Il trionfo di Marco Mengoni allo stadio San Siro di Milano.

“Tredici anni fa non lo avrei mai immaginato. Se sono qui è colpa vostra”, dice Marco Mengoni, tra le lacrime di commozione e di gioia pura, ai 54 mila spettatori di San Siro accorsi per il suo primo concerto allo Stadio. Chiunque di noi fosse presente durante il primo tour del cantautore di Ronciglione nel 2010, non avrebbe potuto fare altro che piazzarsi nel prato gold e godersi ogni singolo attimo di questo traguardo così importante e altrettanto meritato. E così è stato.

marco-mengoni-san-siro-19-giugno-22-prandoni-

marco-mengoni-san-siro-19-giugno-22-prandoni-

Nell’arco di questi anni Marco ha saputo costruirsi un’identità artistica completa, variegata e di spessore e tutto questo ha voluto e potuto metterlo in uno show di grande impatto sia emozionale che scenico. L’entrata avviene direttamente dalla parte del pubblico, il primo brano è l’emblematico “Cambia un uomo”, tratto dall’ultimo album in studio “Materia-Terra”. Il palco, immaginato come una cavea e dotato di un cubo mobile, che in diversi momenti ha portato Marco tra il pubblico, è frutto della collaborazione con Black Skull, gli inglesi Dan Shipton, Ross Nicholson, Jay Revell, Paul Gardner, alla loro prima esperienza italiana.

Il palco di #MARCONEGLISTADI prende vita anche questa volta dai disegni di Marco stesso e muove dalle atmosfere e dalle suggestioni creative del suo ultimo disco Materia (Terra), l’idea è amalgamare elementi tipici dello staging delle iconiche trasmissioni musicali televisive e radiofoniche degli anni 70 con le dimensioni degli stadi. “Quando ho cominciato a fare i primi schizzi del mio palco ho pensato che avrei voluto riprodurre l’atmosfera calda e avvolgente degli show musicali degli anni 70. Le atmosfere black mi accompagnano da sempre e anche le reference visive di questo tipo per me sono importanti. Volevo che la mia band fosse sempre ben presente in scena, perché suona in maniera incredibile e la musica deve stare al centro di questo show. La sfida era portare in uno stadio le sonorità del mio ultimo disco nel loro ambiente naturale: i club di quegli anni, far sentire quella energia e quella fusione tra musica ed emotività, far uscire il soul e amplificare quella sensazione per tutti gli spettatori che ci sono in uno spazio così grande. Volevo raccontare la connessione con il mio pubblico, come lo show sia un momento collettivo in cui convergono le storie personali di tutti. Per questo era importante stare quanto più possibile al centro del pubblico, vedere negli occhi quante più persone possibile e quindi, con i Black Skull, abbiamo pensato al palco centrale come ad una cavea in cui possa stare al centro della mia band e al palco centrale con il cubo che si alza e mi porta ancora più e in mezzo allo stadio.”

Una passerella, lunga 24 metri, conduce al palco circolare che troneggia nel parterre e che cela un cubo in grado di avvolgere, scoprire ed elevare Marco fino a 5,5 metri d’altezza al centro del prato, “nel cuore dello stadio”, con la possibilità di proiettare sui 4 lati visibili al pubblico immagini ad altissima definizione, grazie ai 4 proiettori laser da 35k ansi lumen.

A completare lo staging tre schermi ad altissima definizione, per un totale di 250 mq di LED utilizzati come “vasi comunicanti” per tutta la larghezza del main stage per dare dinamicità e continuità anche alla parte video, in grado di esaltare i visual scelti e, soprattutto, le riprese live che mixano e sovrappongono immagini di Marco della band e pubblico, studiate per raccontare con forza la fusione tra palco e spettatori durante questo show.

marco-mengoni-san-siro-19-giugno-22-prandoni-9185

Lo show è diviso in tre grandi blocchi tematici e si passa dal punk rock al funky al soul, pop, alla dance. Visual, led, fiamme. Il cerchio luminoso in alto dal peso di una tonnellata, coriandoli, fasci di luce, ma soprattutto una voce immensa, capace di volare altissimo e di fissarsi nel cuore. Ventisette sono stati i brani in scaletta, intervallati da diverse ovazioni di un pubblico coinvolto, emozionato, divertito. Marco catalizza l’attenzione su di sé, ad accompagnarlo ci sono Giovanni Pallotti alla direzione musicale (anche basso, synth e programmazione), Peter Cornacchia (chitarre), Massimo Colagiovanni (chitarre), Davide Sollazzi (batteria, batterie elettroniche), Benjamin Ventura (pianoforte, piani elettrici, synth), Leo Di Angilla (percussioni, ritmiche elettroniche), Adam Rust (organo, synth), Moris Pradella (backing vocalist, direzione cori, chitarra acustica), Yvonne Park (backing vocalist), Elisabetta Ferrari (backing vocalist), Nicole di Gioacchino (backing vocalist), a cui si aggiungono durante alcuni brani Francesco Minutello (tromba), Alessio Cristin (trombone), Elias Faccio (sassofono). Un club anni ’70 in cui perdersi, ballare a più non posso, lasciarsi incantare dalla bellezza, dalla varietà di intenti, contenuti, idee, ispirazioni che questo ragazzo ogni volta traduce in emozioni. Il viaggio tra presente e passato di questi 13 anni è lungo, intenso,  volte nostalgico, altre gudurioso. Da sempre con Mengoni si gode e si piange allo stesso tempo, ed è per questo che esserci diventa irrimediabilmente restare. Molto toccante il monologo incentrato sull’importanza delle parole e sul concetto di indifferenza. In questo percorso di crescita, Mengoni ha spesso dimostrato di quanto la sua sia una ricerca a tutto tondo: che si tratti di musica, ambiente, cultura, Mengoni s’interseca a più livelli in questi tempi difficili e riesce a fare suoi concetti universali su cui poter fare leva in qualunque contesto.

marco-mengoni-san-siro-19-giugno-22-prandoni-

marco-mengoni-san-siro-19-giugno-22-prandoni-

Che sia in un completo over size Marni, in canotta metallica e boots seventies e camicia Versace, nell’incantevole total white Valentino, Marco Mengoni tiene catalizzata l’attenzione su di sé. Tra i brani in scaletta che più di altri hanno spiccato per intensità interpretativa ci sono “Cambia un uomo”, “Proteggiti da me”, “Luce”, Ti  ho voluto bene veramente”, “Guerriero. Il picco adrenalinico su “Pronto a correre”  e “Io ti aspetto”. Sulle note di “Buona vita” l’artista si congeda ma è solo un arrivederci per rinnovare la magia nei palazzetti di tutta Italia.

Raffaella Sbrescia

#MARCONEGLISTADI_SET LIST

 

Cambia un uomo – (Materia (Terra)_2021)

Esseri Umani – (Parole in circolo_2015)

No Stress

 

Voglio – (Atlantico_2018)

Muhammad Alì – (Atlantico_2018)

Psycho Killer – (Dove si vola_2009)

Credimi Ancora (Re matto_2010)

Mi Fiderò (feat. Madame) – (Materia (Terra)_2021)

Solo Due Satelliti – (Le cose che non ho_2015)

 

Luce – (Materia (Terra)_2021)

Proteggiti da me – (Marco Mengoni Live_2016)

Parole In Circolo – (Le cose che non ho_2015)

L’Essenziale – (Pronto a correre_2013)

Non Passerai – (Pronto a correre_2013)

Onde – (Marco Mengoni Live_2016)

 

Sai Che – (Marco Mengoni Live_2016)

Hola – (Atlantico_2018)

Ti Ho Voluto Bene Veramente – (Le cose che non ho_2015)

Duemila Volte – (Atlantico On Tour_2019)

Come Neve – (Oro Nero Live_2018) / Venere e Marte (2021)

In Un Giorno Qualunque – (Re matto_2010)

Guerriero – (Parole in circolo_2015)

 

Ma Stasera – (Materia (Terra)_2021)

Pronto a correre – (Pronto a correre_2013)

Io Ti Aspetto – (Parole in circolo_2015)

 

Buona Vita – (Atlantico_2018)

Venditti & De Gregori live allo Stadio Olimpico di Roma: 50 anni di emozioni. Il report del concerto

Certi amori non finiscono, e sicuramente dopo cinquant’anni è rimasto intatto l’amore verso Venditti e De Gregori, da parte di un pubblico che, seppure a volte diviso nel dichiararsi più a favore della scrittura dell’uno o dell’altro, ieri sera si è trovato ad applaudirli, cantarli, ringraziarli, in totale sintonia.
L’attesa per l’evento, annunciato già da tempo e poi sospeso a causa del lockdown, è molta. I due artisti cominciarono a suonare insieme e condividere note e versi, cinquant’anni fa al Folk Studio, in una situazione all’epoca di grande fermento per il cantautorato in Italia.
Insieme, cinquant’anni fa, incisero un LP che, pur senza un grande riscontro di vendite, ha rappresentato un punto di svolta nel mondo della canzone d’autore: Theorius Campus.
Un lavoro dai contenuti importanti, ricercato, decisamente di altissima qualità, in cui i brani delle due giovani promesse del mondo musicale si alternavano, dando vita a una proposta innovativa e ambiziosa.
Dopo di allora le strade dei due artisti si divisero. Tuttavia, nel pubblico, è sempre rimasto vivo il ricordo del sodalizio iniziale, e forse per questo trovarli insieme sul palco dell’Olimpico ha acceso l’entusiasmo di ben 44.000 persone. Un concerto di dimensioni sicuramente importanti.
Venditti & D Gregori ph  Canitano

Venditti & D Gregori ph Canitano

Una trentina di canzoni, 32 per l’esattezza, scritte nell’arco di un cinquantennio, e restituite con sonorità ricche ed attuali, rese da una band che, composta dai musicisti che fanno solitamente da accompagnamento ai due artisti, ha suonato in perfetta sintonia.
L’esordio del concerto è musicalmente ambizioso: Richard Strauss – Also Sprach Zarathustra, il tema di Odissea nello Spazio, introduce il brano di Venditti che, in qualche modo, racconta gli inizi della loro storia, ossia “Bomba o non Bomba”. E a Roma ci sono arrivati, ci sono in questo preciso istante, di fronte a un pubblico in delirio.
Nel seguito del concerto, Venditti e De Gregori continueranno ad incrociarsi per cantare, scambiandosi spesso le voci, brani che sono nel cuore di tutti noi: “La leva calcistica della classe ’68”, “Modena” “Generale”, “Che fantastica storia è la Vita”, “La Donna Cannone”, “Unica”, “Sempre e per sempre” (che resa dalla voce di Venditti, va detto, acquista un fascino ancora più intenso), “Pablo”, introdotta dall’incipit di Shine on You Crazy Diamond, con De Gregori alla chitarra, “Ricordati di me”, cui sempre De Gregori regala un sentito assolo di armonica, e poi ancora “La Storia”. Unico accenno all’ esordio discografico di cinquant’anni or sono, “Dolce Signora che Bruci”, eseguita a due voci.
Un sentito omaggio a Lucio Dalla, che, va ricordato, ha a lungo collaborato con De Gregori, con l’esecuzione di “Canzone”.
Circa i riferimenti all’attuale situazione internazionale e all’interpretazione e al peso che ritenevano di dare a determinati brani, è proprio De Gregori, in conferenza stampa, a chiarire che ogni canzone assume un significato aderente alla realtà in cui si vive, e che il loro repertorio sarebbe stato eseguito al riguardo senza enfasi particolari, lasciando ai sentimenti di ognuno la personale interpretazione. Certo, “Generale” è un brano contro la guerra, ma lo è da quando fu scritto, ed è da sempre presente nel repertorio live del cantautore romano. Il fatto che in questo momento storico possa risultare ancora più significativo non lo contestualizza necessariamente; resta un brano contro la guerra, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, senza demagogia.
Venditti esegue al pianoforte “Buonanotte Fiorellino”, che diventa un valzer molto elaborato e dalle sfumature lievemente gitane.
Nello scambiarsi versi e note, è particolarmente sentita la partecipazione di Venditti ai brani dell’amico, e De Gregori, che notoriamente dà del suo repertorio un’interpretazione sempre diversa e personale durante i live, rispetta questa volta senza muovere una nota, le scritture di Antonello.
Pochi brani (“Sara”, “Ci vorrebbe un amico”, “Notte prima degli esami”, “Rimmel”, “Titanic”) i due artisti li riservano a un’esecuzione individuale, personale e classica, ciascuno con la propria peculiare e riconoscibile espressione.
Sul finale un brivido. Sì, perché è universalmente conosciuta la dedizione ai colori della maglia giallorossa di Venditti, come lo è pure quella di De Gregori. Pertanto intonare “Grazie Roma” in uno stadio, l’Olimpico, stracolmo sicuramente non solo di Romanisti, ma anche di cugini Laziali, di parecchi Juventini e via dicendo, potrebbe voler dire rischiarsela. Ma “questa notte è ancora nostra”, è di tutti, proprio come Roma è di tutti. La partecipazione è commovente, e, personalmente, ritengo che questo sia stato un vero e indicativo segnale di pace e distensione, oltre ogni demagogia.
Roberta Gioberti

Claudio Baglioni e la sua opera-concerto alle terme di Caracalla: il live report, le foto e la scaletta

Scrivere qualcosa su  Claudio Baglioni che non sia già stato scritto, è impresa davvero ardua, se non impossibile.
Con dodici date a Roma, nell’incantevole scenario delle Terme di Caracalla è tornato a sublimare le scene, il cantautore romano che lega tra loro almeno quattro generazioni, senza soluzione di continuità.
Dodici date, dodici note, dodici sold out, pubblico arrivato da tutt’Italia per godersi uno degli eventi più affascinanti nel panorama estivo della musica leggera nostrana.
110 tra musicisti, coristi, ballerini, per oltre tre ore incantano la platea, mentre la voce straordinaria, potente e versatile che tutti ben conosciamo fa quasi da sottofondo a uno scenario da musical, dove l’espressione corporea assume il ruolo di protagonista. Un concerto che si fa guardare, prezioso, elegante, una proposta musicale sicuramente originale e innovativa.
Non è una novità per Baglioni essere circondato da un corpo di ballo, ma questa volta le coreografie non sono un semplice contorno, diventano il filo narrante di un racconto che si dipana con raffinatezza e gusto, mentre la colonna sonora di parecchie vite si amplifica nell’aria.

Non penso esista una sola persona che, a prescindere dal fatto di esserne o meno fan, non abbia avuto almeno una volta a che fare, nella vita, con un brano di Baglioni: stati d’animo raccontati con un’abilità affabulatoria che riporta un poco alla mente, complice anche la location, la magia di certe antiche rappresentazioni teatrali, impreziosita da perfetti giochi di luce, delicate proiezioni, piccoli intarsi di danza pura. Uno spettacolo curato in ogni dettaglio, corale imponente ma senza darne la sensazione, che scivola leggero, con naturalezza, richiamando a emozioni che si fanno coro, battito di mani, di cuori, sorrisi, commenti, pathos.
I brani storici, come da tradizione, eseguiti in medley al pianoforte, e su un paio la chitarra virtuosa di Giovanni, per il quale “Avrai” non manca di certo, con un piccolo momento di commozione che il padre non si cura di nascondere.

Tre ore dense disturbate solo da piccole gocce di pioggia che non preoccupano né il pubblico né lo staff, tre ore che volano via lasciando l’amaro in bocca per qualche mancanza: del resto, un repertorio così vasto, che attraversa cinquant’anni di vite, non può essere rappresentato nell’arco di un solo concerto.
Baglioni si concede sempre al pubblico con generosità e con generosità il pubblico lo ricambia: si può amarlo, si può non amarlo, ma un suo spettacolo vale sempre la pena di essere vissuto.
Cinquantuno, Montesacro e tutto cominciava…e sembra dare l’impressione di voler durare ancora a lungo.

Roberta Gioberti

 

 

 

 

 

 

Scaletta:

Ouverture
Io Sono Qui
Dodici Note
Acqua Dalla Luna
Dagli Il Via
Un Nuovo Giorno O Un Giorno Nuovo
Gli Anni Più Belli
Un Po’ Di Più
Amori In Corso
Come Ti Dirò
Io Non Sono Lì
Quante Volte
Mal D’amore
E Adesso La Pubblicità
Io Me Ne Andrei
Con Tutto L’amore Che Posso
Quanto Ti Voglio
Fammi Andar Via
W L’inghilterra
Poster
Uomini Persi
Ninna Nanna Della Guerra
Buona Fortuna
Noi No
Medley (Questo Piccolo Grande Amore, Amore Bello, Sabato Pomeriggio, E Tu, E tu come stai?)
Uomo Di Varie Età
Strada Facendo
Avrai
Mille Giorni Di Te E Di Me
Via
La Vita È Adesso

30 anni in un (nuovo) giorno: il report del concerto di Ligabue alla nuova RCF Arena di Campovolo

“Permettetemi di dire: cazzo era ora! Dopo due anni abbiamo finalmente tolto il tappo, abbiamo vinto noi”. Ligabue saluta così i 103.009 spettatori della nuova RCF ARENA di Campovolo, accorsi dalle prime ore del mattino per il concerto-evento “30 anni in un (nuovo) giorno. La serata inizia sulle note dell’ultimo singolo “Non cambierei questa vita con un’ altra” poi il nastro viene minuziosamente riavvolto per ripercorrere un lungo viaggio fatto di parole, note, emozioni, ricordi (quelli che contano, certo). Gilet di pelle e piglio da duro, il “mediano” Luciano celebra il rituale amarcord lasciandosi affiancare dai musicisti che nel tempo lo hanno scortato sulle onde dei cuori di molti che, anno dopo anno, lo hanno accolto e seguito “Ballando sul mondo”.

Ligabue live @ RCF Arena

Ligabue live @ RCF Arena

E via andare: “L’odore del sesso”, “Niente paura”, “Il sale della terra” e poi la prima grande “botta” emotiva della serata: il duetto con l’inossidabile Loredana Bertè sulle note di “Ho smesso di tacere”, una canzone contro la violenza sulle donne cantata, appunto, con Loredana che la violenza l’ha vissuta sulla propria pelle a 16 anni e che l’ha forgiata per sempre. Un grido di dolore e di verità che squarcia il petto.

Sfilano i chitarristi in passerella in “Marlon Brando è sempre lui” con tanto di un assolo a testa, il proprio stile, il marchio di fabbrica di cui poter fare bella mostra in punta di palcoscenico.

La tornata amarcord con i Clandestino inizia con “Bar Mario” con tanto di incursione del manager Claudio Maioli, in memoria di un approccio autentico e legato alle origini di una volta che non si dimenticano mai. “Non è tempo per noi” e forse non lo sarà mai:attimi di nostalgica consapevolezza dei tempi andati e che, paradossalmente rappresentano ancora la linfa vitale a cui appigliarsi per abbracciare il futuro.

A seguire un altro prestigioso ospite: si tratta di Eugenio Finardi con cui Ligabue canta “Musica Ribelle”; un brano che nei difficili anni ’70 aveva avuto un significato importante per il giovane Luciano che, oggi, con il senno di poi, ne riconosce l’importanza a fronte della constatazione del fatto che spesso si è come assuefatti a tutto e purtroppo anche al peggio.

Sempre emozionante e poetica “Piccola stella senza cielo”, surreale vedere ballare il pubblico su un concetto che, decontestualizzato dal live, mette irrimediabilmente terrore nelle vene “A che ora è la fine del mondo”.

Curioso e originale il duetto con Gazzelle sulle note de “L’amore conta”: l’apertura di Luciano ai giovani è un incrocio tra grunge e rock frutto di una cover che Flavio aveva eseguito piano e voce su Instagram qualche tempo fa.

Ligabue live @ RCF Arena

Ligabue live @ RCF Arena

“Luci d’America” e poi la celebrazione del primo Campovolo di 17 anni fa con “Il giorno dei giorni”. Molto intenso il duetto con Francesco De Gregori in “Buonanotte all’Italia”, accompagnato da una carrellata di immagini di personaggi che hanno senza dubbio segnato la storia del nostro paese e il relativo tessuto culturale.

Un altro momento di grande impatto è sicuramente l’esecuzione de “Il mio nome è mai più”: Federico Poggipollini fa le veci di Piero Pelù, ancora convalescente dopo la caduta sul palco di qualche giorno fa e poi il leggendario Mauro Pagani e la sua immancabile armonica a colorare un brano quanto mai attuale e centrato contro la guerra.

“I ragazzi sono in giro”, “Ti sento”, “Eri bellissima” ma soprattutto “Il giorno di dolore che uno ha” e “Quella che non sei” tengono il filo del percorso storico di Ligabue fino all’iconica “Certe notti”; l’atmosfera è quella di un non luogo proprio perchè certe notti possono accadere a chiunque in un qualunque momento della propria vita.

Il concerto si avvia alla fine sulle note di “Una vita da mediano” ma soprattutto con “Il meglio deve ancora venire” e l’iconico ed emozionante duetto con Elisa in “A modo tuo”.  L’atmosfera è onirica, simile a quella di una foresta disegnata: il momento è molto toccante. Il finale è tutto all’insegna del rock: “Questa è la mia vita”, poi si salta tutti insieme “Tra palco e realtà”. Tutti i musicisti raggiungono Ligabue sul palco “Urlando contro il cielo” con tanto di spettacolari fuori di artifico che illuminano Campovolo a festa. “Sogni di rock and roll” tutti insieme in passerella diventano ancora una volta realtà. C’è da crederci se il Liga non cambierebbe questa vita con nessun’altra, anche questo Campovolo ce lo ricorderemo, eccome.

 Raffaella Sbrescia

Ligabue live alla RCF Arena per l’evento unico “30 anni in un giorno”: Le dichiarazioni dell’artista e la scaletta del concerto

Dopo due anni di rinvii causati dall’emergenza Covid 19, questa sera LUCIANO LIGABUE inaugura la nuova RCF ARENA DI REGGIO EMILIA (Campovolo) con un concerto tra i più attesi dell’anno, l’evento in data unica “30 ANNI IN UN (NUOVO) GIORNO”.

L’evento è già da tempo sold out con oltre 103.000 biglietti venduti e celebrara l’inaugurazione di questo spazio totalmente nuovo e creato rigorosamente ad hoc per la musica con una pendenza del 5% per garantire una visuale e un’acustica ottimali.

Sul palco Ligabue sarà accompagnato dai musicisti che hanno condiviso con lui gli ultimi 30 anni: Il Gruppo (Federico Poggipollini-Niccolò Bossini-Max Cottafavi-Luciano Luisi-Zanotti, i ClanDestino (Cottafavi-Marani-Fornaciari-Cavalli Cocchi) e La Banda (Poggipollini-Previte-Luisi-Pellati-Righetti).

Per l’occasione, Ligabue ospiterà alcuni colleghi e amici che hanno fatto parte del suo percorso artistico: Loredana Bertè, Francesco De Gregori, Elisa, Eugenio Finardi, Gazzelle, Mauro Pagani. Diversamente da quanto precedentemente annunciato, risuona la defezione all’ultimo minuto di Piero Pelù che, a seguito della recente caduta sul palco durante il suo live con i Litfiba, questa sera non potrà essere presente al concerto.

A corredo del concerto, abbiamo altresì raccolto le dichiarazioni degli organizzatori. Il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi: “Benvenuti a RFC Arena. Questo è un sogno rock’ n’ roll che si realizza. Ringrazio Ligabue per aver scelto la sua città per celebrare la sua carriera. Alle spalle di questo spazio c’è un lungo percorso, ci hanno lavorato tante istituzioni ed è durato diversi anni. Siamo contenti di essere qui a vivere questa emozione. Quello di oggi è un grande messaggio di pace”.

Ligabue PH Jarno Iotti

Ligabue PH Jarno Iotti

Ferdinando Salzano di Friends and Partners: “Sono come un bambino nel più bel negozio di giocattoli,  oggi coincidono due avvenimenti straordinari, il primo è il coronamento del progetto live di Ligabue annunciato nel 2019, la coincidenza è anche la ripartenza. In questi giorni il mondo della musica live vive la vera ripartenza, stiamo tornando a un mondo di normalità, sicuramente differente nell’ approccio di afflusso e reflusso del pubblico. Il fatto che oggi ci siano 103.009 pagamenti in questa Arena ne è la riprova. La nascita di questa Arena risale a 10 anni fa, io e Maioli abbiamo avuto la fortuna di lavorare in sinergia con il sindaco e la regione. Il confronto tra pubblico e privato ci ha portato a questa meravigliosa RCF Arena. L’Arena è orizzontale e non in verticale, questo porta l’artista ad avere la percezione di vedere l’ultimo dell’ultima fila. In Europa non c’è un arena permanente dello stesso tipo, siamo certi che si tratti di una delle più belle e più importanti, ci soo 5 pit più uno, lo spazio ha una serie di dinamiche di accesso e deflusso molto comode, la sensazione è quella di non vivere in una gabbia l’attesa dell’evento”.

Claudio Maioli, manager storico di Ligabue: “Siamo orgogliosi di inaugurare questa arena dopo 3 Campovolo, questa città meritava per il brand che Campovolo è diventato per la musica un luogo permanente dove celebrarla. Luciano inaugura questo spazio per diritto, tra una settimana ci saranno 7 artiste che cantano contro la violenza sulle donne. Solo 2 mesi fa ci hanno autorizzato a fare questi eventi, chiamare artisti stranieri senza aver preso contatto una anno prima diventava difficile, per l’anno prossimo stiamo preparando qualcosa di cui cosa di cui potremo andare fieri. La capienza dell’Arena è di 103165, le produzioni internazionali arrivano a 100 metri e possono essere splittate. Per oggi ci fermiamo a 77, i numeri di Luciano chiudono il cerchio”.

Luciano Ligabue: Benvenuti a tutti, sono felice di inaugurare l’Arena, sono molto affezionato a Campovolo. Quando è venuto fuori il discorso di costruzione dell’Arena, mi sono chiamate fuori rispetto alle dinamiche di accordo e confronto con le istituzioni. Faccio un altro mestiere, non mi viene in mente nemmeno di poter essere direttore artistico di qualche altro evento al momento ma non si contano le volte in cui mi sono già smentito pertanto non escludo nulla per il futuro. In merito all’autobiografia che ho pubblicato di recente, mi sento di dire che questo tomo di oltre 400 pagine  non contiene ovviamente la mia vita ma i ricordi che contano sicuramente sì.

Sento amore e disprezzo per le cose che non funzionano in questo paese, “Buonanotte all’Italia” e “Made in Italy” sono il mio tentativo di spiegare questo sentimento, mi sento legato a questo paese nonostante tutto. In merito al “Il mio nome è mai più”: quando scrivemmo questa canzone 23 anni fa, ci fu un totale coinvolgimento sentimentale in cui mettevamo in chiaro la nostra posizione. Nel libretto di quella canzone c’era la mappa di tutte le guerre in corso nel mondo. Di solito si è attivi sulle guerre che hanno una risonanza mediatica, lo si è a maggior ragione su quella in Ucraina. La decantata civilizzazione è in regressione verso non so cosa, questo continuo correre alle armi ci rende una bomba che si innesca. Con “Musica ribelle” mettiamo in atto una restituzione a un brano che facemmo con i Clandestino nel 1990 in occasione dell’uscita del primo album. Dopo pochi mesi aprimmo un concerto a Milano di Eugenio Finardi che aveva speso buone parole per me con il produttore. Negli anni ’70 il brano era una chiamata a svegliarsi e a darsi da fare. Ho avuto fin da subito la sensazione che sarebbe stato un omaggio giusto a chi già allora poteva fare musica d’autore con spirito rock. Se mi chiedete di Gazzelle, ospite con me sul palco, vi rispondo che ho notato una sua versione piano e voce su Instagram di “L’amore conta” e l’ho invitato. Sarà un bel momento. Intanto confermo che “Non cambierei la mia vita con nessun’altra”: ho tratto di recente questa decisione”.

Raffaella Sbrescia

Setlist

Primo set Ligabue con “Il Gruppo”

Non cambierei questa vita con nessu’altra

Balliamo sul mondo

L’odore del sesso

Niente paura

Il sale della terra

Ho smesso di tacere ft. Loredana Bertè

Marlon Brando è sempre lui

Luciano Ligabue con i Clandestino

Bar Mario

Non è tempo per noi

Musica Ribelle ft. Eugenio Finardi

Ho messo via

Piccola stella senza cielo

A che ora è la fine del mondo

Luciano Ligabue con Il Gruppo

L’amore conta ft. Gazzelle

Luci d’America

Il giorno dei giorni

Buonanotte all’Italia ft. Francesco De Gregori

Luciano Ligabue con La Banda

Il mio nome è mai più ft Mauro Pagani

I “ragazzi” sono in giro

Ti sento

Eri bellissima

Il giorno di dolore che uno ha

Quella che non sei

Certe notti

Sulla mia strada

Ligabue con “Il Gruppo”

Una vita da mediano

Il meglio deve ancora venire

A modo tuo ft. Elisa

Questa è la mia vita

Tra palco e realtà

Bis

Urlando contro il cielo

Sogni di Rock and Roll

Michele Bravi live a teatro: un progetto che racchiude e abbraccia l’arte a 360 gradi. Il report della data zero a Peschiera Borromeo

Michele Bravi live a teatro è un progetto che racchiude e abbraccia l’arte a 360 gradi. L’artista ha regalato una data zero al pubblico dell’Oltheatre di Peschiera Borromeo, in cui aveva girato il videoclip de “L’inverno dei fiori”; una sorta di prova generale inedita, in vista dell’inizio ufficiale di stasera al Teatro Colosseo di Torino.

Il concerto si presenta subito come un’esperienza artistica immersiva a tutto tondo. Michele Bravi entra dall’alto della gradinata della platea con un completo Armani customized e un palloncino bianco. Voce, gestualità, espressioni accompagnano le profonde parole di testi intensi e ricchi di significato. Gli arrangiamenti, curati dal maestro Andrea Manzoni, sono curatissimi e raffinati. Ai sytnh e tastiere troviamo il sempre bravo Helio di Nardo. Il surplus ultra è dato dal quartetto d’archi composto dal primo violino Davide Rigato, dal secondo violino Teresa Storer, alla viola Eiling Labarca e al violoncello Luca Dondi.

Michele Bravi percorre la distanza tra quello che è e quello che era in modo maturo ma sempre misurato. Alterna monologhi importanti a sketch ironici, si destreggia tra brani suoi e cover di spessore volteggiando prima e ancheggiando poi, sempre padrone del palco. “E’ la prima volta che faccio un tour completamente teatrale, spiega l’artista, questo progetto è un piccolo sogno uscito dal cassetto. Stare a teatro significa guardare e guardarsi. La grande attrice Anna Marchesini, definiva il teatro la casa tattile delle illusioni. Le regole del teatro racchiudono una serie di metafore della vita, il silenzio è un inno all’ascolto. Ecco dunque il mio invito ad ascoltare questo percorso dall’inizio alla fine”, spiega Michele al pubblico. Da il “Diario degli errori” a “Solo per un po’” si veleggia tra archi eterei e ritmica elettronica. Il ritmo è variegato ma sempre curato al dettaglio, nulla è lasciato al caso. Lo testimonia anche un light design di forte impatto che diventa parte integrante dello show.

Michele Bravi

Il concerto di Michele Bravi è costellato di monologhi di spessore, con rimandi a stralci di libri: romanzi, poesie, pensieri di artisti, di poeti, di cantautori che hanno fatto la storia. Michele studia, assorbe e fa suoi interi passaggi scritti e parole di personaggi indimenticabili. Da “Alice attraverso lo specchio” di Lewis Carroll, Bravi ci catapulta in un mondo in cui la logica è al contrario. Il tutto per ricordarci che serve molto più amore per rimanere dove siamo, per non essere trascinati via e non perdere quello che avevamo”. La perfetta introduzione al brano “Cambia”: Cambiano le strade, i tuoi rimpianti. Cambiano i motivi per andare avanti. Cambiano i vestiti addosso ai tuoi pensieri ma l’amore di oggi è sempre uguale a ieri.

Bello e profondo anche il rimando alla poesia della poetessa polacca Anna Szymborska per spiegare che per lui la musica è essere predisposti a passare attraverso il mondo, viverlo appieno e ad arrivare preparati ad affrontarlo con consapevolezza. Un altro importate momento è quello dedicato a Lucio Dalla. Michele Bravi reinterpreta il brano “Se io fossi un angelo” contornandolo da un pensiero da condividere: con attenzione e apprendimento continuo possiamo capire cosa non è inferno per farlo durare e dargli spazio.

Sono innumerevoli le citazioni e i riferimenti di Michele Bravi in questo live, è magico stare ascoltare lasciandosi abbracciare dalla bellezza: “La vita e la felicità”, “Diamanti” e poi “L’inverno dei fiori” in scaletta, ci ricordano che esiste sempre un modo per intrecciarci alla vita di qualcun altro.

Maggio è il mese dell’orgoglio e allora è giusto ricordare Umberto Bindi di cui Michele reinterpreta la sua “Odio” in modo travolgente e straziante al contempo. La sorpresa della serata è il nuovo singolo estivo “Zodiaco” che Michele introduce con un divertente siparietto introduttivo che coinvolge gli spettatori in prima persona.

bravi 2

Acclamato a gran voce, l’artista conclude il concerto con due grandi successi: “La vita breve dei coriandoli”, e “Mantieni il bacio”, la perfetta chiosa per trattenere negli occhi e nelle orecchie tutta la bellezza a cui abbiamo assistito.

Raffaella Sbrescia

Concertone Primo Maggio Roma: al lavoro per la pace

Il Concertone di San Giovanni torna in piazza, dopo due anni di assenza, e lo fa con tutta l’energia, l’impegno, l’entusiasmo e la scenografia che si devono ai grandi ritorni.
Nell’ entrare in Piazza San Giovanni, e nella sua atmosfera festosa, sembra quasi che questi due anni di difficoltà e restrizioni non siano trascorsi: però lo sono e non possiamo dimenticarcene.
Non è il caso di addentrarsi nel merito delle performances degli artisti, delle scelte della Direzione Artistica, della qualità della musica. C’è sempre chi sarà contento e chi invece muoverà delle critiche. Anche perché questa manifestazione musicale oramai consolidata nel tempo tutto può essere definita, meno che un momento di riflessione e di celebrazione, soprattutto sulle problematiche del mondo del lavoro, mondo che sicuramente in questi due anni ha subito delle notevoli difficoltà in tutti i settori, e in molti fa fatica a entrare nuovamente a regime.
Insomma di spunti ce ne sarebbero per portare in piazza un discorso diverso dal solo fare musica, a prescindere dal genere di musica, e sicuramente nell’ambito di una manifestazione che si tiene in un giorno celebrativo sarebbe auspicabile e opportuno. Tuttavia è altrettanto opportuno cogliere un aspetto diverso del Concertone, aspetto che è andato sempre più delineandosi nel corso dell’ultimo decennio.
Il suggerimento ce lo dà la piazza: giovane, molto giovane, colorata, più composta rispetto alle precedenti edizioni, e tanto desiderosa di lasciarsi alle spalle problemi, difficoltà, restrizioni che hanno caratterizzato le nostre vite soprattutto nel corso degli ultimi due anni, e di fare il carico di spensieratezza.
La musica è per lo più quella della generazione più fresca: i ragazzi che mi sono di fianco sanno tutto di artisti di cui ignoro l’esistenza. Si entusiasmano, saltano, sono felici. A mia volta cerco di raccontare loro chi sia e cosa faccia Marco Paolini, e ascoltano. Lo scambio è divertente, ci offriamo a vicenda del cibo, io di qua loro di là dalla transenna. Insomma, voglia di divertirsi, ma anche la disponibilità ad aprire fessure attraverso le quali far passare qualcosa di più articolato. Un Primo Maggio troppo impegnativo probabilmente lo rifiuterebbero.
E se la musica non è sempre in linea con quella che la generazione dei Miti ha come punto di riferimento, poco importa: avranno tempo per assorbirla. Il tempo a noi un poco più anziani invece sfugge, e forse proprio sforzandoci (lo ammetto per me è uno sforzo), di entrare nel loro mondo, potremmo impiegarlo proficuamente per comprendere anche noi stessi oggi, eterni ventenni cosparsi di rughe.
La Signora Vanoni, commovente al punto che è giusto valutarne la presenza e non la performance, porta sul palco un brano da brividi, che in passato fece parte del suo repertorio, e viene acclamata all’unanimità.
Max Pezzali è attesissimo. E forse è il giusto anello di congiunzione generazionale, tra noi su con gli anni che cominciavamo, ai tempi degli 883, a concederci qualche digressione sul pop commerciale senza troppi sensi di colpa, e loro che invece hanno attinto principalmente dal pop, per evolversi nel rap e nella trap.
Tuttavia un momento che mette a tacere tutti e catalizza l’attenzione senza sé e senza ma è quello dedicato al ricordo di Gino Strada, per il quale pochi giorni fa al teatro Argentina, con il patrocinio della Regione Lazio e del Comune di Roma si è tenuto un acclamato e commovente evento commemorativo.
strada PH  Roberta Gioberti
Su Gino Strada e sul suo operato nessuno ha nulla da ridire. Lo conoscono i giovani, i meno giovani. Ne riconoscono il ruolo e l’importanza. E soprattutto si riconoscono sotto un motto: non esiste una guerra buona. E se anche soltanto questo valore restasse impresso a fuoco nelle anime e nelle coscienze degli uomini e delle donne che verranno, beh, potremmo scegliere qualsiasi accompagnamento musicale e andarne fieri.
Insomma, per i contenuti politici e sociali ci sono le piazze e la quotidianità.
Il Concertone oramai è diventato una sorta di regalo che viene fatto in un giorno che andrebbe celebrato ogni giorno. Perché il diritto al lavoro, che sia dignitoso, retribuito, contrattualizzato, non si rivendica il Primo Maggio: si rivendica 364 giorni l’anno. E la riflessione nasce naturale: “hanno rappresentato realmente un momento di valorizzazione del mondo del lavoro tanti anni di Primo Maggio vissuti all’insegna di una imprescindibile componente politica?”.
I fatti lo negano, per quanto possiamo ricordarli, giustamente, con nostalgia. Tanti ragazzi venuti dal centro sud, che forse non avranno i soldi per andare a sentire Mengoni o Coez, hanno approfittato dell’occasione.
Scevri da sofismi, prendiamoci il dono, facciamone tesoro, eliminiamo la retorica delle commemorazioni, e, passata la festa, cominciamo a parlare di diritti, e soprattutto di Pace: il tempo per la musica di “qualità”, quella che molti rimpiangono, arriverà anche per loro, i quindicenni di oggi: noi ne siamo stati fortunati contemporanei, insieme ai tempi migliori che l’hanno accompagnata, e questo dovrebbe bastarci.
Roberta Gioberti
Commenta

Alessandro Mannarino live al Fabrique di Milano: il racconto di un rituale magico e travolgente

Dopo anni di estenuante attesa, Alessandro Mannarino è tornato sul palco del Fabrique di Milano per la prima delle tre date milanesi del suo nuovo tour. Il viaggio live che l’artista propone si muove tra terre vergini, orizzonti misteriosi e spiriti magici. I protagonisti di questo percorso sono la donna, la natura, l’irrazionale profondo, il corpo e una ritmica ossessiva che rimanda agli ancestrali rituali trance-genici. A contraddistinguere il concerto ideato da Mannarino è una ricerca musicale profonda, completa, totalizzante. Natura, patriarcato, animismo, femminilità, rapporto uomo-donna, sono solo alcuni dei temi affrontati dal cantautore, non solo in scaletta ma anche e soprattutto in “V”, il suo ultimo lavoro discografico.

Mannarino ph Roberta Giobert

Mannarino ph Roberta Gioberti

Suoni di foresta e voci indigene registrate in Amazzonia introducono il pubblico al rituale live. La voce calda, cavernosa e viscerale di Mannarino è il lasciapassare per accedere ad una dimensione spazio-temporale che conduce l’immaginario in un altrove potente e immaginifico.

Con “Fiume nero” ci si addentra in un luogo dove le leggi della natura primordiale e selvaggia si smuovono tra suoni della natura,  percussioni ancestrali, elettronica e i suoni gutturali degli indigeni dell’Amazzonia registrati dal vivo. A seguire “Agua” prende le mosse dell’immagine di Iracema, la protagonista indigena del romanzo omonimo di José de Alencar, che fa anche da sfondo alla scenografia del concerto.

In un susseguirsi di frasi archetipiche, mentre la musica si arricchisce e si ingrossa come un fiume, il brano avanza inesorabile verso una celebrazione-preghiera alla potenza vitale dell’acqua. E’ la volta di “Apriti cielo” che, come un mantra, libra una preghiera quanto mai attuale: “Apriti cielo. Sulla frontiera. Sulla rotta nera. Una vita intera. Apriti cielo Per chi non ha bandiera Per chi non ha preghiera Per chi cammina Dondolando nella sera”.

Mannarino ph Roberta Giobert

Mannarino ph Roberta Gioberti

 Il conflitto tra il nichilismo e la lotta al potere del sistema si fa vibrante ne “L’impero” per poi evolversi in modo approfondito  in “Cantarè”: il brano parte da una condizione di solitudine ed evolve in un canto corale. Tra rime in italiano, spagnolo e in romanesco, il pezzo trascina. Canti di rabbia, di rivolta, di resistenza, d’amore, diventano l’ultimo baluardo per superare ingiustizia e delusione.

Frutto della collaborazione con “MEXICAN INSTITUTE OF SOUND” la “BANCA DE NEW YORK” è un esperimento ironico in cui il registro più romanesco e radicale si fonde con un mondo sonoro acido ispirato alle atmosfere del Mississippi.

Il focus su “Lei” restituisce l’immagine della donna come  forza eterna, creatrice, distruttiva, creativa che continua in “Bandida”: la fotografia della ribellione al sistema patriarcale. Sulle  note di “Ballabylonia” il rituale entra nel vivo e si fanno largo immancabili vecchie glorie come “Serenata lacrimosa”, “Tevere Grand Hotel”, “Scetate vajò” e soprattutto “Arca di Noè” che trasforma il Fabrique in un carnascialesco catino.

Mannarino ph Roberta Giobert

Mannarino ph Roberta Gioberti

Il trittico finale si apre con Mannarino, da solo alla chitarra, che visibilmente emozionato, dice: “Ho pensato tanto a questo momento, non sapevo cosa avrei provato sul palco, ho sentito persino paura, invece è stato più bello di prima. Da questo palco ho visto un altro spettacolo, guardarvi mi ha ripagato di tutto”, subito prima di intonare il poetico brano intimista “Paura”. Sensuale e ipnotica “Statte zitta” lascia il passo alla celeberrima “Me so ‘mbriacato”. Il cerchio si chiude con il pubblico annichilito dal sublime piacere di essere stato parte attiva di un concerto magico e prezioso.

Raffaella Sbrescia

Mannarino ph Roberta Giobert

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Giobert

Mannarino ph Roberta Giobert

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

Mannarino ph Roberta Gioberti

 

 

 

 

 

mannarino

Tommaso Paradiso live al Teatro Arcimboldi di Milano: emozioni, nichilismo e ciaciara in un perfetto concerto pop

Si è tenuta presso il Teatro degli Arcimboldi di Milano la seconda delle tre date milanesi dello Space Cowboy tour di Tommaso Paradiso. Sono circa le 21.15 quando si alza il sipario è inizia lo show. Paradiso fa le cose in grande e sceglie di farsi accompagnare da una band tanto affiatata quanto performante: Gianmarco Dottori (chitarra e pianoforte), Nicola Pomponi (chitarra), Silvia Ottanà (basso elettrico e synth), Daniel Fasano (batteria), Angelo Trabace (pianoforte, tastiere e synth), l’ottimo Marco Scipione (sax e percussioni), Francis Alina Ascione e Roberta Montanari ai cori.

Tommaso entra sul palco in penombra e intona “Guardati andare via”. La voce è piena e calda, la scenografia richiama le atmosfere del suo album da solista “Space Cowboy”. Paradiso chiude gli occhi e idealmente abbraccia questi tre anni di crescita personale e artistica, costellata di rinvii ma anche di tanti singoli che ogni volta hanno saputo lasciare il segno. “Sono solo un vaccaro che ama guardare il cielo”, canta Paradiso nella title track, il suo spirito è legato a doppio filo agli anni ’80, con una smodata passione per il cinema e quelle atmosfere amarcord così radicate in sé da farle trasparire, reiventarle e ravvivarle nei suoi testi, negli arrangiamenti e nel modo di concepire il mondo sempre con una certa nostalgia e una irrinunciabile condizione di disagio che finisce spesso in caciara.

tp

La malinconia di “New York”, in combo ai bei vecchi tempi di “Promiscuità”, cede il passo all’irriverente estemporaneità di “Silvia” e poi al nichilismo di “Sold out” con il mantra: Senza una meta senza una strada con gli occhi lucidi e la sigaretta.  “Quanto costa la libertà?” Si chiede Paradiso in “E’ solo domenica”, un brano importante che l’artista dedica sempre alla stessa persona.

La scaletta prosegue con “Magari no”, “Tra la strada e le stelle”, “Completamente” cantata a squarciagola da tutto il pubblico che balda in piedi rompendo le righe anticovid.

Si prosegue a pieno ritmo con “La stagione del cancro e del leone” in versione dance anni ’90. “Oggi sono stato bene. Sono stato bene anche da solo. Con il pianoforte e mille cose in testa. Che non mi deludono mai. Che non mi abbandonano mai, canta Paradiso in “Lupin”, sopraggiunge il medley composto da  “Fatto di te” e “Il tuo maglione mio”. Una pioggia di torce si accende per “Questa nostra stupida canzone d’amore”. Trascinante il loop di “Riccione” sul cui ritornello, il TAM diventa un catino incandescente.

Il concerto si interrompe bruscamente si tratta apparentemente di una pausa, poi è lo stesso Tommaso a ricomparire una ventina di minuti dopo, scusandosi per l’attesa e spiegando di essersi sentito male all’improvviso.  L’ultima trance del concerto è tutta da cantare con “Tutte le notti”, “Felicità puttana”, sulle cui note l’artista fa salire delle fan sul palco con lui per cantare viso a viso, cuore a cuore. Le prime file si si riversano felici e scomposte sotto palco: non ci sono più barriere. L’ultimo brano in scaletta è un augurio ma anche un monito “Ricordami”. E così sarà perché perdersi in un concerto pop tante volte è proprio quello che ci vuole per sedimentare la realtà e affrontarla più a cuor leggero.

Raffaella Sbrescia

Microchip Temporale Club Tour: la notte magica dei Subsonica a Milano

Una pandemia, sei rinvii, tanti possibili motivi per bruciare o rivendere il biglietto e invece no. Ci si ritrova sotto palco all’Alcatraz di Milano con un filo di ansia, il cuore in fibrillazione, emozioni altalenanti nella testa, grandi aspettative e qualche paranoia pronta a fare capolino, ma tutto sommato finalmente pronti a poter celebrare la vita e la buona musica, quella dei Subsonica per il Microchip Temporale Club Tour.

Il viaggio live dei Subsonica riprende da dove si era fermato due anni fa con la pubblicazione di Microchip temporale, in occasione del ventennale di Microchip emozionale, un album che ha segnato almeno un paio di generazioni e che i fab 5 di Torino hanno portato a nuova vita lavorando con grande sinergia insieme a una manciata di colleghi selezionati per coerenza generazionale e di percorso artistico. Non ci sono led o effetti speciali ma tanti strumenti e tanta energia a fare da surplus ultra a una scaletta molto ben studiata nei dettagli.

L’intro è un colpo diretto al cuore, ci sono le sirene che annunciano una guerra e che ci legano a doppio filo all’attualità senza rifuggirla. Il live si apre con “Ali scure”, chiudiamo gli occhi e trema l’aria, proprio come canta Samuel in una invidiale forma smagliante. Si prosegue con “Istantanee”: Senza parole ascolto la mia strada, senza parole e il tempo di decidere, senza parole mi muovo incontro ai giorni è il mantra che ci accompagna ancora oggi, step by step. A seguire ritroviamo “Colpo di pistola” con quel mollone di Boosta, che non lesina salti acrobatici e sguardi sornioni. Ritroviamo il grido liberatorio di “Liberi tutti” a cui ciascuno di noi sceglie di credere ad ogni costo, saltando a più non posso. Il live è quanto di più lontano possa esserci da una operazione nostalgica, tant’è vero che sulle note de “Il cielo su Torino”, ENSI fa il suo ingresso sul palco per rappare le sue barre ma anche per trascinare la folla nella sua “Numero Uno” e per incantare gli astanti con la cover perfetta di “Aspettando il Sole”, cantata con un ispiratissimo Samuel. Le sorprese non sono finite: è la volta del feat con WILLIE PEYOTE in “Sonde”. Il rapper torinese scippa il palco ai Subs che lo accompagnano nella sua “Non sono razzista ma” conquistando una ovazione da parte del pubblico. Il terzo ospite della serata è MISS KETA che, non solo scardina e rivista “Depre” a tu per tu con Samuel, ma si prende il palco e il pubblico con “Milano Sushi e coca” con grande nonchalance.

subsonica-2

L’Alcatraz si trasforma poco dopo in un catino bollente con il sopraggiungere di “Aurora sogna”, la fanciullina che abita in ciascuno di noi, a cui i Subs scelgono di non rinunciare. L’atmosfera si fa sospesa con “Lasciati”: E’ futile comprendere perché a volte i pensieri si confondono e mischiano speranze e realtà, segnali che si perdono così un radar pronto quando chiude il cielo e noi colpevoli di troppa oscurità, canta Samuel in modo ipnotico. Un bel giro di basso di Vicio ed è il tempo di “Albe meccaniche”, anche in questo caso il testo si mostra aderente ai tempi che corrono, dimostrando una volta di più quanto certi testi siano pregnanti e pieni di significati reconditi e mai circoscritti ad un tempo preciso.

 La seconda vita di Microchip emozionale, prende il largo anche da un punto di vista strumentale con la versione remix di “Discoteca Labirinto” realizzata ad hoc da COSMO. Sul palco il brano diventa live art happening con una performance di Boosta e Max ai tamburi ad alto impatto scenografico. Sentito l’omaggio a Claudio Coccoluto ne “Il mio dj”. Forse meno nota ma incredibilmente potente è “Il centro della fiamma”, il groove è al massimo, il club, la notte ferrugginosa, il glam della metropoli, e quel blocco allo stomaco che ti restituisce la certezza di essere di fronte alla bellezza autentica. Magnetica la potenza underground di “Veleno”. Tutti giù per terra per l’ondata perfetta de “Il diluvio”. Il monito alla reattività proattiva di “Lazzaro”. Lo schiaffo puntuale e bruciante de “Il punto critico” cede il posto alla commozione che arriva, incontrollabile sia per il pubblico che per Samuel, sulle note di “Strade” dedicata al fotografo di scena e amico fraterno della band Pasquale Modica, scomparso da pochi mesi.

subsonica1_IMG_11521

L’incantesimo sta per spezzarsi ma non prima di raggiungere il suo apice sulle note di “Tutti i miei sbagli”, svestita del suo arrangiamento più famoso, per essere cantata a squarciagola, anche sotto la mascherina, a occhi chiusi e cuore pieno di ricordi, emozioni, nuove certezze e tanta gratitudine per una band, come quella dei Subsonica, che non molla un colpo e che semmai ne assesta sempre di nuovi, tenendosi ben saldi i consensi che le spettano.

Raffaella Sbrescia

Previous Posts Next Posts