Mario Venuti presenta “Tropitalia”. Intervista

Ritratti Di Note ha incontrato il cantautore siciliano Mario Venuti per una breve intervista sul suo ultimo progetto “Tropitalia”, un disco di canzoni italiane rivisitate in maniera originale e in chiave “bossanova”…

OIF

Mario, prima di parlare dell’ultimo disco, torniamo agli inizi della tua carriera da solista. Che ricordi hai riascoltando l’album “Un po’ di febbre” e il tuo singolo d’esordio “Fortuna”?

Beh, quegli anni sono irripetibili, scoprivo il magico mondo del Brasile e con “Fortuna” in qualche modo rendevo omaggio a questa cultura straordinaria. La canzone è anche una dedica ad una persona cara che è stata un po’ il mio Guru e mi ha fatto conoscere questa cultura affascinante.

A partire dalla collaborazione con i Denovo, hai attraversato con la tua musica tanti decenni. Cosa tenere secondo te oggi degli Anni ’80?

E’ cambiato tutto, ma al di là delle caratteristiche del mercato corrente e dei mezzi di fruizione, che ci sia il vinile, il cd o lo streaming. Credo che alla fine, l’essenza della creazione, dell’urgenza comunicativa dell’artista, che poi è la cosa più importante, non sia cambiata, perchè alla fine, alla base, ci deve essere il tocco, la magia della creazione: deve essere genuina, deve avere qualcosa che tocca il pubblico, cose che non si sono mai potute racchiudere con una formula. Non c’è un ricettario per fare la canzone perfetta, di successo. E’ sempre qualcosa di misterioso, un miracolo che avviene all’improvviso…

“Tropitalia” è il tuo ultimo progetto discografico. Cosa ti ha guidato nella scelta delle canzoni da rivisitare?

Nella scelta delle canzoni ho cercato di coprire un arco temporale molto vasto. Sono tornato anche agli anni Trenta. Poi gli anni ’50 con “Nel Blu dipinto di blu di Modugno”, che ha un rifacimento in portoghese; una versione percussiva che ha stupito chi l’ha ascoltata; è totalmente diversa dall’originale.Gli anni ’60 sono molto presenti, un’epoca d’oro di cantanti e canzoni. Poi gli Anni ’70 ed ’80. La cosa più recente del disco risale al 2000. Il criterio di scelta delle canzoni non è stato razionale ma istintivo. C’era davvero da perdersi tra migliaia e migliaia di canzoni e quindi si è andati un po’ a cuore e istinto.  Tutto il lavoro di scelta l’ho fatto con il produttore Toni Canto, che è stato un complice perfetto in questa operazione. Siamo andati avanti finchè non abbiamo raccolto il numero sufficiente di canzoni che potesse convincerci, perchè il gioco doveva essere interessante, divertente, stimolante. Se non aggiungi alle cover qualcosa di originale, non vale la pena rifare le canzoni; se invece una reinterpretazione aggiunge elementi nuovi e spiazzanti, offre all’ascoltatore anche una chiave di lettura diversa. In questo caso il gioco vale la candela…

Veniamo da due anni difficili per il mondo della musica. In questo tempo, oltre alla musica, quale è stata la tua ancora di salvezza?

La Pandemia ha minato tantissimi capisaldi della nostra vita; è stato uno sconvolgimento radicale. Il primo lockdown è stata una dimensione che ricordo con un po’ di nostalgia. L’isolamento totale, le città deserte. Qualcosa di poetico lo riconosco a quel periodo. C’era un sentire comune, la voglia di lottare insieme contro questo mostro e quindi c’era anche qualcosa di eroico. Poi i lockdown che sono seguiti dopo, anche per la gestione vaccini e green pass, hanno reso tutto più noioso e burocratico. Ora siamo tutti un po’ esausti, speriamo che possa essere vicina la fine di tutto, e di poter ricostruire sulle ceneri…

In quest’album duetti con con due artisti con i quali hai già collaborato: Joe Barbieri e Patrizia Laquidara…

Questi due artisti sono prima di tutto amici con i quali ho una storia da raccontare, che parte nel passato, ed è per questo motivo che li ho chiamati a cantare nel disco. Con Joe Barbieri duetto in “Vita”, il successo di Dalla e Morandi, con Patrizia Laquidara in “Maledetta Primavera”. Loro due sono stati gli artisti più nelle corde di questo progetto, quindi non ho davvero dovuto spiegare loro nulla. Il disco è nato nel pieno del primo lockdown e, nonostante le distanze, tutti i musicisti che hanno collaborato sono stati eccezionali. Molti hanno suonato da remoto, ma la musica è un linguaggio che riesce ad esprimersi benissimo anche a distanza, anche se non si è presenti tutti insieme in uno studio.

Rivedremo Mario Venuti a Sanremo?

Perché no, spero ci sia l’occasione…

GIULIANA GALASSO

“Tropitalia” Tracklist

1) Ma che freddo fa

2) Figli delle stelle

3) Quella carezza della sera

4) Maledetta Primavera

5) Xdono

6) Non ho l’età (Per amarti)

7)  Voar (Nel blu dipinto di blu)

8) Vita

9) Vivere

10) Il cuore è uno zingaro

11) Una carezza in un pugno

Mario Venuti presenta il nuovo album “Soyuz 10″. Intervista

Mario Venuti

Mario Venuti

Mario Venuti pubblica il decimo album di inediti “Soyuz 10” in 30 anni di carriera e lo fa con classe, sapienza e maestria. La sua è una scrittura senza tempo, elegante e corposa. Un preciso tratto distintivo di un artista che da sempre ama creare e vivere in modo autentico e lontano da sovrastrutture.
A raccontare il nuovo album è lui stesso con queste parole:
“Ho intitolato il disco in questo modo per cercare di andare oltre l’automatismo che in genere scandisce questo tipo di operazione. In questo caso ho lasciato che una sessione di registrazioni mi coinvolgesse al punto da mettermi al centro di una visione. Il protagonista di questo momento è stato un microfono Soyuz, particolarmente adatto alla mia voce. Ho quindi immaginato che proprio quel microfono potesse trasfigurarsi in una sorta di razzo che traghettasse la mia voce in altre dimensioni. Per concludere il tema dell’incontro e del relazionarsi tra le persone mi ha incoraggiato a scegliere il titolo”.
Il mood che scandisce questi brani è distensione e positività. Questo tipo di vibrazioni sono frutto della maturità e della prorompenza dell’esperienza. Ci sono molte canzoni d’amore incentrate sul concetto che gli umani hanno un bisogno disperato della componente emozionale, benchè oggi tutto sia fortemente condizionato dalla mente e dalla razionalità.
“Il mio rapporto con la musica è sempre stato naturale anche se con il tempo sono diventato più istintivo. Prima scrivevo da solo ed era un lavoro di sedimentazione, ora invece annoto piccole frasi, veri e propri frammenti su dei taccuini, ho delle basi armoniche e sono fanatico della melodia. Poi mi vedo con Pippo (Kaballà ndr) e tutto prende una forma più compiuta. Il plot diventa netto e la mia felice consuetudine raggiunge il lieto fine. Per spiegare questo processo in modo più concreto, l’ultima trilogia di album rappresenta l’esempio perfetto: il “Tramonto dell’occidente’ del 2014 era il disco della ragione (abbiamo volutamente messo da parte la componente emozionale per raccontare la società e la crisi). ‘Motore di vita’ del 2017 era un disco fisico in cui azione e ballo s’incentravano sulla riscoperta del corpo. Questo è chiaramente un disco del cuore, nato in posti di mare di fronte a grandi orizzonti marini tra Sicilia e Liguria con grande istintività e senza pc”.
“La mia vita personale è di basso profilo. Vivo in un quartiere misto di Catania e ho sempre preferito i contesti off limits. Mi piace il mio paradiso bohemien, faccio una vita tranquilla e mantengo intatto il legame con la mia terra e con la dimensione affettiva. Lì vivo e scrivo, Kaballà ormai è una certezza costante, è sempre bello condividere idee e pensieri con lui. Con Bianconi invece mi diverto molto, la sua presenza è diventata un rito scaramantico. Voglio che in ogni mio disco ci sia una canzone scritta da lui, una persona colta che stimo moltissimo”.
“I confini tra l’autobiografismo e la fiction sono sempre molto labili, trovo che sia giusto che sia tutto molto sfumato. Allo stesso tempo la mia nostalgia del futuro sta nel cercare di rapportare tutto all’oggi, offrire letture e punti di vista da prospettive diverse lasciando anche qualcosa di non detto. La tecnologia ci sovrasta ma l’unico antidoto possibile è instaurare un legame con elementi naturali, ritagliarsi spazi di disintossicazione. Ogni eccesso ha le sue controindicazioni.
Il mio linguaggio sta in bilico tra passato e presente, oggi si tende allo svacco, il mio è molto più raffinato. Vorrei istituire la giornata mondiale dell’immodestia, un giorno all’anno in cui ci si spoglia della finta umiltà. Vorrei semplicemente dire che un disco così, oggi, è veramente raro per eleganza, raffinatezza, ricerca musicale, armonica, testuale. Questo album è molto più suonato rispetto a “Motore di vita”. Qui c’è un’importante componente umana, ci sono musicisti veri, archi, fiati, ma sfido chiunque a produrre, oggi, un disco senza Pro-Tools e computer. Mi fregio di dire che è un album molto vario e pieno di riferimenti, sono portato a fare dischi variegati dal punto di vista stilistico, ho rinunciato all’idea di stare dentro uno spazio ristretto di azione, mi piacciono i dischi vari e infatti il mio preferito dei Beatles è ‘Revolver’, che contiene di tutto un po’.
Non mi preoccupo delle tendenze, i social sono un’appendice, una sovrastruttura. Il nocciolo rimangono le canzoni, domani resteranno solo quelle a prescindere dal resto che rimane del materiale che si consuma in giornata.
Se penso ai nuovi cantautori, sinceramente non penso a una rottura con il passato, anzi. Sono convinto che l’attuale scena pop sia la naturale prosecuzione di quanto abbiano insegnato i primi maestri del cantautorato italiano. Lo stesso Tommaso Paradiso si rifà apertamente a Carboni, Venditti, il primo Vasco. Poi penso a Brunori, ovvero la summa del cantautorato classico italiano: Gaetano, Battisti, Dalla, De Gregori ben miscelati e serviti. C’è un filo che lega le canzoni di oggi a quelle di ieri e questi artisti ne sono la prova dimostrata”.
Raffaella Sbrescia

“Il tramonto dell’Occidente”, l’album di Mario Venuti ci offre nuove possibili vie d’uscita. La recensione

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L’ottavo album solista di Mario Venuti è “Il tramonto dell’Occidente”, un lavoro discografico di grande qualità, sia dal punto di vista testuale che musicale. Nel ventennale della sua carriera, senza considerare la lunga parentesi con i redivivi Denovo, Mario Venuti ci offre la possibilità di fare il punto sulla nostra condizione con classe, eleganza e raziocinio. Bando agli allarmismi, alle ruberie e alla volgarità, al catastrofismo spicciolo, Venuti chiama a raccolta artisti del calibro di Francesco Bianconi, frontman dei Baustelle, e Kaballà, entrambi nella veste di autori, per mettere i puntini sulle i.

Il titolo del disco evoca l’opera di Spengler Oswald, un mastodontico tentativo di elaborare un compendio di una morfologia della storia universale. Sviluppo, fioritura e decadenza individuale assumono una valenza collettiva all’interno di un percorso cantautorale insolitamente ottimista e fiducioso. Il disco si apre con il testo riflessivo, dolente e rabbioso de “Il tramonto”, un brano che fotografa con lucidità il nostro presente: “Dal balcone l’altro giorno ho visto uno studente rovistare nella spazzatura. Nelle liste elettorali leggo nomi di maiali. Gli svantaggi della libertà, mio Signore, per favore, non aver pietà”, canta Mario Venuti, auspicando il ritrovamento della luce. Le voci di Francesco Bianconi e Giusy Ferreri s’incastrano nel refrain di “Ite missa est”, la formula latina del congedo della messa sancisce la fusione tra sacro e profano in questo brano a metà strada tra la presa in giro e l’accusa seria contro i postulanti del no future, che popolano i principali mezzi di comunicazione. Il coro polifonico Doulce Memoire colora e riempie i tratti di quella che rappresenta a tutti  gli effetti una presa di coscienza: “Io esco solo di domenica, osservo bene quest’umanità, mi sembra come una parabola biblica. La fine della nostra civiltà”.

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

Dolce e delicata è invece la trama de “I capolavori di Beethoven”, una preziosa ballad in cui Venuti duetta con Franco Battiato omaggiando il grande compositore che, nonostante la sordità, fu in grado di scrivere le più importanti pagine della storia musicale mondiale. La ricerca della forza nel disagio traspare a più riprese mentre “ Il ritorno inatteso della povertà ci insegna, finalmente, l’idea dell’abbondanza”. La prescrizione indicata in questo frangente è trasformare una mancanza o un handicap fisico in un punto di forza, un modo del tutto innovativo di rivoluzionare se stessi ed il proprio modo di pensare. Curioso l’intermezzo strumentale di “Perché”: violini, archi e violoncello accompagnano un insolito collage di sample tratti dalla discografia di Venuti mentre frammenti musicali orchestrali del “Concerto all’aperto di Giorgio Federico Ghedini” richiudono il vortice autocitazionista.

Bellissima e particolarmente azzeccata è la lucida analisi che Mario Venuti fa delle periferie italiane in “Ventre della città”. Cattive coscienze convivono con cuori vergini in posti troppo spesso dimenticati dagli uomini e in storie conficcate come pugnali nel ventre della città. Anche in “Passau a Cannalora”, il brano in dialetto siculo, cantato insieme a Bianconi e Kaballà, Venuti lascia trasparire un forte legame con la terra e con le radici. Sant’Agata, patrona della città di Catania, è la destinataria di un’accorata preghiera in cui il cantautore auspica il ritorno dell’antica bellezza di posti incantevoli distrutti dalle mani dell’uomo. Echi rivoluzionari riempiono le note di “Arabian boys”, un racconto ispirato agli episodi avvenuti durante la Primavera Araba: “Né cariche, né bombe, né dannati canti di sirene fermarono l’amore che accendeva la rivoluzione”, canta Venuti, dando spazio ad uno slancio inaspettatamente positivo.

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

“Niente esiste, tutto appare e nulla è come è”, scrive il cantautore in “Tutto appare”, duettando con Alice. Il brano si chiude con la massima di ispirazione ungarettiana “Solo quello che non siamo, solo questo so” mentre la periferia italiana cerca e trova contatti con quella americana in “Ciao american dream”, il riuscito adattamento di “Ashes of American Flags” dei Wilco. Che sia il dio dollaro o l’antica lira, la sete di denaro rimane il peggiore di tutti i mali anche in “Il Banco di Disisa”, un’antica leggenda che, attraverso poche profonde parole, rappresenta la metafora dell’avidità umana.  In antitesi con la traccia di apertura, l’ultimo brano del disco è “L’alba”. Il brano vede la partecipazione del giovane cantautore palermitano Nicolò Carnesi, una collaborazione voluta dallo stesso Venuti, come segno di incoraggiamento e fiducia verso le nuove generazioni: “Io sto camminando verso l’alba che per sua natura nasce ad est e sto recitando un altro mantra. Prendo più coscienza, cerco me”. Questo doloroso viaggio musicale si conclude, dunque, con una nuova, inaspettata consapevolezza, un nuovo stimolo per cominciare a ripensare il nostro modo di vivere e per cercare nuove possibili vie d’uscita.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Ventre della  città”

IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE IN TOUR” toccherà i club e i teatri di tutta Italia.

Queste le prime date confermate:

12 novembre  Roma (Orion Club)

13 novembre  Milano (Magazzini Generali)

14 novembre  Firenze (Viper Theatre)

26 novembre  Padova (Geoxino)

27 novembre a Bologna (Bravo Caffè, con un set elettro-acustico)

4 dicembre a Palermo (I Candelai)

18 dicembre a Catania (ZO Centro Culture Contemporanee).

I biglietti per i concerti sono disponibili in prevendita

“Ventre della città”, il nuovo singolo di Mario Venuti. La recensione

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

Scritto e musicato da Mario Venuti, Francesco Bianconi e Kaballà,“Ventre della città” è il nuovo atteso singolo di  Mario Venuti che anticipa l’uscita de “Il tramonto dell’Occidente”, nuovo album di inediti del cantautore siciliano, la cui uscita è prevista per il 23 settembre (Microclima-Musica & Suoni/Believe Digital).  “Ventre della Città” è un brano delicatamente intenso, in grado di concentrare l’occhio e lo spirito all’interno delle viscere della più intima realtà delle zone degradate e periferiche dei grandi centri urbani. Le “Storie di Corviale, di Quarto Oggiaro, di Scampia, di Librino e Zen sono conficcate come pugnali nel ventre della città…” e, in quanto tali, fanno male, tanto male. Un dolore quotidiano, ineludibile, insopportabile che rende insofferenti, insonni, cattivi e cinici. Un dolore che, in maniera assolutamente transitiva, è in grado di passare dalle esistenze individuali a interi quartieri delle grandi metropoli che, a causa della noncuranza di chi di dovere, trova sempre nuovi spazi in cui diffondersi, diventando endemico. A rendere visivamente l’idea del disagio sociale è il videoclip diretto da Lorenzo Vignolo e girato proprio a Librino, un quartiere periferico a sud ovest della città di Catania, in cui ciascuno dei frame proposti al pubblico diventa proporzionalmente necessario alla diretta comprensione di un testo dedicato alle vite dei quartieri venuti male, quelli in cui nessuno vuole andare, quelli che fanno paura, che fanno orrore, quelli che si vorrebbero dimenticare e che, invece, continuano ad attirare attenzione su di sé in maniera disperata, tragicamente drammatica.

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Mario Venuti si conferma, dunque, un cantautore in grado di scavare a fondo nell’animo umano, senza, tuttavia, rinunciare ad una linea melodica solare, quasi in contrapposizione con l’aspetto più propriamente semantico del testo. In questo caso l’arrangiamento è vivo e ritmato, un ampio utilizzo dell’elettronica ed una serie di riff di chitarra regalano al brano un’allure godibile e molto orecchiabile. “Ci incontreremo le sere d’estate/Sul mare d’asfalto di queste borgate/Non sarà male fermarsi a guardare le nostre ferite, le stelle inventate”, canta Mario, rendendo visivamente le immagini di un mare di sogni infranti lungo muri di cemento e, mentre le stelle vengono coperte dagli ecomostri delle periferie suburbane, non rimane che immaginarle durante le notti insonni in cui si sogna di scappare via lontano. Nonostante un così grigio affresco del nostro mondo periferico, Venuti, Bianconi e Kaballà trovano anche lo spazio per la poesia perché, allorquando non è possibile trovarla nei libri, allora è giusto forzare la mano e carpirla nei più reconditi meandri dell’istinto umano, tra vizi e virtù, mantenendosi in ogni caso lontano dalla corruzione del pensiero borghese senza rinunciare, infine, ad un omaggio a Gianni Celeste, esponente di un genere, quello neomelodico, sempre più forma di espressione dei mali e dei pensieri dei cosiddetti ultimi.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Ventre della città”