“Oggi chi sono” è il quarto singolo tratto da “McMao”, il secondo lavoro discografico del Management del Dolore Post-Operatorio. La dinamica logico-testuale si cui si incentra il testo di questo brano assume subito una valenza semantica pluri-strutturata su più livelli: l’uomo del nuovo millennio si riscopre voyeur di se stesso, oltre che degli altri. All’interno di un vorticoso meccanismo di autoipnosi, i propri atteggiamenti, infinitamente ripetuti da più generazioni, si rivestono di sfumature che ne intorpidiscono l’essenza. La società dello spettacolo si trasforma nello spettacolo della società, coinvolgimento e distacco si fondono senza soluzione di continuità. “E prima di uscire se mi guardi in tutta fretta scoprirai che sul mio volto c’è attaccata un’etichetta”, scrivono e cantano con spietata lucidità i ragazzi del Management del Dolore Post-Operatorio.
Un’immagine tratta dal videoclip “Oggi chi sono”
Luca Romagnoli e soci riversano nel testo l’amara attualità del nostro oggi: “E se mi vuoi davvero presto io sarò il tuo sogno. Chiudi gli occhi gentiluomo e metti mano al portafoglio, Io non credo nei rapporti non credo nei sentimenti. A me piacciono i contanti, conto solo sui contanti. E siccome sono solo quello che ho addosso oggi chi sono? E cosa indosso? Oddio!”. Disillusione, arrivismo e materialismo si accompagnano al videoclip girato da Fabio Gargano che, attraverso un’esplicita serie di sequenze visive, offre i preliminari del sesso sull’altare sacrificale dello spettacolarismo contemporaneo. Negando le barriere tra il guardare e l’essere guardati, la stessa scena, vista da diversi punti di vista, perde qualsiasi grado di differenziazione interpretativa trascendendo, in questo modo, il labile confine tra immaginazione e realtà. A sancire la chiara dipendenza dal filtro digitale è una delle scene finali del videoclip in cui il pubblico riprende quello che avviene con il proprio smartphone mantenendosi distaccato ed insensibile a tutto quello che lo circonda. In sintesi, la rappresentazione di un’umanità che non sa più emozionarsi.
Giunge alla VI edizione “Pausilypon Suggestioni all’imbrunire” la rassegna artistica ideata e curata dal Centro Studi Interdisciplinari Gaiola Onlus con la collaborazione della Soprintendenza Archeologica di Napoli ed il Patrocinio di Regione Campania e Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli. Una vera e propria opera di mecenatismo ambientata in una location unica nel mondo quale è il Parco Archeologico del Pausilypon, finalizzata all’incontro tra archeologia, natura, musica e teatro. «Nell’anno del bimillenario dalla morte di Augusto, spiega il responsabile della Soprintendenza del Pausylipon G. Vecchio, “Suggestioni all’Imbrunire” si arricchisce di un nuovo e più profondo significato, diventando rassegna stabile all’interno di un contesto incantato».
Ad introdurre il nuovo cartellone, in una dettagliata conferenza stampa tenutasi questa mattina presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, M. Simeone ha ripercorso i progressi e le numerose iniziative che hanno portato al pieno recupero di un’ area ambientale ed archeologica di assoluta importanza: «Nell’arco di 10 anni abbiamo impiegato risorse, competenze ed energie per ridare lustro a questo importante sito archeologico. Ora, grazie alla direzione artistica di Stefano Scognamiglio e Francesco Capriello, il centro studi Pausilypon diventa ancora più interdisciplinare. Naturalmente, anche per questa edizione, rimane invariata la scelta di “non invasività” del luogo, non ci saranno allestimenti scenici, elettronici ed infrastrutturali che potranno in qualunque modo alterare il fascino naturale del sito archeologico. Gli artisti che hanno accettato questa nostra scelta, si esibiranno sfruttando le già perfette condizioni di luce e di acustica del sito, nel totale rispetto di uno dei luoghi più belli del nostro pianeta. Questo per dimostrare che la rassegna si adatta al sito e non il contrario! Un doveroso ringraziamento, aggiunge Simeone, va al nostro main sponsor Cupiello che, in funzione dell’amore per l’arte, ci consente di reinvestire i proventi della rassegna in progetti di ricerca, recupero e valorizzazione del sito. Il progetto in corso riguarda il “CALIDARIUM” del Pausylipon, scoperto nel 1913 da R.T Gunther e mira alla restituzione del sito alla cittadinanza».
Presente alla conferenza anche Stefano Scognamiglio, direttore artistico della sezione teatrale della rassegna: «Il progetto parte dal territorio e costituisce una lente di ingrandimento su una realtà che non è figlia di alcuna parte politica e che, anzi, è il frutto di sacrifici di persone che intendono mettersi al servizio della città. Dopo cinque edizioni, questa rassegna sta cominciando ad attirare pubblico e, francamente, credo ci siano tutti i presupposti affinchè essa possa diventare un evento di rilevanza internazionale. Vorrei inoltre sottolineare che la nostra realtà è aperta ad altre istituzioni sul territorio, dal prossimo anno lavoreremo in sinergia con il Palazzo delle Arti di Napoli perché crediamo che i vasi comunicanti, specialmente nel nostro ambito, possano creare grandi cose. Tornando, invece, a “Suggestioni all’imbrunire”, crediamo che lavorare per sottrazione, nell’allestimento scenico degli eventi in programma, ci possa far ottenere un risultato migliore. Ricordo, infine, che ogni appuntamento sarà preceduto da una visita guidata al sito che accompagnerà gli ospiti in un crescendo di suggestioni, dall’imponente Grotta di Seiano fino all’incontro con gli artisti presso l’area dei teatri. Alla fine di ogni spettacolo sarà offerto un piccolo rinfresco di qualità ed una degustazione di vini delle eccellenze enologiche campane».
Suggestioni all’imbrunire
A seguire l’intervento di Francesco Capriello, responsabile della sezione musicale della rassegna: « Ad inaugurare il cartellone sarà il pianista Ivano Leva con un piano solo, arricchito da improvvisazioni su svariate tematiche. Il 17 maggio sarà la volta dell’ensemble acustico La Mescla, che ci porterà al centro di un viaggio mediterraneo, tema che ricorrerà anche nella perfomance di Alana Sinkëy in “Minha Terra”. Altri spunti interessanti saranno offerti dall’Orchestra acustica del Pausylipon Afrocubatà: musicisti di età compresa tra i 18 ed i 37 anni ci coinvolgeranno in una sfida compositiva e strumentale molto interessante».
A promuovere la rassegna, che avrà luogo da 10 maggio al 15 giugno, sarà il marchio “Cupiello, la cultura del gusto”, rappresentato in conferenza stampa dal dottor Alfio Schiatti: «Questa iniziativa rispecchia i valori su cui lavora, da anni, la famiglia Simeoli: cultura, sostenibilità, concretezza e visione internazionale».
Sulla stessa linea d’onda Emilio Scano per l’Associazione Ager Campanus che curerà, quest’anno, la selezione delle cantine: «Abbiamo accettato di buon grado la proposta artistica e culturale che ci è stata offerta e, a modo nostro, abbiamo agito nel rispetto dello spirito con cui la rassegna è stata ideata. Ogni spettacolo vedrà la partecipazione di una cantina del territorio campano con delle degustazioni pensate ad hoc».
Ivano Leva
L’intervista a Ivano Leva:
Protagonista della serata di apertura il prossimo 10 maggio sarà il pianista Ivano Leva in “Piano Solo”, un’esibizione in cui il musicista attingerà alla sua grande esperienza ed inventiva presentando una performance totalmente improvvisata. Abbiamo chiesto maggiori dettagli all’artista, presente in conferenza stampa.
Che tipo di live proporrà il prossimo 10 maggio?
Pur provenendo da una formazione classica, contestualmente, mi dedico anche alla forma espressiva propria dell’improvvisazione, si tratta di qualcosa che mi ricongiunge alla mia indole. Sento, infatti, che l’improvvisazione faccia parte di tutta la mia storia. Fin da bambino, quando mi regalavano i giocattoli la prima cosa che facevo era smontarli e rimontarli a mio piacimento. Per quanto riguarda il concerto farò delle improvvisazioni sfruttando dei materiali tematici già noti, non per un discorso di facile presa, ma solo come pretesto per attuare il giro di colori che prediligo. Tra le varie personalità multiple che convivono nella mia persona, ce n’è una dedita alla scrittura, un’altra dedita all’improvvisazione. Non si tratta di una prima, anzi, ho tenuto uno spettacolo simile qualche mese e fa parte di progetto che porto avanti per mostrare la mia quotidianità, in sintesi, il messaggio è: Vi apro le porte della mia stanza, accomodatevi ed ascoltate”.
Ci sono dei progetti paralleli in corso?
Certo, mi sto dedicando a progetti jazzistici e non. Tra le altre cose mi sto occupando di un progetto che fa capo al batterista Leonardo De Lorenzo, senza tralasciare la partecipazione a svariati Festival e allo spettacolo teatrale di Enzo De Caro, improntato sulla biografia di Chet Baker, intitolato “Chet c’è”. Di recente ho collaborato anche con Antonio Onorato in un altro progetto dal vivo.
Per quanto riguarda l’aspetto compositivo, è in fase di scrittura?
Naturalmente ho dei dischi miei, comprensivi di brani originali composti da me e ne sto maturando altri. Visto che non ho ne necessità commerciali ne una produzione alle spalle che mi obbliga ad avere tempi di realizzazione per vendere, mi prendo delle pause tra un disco e l’alto, anche pluriennali. Il tutto mi serve per raccontare delle cose piuttosto che altre…quello che sto scrivendo adesso è un disco per orchestra e pianoforte e non credo che lo realizzerò prima della seconda metà di quest’anno se non per l’anno prossimo.
Prevendite: www.etes.it
Ingresso con visita guidata dalle 17,30 alle 18,20 – ingresso solo spettacoli dalle 18.20 alle 18,40, (contributo 15,00 euro).
Si è tenuto lo scorso 3 maggio, presso la Veranda Neoclassica di Villa Pignatelli a Napoli, nell’ ambito della rassegna di concerti organizzati dall’Associazione culturale Maggio della Musica, il concerto del maestro argentino Javier Girotto (sax soprano, sax baritono, flauti andini), accompagnato dall’Atem Saxfon Quartet composto da David Brutti (sax soprano), Matteo Villa (sax contralto), Davide Bartelucci (sax tenore) e Massimo Valentini (sax baritono). Incentrato sull’eccellenza e sulla qualità del dettaglio, il concerto, durato circa un’ora e mezza, ha rappresentato una preziosa occasione di conoscenza artistica e culturale; un viaggio sonoro pregno di contaminazioni e virtuosismi strumentali estremamente suggestivi. In scaletta brani tratti dai due lavori discografici che Girotto ha realizzato insieme al quartetto di sassofoni: « Tutto è nato durante un periodo in cui stavo scrivendo musica per sassofono, avevo intenzione di girare il mondo con vari quartetti ma poi ho scelto l’Atem Saxfon Quartet per una collaborazione più stabile e da lì è nato tutto. Il primo disco “Suix” l’ho arrangiato tutto io mentre il secondo, intitolato “Araucanos”, l’ha arrangiato il baritono Massimo Valentini, sempre su brani miei originali», ha poi spiegato Girotto che, grazie alle sue brillanti intuizioni compositive, è riuscito ad integrare la passione e la tradizione argentina all’interno dei più introversi meccanismi jazz per un risultato stilistico unico e coinvolgente.
Atem Saxfon Quartet
In apertura quattro brani di fila: in primis “La poesia”, il battito teso e concentrato dell’intro, trova subito un approccio empatico ed immediato, il tempo è incessante fino ad un intenso crescendo lirico, in cui ciascun musicista riesce a sedimentare il proprio suono in un unico interstizio emotivo, richiuso da un assolo del maestro Girotto, dal sapore malinconicamente crepuscolare. A seguire “Il senso della vita”: il ritmo è subito incalzante, corpi, suoni e strumenti veleggiano spediti verso un altrove guidato dal fascino ipnotico del flauto andino di Girotto: un richiamo magico ed ancestrale. Sulla stessa linea d’onda è la scia introduttiva di “Nahuel” (che nella lingua indigena della Patagonia significa puma), il flauto è il vero protagonista di una leggenda che si districa tra velocissimi ed impressionanti dialoghi tra tocchi e respiri. Il quarto brano, eseguito di fila, è “Morronga la Milonga”: la concreta realizzazione dell’incontro tra tango e jazz. Un brano di indiscutibile fascino, dettato da un’impressionante carica strumentale ed emotiva: lo spettacolo nello spettacolo.
Javier Girotto & Atem Saxfon Quartet
Dopo la prima parentesi parlata di Girotto, dedicata alle presentazioni di rito, si ritorna all’ascolto ed è la volta di “Suix”, un brano composto al pc e completamente riarrangiato dall’Atem Saxfon Quartet con un pregevole bilanciamento tecnico, finalizzato alla valorizzazione delle ineccepibili capacità tecniche ed espressive di ciascuno dei musicisti coinvolti. “Che querido “Che” è una composizione solenne, ispirata ad un leggendario personaggio che, ancora oggi, è un’icona universale. «La mia ricerca stilistica nel tempo è cambiata… Tanti anni fa mi dedicavo sicuramente molto al jazz, poi pian piano sono tornato un po’ alle mie origini cercando di contaminare il jazz con le sonorità che richiamano l’atmosfera e lo spirito tipico della musica argentina», ha raccontato Javier Girotto, dopo il concerto. Uno dei brani che risponde al meglio a questi intenti è “Araucanos”: un’introduzione epica si allaccia ad un accompagnamento lieve e delicato fino all’ultimo respiro. Molto sfizioso e divertente l’aneddoto legato alla rivalità calcistica tra Argentina e Brasile, rimarcato dal brano “Maradona è meglie ‘e Pele”, irresistibili e goderecci latinismi strumentali ammorbidiscono tensioni e pensieri. In conclusione “La luna”, la composizione ispirata ad una delle poesie di Jorge Luis Borges: un vortice strumentale, dapprima incessantemente incandescente, poi più pacato e soffuso, costruisce una parabola emotiva di indiscutibile impatto.
Interprete di note e sogni, Girotto si conferma ancora una volta un virtuoso della contaminazione musicale: «Proprio insieme a Michele Campanella, direttore artistico del Maggio della Musica a Napoli ed autorevole virtuoso della musica classica, sto lavorando ad un disco su brani del repertorio di Maurice Ravel per un lavoro ricco di contaminazioni stilistiche», la promessa di un nuovo viaggio fatto di sogni.
Lo scorso 2 maggio il Napoli – Comicon, Salone Internazionale del Fumetto, ha ospitato nella sala Cartoona Italia Davide Toffolo, tra i maggiori autori italiani di graphic novel e membro del gruppo rock Tre Allegri ragazzi morti. L’artista ha introdotto la sua opera, pubblicata lo scorso 15 gennaio per Rizzoli Lizard, mettendo a frutto le proprie abilità di entertainer sfruttando la sua proverbiale verve comica. Al centro del suo lungo intervento la propria identità: uguale fra gli uguali, Davide si è trasformato in Eltofo, il cantante yeti che, prima di disegnare se stesso e capire il mondo, ha cercato di scoprirlo.
All’interno dello speciale set unplugged organizzato per l’occasione, Toffolo ha offerto al pubblico alcuni dei maggiori successi del repertorio dei Tre Allegri ragazzi morti: “La tatuata bella”, “La mia vita senza te”, “Puoi dirlo a tutti”, “Alle anime perse”, “Il mondo prima”, “La faccia della luna”, “Sono morto” e “Occhi bassi” nel finale a sorpresa. Autore libero e spregiudicato, Davide Toffolo si è persino cimentato in una partita a tennis con la Wii. Perfettamente a proprio agio, l’artista si è poi dedicato ad un significativo racconto fotografico della propria esistenza e del mondo a lui circostante tra individui descritti come alieni, gli ecomostri di Taranto, le brutture architettoniche di Pordenone e provincia, il tutto distrincandosi tra i quadri e gli animali morti conservati in freezer, le tavole dei suoi lavori esposte sul muro di casa e i piccoli dettagli della propria vita, fino alla concretizzazione del suo percorso artistico e la mutazione in Eltofo. Un percorso costruito per tasselli, anche microscopici, mirati alla definizione di un individuo completo.
All’interno di “Graphic Novel is Dead” ci sono anche altri personaggi chiave come Andy Kaufman, oracolo personale di Eltofo, e Pepito, la sua “spalla comica”, un piccolo pappagallo domestico, che lo accompagna nel suo viaggio interiore e in un passato talvolta doloroso e che offrirà alla fine del racconto un divertente colpo di scena.
Il lavoro ha visto anche la collaborazione della fotografa Cecilia Ibanez, che lo ha seguito nell’ultimo tour negli stadi con Jovanotti e al Comicon di Napoli. Il colore e la supervisione del lavoro sono a cura di Alessandro Baronciani, il risultato è un’autobiografia assolutamente non definitiva perché, come disse il leggendario Joe Strummer “Il Futuro non è scritto”.
I Joy’s Celtic Connection radunano in un unico gruppo tre musicisti di lunga esperienza musicale in un inedito progetto folk, ispirato alla tradizione celtica: Pino Porsia (voce, flauti e ukulele), Rosario Le Piane (chitarra e percussioni) e Antonio Tuzza (basso e voce) torneranno ad esibirsi, al Joy’s Pub (C.so Sonnino 118/D – Bari – ore 21.45) per il “St. Patrick Day Revival”. Per l’occasione abbiamo raggiunto Pino Porsia al telefono per lasciarci conquistare dalla sua sconfinata passione per la musica irlandese e per il flauto, uno degli strumenti più affascinanti della storia.
Pino, il tuo percorso musicale è iniziato quando eri soltanto un adolescente… qual è stato il motore che ha innescato in te la passione per la musica antica e per quella celtica in particolare?
Ho iniziato suonando e ascoltandoaltra musica poi, ad un certo punto, sono stato in viaggio in Irlanda e da lì mi sono innamorato della cultura e della musica di quella terra. Da lì è iniziato un percorso che mi ha portato a scoprire altre la musica antica, quella medievale e quella rinascimentale, anche se la mia grande passione rimane la musica celtica e quella irlandese in particolare.
Cosa significa per te suonare il flauto? Qual è la storia che accompagna questo tipo di strumento e quali tipologie di flauto suoni?
Questo strumento è generalmente associato a feste pagane. Il flauto è uno degli strumenti più antichi che l’umanità conosca. Il primo strumento musicale mai rinvenuto dagli archeologi è stato proprio un flauto, sin dagli albori dell’umanità si cercava di far musica suonando dentro tubi di ossa, pezzi di canne di bambù o di legno, già questo è un fatto di per sé affascinante, inoltre questo strumento ha avuto una storia molto interessante perché ogni epoca ha prodotto flauti differenti. Il flauto è, dunque, uno strumento che si adatta sia ai tempi che ai posti in cui viene suonato e questa è una cosa davvero affascinante. Io suono prevalentemente flauti di origine irlandese, i thin whistle in latta. Oggi esistono anche flauti in plastica tipologie di strumento più evolute, più intonate, che rispondono meglio al suono. Poi suono i flauti traversi irlandesi, in legno e a volte suono anche il flauto traverso moderno, un po’ meno espressivo per questo tipo di musica, però alle volte può essere utile.
Hai mai preso parte alle leggendarie sessions di musica irlandese nei pub locali?
Sì certo! Ho fatto vari viaggi in Irlanda proprio per per partecipare alle sessions dei pub. Questo tipo di evento non è rappresenta solo un momento di gioia musicale ma anche, e soprattutto, una preziosa occasione di studio. Vado lì per conoscere nuovi brani, nuovi musicisti, ho avuto anche la fortuna di poter suonare con Matt Molloy in una di queste sessions. Matt è il più grande flautista irlandese, fondatore dei The Chieftains, uno dei gruppi folk più famosi, e io ho avuto l’onore di suonare anche con lui ed è una cosa molto bella.
E i Festival?
Naturalmente ho partecipato a tantissimi festival! Sono talmente tanti che diventa difficile anche citarne solo qualcuno… Tieni conto che durante il periodo con i Folkabbestia abbiamo girato l’Europa intera, i Festival di musical folk li abbiamo girati quasi tutti. Quelli erano anni in cui non si stava fermi nemmeno per un giorno!
Per un po’ di anni hai fatto parte del gruppo del Folkabbestia. Quali ricordi conservi di quel periodo?
Certamente conservo dei bellissimi ricordi. L’esperienza con i Folkabbestia non è nata tanto come esperienza musicale quanto come esperienza umana. Eravamo e siamo ancora molto amici, un vero gruppo formato da amici a cui piaceva anche suonare insieme. Abbiamo condiviso tanta strada e tanta musica, ho suonato con loro per tantissimo tempo fino a quando poi le strade si sono naturalmente divise per esigenze diverse. Spesso, però, amiamo continuare a suonare insieme, ogni tanto mi chiamano a suonare e siamo sempre in contatto sia umanamente che musicalmente.
Che tipo di repertorio affronti con i Joy’s Celtic Connection?
In realtà questo progetto è nato per gioco. Abbiamo deciso nell’ambito del Joy’s Pub, il locale che ci ospiterà anche stasera (2 maggio), di provare a suonare insieme e devo dire che sta funzionando bene. Insieme a Rosario Le Piane (chitarra e percussioni) e ad Antonio Tuzza (basso e voce) abbiamo iniziato a suonare per fare un concerto il giorno di San Patrizio lì nel pub. In quell’occasione ci siamo divertiti così tanto che abbiamo pensato di continuare e di non lasciare che si trattasse di un episodio isolato. In seguito siamo stati invitati a suonare alle Giornate Federiciane ad Altamura, lo scorso 26 aprile, ed è stato un bellissimo concerto con tante persone che si sono divertite con noi. Tutti questi avvenimenti ci hanno incoraggiato ad andare avanti, il repertorio abbraccia la tradizione irlandese e scozzese: musica da danza, allegra e divertente anche se suonata in maniera non propriamente tradizionale. Tenendo conto del fatto che l’ ”irlandofilo” della situazione sono io, ci sono spunti di apertura ad altri generi musicali perché Antonio e Rosario non hanno mai suonato musica folk per cui in quello che stiamo facendo si fondono un po’ le esperienze di tutti noi.
Ci saranno dei vostri brani inediti in futuro?
Per ora direi che si tratta di un discorso prematuro, ci stiamo concentrando molto nel cercare un linguaggio comune per avvicinare i nostri tre linguaggi musicali però non è escluso che prima o poi inizieremo a lavorare su dei brani originali.
Raffaella Sbrescia
Si ringraziano Pino Porsia e Roberta Ruggiero per la disponibilità
I Marta Sui Tubi e Franco Battiato firmano “Salva Gente”, una canzone che, già attraverso il titolo, intende svolgere una funzione salvifica o quanto meno creare i presupposti per una riflessione più attenta su noi stessi e sugli altri. La collaborazione arriva in occasione dell’uscita del nuovo album dei Marta sui Tubi, intitolato “Best of Salva Gente”, in uscita il prossimo 27 maggio. L’album racchiuderà una raccolta dei brani più famosi della band che celebra i 10 anni di carriera. Sul fronte strumentale, il nuovo singolo presenta un coagulo particolarmente riuscito e gradevole tra le sonorità rock dei Marta sui Tubi e quelle più elettro-oniriche di Battiato. Per quanto riguarda la composizione testuale del brano è importante evidenziare la presenza di strofe pregne di accostamenti semanticamente efficaci. Partendo dalla cruda osservazione degli atteggiamenti umani, gli artisti coinvolti in questo progetto si lanciano in una serie di messaggi mirati alla stimolazione dello spirito critico del genere umano. “C’è gente talmente povera che non ha nient’altro che il denaro e pensa che la statura morale di una persona equivale al suo capitale”: niente di più triste e vero al contempo.
“C’è gente che vuole tutto quello che gli passa sotto il naso perché non sa cosa vuole”: altra innegabile verità; meglio tutto e subito che prendersi la responsabilità di imparare a capire cosa ci circonda e di conseguenza scegliere. Scegliere di sbagliare: il più grande spauracchio degli “Sconfitti 2.0”. “C’è gente così comica ma si prende un po’ troppo sul serio e non troverà la verità nemmeno se gliela mettono in mano”: un pizzico di sano disprezzo nei riguardi di coloro che ridicolizzano se stessi senza amor proprio e senza pudore è quando mai doveroso.
Il ritornello del brano cita: “Quando comincerai a vedere il mondo in un modo diverso il mondo comincerà a cambiare”, ecco la chiave per la svolta dell’uomo: guardare il mondo in un modo diverso, guardare il mondo senza pensare continuamente al passato, guardare il mondo cercando di immaginarlo in una maniera completamente nuova, inedita…in una parola: diversa. Tra individui che non si sorprendono, che non ci sorprendono e che rimangono immobili tra i “frangiflutti del destino” è necessario riscoprire la possibilità di rinascere ogni giorno per salvare gli altri e salvarci a nostra volta.
Esiste un evento musicale in grado di coniugare accessibilità globale e ottima musica ad una location da sogno? La risposta è sì, si tratta del Meeting del Mare. La diciottesima edizione del festival ideato da don Gianni Citro, si terrà dal 30 maggio al 2 giugno a Marina di Camerota (Salerno) e riunirà alcuni grandi nomi della musica italiana e internazionale con giovani promesse della scena indipendente per un cartellone pronto a soddisfare tutti i gusti.
Tema cardine della XVIII edizione del festival campano, che anticipa i grandi raduni open air estivi, sarà l’origine. ”Rintracciarla, imparare ad amarla. Sarà come poterla vedere e toccare. L’Origine di noi, di questo mondo, di questa vita, di questo giorno, di questo mare, di ogni parola, di tutti gli sguardi, dei nostri pensieri. Ora che siamo qui, per nessuna ragione, rinunceremo a capire da dove siamo partiti. La nostra Origine, ovunque essa sia, ci accompagnerà per sempre”. Queste le parole introduttive di don Gianni Citro, parroco della cittadina cilentana che, dal 1997 porta avanti questo ambizioso progetto, ospitando il meglio della musica italiana.
L’apertura della kermesse è prevista per venerdì 30 maggio e sarà affidata al giovanissimo rapper salernitano Rocco Hunt. Vincitore del Festival di Sanremo nella sezione nuove proposte, Rocco presenterà il suo nuovo lavoro discografico intitolato “‘A verità”.
Il giorno seguente sarà la volta del cantautore ferrarese Vasco Brondi, meglio noto come Le Luci della Centrale Elettrica che, grazie al successo dell’album “Costellazioni”, ha fatto registrare una serie di concerti sold out in tutta Italia. Per l’occasione, l’artista sarà accompagnato on stage da Ettore Bianconi e Sebastiano De Gennaro dei Baustelle e da Andrea Faccioli e Daniela Savoldi.
Domenica 1 giugno i protagonisti del palco saranno i Gogol Bordello che, attraverso il travolgente combo gipsy-punk guidato da Eugene Hutz, presenteranno i brani dell’ultimo lavoro “Pura Vida Conspiracy”. Il gran finale del festival avrà luogo lunedì 2 giugno con il ritorno di Franco Battiato al Meeting del Mare, dopo il live del 2006. Il compositore e regista siciliano, che nel 2012 ha pubblicato il suo trentunesimo album “Apriti Sesamo”, si esibirà con Carlo Guaitoli al pianoforte, Angelo Privitera alle tastiere e programmazione, il Nuovo Quartetto Italiano e Davide Ferrario.
Sul palco del Meeting del Mare anche i Sangue Mostro, Foja, Pennelli di Vermeer, the Shak & Speares, Gnut e decine di artisti emergenti, tutti desiderosi di condividere la propria musica con il pubblico.
La novità assoluta di quest’edizione sarà il “JAM Camp”, una factory musicale all’aperto dove ulteriori 30 band suoneranno, si confronteranno e parteciperanno a incontri esclusivi con i protagonisti del festival e dell’industria musicale. Una sorta di jam session d’idee ed esperienze con l’obiettivo di mettere insieme artisti, addetti al settore, start-upper, ricercatori, giornalisti e produttori, per costruire un grande “cervello collettivo” che ragioni sullo stato della musica in Italia.
Il Meeting del Mare intende aprirsi all’arte a 360 gradi concedendo ampi spazi a spettacoli di danza, incontri, presentazioni di libri e mostre, il tutto rigorosamente ad ingresso gratuito.
Musica, arte ma anche solidarietà civile: per l’edizione di quest’anno, verrà esposta una croce realizzata con il legno dei relitti di Lampedusa, in segno di rispetto e solidarietà con i migranti e simbolo di amicizia tra i popoli.
“Flow” è il primo singolo del cantautore e chitarrista molfettese, classe 1988, Mizio Vilardi. Il suo è un pop d’autore contaminato dai suoni del mondo. Musica, voce e testi testimoniano concretamente un’attitudine musicale cosmopolita e multi sfaccettata. Questo primo brano autoprodotto, realizzato in collaborazione con Claudia De Candia, alias Cloud, vede anche la presenza di Alex Grasso al contrabbasso, piano e programming e di Gabriella Cipriani al violino.
La texture strumentale di “Flow” si muove lungo le trame costruite dalla chitarra acustica, districandosi tra archi e suoni elettronici. Il ritmo è scandito dagli arpeggi e dalle parole che scivolano, fluide, in un libero flusso della coscienza in divenire. Le note segnano i contorni del brano, approfondendo e raccontando gli interstizi creati dall’incontro tra italiano ed inglese. Influenze culturali ed innato istinto emotivo caratterizzano questa dolce ballad che emoziona e coinvolge, non rimane che sperare in un immediato seguito di quanto proposto.
Veracemente ed intensamente napoletana, Barbara Buonaiuto, con la sua voce mediterraneamente rock, si è esibita lo scorso 30 aprile al Teatro Trianon di Napoli con Maurizio De Giovanni per lo spettacolo intitolato “Il Brigante e la Sciantosa”. Al centro dello spettacolo l’anima del sud.
Orgoglio, dignità, passione e arte si sono fuse in un unico crogiuolo per dare forma ad un’opera artistica vellutata ed incandescente al contempo. Forza, determinazione e talento, sono da sempre gli ingredienti base del temperamento di Barbara Buonaiuto che, forte della lunga e fortunata esperienza con l’Orchestra Italiana di Renzo Arbore, è riuscita a sedimentare nelle proprie corde vocali un amore incondizionato per Napoli.
Con i testi originali scritti e recitati da De Giovanni, autore del personaggio del commissario Ricciardi, l’artista ha dato voce alla rabbia di chi, ogni giorno, rivendica la sua identità lottando per la sopravvivenza. Sotto la direzione di Luca Urciuolo, che ha curato anche gli arrangiamenti e che si impegnato anche alla fisarmonica, sul palco hanno suonato anche Arcangelo Michele Caso (violoncello e plettri), Giampaolo Ferrigno (chitarre), Roberto Trenca (chitarre e plettri), Roberto Giangrande (contrabbasso), Michele Maione (percussioni) e Rosario Lambiase (voce e danza).
Alternando classici napoletani e canzoni di brigantaggio, “Il Brigante e la Sciantosa” svela due anime di una città, in grado di essere estremamente poetica e passionale ma anche drammaticamente spietata. Senso civico e impegno politico sono ancora troppo poco diffusi in un territorio martoriato dall’ignoranza e dalla criminalità organizzata. L’arte, il canto e la recitazione rivestono, dunque, un’importanza quanto mai centrale, nella campagna di sensibilizzazione pubblica, mirata alla valorizzazione di un fortino di risorse unico al mondo.
Lo scorso 30 aprile, in occasione della celebrazione della Giornata Internazionale del Jazz, si è svolto presso l’Auditorium Antonianum di Roma, un prestigioso evento musicale impreziosito dalla presenza di una folta rappresentanza di musicisti jazz italiani. Attraverso una breve performance di dieci minuti, ogni artista ha reso il proprio personale omaggio ad un genere musicale dal fascino immutevole. Tempo, storia, evoluzione non hanno infatti scalfito la proprietà insita in questo genere musicale che, pur nascendo oltreoceano, ha saputo sedimentarsi nell’identità e nello spirito dei popoli del mondo.
Promossa da Jazzit, in collaborazione con Groovemaster Edition e con il patrocinio dell’Unesco, l’iniziativa, a sfondo benefico, ha visto il coordinamento artistico di polistrumentista, vocalista, compositore, conduttore e autore di programmi radiofonici e televisivi di indiscutibile fama.
Presenti all’evento: Danilo Rea, Rita Marcotulli, Stefano Di Battista, Fabrizio Bosso, Maria Pia De Vito, Rosario Giuliani, Dino Piana, Dario Deidda, Massimo Nunzi, Giorgio Rosciglione, Gegè Munari, Enzo Pietropaoli, Giovanni Tommaso, Amedeo Ariano, Fabio Zeppetella, Alfonso Deidda, Pasquale Innarella, Gianni Sanjust, Fabio Mariani, Domenico Sanna, Giuseppe Bassi, Leonardo Corradi, Greta Panettieri, Dario Germani, Arnaldo Santoro, Roberto Pistolesi, Luca Fattorini, Marco Valeri, Francesco Diodati, Ermanno Baron, Matteo Bortone, Mauro Gubbiotti, Gianludovico Carmenati, Mauro Cimarra e tanti altri artisti che, attraverso anni di esperienza, incontri, studi e ispirazioni, hanno dato vita al folto manto di note che arricchisce il vasto repertorio jazzistico italiano.
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