FEDERICO MECOZZI è il più giovane direttore d’orchestra a Sanremo 2019. Sul palco ligure con Enrico Nigiotti, Federico è violinista e polistrumentista da nove anni al fianco di Ludovico Einaudi. Lo scorso 25 gennaio l’artista ha dato alla luce anche un album d’esordio intitolato “AWAKENING” (Warner Music Italy). Il disco, prodotto da Cristian Bonato (Numeri Recording), è un viaggio sonoro che racchiude e sintetizza le esperienze, i gusti e le contaminazioni sperimentate dall’autore in diversi anni di attività musicale, collaborazioni e viaggi. Un risveglio anche molto personale: con “Awakening”, Federico Mecozzi vuole esprimere la totalità più intima della sua personalità artistica, attraverso un linguaggio che intreccia sonorità pop, etniche, classiche ed elettroniche.
Anticipato dal singolo “BIRTHDAY”, l’album è stato presentato sabato 26 e domenica 27 gennaio al Teatro Galli di Rimini, città d’origine dell’artista, con due concerti già sold out. Questi i prossimi appuntamenti confermati di un calendario in costante aggiornamento: 2 marzo alla Suoneria Settimo di Torino, 4 marzo alla Santeria Social Club di Milano, 5 marzo al Bravo Caffè di Bologna, 6 marzo al Largo Venuedi Roma.
10 concerti, un solo e unico obiettivo: la fascinazione del pubblico. Ludovico Einaudi, pianista celebre nel mondo, sempre più performer, sceglie Milano, e più precisamente il Teatro Dal Verme, per un festival che abbraccia la musica contemporanea trasformando il suo concerto in un imperdibile happening.
Fondamentali i compagni di viaggio che lo accompagnano sul palco sfoggiando esperienza e maestria: Federico Mecozzi (violino), Redi Hasa (violoncello), Alberto Fabris (basso elettrico, live electronics), Francesco Arcuri (chitarra, percussioni), Riccardo Laganà (percussioni) sono i musicisti che in questo tour fanno la differenza maneggiando gli strumenti in modo versatile e ipnotico. Ma partiamo dall’inizio, Ludovico Einaudi non lascia nulla al caso. Installazioni di luce all’esterno e all’interno del teatro, booklet in cui illustra la novità degli appuntamenti milanesi: ogni sera con lui un duetto con artisti e gruppi appartenenti a scenari musicali anche molto distanti dal suo. Un momento sperimentale per provare ad approdare verso nuovi lidi cognitivi, per lasciarsi trasportare dall’ebbrezza dell’incontro estemporaneo. Lo scorso 10 dicembre, ad esempio, l’ospite è stata Kazu Makino, cantante e musicista giapponese in forza al gruppo musicale statunitense Blonde Redhead, protagonista di un reading incentrato sul potere del simbolismo minimalista. Confini, ombre e chiaroscuri si sono alternati ai brani proposti da Einaudi per un momento di grande concettualismo.
La scelta di Milano non è un caso, Einaudi ama mettersi alla prova, lo sperimentalismo è parte integrante della propria cifra stilistica per cui l’impudente voglia di osare è l’imperativo alla base di questa nuova tornata di concerti.
La scaletta scelta per “Dieci notti” è molto più asciutta e nervosa dei tour precedenti. I saliscendi emotivi mettono lo spettatore nella condizione di mantenersi attento, il risalto lasciato ai singoli strumenti non decolora il centralismo del pianoforte che dirige il gruppo. L’atmosfera, sofisticata e rarefatta, trasforma anche i visuals in componenti attivi dell’atto artistico. “Petricor”, “Four dimensions”, “Logos” ma soprattutto “Experience” e “Choros” sono i fiori all’occhiello del repertorio di Ludovico Einaudi che anche in questa occasione non delude le aspettative del pubblico più ricercato ed esigente. Per gli incontentabili l’appuntamento è ogni sera nella sala piccola del Teatro Dal Verme: alle 23.00 in punto ciascuno degli artisti che ha duettato con Einaudi durante il main act ha la possibilità di esibirsi l’indomani in un secret show. Il mood è quello di un club, un priveè a cui accedere con aria sorniona e volutamente inconsapevole. Uno spazio riservato a sole 200 persone. L’occasione è di quelle ghiotte: artisti del calibro di Jozef van Wissem, Ballake Sissoko, Ronald e Robert Lippok, in particolare, portano in scena il meglio dell’avanguardia sperimentale contemporanea. Il concetto alla base di questa idea luminosa è la visione della musica come potente motore aggregante; ultimo baluardo della creatività, dell’azzardo, della libertà.
Ludovico Einaudi live @ Teatro Arcimboldi – Milano
Il pianista e compositore Ludovico Einaudi arriva al Teatro Arcimboldi di Milano per tre imperdibili concerti incentrati sul suo ultimo lavoro discografico intitolato “Elements” (Decca Records). Il primo atto di questa attesa trilogia live è andato in scena lo scorso 8 dicembre: una foresta di suoni, ombre e simboli ha dato vita ad un’ipnosi sonora in grado di innescare un processo di anamnesi collettiva. Attraverso una meticolosa attenzione per il più piccolo dei dettagli, Einaudi porta sul palcoscenico la costruzione artigianale dei suoni concepiti in fase di composizione ed il risultato è eccellente. Ad assistere l’artista in questa delicata operazione sono dei musicisti veramente preparati, in grado di fronteggiare l’uso di numerosi strumenti con la stessa padronanza. Parliamo di Federico Mecozzi, Redi Hasa, Alberto Fabris, Francesco Arcuri e Riccardo Laganà. Suoni acustici ed elettronici, luci soffuse e penetranti lampi incarnano il dualismo sotteso lungo tutto il percorso emozionale concepito da Einaudi. I musicisti entrano in scena uno per volta, piccole ombre che si muovono nella semioscurità, piccoli disegnatori di una complessa mappa di pensieri che, allo stesso modo delle note proposte, si fanno via via più ricchi e stratificati. Attraverso un crescendo ritmico, nutrito da suggestioni estemporanee e vibrazioni continue, Einaudi indaga tra visioni, leggi, assiomi e corollari: si va dai miti della creazione alla tavola periodica degli elementi, dalle figure geometriche di Euclide agli scritti di Kandinsky: un discorso senza un punto di approdo di cui ciascun ascoltatore può scrivere il proprio finale. I brani in scaletta, ora carezzevoli e delicati, ora intimi e intricati, ora pieni e corposi, ora tormentati e burrascosi, delineano i cardini di un’orbita in cui il pianoforte è il pianeta principale e tutt’intorno ci sono i satelliti: sega musicale, crotali, Kalimba, carillon, glockenspiel, waterphone sono solo alcuni degli strumenti scelti per trasmettere specifiche funzioni espressive. “Whirling winds”, “Night”, “Twice”, “Song for Gavin”, “Petricor”, “Four dimension”, “Elements”, “Numbers”, ”Logos” generano paura e attrazione, un vorticoso andirivieni di emozioni contrastanti alla ricerca di risposte esistenziali. Una tempesta sonora la cui potenza, in grado di scuotere la nostra natura sensibile, raggiunge il picco più elevato sulle note di “Experience”, una composizione ossessivamente travolgente. A seguito di una sentita standing ovation e del conseguente scroscio di applausi, Ludovico Einaudi e i suoi musicisti salutano il pubblico con “Divenire”, un modo fresco per prendere coscienza del fascino generato dall’enigmaticità e ridestarsi da una sorprendente catarsi.
Suoni ricchi, corposi e stratificati popolano gli ambienti immaginifici di “Elements”, il nuovo album di Ludovico Einaudi, pubblicato il 16 ottobre 2015 su etichetta Decca Records – Universal Music Group, a due anni di distanza da “In a Time Lapse”. Questo progetto è il frutto di un lungo lavoro progettuale che ha spinto Einaudi a sperimentare mettendosi ancora una volta in gioco attraverso un complesso processo di ricerca sonora e concettuale. “Elements” è una potente e suggestiva miscela di suoni, immagini, pensieri e sensazioni. Punti, linee, figure, frammenti confluiscono all’interno di un unico discorso musicale che si avvale di piano, archi, percussioni, chitarra ed elettronica. Oltre alla presenza del gruppo ormai stabile di Ludovico, tra cui Francesco Arcuri, Marco Decimo, Mauro Durante, Alberto Fabris, Federico Mecozzi, Redi Hasa, l’album si avvale della collaborazione dell’ensemble d’archi olandese Amsterdam Sinfonietta, del musicista elettronico berlinese Robert Lippok, dei percussionisti dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, del percussionista brasiliano Mauro Refosco e del grande violinista sudafricano Daniel Hope, ospite nel brano di apertura “Petricor”.
Intervista
Descrivendo la genesi di “Elements” ha parlato di una sorta di confusione iniziale in cui ad un certo punto gli elementi hanno trovato un equilibrio ben definito. Come è andata?
In ogni mio progetto cerco sempre un tema, un’ ispirazione su cui riflettere. Ogni volta la musica fa da cornice a tutte le idee che mi vengono in mente. In questo caso mi interessava realizzare un progetto piuttosto ambizioso, ovvero cercare gli elementi fondamentali del linguaggio e della comunicazione e unirli a tutto ciò che siamo abituati a mettere in gioco in musica: melodia, ritmo e accordo svolgono, in questo senso, una specifica funzione espressiva. Volevo effettuare una sorta di analisi di questi elementi e spiegare il loro funzionamento un po’ come se un architetto dovesse spiegare perché una finestra deve essere fatta in un certo modo invece che in un altro.
Una ricerca che si è estesa anche ad altri ambiti del sapere?
Certo, mi sono avvicinato all’arte, all’architettura, alla geometria euclidea, alla filosofia di Empedocle. Partendo da elementi apparentemente semplici, mi sono avviato verso un’esplorazione sonora e culturale di tipo complesso; per me è stata l’occasione per fare delle letture interessanti e circondarmi di riflessioni e di spunti inattesi. Il fenomeno che mi ha incuriosito di più è stato scoprire come alcune idee possono essere trasformate in un linguaggio musicale via via sempre più strutturato e complesso.
Ludovico Einaudi
Come e dove ha lavorato alla realizzazione dell’album?
Ho iniziato a scrivere e a realizzare i primi esperimenti di questo progetto nel mese di marzo. Dopo aver suonato in Australia e Nuova Zelanda, son tornato in Italia e sono andato nella mia casa di campagna nelle Langhe dove ho convertito un fienile in uno studio di registrazione. Da un lato sapevo di avere una scadenza, seppur lontana; ero conscio del fatto che avrei voluto pubblicare un album in questo periodo, avevo già tante idee, tanti brani erano in stato embrionale, altri erano al vaglio. Dentro il mio telefono ci sono sempre spunti e piccole note che raccolgo mentre sono in giro in tutto il mondo. Ho iniziato a lavorare scrivendo e testando questo nuovo spazio che avevo creato per capire se, in effetti, avrei potuto registrare lì o meno. Ci speravo perché avevo realizzato il pavimento con determinati accorgimenti per espandere il suono ed ottenere una certa acustica. Certo, non è mai possibile prevedere eventuali imprevisti tecnici, invece, già durante le prime prove realizzate con i miei musicisti abbiamo iniziato a registrare. Durante queste prime giornate sono venuti fuori anche nuovi brani del tutto inattesi come “Elements” e “Petricor” e“Numbers”.
In questo lavoro ha collaborato con artisti provenienti da tutto il mondo. Tra tutti, spicca la ritrovata sintonia con il violinista Daniel Hope, presente anche in “Experience”, quinta traccia dell’album “In a Time Lapse”.
Mentre analizzavo e programmavo il resto del lavoro, avevo inizialmente pensato di non utilizzare l’orchestra d’archi poi però ho capito che ci sarebbe stata benissimo e alla fine ho registrato ben quattro brani con l’orchestra di Amsterdam. In seguito, per il violino del brano “Petricor”, ho pensato che sarebbe stato bello collaborare nuovamente con Daniel Hope. In realtà era tardissimo, stavo già mixando il disco ma siamo riusciti a fare una cosa all’ultimo momento. Lui è sempre molto disponibile, era pieno di altri impegni ma mi ha comunque dedicato una mattinata, siamo felici di avercela fatta.
In “Elements” c’è una particolare attenzione verso determinati suoni collegati alle percussioni…
Sì, ho cercato nuove colorazioni attraverso la ricerca dei ritmi presenti nel mondo delle percussioni. Ho usato il vibrafono, in “Four Dimensions” c’è il waterphone, uno strumento di metallo in cui si rovescia dentro dell’acqua determinando diverse modulazioni del suono. Insieme a Mauro Refosco, percussionista brasiliano che vive a New York, e con i percussionisti di Roma, con cui avevo fatto già un altro progetto qualche anno fa, sempre legato a Elements, c’è stato il tempo di investigare, sperimentare, capire. Il fatto di aver potuto fare questo viaggio a casa mia mi ha aiutato a dare un ordine preciso a tutto questo mare magnum di idee.
C’è un brano, in particolare, che rispecchia tutto questo percorso?
Nominarne uno solo mi dispiace sempre un po’. Potrei citare “Four Dimensions” perché è nato dall’osservazione di alcune proporzioni geometrico-matematiche. In particolare, il brano è scaturito dall’osservazione di una figura che al proprio interno aveva la forma del 3 e del 4. Per sperimentare ho usato una melodia di 3 suoni e una di 4 combinandole esattamente come se si trattasse di un esperimento scientifico o di un processo chimico. Osservando il risultato, l’ho valutato musicalmente interessante e ho ritenuto fosse in grado di rispecchiare anche la mia più profonda interiorità. Questo brano mi permette di sintetizzare la natura sperimentale del disco e di spiegare il modo in cui alcuni brani sono nati attraverso un processo di sviluppo graduale delle idee.
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