Sotto chi téne o core è un’esortazione.
Già, perché quest’organo vitale, il più vitale, quello che segna i battiti, ma non solo, quello che fa la differenza, nella vita, sembra aver perso molte delle caratteristiche che gli sono proprie, oltre un aspetto del tutto fisiologico: il cuore casa dei sentimenti, domicilio dell’empatia, stimolo del coraggio.
Ma cosa vuole dire, nella realtà, averlo, un cuore, sentire di averlo e farsi sotto?
Con un lavoro incredibilmente accurato, tanto nella scrittura dei testi quanto in quella musicale, ce lo dicono Roberto Colella e la sua band la Maschera, di cui vogliamo citare i componenti, perché questo sì, è un vero collettivo: alle chitarre l’eccezionale e plurilaureato Alessandro Morlando, alla batteria il generoso Marco Salvatore, al basso il solido Antonio Gomez, l’eclettico Michele Maione alle percussioni, il delicato, nascosto e potente Vincenzo Capasso ai fiati.
Una premessa a quanto scriverò, è d’obbligo. Per capire il senso dell’avere un cuore, un concerto de La Maschera va vissuto dal vivo. Se poi si ha la fortuna, come l’ha avuta la sottoscritta, di poter accedere al backstage, beh, allora la pienezza del senso diventa completa. Sei ragazzi in sinergia, non solo sul palco, ma anche underground. Un unicum.
Colella racconta che fu proprio Capasso, quando si incontrarono, a convincerlo a rendere pubblici i suoi brani. E così, al ragazzo del respiro, dobbiamo, probabilmente, una delle più ricche, genuine ed entusiasmanti realtà musicali del momento.
La Maschera nasce a Napoli e con Napoli cresce e si articola in dimensioni sonore sempre più sofisticate, testi commoventi, che non scadono mai nel melenso, impegno sociale, integrazione.
Già, perché Napoli, con tutte le contraddizioni che conosciamo, alla fine diventa sinonimo di integrazione da sempre. Accoglienza è un fatto diverso: si può accogliere mantenendo una diffidenza che crea di fatto un muro, o si può, accogliendo, integrare.
Napoli molto conosce di emigrazione e di coraggio, come tutto il sud Italia. Se la canzone napoletana di repertorio ha avuto tanto successo nel corso dei decenni, non è solo perché oggettivamente bella, ma perché, ovunque arrivasse, trovava uno scampolo di casa ad accoglierla: persone col fisico domiciliato altrove, ma col cuore residente nella terra d’origine. E questo La Maschera lo racconta assai bene in Amarcord, titolo sicuramente evocativo, come lo è il testo, di emozioni e sentimenti.
Tanti i partenopei accorsi all’Alcazar, ma tanti anche i romani. E, lasciandoci coinvolgere dalle parole di Colella, non distingueremo tra romani e stranieri: l’importante è stato esserci col cuore, senza campanilismi o circoscrizioni di sorta. Dico solo questo, che spero sia significativo. All’inizio cercavo un posto sottopalco, e sono stata guardata con diffidenza: trascorsi 10 minuti, sono stati tutti disponibilissimi alle mie incursioni. E’ questa la barriera che dobbiamo imparare a superare, quella dei 10 minuti di diffidenza, per renderci conto che siamo esseri umani, ognuno col suo bagaglio di cose positive e negative da portare all’altro, e ognuno in cerca di una forma di accoglienza.
La Maschera tutto ciò sa esprimerlo in maniera genuina, in lessico dialettale, ma, si sa, universale, se abbiamo imparato da Pino Daniele cosa fosse la cazzimma.
Non alberga qui di casa,la cazzimma, ed è una bella cosa.
Insomma, pure se siete altoatesini, non importa: lo sappiamo che il cuore parla un linguaggio universale. Quindi la sola cosa che resta da dire è andàteveli a sentire dal vivo se vi ricapita: troverete sei spettacolari e formati musicisti, e un cuore che batte e non vi deluderà. La prossima data sarà Pisa il 16 dicembre, e poi Napoli il 21. Se ne riparlerà in primavera, e sicuramente con nuovi entusiasmi, con nuove prospettive, con nuove sonorità e attimi di profonda commozione. Nel frattempo ascoltateli: sono un vulcano che erutta amore.
Roberta Gioberti