni, mi sono reso conto che Dagdad faceva pensare sia un posto che ad una pianta e quindi ho sorriso pensando alle eventuali interpretazioni delle pubblico. Adesso, però, sto suonando “Estate in Dagdad” con accordatura normale e la chiamo “Estate in accordatura normale”…

“In dimmi cosa resta” ti esponi davvero molto in frasi come ”Guardami negli occhi e dimmi cosa vedi” cosa intendi comunicare in questo brano?

In realtà questa canzone è nata dopo un litigio con una persona a cui tengo molto, cioè mio padre. Ci sono un po’ tutte le cose che ciascuno di noi si sente dire o dice quando ci si scontra con una persona che si ama in un momento di forte rabbia. Si tratta di uno sfogo in cui,  nel ritornello in particolare, si evince che quando due persone si vogliono bene e ci sono dei legami d’affetto profondi, guardarsi negli occhi diventa ancora più importante, soprattutto nei momenti di rabbia. Questa canzone vuole quindi creare proprio un contrasto tra una musica allegra e  solare e questo rinfacciarsi cose cattive…

“Per ogni vittoria, ci sono cento sconfitte”?

Questa è una frase che ho scritto per “Torno”, un brano che ho composto dopo che ero tornato da 14 concerti e  200-300 km percorsi ogni volta… Gli ultimi live erano stati particolarmente avvilenti perché si erano tenuti in contesti poco carini come pizzerie dove parlavano tutti, una cosa allucinante. Dopo tutto questo giro incredibile, ero tornato a casa alle 5 e mezza del mattino, era quasi l’alba, quel momento del giorno in cui ritorna la luce e le notti che sono trascorse ti attraversano gli occhi  e il viso, mi sono guardato allo specchio e sentivo l’esigenza di dovermi sfogare, non stavo bene in quel momento e, mentre scrivevo le parole del testo,  mi sono reso conto che stavo raccontando un milione di ritorni a casa in cui torni deluso o soltanto stanchissimo per tutto quello che stai cercando di dare e non ti è tornato abbastanza. Ho scritto le parole in maniera molto veloce, ho registrato il brano su un piccolo registratore che avevo, si erano ormai fatte le 6.30, non riuscivo più a tenere gli occhi aperti, sono andato a dormire e l’ho messa nello scatolone con le altre canzoni che stavo raccogliendo. Ritrovandola mi ha colpito il fatto che, leggendo il testo, non ho rivisto solo quella notte, ne ho riviste davvero tante altre e quindi mi sono fatto un pò tenerezza nel constatare il tentativo di combattere tutte queste notti e di portare a casa un sorriso e di accettare tutte le sconfitte godendo delle piccole soddisfazioni. Scoprire che le nostre vite si somigliano e che, dopo essermi raccontato, possa trovare delle persone che si ritrovano in quello che ho scritto è una sensazione che mi fa sentire meno solo, si tratta di uno scambio magico e meraviglioso che mi fa alzare la mattina sentendomi felice.

Gnut Ph Alessandra Finelli

Gnut Ph Alessandra Finelli

Facendo un gioco di parole con il testo di “Universi”: Cosa prendi? Come spenderai il tuo tempo? Come ti senti?

Prendo tutto quello che posso e che penso di meritarmi, spenderò il mio tempo come ho fatto fino ad adesso, cercando di esprimere quello che sento quello che vedo, vivendo come ho fatto finora. Oggi mi sento molto bene, ogni tanto stanco, però mi stanco a fare cose che mi piacciono.

In “Passione”, la bellissima reinterpretazione dell’intensa canzone di Libero Bovio, hai creato un particolare passaggio dal temporale al canto degli uccellini…come mai questa scelta?

Si tratta di un discorso molto semplice: quando ho iniziato a registrare non sapevo quanto sarebbe durato il disco e, nel momento in cui ho realizzato che  chiesto in tutto durava 30 minuti, mi sono accorto che era troppo poco tempo e che mi serviva un altro pezzo, quindi ho deciso di fare una cover. Avevo scoperto “Passione” da 3-4 mesi , ero in una fase emotivamente sensibile a quelle parole, a quell’atmosfera, a quella melodia, inoltre era la canzone che suonavo ogni volta che mi trovavo da solo, alle 4-5 di notte mi chiudevo in una stanza e la suonavo, era diventata morbosamente mia. Dunque serviva un altro pezzo per il disco e decisi di inciderla; il fonico, dall’altra stanza, mi disse di chiudere la finestra perché in quel momento stava piovendo, io, invece, gli dissi di posizionare un microfono proprio vicino alla finestra per registrare la pioggia e ho realizzato questa versione chitarra e voce del pezzo. Il problema si presentò, quando, alla fine della canzone, c’era ancora questo temporale in corso e,  considerando che volevo sceglierla come finale del disco, stavolta il mio intento era quello di lasciar emergere un mio lato più solare per cui ho inserito il cinguettìo finale sfumando il temporale.

A che punto è il progetto legato alla realizzazione di un libro per bambini, che vedrà anche la collaborazione di Alessandro Rak?

Un paio di anni fa regalai a mio nipote un tamburo e, mentre eravamo ad un cenone di Natale, lui arrivo da mE e mi disse che aveva scritto una canzone intitolata “Il Pupazzo strapazzato”, poi tornò e mi elenco altri titoli meravigliosi, li segnai tutti sul cellulare e li ho tenuti in bozze per mesi. Dopo un pò mi sono ricordato di avere questi 8 titoli sul cellulare, sono tornato a casa  e mi sono messo a scrivere queste canzoncine durante un’estate di due anni fa. Ho iniziato a registrarle piano piano e infatti non ho ancora finito perché, nel frattempo, ho fatto tante altre cose. Intanto è uscita “L’arte della felicità”,  il film di Rak e lo staff del film ha lavorato pomeriggi interi a queste canzoncine durante la lavorazione del film. Ci siamo organizzati per curare il progetto insieme con delle illustrazioni da abbinare a queste canzoni e piccoli corti animati… vorrei realizzare un libro con tutte le illustrazioni, come quelli con le copertine morbide, organizzare dei concerti per bambini, ma ci vorrà un po’ di tempo perché Rak è impegnatissimo tra vari lavori e anche io…

Che rapporto hai con i Foja?

Sono molto amico di Dario Sansone da 3-4 anni. Ci siamo conosciuti meglio grazie a Gino Fastidio, che è un amico comune, poi ci siamo inventati il progetto Tarall &Wine con dei pezzi in napoletano, su tutti “L’importante è ca staje buono” e, verso la fine di quel periodo, c’erano anche i Foja che dovevano registrare il loro secondo disco. Io venivo da un altro paio di produzioni che avevo fatto tempo prima, si era creato un ottimo rapporto di amicizia, conoscevo bene tutti i membri del gruppo e, in virtù di una stima reciproca molto forte, mi hanno chiesto di rimanere in famiglia e io ho accettato. Ci siamo messi a lavorare per quattro mesi alle loro bellissime canzoni ed è una bella esperienza sia dal punto di vista umano che artistico. Sono molto soddisfatto del risultato e, quando posso, sono ospite ai loro concerti.

Cosa ci anticipi del progetto “Nevermind” in napoletano con Gino Fastidio e Jonathan Maurano?

E’ nato tutto per caso anche questa volta. non vedo l’ora che esca questo progetto perchè è la cosa più divertente che abbia mai fatto in vita mia! In realtà è nato tutto all’Angelo Mai a Roma, che in questo momento sta vivendo un momento molto difficile, l’ si tenevano delle serate a tema intitolate “Long Play”: diversi artisti si esibivano interpretando un disco intero con la scaletta originale e mi hanno chiesto di partecipare al progetto. Il fatto è che io sono molto pigro nello studio dei pezzi degli altri: o mi viene come passione o diventa solo studio. Da ragazzino suonavo i Nirvana con Gino Fastidio e gli ho chiesto di rifare “Nevermind”. Lui è stato molto contento e, durante le prove, ci siamo molto divertiti perché lui si inventava delle cose che facevano davvero ridere e mi è venuto in mente che a Napoli, durante gli anni 70 /80, c’erano gli Shampoo, un gruppo che interpretava i pezzi dei Beatles in napoletano, per cui  e ho pensato che, in omaggio a questo gruppo, potevamo chiamarci i Balsamo… ognuno di noi ha un alter ego, io, per esempio, suono il basso…

In conclusione, tra Tarall &Wine, le mie serate, i Balsamo e i pezzi per bambini la mia vita è molto piena. Il percorso per sentirsi arrivati è ancora lungo ma, forse, è meglio non sentirsi mai arrivati perché altrimenti ti spegni e non hai più voglia di fare le cose.

Raffaella Sbrescia

Si ringraziano Claudio Domestico e Stefano Di Mario di Metratron per la disponibilità

Video: “Passione”

Discodays: Guido Harari, una mostra sui Queen e musica live tra migliaia di dischi

Guido Harari

Guido Harari

DiscoDays, la Fiera del Disco e della Musica, giunge alla XII edizione con un nuovo atteso appuntamento previsto per domenica 6 aprile,  dalle 10.30 alle 21.00 (ingresso 4,00 euro gratis sino a 18 anni) presso il  Palapartenope di Napoli, in via Barbagallo. Il format del team guidato da Nicola Iuppariello rimane consolidato senza, tuttavia, rinunciare a nuovi spunti creativi.  Punto di riferimento per appassionati e cultori della musica di tutto il mondo, la fiera offrirà come di consueto numerose rarità: vinili made in UK, edizioni giapponesi, Ep dei Beatles autografati. Ad arricchire la preziosa giornata numerosi eventi organizzati ad hoc.

Tra tutti, spicca la premiazione di  Guido Harari, riconosciuto come uno degli autori più significativi nel campo del ritratto fotografico. L’artista dell’obiettivo riceverà il Premio DiscoDays «Fotografia per la Musica» ed incontrerà il pubblico presente raccontando aneddoti legati alle leggendarie storie impresse nei suoi storici scatti.

La Maschera

La Maschera

DiscoDays è da molti anni anche occasione di visibilità per numerosi gruppi. In occasione della dodicesima edizione sarà La Maschera a ricevere il Premio Rete dei Festival e a presentare il proprio progetto anche al M.E.I. – Meeting degli Indipendenti, l’evento che si terrà a Faenza tra il 26 e il 28 Settembre 2014. Grazie alla partnership con Godfather Studio, il gruppo potrà anche incidere un brano in analogico su un ATR 24tracce. Sul palco del Discodays quest’anno ci saranno anche altre interessanti realtà musicali come The Burlesque e Dreamway Tales, Massimo Bevilacqua e i True Blues Band.

Queen_Museum_ExhibitionPer concludere, la Fiera del Disco e della Musica sarà anche la sede di una mostra esclusiva dedicata ai Queen a cura di QueenMuseum.com, tra i maggiori siti mondiali di riferimento per gli appassionati del gruppo inglese: dischi rari, edizioni ricercate, pezzi unici come dischi d’oro, lettere, foto da collezione, riviste d’epoca, poster, biglietti, volantini dei concerti ripercorreranno la storia del leggendario gruppo rock. In questa edizione ci sarà anche lo speciale contributo di Ferdinando Frega, che da oltre 25 anni colleziona oggetti unici provenienti da ogni parte del mondo e collabora a pubblicazioni internazionali su riviste specializzate.

A completare il ricchissimo parterre, la mostra fotografica di Valeria Bissacco, intitolata “Musica in Faccia”. Vincitrice della scorsa edizione del concorso nazionale di fotografia indetto da DiscoDays “Musica a Scatti”, l’artista proporrà un percorso fotografico incentrato sull’emozione che si legge sulle facce dei musicisti.

Per tutte le info sul programma consultare il sito discodays.it

Raffaella Sbrescia

 

Monaci del Surf II: Que viva la fiesta dei luchadores mascherati!

MONACI DEL SURF COVER“Monaci del Surf  II” è il titolo del nuovo lavoro discografico degli omonimi luchadores mascherati, firmato INRI e pubblicato lo scorso 25 marzo con distribuzione Believe. Il disco si compone di 15 tracce assolutamente eterogenee tra loro. Si tratta, per lo più, di personalissime rivisitazione di brani piuttosto noti al pubblico italiano in cui il massiccio intervento sonoro dei Monaci del Surf esercita un ruolo demiurgico. Mattia “Mat” Martino (il Cobra), basso e voce,  Eugenio “Gege” Odasso (il Tigre), chitarra e voce, Claudio “Metal” De Marco (il Panda), batteria,  Fabrizio “Nikki” Lavoro (il Toro), chitarra,  animano un travolgente surf party, in grado di divertire e coinvolgere anche l’invitato più spocchioso possibile.

L’intro dell’album comincia esattamente da dove era finito il primo disco, con il finale di “I want you” dei Beatles e gli organi psichedelici suonati da Davide Cuccu. “Yakety Sax” riprende la celebre sigla del programma televisivo “The Benny Hill Show” con una versione leggermente meno veloce dell’originale. Molto insolita è la scelta di inserire “Il pranzo è servito” di Augusto Martelli, sigla dell’omonimo quiz televisivo condotto da Corrado Mantoni nell’ormai lontano 1982. Il primo e unico inedito del disco è “Que viva la fiesta!”, il brano è subito diventato l’ ”inno” della cosiddetta Cuervolución, la nuova campagna della Tequila José Cuervo che vedrà i Monaci del Surf protagonisti di un tour promozionale nei principali locali italiani. Una sfida a colpi di riff, impossibile resistere al ritmo energico e goliardico di un brano che lascia ampio spazio al potenziale creativo del gruppo.

La festa sonora continua sulle note africane di “Day-O” (The Banana Boat Song) con l’ottima performance canora del Tigre. Molto energica è anche la versione di “The Locomotion”, uno dei brani più reinterpretati di Gerry Goffin e Carole King. Decisamente più cupi i toni di “Can’t get you out of my head” e di “Sweet Dreams” (Are made of this). I Monaci del Surf non disdegnano un massiccio utilizzo dell’elettronica raggiungendo risultati spesso insoliti ed originali. Il loro contributo si riveste, dunque, di personalità senza mai relegare nulla alla ben nota fama dei brani presenti in tracklist. Spazio anche a “Stadium”, la famosa sigla del programma sportivo  Domenica sprint che, nella versione dei Monaci, parte dalle telecronache di Pizzul per poi evolversi in un crescendo di percussioni. “Monaci del Surf II” è un calderone musicale in cui si possono trovare chicche come “Sway” (Quien Sera), un mambo beat del 1953 scritto dal messicano Pablo Beltrán Ruiz, Il Tetris theme di “Korobeiniki” e la hit da discoteca “Better off  Alone”, il tutto artigianalmente rivestito di potenti riff. Bellissima è la versione di “Teach me tiger” arricchita dalla calda e coinvolgente vocalità di Levante: notevole.

Il party si avvia alla chiusura con “Have love will travel” muovendosi tra atmosfere surf, blues e grunge e la voce del Toro. L’ultima traccia è “Senza fine” di Gino Paoli. Letteralmente infinita è questa lunghissima versione del brano, della durata di 35 minuti e qualche secondo, registrato  in un’unica take semi improvvisata in presa diretta. Questa traccia include l’intervento strumentale di numerosi musicisti torinesi e milanesi che hanno voluto esprimere, con la propria interpretazione, il senso di  questa bellissima canzone d’amore. Paolo Parpaglione, Mario Congiu, Gianluca “Cato” Senatore, Enrico Allavena, Lord Theremin, Stefano “Piri” Colosimo, Giovanni Maggiore, Fabio Merigo, Matteo Pozzi, Alberto Bianco, Ivan Bert, Matteo Rista, Miriam Gallea e Chris Lavoro accompagnano i Monaci del Surf lungo una session molto speciale: stremati da tanta energia, come fossimo davvero alla fine di un mega party, a noi ascoltatori non rimane che sdraiarci in un angolo della nostra vita mentre lasciamo scorrere nella nostra mente una serie infinita di immagini, suggestioni e pensieri. Fiati, percussioni, chitarre acustiche, elettriche, fischi, sonorità aliene ed elettroniche lasciano lo spazio ad un nuovo giorno tra il richiamo alla vita di un gallo ed un orientaleggiante gong finale.

Raffaella Sbrescia

Video: Que Viva la fiesta!

Bruno Bavota racconta “The Secret of the Sea”. L’intervista

Bruno Bavota

Bruno Bavota

Bruno Bavota è un pianista, chitarrista e compositore napoletano. “Il pozzo d’Amor”, “La casa sulla luna” e “The secret of the Sea”, in uscita il prossimo 21 aprile, per l’etichetta discografica irlandese Psychonavigation Records, sono i titoli dei suoi lavori discografici. «La musica ogni giorno mi abbraccia e mi salva da ogni povertà…soprattutto da quella più grande, quella dell’anima», sostiene il giovane e appassionato Bruno che, avvicinatosi alle note e agli strumenti all’età di vent’anni, è riuscito a trovare un sentiero che lo porterà davvero molto lontano nel mondo della musica. Reduce dal concerto sold-out che ha tenuto in Russia, per l’inaugurazione della Philarmonic of new musical art, lo scorso 30 marzo, Bruno ha aperto le porte del suo cuore per aiutarci a capire fino in fondo le evoluzioni stilistiche che hanno determinato la felice creazione di “The Secret of the Sea”.

La musica è una fedele compagna delle tue emozioni giornaliere. Come si è evoluto nel tempo il tuo rapporto quotidiano con le note? Cosa ti aspetti dalla musica e cosa le dai tu, a tua volta?

La musica mi ha  semplicemente salvato la vita, per cui l’unica cosa che posso fare è esserle grato e cercare di darle il mio piccolo contributo. In realtà essa è arrivata molto tardi nella mia vita, avevo vent’anni, uscivo da una storia d’amore importante e cominciai a suonare la chitarra mancina di mio fratello  per colmare un vuoto, solo in seguito scoprii il pianoforte e mi sentii finalmente completo. La musica per me è un abbraccio continuo e spero di poter continuare questo viaggio d’amore ad un certo livello.

“Il pozzo d’amor”, “La casa sulla luna” e “The Secret of The Sea” sono i titoli dei tuoi dischi. Cosa rappresenta per te ciascuno di questi lavori?

Amore, luna e mare sono gli elementi centrali. Il primo album è nato per caso, ho composto i brani nel giro di qualche mese, pur registrandoli in modo professionale in uno studio. Non sapevo cosa fosse un comunicato stampa,  cosa significasse inviare materiali in giro, eppure cominciai a farlo, anche un maniera  un po’ rozza, fino a quando, grazie ad Internet, mi scoprirono due ragazzi, oggi miei amici stretti, che mi fecero fare dei concerti a Palermo, quella fu la mia prima uscita ufficiale, suonavo il piano da nemmeno un anno e si trattò di un’emozione davvero molto forte. In seguito ho scritto nuovi brani e nel secondo disco ho cercato di dare qualcosa in più, collaborando con una valida etichetta, la Lizard. In questa occasione ho ricevuto tantissimi riscontri positivi, al punto da essere scelto per suonare alla Royal Albert Hall. Questo ha sicuramente rappresentato un punto di svolta per me, mi ha fatto capire di volerci provare fino in fondo. Ho iniziato questo viaggio insieme ad un giornalista e mio caro amico, Alessandro Savoia, che  mi fa da manager e mi supporta. Con il secondo disco ho iniziato a pensare in grande, l’ho inviato a tutti e pian piano sono riuscito ad inserirmi nel roster della Tourpartout, l’agenzia di booking che lavora con artisti che fanno il mio genere musicale. Quando poi sono riuscito ad ottenere il contratto con Felix, l’agente dei miei artisti preferiti e del mio gruppo preferito, ho pensato di stare al centro di un sogno. A partire dal quel momento, ho cominciato a pensare al nuovo disco, volevo fare qualcosa di completamente differente dagli altri due.

Dove e come nasce “The Secret of the Sea”?

Per questo disco avevo in testa i retaggi sonori dei Sigur Rós e la voglia di creare una musica eterea, fino a quando non ho trovato degli strumenti in grado di riprodurre queste sonorità, il delay e il  riverbero, che mi hanno dato il suono che volevo. “The Secret of the Sea” è il disco più luminoso dei tre e il cardine principale è sempre la speranza. Il titolo nasce da un legame molto forte che ho con Napoli. Quando mi dicono di andarmene, io dico di no, non me ne voglio andare, io amo troppo questa città! Quando scendo in bici, in 10 minuti sono al mare e penso che questo sia impagabile. Il mare mi dà un’idea di libertà e non posso stare senza. Spesso ci vado anche alle 22.30 di sera, mi piace stare di fronte al mare, mi fa sentire pieno… se ci pensiamo il mare è qualcosa che sta sulla terra ma è la cosa meno umana che ci sia.

L’immagine delle onde che fanno l’amore con la luna è quanto di più sensuale possa esserci in questo album… come sei riuscito a trovare l’ispirazione per trasformare tutto questo in note?

Ho sempre pensato che una delle cose più belle sia l’influenza della luna sul mare e sulle maree… Questi elementi si attirano a vicenda e, in questo senso, stanno insieme, creando un tutt’uno, soltanto noi esseri umani siamo fuori posto. Quando penso alle stelle, alla luna, al sole non posso fare a meno di chiedermi  il perché dei loro movimenti e ne resto affascinato. Nei miei lavori parlo soprattutto di luoghi: “Il pozzo d’amor” rispecchia un mio triste momento amoroso, un pozzo vuoto da colmare, “La casa sulla luna” è un altro luogo – non luogo, una casa per continuare a sognare, dove pensare a me e a quello che c’è sulla terra. In “The Secret of the Sea” c’è un ritorno sulla terra, anche se non ancora definitivo, si tratta di un tentativo di avvicinamento…

The secret of the Sea

E la copertina del disco?

Devo ringraziare Luca Scognamiglio che, ogni volta, realizza delle copertine- capolavoro. La foto è stata scattata ad Sant’Angelo d’Ischia, dove c’è un mare bellissimo. L’ombrello che ho in mano rappresenta sia una protezione che una possibile scappatoia, oltre che un enigmatico gioco vedo-non vedo.

Come hai pensato ai complessi titoli delle tue composizioni?

Prima compongo i brani e poi penso a come titolarli. In questo caso ci sono due brani che sono molto legati alla letteratura: il primo è  “Les nuits blanches”, ispirato all’omonimo libro di Dostoevskij, l’altro è “Plasson” che si rifà a  “Oceano Mare” il libro di Alessandro Baricco. Plasson è un pittore che prova a dipingere il mare usando esclusivamente acqua marina e finisce per raffigurare vedute oceaniche su tele che restano ostinatamente bianche. Poi c’è “You and me”, un dialogo tra me e il mare, “The Man Who Chosed The Sea” un brano che finisce in dissolvenza, un never ending, un sogno inafferrabile. “Hidden lights through smoky clouds” è il frutto della scelta di un mio caro amico, Domenico, che, in ogni mio lavoro, ha il compito di scegliere il nome di un brano. La composizione che sento più mia è “If only my heart were wide like the Sea”: il brano dura un minuto e 58 secondi eppure credo che, in un così breve tempo, esso riesca a racchiudere tutto quello che volevo dire. Il momento più intimo arriva con “Constellations”, un’ apertura tra cielo e stelle. Poi ci sono brani un pò più cupi sul finale come  “The boy and the whale”, in cui ho sentito l’esigenza di inserire il suono selvaggio delle onde uggiose del mare di Mergellina. La title track “The Secret of the Sea” è un brano inquieto, il segreto del mare forse sono io stesso, un essere umano e il mare che trovano un punto di connessione…

Che rapporto c’è, secondo te, tra la luce e il mare?

Quando vado vicino al mare mi sento completo, tutti dovrebbero poter aver dei momenti in cui rimanere da soli con se stessi…Penso che ci si possa fidare del mare ma la luce la si può trovare lo stesso dentro di sé.

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Bruno Bavota

Continua ancora il percorso parallelo con gli Adaily Song?

In realtà sono molto preso dal mio progetto personale ma è anche vero che purtroppo non vedo un futuro per la musica italiana! C’è una lotta continua per cercare serate, per provare a suonare,i gestori dei locali non pagano o non vogliono pagare. Per questi ed altri motivi sto provando ad esportare la mia musica… Con Psychonavigation, un’etichetta discografica irlandese, ho scoperto che esiste tutto un mondo legato al mio genere musicale, ci sono etichette che lavorano ancora con le redazioni, io e Keith Downey ci sentiamo tutti i giorni via mail, insieme lavoriamo a questo sogno e mi sento molto coccolato…sì,  è proprio un altro mondo!

Quali sono gli altri tuoi contatti più importanti all’estero?

Dopo l’esibizione alla Royal Albert Hall di Londra, ho ricevuto il Premio Speciale Cultura Albatros 2013, poi partecipai all’edizione di Piano City Milano e cominciai a contattare gli agenti degli artisti che mi piacevano… Fui vicino a concretizzare l’apertura dei live di Olafur Arnalds ma i tempi erano troppo stretti, nel frattempo sono entrato in contatto con Felix, che ora è il mio agente. Certo, ci è voluto un po’ ma l’ho aggiornato costantemente delle cose che facevo  fino a quando, lo scorso ottobre, egli mi scrisse una mail in cui mi diceva di voler essere il mio agente, quella notte non chiusi occhio per la gioia!

Non rimane che augurarti in bocca al lupo!

Crepi il lupo! Vi aspetto il 29 aprile alla Libreria del Cinema a Roma!

Raffaella Sbrescia

Si ringrazia Bruno Bavota per la disponibilità

Nicola Piovani dal pianoforte al libro in “La musica è pericolosa”: la recensione

Nicola Piovani“La musica è pericolosa” è il titolo del libro scritto da Nicola Piovani, edito da Rizzoli nella collana Saggi Italiani. Il titolo del volume si ispira ae una frase di Federico Fellini, l’indimenticabile regista con cui Piovani, musicista, compositore, direttore d’orchestra, creatore di musica “d’avanguardia e di retroguardia” ha collaborato per diverso tempo. Ad unire queste due speciali personalità una rara amicizia e una profonda sintonia spirituale, raggiunta attraverso l’irresistibile e reciproca attrazione nei confronti della musica.

Proprio la musica, scrive Piovani, agisce ad un livello profondo e inconscio e, attraverso, la fedele narrazione di idee, pensieri e impressioni personali, l’artista ci porta per mano nella sua vita, ci lascia affacciare alla finestra della sua anima per scoprire aneddoti, incontri, esperienze, momenti di vita vissuta e  conoscere le persone, i fatti, i momenti che lo hanno ispirato. Privo di orpelli, appellativi ed onorificenze Piovani racconta se stesso presentandosi innanzitutto come un appassionato e attentissimo amatore della musica, nei cui riguardi invoca amore e rispetto: “La musica merita rispetto, che si chiami leggera o pesante, colta o commerciale. Usarla come uno zerbino sonoro mi ricorda quei milionari texani cafoni che hanno la Gioconda stampata sugli asciugamani, il macinapepe a forma di Tour Eiffel e Albinoni in sottofondo”.

E poi, ancora, “ tanti e diversi sono i modi di frequentare la musica, tante e diverse le ragioni che ci inducono a frequentarla”, scrive Piovani, “una grandissima parte delle musiche che ascolto con attenzione silenziosa, è stata concepita all’origine per espletare una funzione. Il livello espressivo di una musica non è strettamente legato alla nobiltà dell’occasione che l’ha vista nascere”.  Lo sa bene lui che ha composto tante musiche, ormai celeberrime, ispirate anche dalla sua infanzia, come “La banda del pinzimonio” composta per Benigni, la combinazione mi-fa-sol de “Il bombarolo”, scritta per De André, o la canzone “Quanto t’ho amato”, scritta con l’amico Vincenzo Cerami, al fianco del quale ha lavorato per tanti anni. Lui che, nel suo libro, ricorda com’è cambiata la sua vita con l’arrivo in casa della rivoluzionaria Lesaphon Perla, la fonovaligia acquistata per le feste di suo fratello e su cui lui ascoltava insaziabilmente Bach e Beethoven per studiarne ogni singolo dettaglio.  “La musica che mi seduce è quella che sa sorprendermi e arriva spesso da zone diverse da quelle che mi aspetto, quando meno me l’aspetto”,  spiega Nicola, che aggiunge,“ chi non sa stare al tempo, prego andare”, cantava Enzo Jannacci, chi va fuori tempo a volte si crede un artista trasgressivo ma spesso è solo un somaro”.

Attento ai dettagli e alla cura artigianale della costruzione del suono, Piovani dedica anche un’ampia critica al teatro lirico contemporaneo: dal volgare stravolgimento dei grandi classici, all’introduzione dei microfoni a teatro, definiti “viagra della virilità vocale”. Piovani si scaglia contro l’utilizzo delle nuove tecnologie a teatro che rischiano di uccidere l’essenza e l’anima del linguaggio teatrale criticando l’opulenza invasiva della tecnologia. Lui che si è sempre inoltrato come uno sprovveduto esploratore in zone distanti per scoprirne il lessico e le retoriche, detesta la musica passiva, la cosiddetta “musica da parati”, quella musica banale, “di sottofondo”, priva di idee o spunti di riflessione, che spesso accompagna le azioni di ogni giorno, nei luoghi pubblici, in albergo o persino al supermercato e che ci viene proposta per scampare all’abominevole condanna dell’anonimato.

“Le canzoni vivono nell’aria, vengono respirate anche da chi non ci fa attenzione. Le canzoni attraversano la vita dei nostri giorni, delle nostre città, delle nostre intimità, se ne infischiano della critica. Il segno che una canzone lascia nel suo tempo è qualcosa che sfugge all’analisi critica, è qualcosa di imprevedibile, “una delle testimonianze più irrazionali e convincenti dell’essenza del soprannaturale”, per dirla alla Piovani.

Raffaella Sbrescia

Enrico Rava e Andrea Pozza ci mostrano “certi angoli segreti” del jazz

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Enrico Rava e Andrea Pozza Ph. Luigi Maffettone

Si è tenuto lo scorso 29 marzo, presso l’Auditorium Salvo D’Acquisto di Napoli, il terzo ed ultimo concerto previsto dalla rassegna  “I Colori del Jazz”, prodotta dal Live Tones. Protagonisti del palcoscenico il celeberrimo Enrico Rava alla tromba e Andrea Pozza al pianoforte, due veri e propri fuoriclasse che, insieme, hanno conquistato l’affollata platea partenopea.

Partendo dal presupposto che si sta parlando di musicisti di fama internazionale, straordinariamente preparati dal punto di vista accademico, l’aspetto che, più di altri, rimane impresso è sicuramente quello legato alle speciali doti interpretative con cui i due artisti sono riusciti a trasformare toni e significati di ciascun brano. Risulterebbe superfluo sottolineare gli innumerevoli successi ed il consenso mondiale che Enrico Rava ha saputo conquistarsi nel corso di una carriera a dir poco stellare perché, anche chi  non ascolta jazz abitualmente e non conosce il grande repertorio da cui egli è solito attingere materiali e ispirazioni, sa rendersi perfettamente conto che il suono della sua tromba è un richiamo ancestrale alla bellezza.

Enrico Rava e Andrea Pozza Ph. Luigi Maffettone

Enrico Rava e Andrea Pozza Ph. Luigi Maffettone

Rava e Pozza hanno spaziato tra  melodie e brani tratti dalla miglior tradizione jazzistica, dagli standards più antichi, tratti dal repertorio di Miles Davis e Chet Baker, a qualche incursione nella musica brasiliana di Jobim fino a brani composti dallo stesso Rava; il tutto elaborato in maniera originale ed estemporanea. Il tocco delle dita di Enrico Rava assume la fisicità di una ritualità inquieta, pronta a stravolgere suoni e pensieri. Elegante e consapevole, l’andatura del suo suono rappresenta un monito algido e austero in grado di trasformarsi, da un momento all’altro, lasciando che le increspature strumentali di Andrea Pozza s’intersechino come temibili cavalloni all’interno della melodia.

Enrico Rava Ph. Luigi Maffettone

Enrico Rava Ph. Luigi Maffettone

Enrico e Andrea hanno saputo lasciarsi andare ad un giocoso scambio di intro e out, prima sulle note di uno standard americano, poi su volteggi di “Certi angoli segreti”. Il brano di Rava rappresenta una ricerca strumentale verace e vorace in cui il pianoforte rimane coinvolto in un’affannoso gioco amoroso; un continuo rincorrersi e ritrovarsi dedicato a Nino Rota.

 Andrea Pozza Ph. Luigi Maffettone

Andrea Pozza Ph. Luigi Maffettone

Sulle note di “Retrato em braco e Preto”, Rava e Pozza ripercorrono la costruzione del suono, segmento per segmento, niente è lasciato al caso eppure una grossa percentuale di quello che abbiamo sentito è soprattutto frutto della personalità dei musicisti in questione. Questa è, forse, una delle caratteristiche più affascinanti del jazz: si passa da un’energia frizzante, “malupina” e beffarda alla cupa drammaticità  di un soffio finale nella tromba. Il lirismo e le infinite capacità improvvisative di Rava trovano terreno fertile nella padronanza che Andrea Pozza ha del pianoforte, insieme viaggiano nel tempo e tra i generi musicali, vanno da “Cheek to Cheek” alla bossanova e in questo viaggio c’è tanto spazio anche per il pubblico che, su invito di Rava, si lascia coinvolgere in una corale esperienza di compartecipazione che, insieme all’ultimo bis, ha segnato la conclusione di una serata davvero speciale.

Raffaella Sbrescia

Perturbazione live a Napoli tra fiumi di note e sudore

Perturbazione live@ Duel Beat

Perturbazione live@ Duel Beat

La macchina sforna note del Suo.Na continua a mietere successi. Ultimo, in ordine di tempo, il concerto dei Perturbazione, tenutosi lo scorso 27 marzo presso la Sala 1 del Duel Beat di Agnano. La band made in Rivoli, provincia di Torino, è approdata a Napoli, caricata a molla, per una serata fatta di canzoni cantate a squarciagola e di fiumi di sudore. Ad inaugurare l’evento il sofisticato djset di Irene Ferrara, regina della movida partenopea, e i Borderline che hanno eseguito brani inediti, voce e chitarra, per dare spazio a urlate riflessioni esistenziali. Cinque brani che lasciano intendere l’esistenza di una gioventù ancora attenta a ciò che smuove il mondo che ci circonda… da approfondire.

Alle 23.30 salgono sul palco i beniamini della serata: Tommaso Cerasuolo (voce), Gigi Giancursi (chitarra), Elena Diana (violoncello), Cristiano Lo Mele (chitarra), Rossano Antonio Lo Mele (batteria), Alex Baracco (basso) si lasciano subito travolgere dal gran calore con cui il pubblico di Napoli li accoglie. L’elettronica la fa da padrona in “Musica X”, primo brano in scaletta, seguito da “Se mi scrivi” e dalla fresca e coinvolgente “Diversi dal resto”. I Perturbazione rappresentano uno dei frutti migliori che il sottobosco della musica italiana ci propone, ascoltarli dal vivo è una gioia per gli occhi e per le orecchie.

Allegra è anche “Buongiorno Buonafortuna”, un po’ meno il testo de “Il senso della vite”: “Col senso della vite vai incontro a frustrazioni, non trovi il verso giusto  è come scrivere canzoni”, cantano i Perturbazione, che hanno un’idea molto chiara di cosa significhino le parole sacrificio e passione. La musica della band piemontese è fresca, è carica, è, in una parola, bella. I testi riescono ad offrire una chiave di lettura diversa della quotidianità e questo rappresenta un importante punto a favore dei Perturbazione che non si risparmiano nemmeno per un momento.

Perturbazione live

Perturbazione live

La scaletta continua sulle note del brano sanremese “L’Italia vista dal bar”: “questi siamo noi, poeti, santi ed avventori e mediamente eroi”, dice il testo della canzone, dipingendo un fedele ritratto del popolo italiano. “Se l’amore è un gioco quali regole ti dai?” , questo il leit motiv di “Battiti per minuto”, uno dei brani più apprezzati dal pubblico, seguito dal ritmo travolgente di “Questa è Sparta” e dall’arrangiamento romantico di “Baci vietati”. “Mondo tempesta” lascia che l’elegante ed irrinunciabile fascino del violoncello di Elena Diana  regali un’aura speciale al brano. “Non è la fatica è lo spreco che mi fa imbestialire, non è la fatica è lo spreco”, canta Tommaso in “Del nostro tempo rubato”. Lo spettacolo non conosce intervalli, i Perturbazione proseguono implacabili con la loro super scaletta. Subito dopo “La vita davanti” arriva “L’Unica”, il brano che ha riscosso un grande successo durante l’ultima edizione del Festival di Sanremo e che ha letteralmente fatto scatenare tutti i presenti. Al sopraggiungere dei bis c’è spazio per “Chiticapisce”,  l’intima magia di “Agosto” e “Nel mio scrigno” per non lasciare niente in sospeso in un  live di ineccepibile qualità.

Raffaella Sbrescia

Intervista ai Blein: “Abbiamo tanta voglia di metterci in gioco!”

BLEIN COVER ALBUM (2)Tony Gargiulo(chitarra e voce), i fratelli Francesco Papalini (chitarra e voce) e Simone Papalini (basso e voce) e Gabriele Panariello sono i Blein. All’interno della band di Perugia ciascun membro è cantante,  musicista e leader. Forti di un percorso umano e artistico in stretta sinergia,  i Blein hanno pubblicato il primo omonimo lavoro discografico prodotto da Davide Pierucci, con la produzione artistica di Max Marcolini, e contenente sei tracce di genere pop-rock melodico. In questa intervista il gruppo racconta le fasi che hanno scandito il proprio percorso e cosa intende raccontare attraverso la propria musica.

I Blein nascono ufficialmente nel 2012 ma il gruppo esiste praticamente da sempre… Come si è evoluta nel tempo la vostra ricerca musicale e in che modo si è affinata la vostra cifra stilistica? 

In realtà la nostra natura musicale è rimasta invariata e vorremmo tutelarla il più a lungo possible. Tuttavia essendo ancora giovanissimi siamo aperti e recettivi nei confronti degli stimoli che provengono dall’esterno. In questi due anni abbiamo tratto forte ispirazione da tutte le collaborazioni e le conoscenze che abbiamo avuto l’onore di fare: dal chitarrista Massimo Varini ai Pooh, specialmente Dodi Battaglia, fino ad arrivare al nostro produttore artistico Max Marcolini ( Zucchero, Alexia, Irene Fornaciari, ecc ).

BLEIN FOTO (2)Al centro del vostro primo lavoro ci sono sentimenti autentici e le prime emozioni forti che fanno da imprinting in ciascuno di noi… in che modo avete lavorato ai testi e come vi siete rapportati, in fase compositiva, con gli illustri produttori che hanno curato il vostro progetto discografico?

I testi sono farina del nostro sacco mentre siamo stati affiancati ed aiutati nella scelta degli arrangiamenti e nella cura del sound complessivo!

“Solo due soli” è il brano a cui siete più legati perché è il primo della vostra carriera…quali sono i ricordi che vi ispira questa canzone?

Beh è  stato il nostro trampolino di lancio! Ci ha aperto la strada verso la tanto agognata “nuova” vita: le prime esperienze in studio, le prime registrazioni, il primo video, i  primi live e soprattutto abbiamo sentito cantare le parole del ritornello dai nostri fan! Indimenticabile… da pelle d’oca!

Quali sono gli ascolti che ispirano il vostro sound?

In quest’ultimo anno ci siamo confrontati molto di più con la musica pop italiana e mondiale. Abbiamo ascoltato molto ed abbiamo recepito molti stimoli in lungo e largo. Veniamo tutti e 4 da percorsi musicali diversi, però ci accomuna decisamente l’amore per il rock e per i gruppi storici, dai Beatles ai Led Zeppelin, dai Pink Floyd ai Queen, dai Bon Jovi e i Guns’n'roses agli attuali Muse!

BLEIN FOTO 2 (2)In che modo la personalità di ciascuno di voi influisce all’interno della quotidianità del gruppo?

Influisce decisamente al 100 %! Ognuno di noi porta se stesso all’interno del gruppo e del progetto, sicuramente ci avvantaggia l’essere amici e fratelli da sempre!

Ci fate una carrellata degli episodi più significativi della vostra carriera fino ad oggi?

Innanzi tutto l’incontro  con il nostro produttore Davide Pierucci che ci ha dato la possibilità di realizzare la nostra musica e quindi il nostro sogno. Il videoclip di “Solo due soli”,che ha visto la partecipazione del ballerino professionista di amici Francesco Mariottini, ci ha dato una elevata visibilità; poi c’è stata la collaborazione con Massimo Varini ( chitarrista e produttore di Biagio Antonacci, Nek e tantissimi altri ). Poi c’è stata l’apertura del concerto dei Pooh a Bastia Umbra, a luglio, ed infine la vittoria del concorso “mi piace” nella trasmissione “Citofonare Cuccarini” con la  partecipazione ad una puntata in diretta su Radio Uno Rai.

E le vostre passioni parallele? Svolgete anche altre attività lavorative o di studio?

La musica ormai riempie il 90 % del nostro tempo anche se siamo stati impegnati, ed alcuni lo sono tuttora, in percorsi universitari…

Qual è il target di pubblico a cui, secondo voi, il vostro disco si potrà avvicinare di più?

Puntiamo al giovane pubblico italiano. Non a caso il nostro album è in vendita ad un prezzo molto basso per dar modo anche ai giovanissimi di acquistarlo. Da qualche giorno è disponibile nei maggiori store digitali come iTunes e Amazon ecc al prezzo di 2,99 euro. A giorni sarà disponibile anche la versione tradizionale in un un elegante booklet a tre ante con all’interno un libretto con  testi e foto inedite. Questa versione per ora sarà acquistabile solo durante i nostri concerti o attraverso il  nostro sito http://www.blein.it/

Che aspettative avete in merito all’evento che vi vedrà sul palco di Dodi Battaglia dei Pooh il prossimo 4 aprile a Roma?

Abbiamo tanta voglia di metterci in gioco anche perché per la prima volta eseguiremo interamente l’album live!

Quali sono le altre date live in programma?

Stiamo ancora definendo una tournée estiva con la nostra produzione… vogliamo toccare più punti possibili della nostra stupenda penisola!

Raffaella Sbrescia

Video: “Ancora un attimo”

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