I triestini Limes presentano “Slowflash”, il primo album ufficiale, in uscita il prossimo 30 settembre, giunto dopo una prima interessante fase artistica che li ha visti inserirsi con determinazione e caparbietà all’interno di prestigiosi contesti musicali; su tutti ricordiamo l’Heineken Jammin Festival. Limes, termine derivante dal latino, significa “confini” e implica la ferma intenzione del gruppo composto da Mauro Mercandel (voce, chitarra), Piero Metullio (basso), Matteo Bologna (percussioni) di operare un’approfondita ricerca sia ritmica che contenutistica. Composto da 11 tracce, di cui due strumentali, “Slowflash” racchiude un’estemporanea immersione nel mondo giovanile, attraverso liriche e tematiche variabili: introspezione, insicurezze, rabbia e speranza fluiscono senza barriere regalandoci un genuino affresco di quello che avviene, oggi, nella mente delle nuove generazioni. Registrato e mixato da Abba Zabba al Palo Alto Studio di Trieste e masterizzato da Abba Zabba e Gabriel Ogrin presso Jork Studios, Slovenia, “Slowflash” mescola le influenze derivanti dal rock più viscerale ed energico, alle più dolci melodie del pop. Ad inaugurare la tracklist è Plume I”, un’ovattata intro strumentale, arricchita da una buona dose di elettronica. “Hunting Party” è, forse, il brano più ottimista del disco: “C mon is a new day on a cloudy morning, c mon all the others are scared and running, i want face the hunter”, un pezzo grintoso, insomma, reso anche più melodico e catchy dal chorus finale e da un coinvolgente giro di batteria. “Tunng” racchiude, invece, un’attenta riflessione sul velocissimo flusso degli eventi. Sonorità vicine tra loro e delicate, al contempo, accompagnano un testo ipnotico. “Pressure variation” offre all’ascoltatore una serie di piccoli flashback mirati. Suoni e sensazioni si fondono in un melting pot di visioni metropolitane. L’intenso pessimismo ed il gretto nichilismo di “The Fall” rendono visivamente l’immagine del fallimento umano: “I ve seen the world pass through, i can’t cover my skin blood and soul stop hiding from myself” e poi, ancora, “the ground is not too far”, cantano i Limes, accompagnati da una melodia non altrettanto incisiva. La profonda incertezza ed il perturbante senso di disorientamento costituiscono il nucleo semantico di “Path of Mind”. A seguire i suggestivi frame metaforici di “Wood” regalano una nuova sferzata di freschezza all’ascolto, nuovamente coinvolto nelle beghe mentali di “Noise’s Room”, una vera e propria descrizione di un incubo: “I not still satisfied, I am not ready yet, I can’t feel a thing from my head to my toe, I want to be somewhere else, I want to take a break”, stemperata dal flusso sognante e disinvolto di “White”. La fitta ricerca di nuovi punti di vista e nuovi percorsi da intraprendere si conclude con i ritmi alternanti di “Ascent” e soprattutto con “Plume II”, una psichedelica conclusione strumentale, addolcita da un bella sequenza al pianoforte e che decreta un ottimo nuovo passo artistico per i Limes, di cui sentiremo molto parlare.
Raffaella Sbrescia