Dario Brunori presenta il nuovo album “L’albero delle noci”, in uscita il 14 febbraio per Island Records.
Il disco si compone di dieci tracce e prende il nome dal brano che Brunori ha scelto di presentare al 75esimo Festival di Sanremo. Questo lavoro segna il ritorno dell’artista a cinque anni di distanza da Cip!: il suo ultimo lavoro discografico, certificato Disco di Platino.
“L’albero delle noci” affonda le sue radici in una dimensione intima e riflessiva. A dare una direzione inedita nel percorso musicale brunoriano, il nuovo sodalizio artistico con Riccardo Sinigallia, che ha prodotto l’intero disco al fianco di Dario. Partendo da La vita com’è, brano che ha impreziosito la colonna sonora del film Il più bel secolo della mia vita (2023), passando dai singoli La ghigliottina e Il morso di Tyson pubblicati negli ultimi mesi.
Il titolo dell’album, così come della title track in gara a Sanremo 2025, germoglia dall’immagine di un albero di noce emblematico nella vita di Dario Brunori, punto di osservazione privilegiato e d’ispirazione per celebrare la gioia e la rivoluzione che una nuova vita porta con sé, suggerendo come ogni nascita sia al tempo stesso una rinascita.
“Questo disco arriva dopo due anni di lavoro intenso, due anni di sottrazioni, in cui ho cercato di sfrondare i rami secchi o comunque tutto ciò che è superfluo. Riccardo Sinigallia ha curato la direzione artistica del disco ma non si è trattato solo di questo, lui non è solo un grande produttore ,ma è anche un grande autore e cantautore, che con la sua esperienza mi ha accompagnato in questi anni.
L’album precedente Cip! si muoveva a metà strada tra cielo e terra. Da quel disco in poi ci sono stati tanti eventi, subito dopo c’è stato il Covid e con sé un momento di riflessione che mi ha portato a rivedere e ripensare il mio quotidiano in maniera più specifica e diretta. Da quel momento, con la decisione di metter su famiglia, è arrivata la nascita di mia figlia Fiammetta e ho aperto una azienda agricola in Calabria in cui io e Riccardo abbiamo scritto il disco. Si tratta di un luogo molto importante in quanto avevamo bisogno non solo di un contesto intimo, ma anche che restassimo ben piantati con i piedi per terra. Abbiamo fatto lunghissime chiacchierate, prima di partire con la scrittura, Riccardo ha voluto fare un momento di conoscenza; non si è trattato di un processo semplice, d’altronde mi aveva avvisato che sarebbe stato faticoso. “L’albero delle noci” è permeato da questa rivoluzione, da questa gioia ma anche da una sensazione di inquietudine, ho cercato di raccontare luci e ombre che stanno dietro questa esperienza. Arrivato al sesto disco, in una fase felice della mia vita, avevo timore che la scrittura potesse togliermi quella felicità, temevo di mettere la polvere sotto al tappeto, invece Riccardo mi ha spinto a tirare tutto fuori, mi ha spronato ad agire con coraggio, cercavamo entrambi di andare verso l’urgenza di scrivere qualcosa che riguardasse gente della nostra età con l’auspicio che il disco potesse essere più trasversale. Abbiamo fatto tanti esperimenti in termini di arrangiamenti, abbiamo toccato anche l’elettronica, siamo passati attraverso il mio trip africano, poi alcune cose sono entrate nel disco perché, pur essendo fuori dalla mia comfort zone, in qualche modo si trattava di un vestito che mi stava bene. Anche da un punto di vista grafico abbiamo scelto l’autenticità attraverso il lavoro di Robert Figlia e i suoi disegni a carboncino. L’albero delle noci è quello di fronte a casa mia a San Fili. Abbiamo scelto di ridurre al minimo l’uso della tecnologia, evitando l’uso di trucchi e parrucchi. Per alcuni brani abbiamo scelto di inserire nel disco le registrazioni fatte con il mio cellulare includendo anche dei miei errori irrepetibili e, per questo unici, con l’intento di rappresentare attimi essenziali nell’esistenza di un uomo. Riccardo mi ha tolto di dosso il solito intento di raggiungere il lieto fine con una morale finale, mi ha scardinato la tendenza a seguire un discorso lineare, mi ha guidato verso un approccio mirato alla ricerca delle sporcature, non c’è stata la tentazione di sistemare e pulire tutto. Visto che Riccardo è anche regista, mi ha spinto a premiare la scrittura per immagini, mi ha fatto da specchio, lui diceva “qui te credo, qui nun te credo”, questo è in genere il discrimine totale per tutto quello di cui noi fruiamo per cui non ci ho pensato più di tanto e mi sono buttato, con l’intento di arrivare subito all’ascoltatore ma soprattutto a me stesso.
Nel disco parlo della mia vita negli ultimi anni, da sempre cerco, se possibile, le luci e le ombre di certe situazioni all’insegna dell’autenticità. Anche il pezzo di Sanremo sotto questo aspetto cerca di raccontare cose mie sperando di parlare di cose degli altri. In linea di massima comunque sono contento che sia giusto e necessario affrontare l’abitare e il guardare in faccia le cose di se stesso che danno fastidio o che disturbano. A tutti piace mostrare la faccia bella ma sarebbe interessante riuscire a fare in modo di aprire dibattiti e confronti, tante volte necessari, anche per comprendere a fondo un problema e affrontarlo. Per la prima volta nel disco canto in dialetto cosentino. Serviva un qualcosa di peculiare e questo brano si rifà a una canzone di Pino Daniele “Cammina cammina”; la musicalità è vicina a quella partenopea, l’ho scritta nel periodo del Covid e racconta il punto di vista di un anziano di paese che si ritrova da solo. Si tratta di un brano commovente che, come altri, fa una leva importante sull’emotività. In linea generale sono innamorato di Pino Daniele, Massimo Troisi, Eduardo De Filippo e nutro un grande amore per la napoletanità da cui mi sento influenzato nel modo teatrale con cui gestisco il mio parlare.
Nei live che verranno, cercheremo il più possibile di suonare tutto. Sul palco ci saranno esseri umani che dialogano, che suonano, che si trasmettono un certo tipo di energia e che impazziscono a un certo punto. Faremo un live alla vecchia maniera, non faremo come quelli che oggi usano riprodurre pari pari il disco, i nostri concerti saranno sempre diversi e, dopo i palazzetti, ci sarà il grande appuntamento del 18 giugno al Circo Massimo di Roma in cui, finalmente, ci sarà l’orchestra.
Durante il Festival di Sanremo rimarrò fedele alla mia attitudine, l’ironia non è sempre capita ma forse questo rafforza il desiderio di continuare a farla.
La partecipazione al Festival di Sanremo credo che arrivi nel momento giusto. Dopo aver lavorato tanto per due anni volevo dare al disco dei riflettori importanti. Mi sento anche più leggero rispetto a quello che mi ha frenato in passato, ora sono più tranquillo, ci ho riflettuto e sono consapevole che del fatto che ci saranno persone che finora non mi hanno mai intercettato. Certo, stavo bello comodo anche senza festival, al sicuro con il mio pubblico ma questa cosa mi fa tornare a essere debuttante e sono pronto a vivermela. Il brano in gara a Sanremo l’ho scritto da solo, per intero, la notte del sabato di Pasqua. Volevo mettere insieme tutta una serie di cose legate al tempo, le stagioni, le inquietudini, il non sentirsi adeguato o all’altezza di essere un genitore. Infine se mi chiedete per chi faccio il tifo tra i miei colleghi, vi rispondo: Lucio Corsi, una delle penne più belle, un cantautore di razza, un folletto, una creatura di un altro tempo e forse di un altro mondo. Sarei felice se arrivasse ad un pubblico più ampio perché vorrebbe significare che c’è ancora speranza per la poesia”.
Raffaella Sbrescia