Intervista agli Urban Strangers: in “U.S” l’unica sicurezza è quella di voler andare avanti.

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Ritratti Di Note ha incontrato gli Urban Strangers, il duo napoletano formato da Gennaro Raia e Alex Iodice, durante il firmacopie napoletano del nuovo album “U.S”

Ragazzi parliamo subito del nuovo album “U.S”. La scelta di cantare in italiano che tipo di scelta è stata: casuale, voluta, necessaria…

E’ stata una scelta voluta, una cosa della quale abbiamo sempre parlato tra di noi, con le persone che lavorano con noi, e anche con gli amici. Ad un certo punto, maturando questa idea, abbiamo sentito il bisogno e la voglia di iniziare a scrivere in italiano. Ci siamo sentiti subito a nostro agio e quindi poi la cosa è continuata spontaneamente. Questa cosa è stata anche utile, ci ha aperto la mente, ci ha fatto capire cosa significa mettere su carta quello che pensiamo, quindi ci ha regalato un nuovo punto di vista rispetto a prima.

Nell’album c’è un pezzo che si intitola “Lasciare andare”. Questa è una cosa anche abbastanza difficile, soprattutto quando si ha un certo tipo di sensibilità. Secondo voi, nella vita, cosa bisogna lasciare andare facilmente e cosa bisogna trattenere…

Eh, bella domanda… prima delle cose da lasciare andare, parliamo delle cose da affrontare e da non lasciare andare, come i dubbi e le paure che si hanno, per la propria persona e per tutte le cose che si devono affrontare. Come diciamo in questa canzone e anche in un altro pezzo dell’album che è “Non andrò via”, bisogna affrontare i problemi e cercare di reagire in qualche modo. Per quanto riguarda le cose da lasciare andare, troviamo che ci siano persone che lasciano andare troppo facilmente esperienze, idee, persone, come se non le avessero mai vissute. E’ vero che le esperienze negative si devono lasciare andare, ma sembra che alcune persone non siano mai state partecipi delle cose che hanno vissuto, non soffermandosi, ma lasciando andare. Questa cosa per noi non è positiva…

Ragazzi questo è un album molto “umano”, nel senso che nelle canzoni parlate molto di voi, ma di riflesso parlate anche di noi, delle nostre paure, delle nostre certezze ed incertezze…

Sì, è così, e questo era il nostro obiettivo, sentire una risposta da parte degli altri a quello che stiamo facendo, anche da chi non fa parte del nostro pubblico ma può comunque riconoscersi in una canzone o in un testo. Ci fa piacere, ed è molto bello se una persona, ascoltando uno dei nostri brani, si sente “capìta”. Non siamo poeti, nè filosofi, né politici, ma due persone normali che amano il contatto con la gente e che pensano tanto su quello che sono. C’è una semplicità di base nelle nostre vite che può essere condivisa dalle persone: Sentiamo anche una responsabilità nei confronti degli altri per quello che diciamo. Ognuno nella vita ha una “posizione” e noi ci siamo presa questa…

Video: Non andrò via

L’album è musicalmente molto coerente. C’è un unico pezzo acustico, “Unico Ricordo”, che è l’ideale prosecuzione del vostro primo EP…
Sì, le produzioni di questo disco sono state fatte da Raffaele “Rufus” Ferrante, che è stato anche il produttore dei nostri dischi precedenti, e che ha dato una coerenza rispetto alle cose passate per l’elettronica. “Unico Ricordo” è nato perché volevamo un brano che ci rappresentasse totalmente senza nessun tipo di struttura dietro. La versione acustica è un po’ lo “scheletro” del nostro modo di fare musica. Questo è tra l’altro il nostro pezzo preferito ed è anche secondo noi quello più maturo dal punto di vista dell’esposizione dei pensieri…

A quando il Tour di questo nuovo album?…
Presto, ci stiamo lavorando, e programmando le date. Il live è la dimensione migliore in cui esprimere quello che siamo. La musica è condivisione con le persone…

Un’ultima domanda: Ma per gli Urban Strangers “Il Giorno Migliore” è quello che deve ancora arrivare o in qualche modo c’è già stato?…

Beh, alcuni “giorni migliori” ci sono già stati, non siamo poi così pessimisti, però ce ne saranno sicuramente altri che devono ancora arrivare…

Giuliana Galasso

U.S Tracklist
1) Non so
2) Lasciare andare
3) I sensi e le colpe
4) Unico ricordo
5) Stare calmo
6) Nel mio giorno migliore
7) Non andrò via
8) Sono io?
9) Crisi Astronomiche
10) Tutto finisce

 

Intervista a Malika Ayane: “Domino”è uno scrigno di sensazioni

Malika Ayane

Un ritorno decisamente gradito è quello di Malika Ayane che a 3 anni di distanza dall’ultimo album, presenta “Domino”. Un lavoro forte, variopinto, intriso di sensazioni e di suoni. Prodotto insieme ad Axel Rienemer e Stefan Leisering al Jazzanova Recording Studio di Berlino, l’album di Malika Ayane è un capitolo importante della sua decennale carriera. L’abbiamo incontrata per farci raccontare direttamente da lei tutti i segreti di “Domino”.

Ciao Malika, questa lavorazione è molto distante sia dalle cose fatte in passato che da quelle che troviamo in giro. La percezione è che questo progetto abbia un’identita forte. Confermi?

L’identità è una cosa fondamentale. Ogni volta che viaggio, mi rendo conto del fatto che i centri delle città iniziano ad essere tutti uguali, ci serviamo tutti delle stesse cose. Questo per dire che l’identità gioca un ruolo chiave quando si pensa ad un nuovo disco. Questo è l’unico elemento che permette a chi ascolta di riconoscere l’onestà di un progetto e di poterlo adottare, magari con scetticismo iniziale però l’onore al merito è sicuramente un buon punto di partenza.

Partendo da questo presupposto con quali obiettivi e quali limiti hai lavorato in studio?
Il primo limite da superare era far comprendere ai produttori con cui ho lavorato all’album “Naif” che alcuni brani possono essere costruiti anche senza la classica forma canzone che tutti conosciamo. I dischi che ascolto più spesso hanno proprio questa caratteristica, magari visionaria e, per alcuni aspetti, inadeguata ma possibile. Per prima cosa quindi ho cercato di superare i limiti oggettivi poi ho lottato per non cadere dentro un vortice di estremismo che sarebbe piaciuto solo a me e pochi altri. Poi è iniziata la fase divertente in cui abbiamo usato tutti gli strumenti possibili.

Hai qualche aneddoto a riguardo?

Pensa che i ragazzi sono andati a recuperare il primo synth che avevano comprato quando è caduto il muro di Berlino. I miei produttori sono di Berlino Est, hanno voluto recuperare e usare il synth di quando diciottenni sono andati all’Ovest a comprarsi il Casio. Nella sfera di tutte le cose che abbiamo tirato fuori questo strumento assume un senso speciale. In linea generale, io stessa non avrei mai immaginato di poter usare tutte queste tastiere.

Che bella questa evoluzione inaspettata anche per te…
Sì, sapevo di voler fare una determinata cosa poi, come sempre, ti devi aspettare che a un certo punto ti perdi e scopri che il vero limite è la paura. Mi sono detta che in un periodo storico in cui nessuno ti garantisce la vendita di 100.000 copie facendo cose riconoscibili e commerciali, avrei fatto meglio a farmi coinvolgere completamente in quello che stavo facendo.

Malika Ayane

Malika Ayane

Quello del lasciarsi andare è infatti un po’ il leit motiv dell’album dove diversi scenari e promiscue sensazioni confluiscono in un ragionamento unico.

Uno dei messaggi è: non essere ossessivamente bisognoso di commentare, di reagire per forza a qualsiasi cosa. Sì può contare fino a 10 anche solo per capire se vale la pena di intervenire o se invece il flusso di quello che sta accadendo intorno può portarti da qualche parte più interessante di quella che conosci.

Tra i brani del disco c’è “Imprendibile”. Un brano sensuale ma che rispecchia tanto della tua persona…

Questo è il brano che volevo scrivere. Inizialmente volevo fare un album che era basato su riff molto forti poi mi è piaciuto il tappetone dell’uso della parola al posto della melodia. La voce è ferma mentre tutto il resto intorno si muove. Quando ho consegnato il brano, pensavo mi avrebbero lanciato le scodelle, invece è piaciuto a tutti, in produzione forse è stato l’unico ad essere rimasto uguale al provino.

Poi c’è la poesia. In “Sogni tra i capelli” ti ritagli uno spazio prezioso.
La cosa incantevole è che abbiamo scritto quel brano con la chitarra e due voci. In studio è diventato tutt’altro ma l’intenzione iniziale è rimasta intatta nonostante una forma completamente diversa. E’ stato pazzesco riuscire a mantenere l’atmosfera uguale a se stessa cambiando tutto quello che c’è intorno. Questo brano è stato quello che mi ha sorpreso di più in senso positivo.

Video: Stracciabudella

A proposito di giochi di atmosfere: come alternerai i concerti nei teatri a quelli nei club?

Sul palco, rispetto a Naif che era tutto concentrato sull’intrattenimento, vorrei tornare al concerto puro e far parlare solo la musica. Saranno le modalità energetiche a essere differenti. La struttura scenica sarà molto minimale, adesso ho solo una gran voglia di suonare più che di performare. Sarà comunque un minimalismo secondo la Ayane.

Chiudiamo con un concetto su cui riflettere: amare come restare.
Nella mia vita mi è capitato di amare, iniziare e finire relazioni sempre con lo stesso impegno ed entusiasmo. Quello che ho capito che esiste la possibilità di trovare qualcuno con cui passare, se non la vita intera, almeno un pezzo importante. Bisogna essere molto coraggiosi nel saper riconoscere questo qualcuno ed essere disposti a faticare molto per migliorare se stessi e pretendere altrettanto dall’altra parte. Allo stesso tempo bisogna sapere quando questo qualcuno non è quella persona che ci stava cercando e avere il coraggio sereno di cambiare perchè altrimenti ci si ammala in due.

Raffaella Sbrescia

Ciao Cuore: la rivincita di Riccardo Sinigallia, il cantautore “backliner”. Intervista

SINIGALLIA - ciao cuore

Oggi esce “Cuore Cuore”, il nuovo album del cantautore Riccardo Sinigallia. Un lavoro che evoca, ispira, tratteggia emozioni, storie, sentimenti attraverso un accurato uso della parola e una altrettanto pregevole lavorazione in studio. La varietà sonora di questo disco vi porterà su più livelli di lettura. Abbiamo incontrato Riccardo per farci accompagnare per mano in questo viaggio.

Intervista

Riparti da questo nuovo disco, un lavoro che forse ti avrà richiesto tanto tempo tra lavori di produzione e scrittura intensa.

In verità sì, anche se tra un disco e l’altro mi permetto di fare sia cose che mi consentono di procurare sostentamento a me e alla mia famiglia, sia anche di aprire la finestra e guardare fuori da me. La vita del cantautore che pensa solo al suo prossimo disco mi sembra un po’ infelice. Mi piace quindi pensare di avere la possibilità di fare altre cose tra cui, quando ne vale veramente la pena, produrre altri artisti.

ll termine “Cuore” in un contesto socio-culturale come quello attuale appare forse desueto ma in qualche modo ci salva. Tu che importanza dai a questa parola, non solo per la scelta del titolo del disco, ma anche nella tua produzione e nella tua vita in generale?

Ho scelto questo titolo per svariate e numerose ragioni. In ogni caso era quello che sintetizzava meglio il percorso di musicista che fa un disco di canzoni e che al termine di questo percorso vi dice: quello che dovevo dire, l’ho detto e ciao core. Il cuore è il simbolo di quell’attitudine soul che mi piace tantissimo e che riesco a trovare in ogni genere musicale. Mi piace il soul dei Craftwerk, quello dei Nirvana, quello di Lucio Battisti, quello di Stewie Wonder. Ciò che intendo dire è che mi piace e ricerco il contatto tra le parti più intime di chi interpreta e il modo di rivelarlo.

Il citazionismo letterario gioca un ruolo chiave nella costruzione dei tuoi testi. Che rapporto hai con la letteratura e come riesci a renderla fruibile attraverso la tua musica?

Sono sempre stato appassionato di parole e, oserei dire, di poetica. Non sono un lettore fanatico, riesco a leggere due o tre libri l’anno, quando riesco, però la letteratura in senso lato penso di saperla affrontare navigandoci all’interno. Nel mio percorso artistico la parte letteraria è assolutamente centrale, la musica in se per sè è meravigliosa, mi porta ad un livello di profondità in cui la parola non riesce a portarmi però la parte testuale rimane fondamentale. Rappresenta tra l’altro la ragione per cui una canzone resta immortale oppure no. Non separerei mai le due cose perchè è proprio dalla loro relazione che nasce una canzone che può essere una droga.

Riccardo Sinigallia ©fabiolovino

Riccardo Sinigallia ©fabiolovino

Tornando al discorso legato alla produzione, c’è questa varietà sonora che regala valore aggiunto a tutto il disco dalla prima all’ultima traccia. In un contesto di sovraffollamento testuale, a quel punto la differenza la fa anche la scelta di lavorare in studio in modo più accurato e particolareggiato. Tu come hai lavorato stavolta?

Il lavoro in studio da un lato è sempre lo stesso perchè mi piace mescolare le fonti sonore con delle proporzioni di volta in volta diverse. Nel primo album c’era più elettronica proveniente da campionatori e analogici, il secondo era più acustico, nel terzo ho cominciato a giocare mescolando le carte e in questo nuovo progetto l’ho fatto ancora di più. La metodologia consiste sempre nel riprendere le fonti naturali acustiche, elettriche o synth analogici in maniera pura per poi divertirmi con l’editing selvaggio della computer music e della hard disk recording. La matrice antica, autentica vive e vibra con le più avanzate tecnologie disponibili che mi consentono di poter corromperla fino all’arresto (ride ndr).

Questo approccio artigianale ti contestualizza all’interno di una nicchia  di persone che lavorano ancora manualmente alla loro musica. Come vivi questo tuo status all’interno di un mare magnun così diverso dal tuo modo di concepire l’arte?

A dire il vero in questo periodo sono molto soddisfatto, vedo che non c’ho quasi più niente da perdere, faccio i dischi che voglio fare, ho finalmente intorno a me delle persone che mi proteggono, che mi vogliono bene, ho una squadra che lavora in modo incredibile, poi ho Caterina Caselli che rappresenta un punto di riferimento molto più alto rispetto alla media. Avverto perciò la sensazione che tutte le scelte fatte in passato, anche i sacrifici, i rifiuti, le stratte più strette e tortuose, mi abbiano portato fino a qui. Sono molto contento quindi, poi se vengono in 600 o 60.000, ovvio che sarei più contento di accoglierne 60.000 a vedermi ma ora come ora, anche se 600 per me son da paura, anzi, magari.

A proposito di numeri, sono grandi quelli collezionati da artisti che hanno lavorato a stretto contatto con te. Ultimi in ordine di tempo Motta e Coez. Come vivi il fatto che tu abbia lasciato una traccia importante sul loro percorso e la possibilità di poter detenere un metro di giudizio e di esprimerti da un punto di vista più alto?

Che dire? Finalmente grazie a Francesco Motta e Silvano (Coez) questa roba è uscita fuori perchè prima non è che si sapesse poi molto. Da queste nuove generazioni è venuto fuori il mio lavoro da “backliner”. Mi hanno dato molta soddisfazione e io per primo ho imparato da loro molte cose, sono state due produzioni molto felici anche se alla fine ognuna ha avuto dei momenti di forte emozione.

Per tornare un attimo al disco, parliamo di un brano scomodo, ovvero “Le donne di destra”

Questo è il brano più esplicito di tutti, un testo in cui c’è una parte di ingenua confessione di una cosa che penso, che sento, e della quale mi sono liberato. Il problema estetico-ideologico sulla femminilità l’ho eliminato, mi piacciono tanto le donne di destra quanto quelle di sinistra, forse quelle di destra si vestono meglio. Ovviamente non si tratta in alcun modo di una generalizzazione. In genere gli amici che arrivano da una cultura di sinistra hanno dei riferimenti femminili che io non capisco, i nomi sono sempre gli stessi: o qualche attrice del passato o Laura Morante. Io invece ammetto che mi piacciono la Ferilli e la Lecciso.

Video: Ciao Cuore

Perchè hai scritto un inno per i backliner con l’omonima canzone?

Questa è una sorta di autoritratto ma anche un omaggio a quella figura che non si fa vedere, che presta e dona la propria opera per poi restare inesorabilmente nell’ombra. Si tratta di personaggi che, da quando suono dal vivo, mi hanno sempre colpito per la loro potenza subito riconoscibile. Potrei scrivere una canzone su ognuno di loro, alla fine ne ho scritta una per tutti, me compreso.

Per concludere questo incontro, raccontaci che valore dai alla parola “emozione” e come la contestualizzi all’interno dell’universo live.

L’emozione nel live è quel momento in cui riesci davvero a connetterti con te stesso, l’ambiente in cui ti trovi, il momento che stai vivendo e la canzone che stai cantando. Quando questo si verifica è una botta mostruosa.

Raffaella Sbrescia

 

Cenerentola: nel diario di Enrico Nigiotti la tenerezza è rock. Intervista

Enrico Nigiotti

Il 14 settembre esce “CENERENTOLA”, il nuovo album di Enrico Nigiotti anticipato in radio dal singolo “COMPLICI” feat. Gianna Nannini. Un disco libero, sentito, sincero. Un diario fresco, leggero e intimo in cui ciascuno potrebbe ritrovare qualche pagina della propria vita. Ecco l’intervista al cantautore livornese.

Intervista

In che modo la tua attitudine si sposa a questo progetto che ti rilancia ancora una volta ma stavolta in maniera definitiva e, si spera, a lungo termine?

Questo disco è un po’ il riassunto di questi anni, sia dal punto di vista personale che artistico. Nella sfortuna, ho avuto la fortuna di scrivere canzoni che avevo bisogno di scrivere senza l’idea di pubblicare un album e senza una scadenza precisa. Le canzoni sono nate tutte in maniera libera e spontanea, questa è l’essenza del disco che ho intitolato “Cenerentola”, nel senso di riscatto, rinascita. Questo è il mio diario, il diario di un trentenne.

L’aspetto forse più contrastante è che in te c’è tanto rock, tanto amore per la libertà ma anche tanta tenerezza. L’emotività che traspare dai testi è tanta, come si sposano tra loro questi contrasti che fanno di te una persona così particolare?

In effetti sono molto impulsivo ma sono anche abbastanza dolce. Cerco sempre di avere positività anche in situazioni e momenti negativi. Ci credo proprio, la prova sta nel fatto che le cose non vanno male sempre, se vanno male significa che devi tararti e provare a cambiarle. Ad ogni modo quando scrivo cerco sempre di spogliarmi , di non pensare e di non vergognarmi. Questo non cambia il fatto che certe cose sono più facili da scrivere che da fare. Le canzoni ti rendono sempre una persona migliore di quella che sei in realtà.

A proposito di positività, c’è il brano “E sarà”, l’inno dei nostri tempi dove se non sei smart e multitasking non vai lontano…

Questo è il mio mantra. Questo è un brano scritto in un momento in cui cercavo di far musica, è scritto in chiave ironica. “Intanto resto qua significa che bisogna sempre continuare a camminare e provare e riprovare. Si vive per questo d’altronde. La bellezza sta nel cercare di riuscire a differenza di quanto ci sei riuscito, nel mentre godi davvero. Quando realizzi un sogno ne cerchi sempre un altro. Di carattere non mi godo quello che ho, vedo sempre il bicchiere sempre mezzo vuoto, sono sempre in movimento.

A proposito di bicchieri, c’è “Campari Soda”. Lo descrivi come un brano molto personale ma in realtà ha un testo piuttosto enigmatico.

Sì, è molto criptico, ha un suono malinconico ma è uno dei miei brani preferiti. Si tratta quasi di una lettera, un messaggio lungo che mandi a una persona. Uno di quelli a cui tengo di più in assoluto , forse anche per il titolo (ride ndr).

“Lettera da un zio antipatico” accende i riflettori sul tuo lato più sconosciuto, ovvero quello domestico.

ll titolo è provocatorio e ironico allo stesso tempo. Il brano è dedicato alla mia nipotina Gaia di un anno e mezzo. Sono uno zio antipatico perchè ogni volta che la vedo, le faccio un sacco di scherzi, piange sempre quando mi vede. In realtà il testo è molto dolce, quasi un dialogo, una specie di ninna nanna per il futuro.

Inevitabile chiederti di “Chiedo scusa”. Una sorta di stream of consiousness, il flusso della tua coscienza si fa largo e diventa nitido, chiaro, fruibile.

Enrico Nigiotti - Intervista

Questo brano è come parlare ad alta voce con se stessi. Mi sono messo completamente a nudo, senza filtri, ho raccontato un pezzo della mia vita e chiedo scusa ai miei genitori per quello che ho fatto e per quello che non sono riuscito a fare.

Come ti contestualizzi in questa dimensione musicale che ti vede a metà strada tra cantautore affermato con un percorso lungo alle spalle e la recentissima esperienza in tv con X Factor?

Non saprei posizionarmi in una scatola però credo che sono sempre la stessa persona. Adesso è tutto diverso perchè gioco finalmente dove volevo giocare, aldilà del talent credo che X Factor sia stata una vetrina, io considero questi programmi come vetrine dove non è per niente facile entrare e in cui bisogna mostrare la propria vera identità nel miglior modo possibile. Non prendo le distanze da niente di quello che ho fatto nella mia vita, sono tutti tasselli della mia gavetta. Ad oggi la gavetta si fa così, inutile girarci intorno, non ci sono più i pub dove te suoni e ti scoprono.

Come si differenzia Enrico in studio da quello sul palco?

Lo studio di questo album è stato bellissimo, ho vissuto completamente tutte le fasi di registrazione con i musicisti. Live sarà diverso perchè potrò sfogarmi di più dal punto di vista musicale con la chitarra, farò più assoli. Per questo tour tra l’altro ho scelto i teatri, volevo fare questa esperienza in cui senti il respiro del pubblico in un’atmosfera attenta, sacra, inviolabile. Sono molto felice di esserci, di emozionarmi, di riarrangiare le canzoni e di vivermi ogni singolo attimo. Suonerò con una band anche se vorrei riuscire a crearmi un momento acustico solo chitarra e voce. Sarà un tour da sentire più che da guardare. Spero che sarà così per tutti, sarà come fare l’amore con tante persone tutte insieme, sarà un momento solo nostro.

Video: Complici

Com’è il tuo stato d’animo in questo momento? Sei reduce dal grande successo del bel singolo con Gianna Nannini “Complici”. Sei comunque carico, lo saresti stato anche se fosse andata diversamente?
Forte non mi ci sento mai. Sono sicuramente felice di questi risultati perchè il brano sta effettivamente andando molto bene però c’è sempre la paura di finire, sono sempre sul chi va là. Aldilà di questo pensiero, questo singolo con Gianna ha una storia alle spalle, tre anni fa ho aperto i suoi concerti, lo sento così forte per la stima e il rispetto reciproco e non perchè sia nato a tavolino. Ne sarei stato fiero in ogni caso, così come lo sarò di questo disco qualunque sorte abbia, sarà per sempre un pezzo di me.

 

Raffaella Sbrescia

Niccolò Agliardi presenta “Resto”. Un’antologia per brani non stagionali. Intervista

Niccolò Agliardi foto di Francesca Marino

Niccolò Agliardi foto di Francesca Marino

Venerdì 14 settembre uscirà l’antologia di Niccolò Agliardi, intitolata “Resto”. Al suo interno due album “Ora” e “Ancora”, che racchiudono tutti i brani più importanti del percorso artistico del cantautore, più tre inediti che portano valore aggiunto ad un progetto che, anche dal punto di vista grafico, ha molto da raccontare con un origami pensato per ogni brano incluso nella raccolta. Chiacchierare con Niccolò è sempre fonte di ispirazione, ecco cosa ci raccontato questa volta.

Bentrovato Niccolò, come mai ti è venuta l’idea di ripristinare il tuo percorso artistico e riproporlo in questa nuova veste e con quali obiettivi?

Nessun obiettivo principale se non quello di riascoltare le mie canzoni, anche quelle meno riuscite, che avevano qualcosa che io consideravo fosse giusto da rivedere, da riascoltare in questo momento. Avevo la sensazione che alcune canzoni fossero frizzate in un’epoca che non era quella che stavo vivendo. Quindi con i miei musicisti abbiamo scelto di divertirci per un tempo nemmeno così breve. Abbiamo riascoltato le canzoni che ci piace suonare dal vivo per capire che cosa non funzionava nei dischi e capire invece cosa funzionava dal vivo per poi vestire questi brani come li vestiremmo oggi. Un po’ come se quelle canzoni avessero dei dettagli, degli accessori molto identificanti di un’epoca musicale. Io credo che le mie canzoni abbiamo forse un unico merito: non sono stagionali. Abbiamo quindi cercato di dargli un vestito molto sobrio all’interno di un percorso bello, divertente, stimolante e molto sereno. Adesso ascolto le mie canzoni e le sento tutte molto vive, pulsanti, come se fossero state scritte un mese fa. Mi piacciono molto.

Come si fa a non perdere l’incanto? Dalle tue canzoni, così come da altri fronti, si percepisce tanta emotività. Qual è il tuo segreto?

Beh quello è un rischio. Io sono disincantato in realtà, purtroppo. Quando accendo la radio o la faccio o quando accendo la tv un po’ mi preoccupo e mi chiedo: “Dove sono finite quelle cose che io amavo tanto?” Non sono passatista, non mi piace dire che quello che ho ascoltato 10 anni fa sia più bello di quello che ascolto oggi, mi chiedo però come mai il sistema della diffusione, della divulgazione della canzone che genera il sistema mediatico dell’intrattanimento abbiano scelto di trasmettere contenuti davvero troppo leggeri. So benissimo che “Resto” è un progetto di un’ambizione oltreconfine, basta guardare la cura con cui abbiamo realizzato anche la parte grafica di questa antologia, con un origami pensato per ogni canzone. Siamo più di 100 persone ad aver lavorato a questo disco. Come si può far cadere una cosa fatta con così tanta passione in un mare magnum di cose miste?

Il singolo “Johnny” prende ispirazione dalla tua avvenuta di affido monogenitoriale ma sfocia in un testo molto significativo. “Ti mangi il mondo e fai pure scarpetta con quel che rimane perchè la vita è bastarda ed il cuoco migliore è la fame”…. è un frase molto impattante. Che messaggio intendi trasmettere a tuo figlio e chi ascolterà il brano?

In questo racconto c’è il mio Johnny ma in realtà è un Johnny qualunque, un ragazzo italiano o non, che si trova ad ascoltare molte promesse fatte in questo paese e si accorge che non tutte possono essere mantenute. A Johnny io do l’ultima piccola spinta prima che egli prenda la nave, il battello, la zattera per attraversare il mare e raggiungere una destinazione per una ripartenza.

Parto dal titolo dell’inedito “Di cosa siamo capaci” prodotto da Corrado Rustici, per chiederti: Di cosa vorresti essere capace tu adesso?

Io vorrei essere capace di non aggrovigliarmi, di non entrare nel solco che ognuno di noi ha nei momenti di difficoltà. Ognuno di noi ha il suo labirinto, io sto cercando ancora la strada per non cadere in questo solco anche se vivo un momento della mia vita molto sereno, gioioso con un tante cose bellissime. A volte mi domando addirittura se merito tutto quello che ho, non sono mai stato abituato ad avere tanti sensi di colpa ma a volte mi chiedo chissà cosa abbia innescato il fatto che io potessi avere tante cose belle. Anche la felicità impaurisce, allora i pensieri, il solco,tornano a farsi vedere. Vorrei avere una forza centrifuga e non centripeta.

Niccolò Agliardi_cover RESTO

Niccolò Agliardi_cover RESTO

“Io vorrei piacerti, intanto piaccio a me” Come si fa a trovare la forza di inserire un’ammissione così importante nel terzo inedito “Colpi forti”?

Un giorno ho guardato mio padre negli occhi e non ero più interessato a sapere se gli piacessi o meno. Ho pensato che era importante in quel momento piacere a me stesso in primis. D’altronde se non mi piacessi, non saprei nemmeno bene cosa offrire e per cosa essere giudicato. In questo senso ho preferito dire, con grande amore e affetto, io mi piaccio, prenditi quello che piace a te di me, questo è quello che posso offrire.

Com’è andata l’avventura radiofonica con il programma su Radio Rai 2 “Week up” con Paola Gallo?

Benissimo, mi sono divertito un sacco in questo primo esperimento super riuscito. Abbiamo finito proprio ieri con tantissimi ospiti che sono venuti a trovarci ieri. Fare la radio è la cosa che più mi piace insieme a scrivere , spero di rifarla presto e poi con Paola ci conosciamo da tanti anni è andato tutto a gonfie vele. Andiamo molto a braccio, accendiamo il microfono e partiamo.

Con la scrittura e la letteratura come sei messo?

Due anni fa ho pubblicato una storia importante “Ti devo un ritorno”. Adesso questo libro sta per diventare un’altra cosa quindi ci stiamo lavorando, questo adattamento visivo vedrà arrivare tanti nuovi personaggi, è stranissimo, sto riprendendo in mano le tracce di Vasco, di Pietro, il romanzo è stata una matrice, una cellula. Ora la storia si allarga. Non sono più da solo, stiamo scrivendo in tanti, siamo tornati dai protagonisti, vediamo cosa che ne verrà fuori.

Tra tutti questi progetti c’è spazio per i concerti?

Lo dico sempre, concerti ne farò molto volentieri quando sentirò che questo disco è arrivato e la gente avrà voglia di venirlo ad ascoltare dal vivo. Inutile organizzare adesso un tour quando il mio impegno principale è che queste canzoni diventino parte della vita di chi le ascolta. Solo più avanti andrò a bussare nelle varie città e sarò fiero di consegnare Ora e Ancora. In ogni caso, adesso, non avrei nemmeno il tempo di lavorarci come si deve.

Come ti interfacci con le persone che ti seguono e come cambia l’approccio rispetto al fatto che sono diversi i canali di contatto con il pubblico?

 Dico con fierezza che non ho tanti haters. Mi seguono delle persone molto simili a me, molto garbate, mi scrivono cose sempre carine, mi fanno qualche domanda. Quello che mi fa un po’ paura è quando la gente mi manda canoni e mi chiede un parere, io lì sono un po’ in difficoltà perchè non sono sicuro di essere all’altezza. Non perchè io non sappia giudicare, l’ho fatto tante volte per lavoro in un contesto legittimato. Il fatto è che se una persona ti manda una canzone è perchè vuole solo sentirsi dire che è bella e delle volte io ricevo cose brutte e questo è l’unico aspetto della possibilità di accesso che noi oggi tutti abbiamo che mi inquieta.

Raffaella Sbrescia

Ernia presenta il primo album ufficiale “68″. Quanti di voi conoscono davvero il rap? Intervista

Ernia

Ernia

Esce Venerdì 7 Settembre il nuovo progetto discografico del rapper Ernia“68”, album contenente  12 brani inediti su etichetta Thaurus/Island Records.

Tra i più apprezzati rapper della nuova generazione, Matteo Professione, in arte Erniaa distanza di un anno dal precedente progetto Cuuu/67”,già certificato disco d’oro,  e dopo il successo del “Come uccidere un Usignolo/67 tour” che ha contato oltre 50 date in giro per l’Italia, torna con un album prodotto per la maggior parte insieme a Marz e registrato a Milano negli studi di Thaurus.

Checchè se ne dica, il rap è di fatto il trend musicale principale in Italia ormai da qualche anno. C’è chi lo nega, chi si divide tra categorie di genere, chi invece si interessa solo alla trap, la più spinta dai riflettori. All’interno di questo marasma si muove Ernia, un giovane che, dalla periferia di Milano si muove a piccoli passi verso il centro con il suo album primo album ufficiale “68″.
“Nell’universo rap si tende a citare i propri luoghi di origine. Per questa ragione il titolo “68″ nasce dal nome della linea di autobus che dalla periferia giunge a una delle nuove zone centrali di Milano QT8. Allo stesso modo io stesso sono passato dall’essere un emergente a uno dei meglio considerati in ampito rap. Non resta che stare a vedere se salendo su questo 68 arriverò in centro o dovrò tornarmene indietro con la coda tra le gambe“. All’interno della tracklist ci sono pezzi leggeri alternati a brani attraversati da uno stream of consciousness che unisce le fila di un discorso personale più stratificato: “Nel disco mi rifaccio un po’ allo stile di Kendrick Lamar, il suo modo di veicolare  messaggi è immediato e ricercato al contempo, mi piacerebbe ripetere questo discorso all’interno del mercato italiano”. Per capire più a fondo che tipo di corrente e in quale contesto c’è da inserire Ernia, bisogna pensare alla musica black con un piglio cool: Mattafix, Black Eyed Peas, 50 Cent: “Quando ero piccolo ero molto più difficile da raggiungere il rap, i media pare se ne siano accorti soltanto da poco ma il problema è più radicato. La radio, che avrebbe il potere di decidere cosa va e cosa no, arriva sempre un passo dopo sulle tendenze. Di base nessuno parla la lingua dei ragazzi, ecco perchè li troviamo come cani pazzi che si ritrovano a cercare in giro le cose senza comprenderle. Ecco come nascono gli “antivaccinisti del rap” che non capiscono nulla di questo genere. Per quanto mi riguarda svolgo il mio ruolo di “mediatore culturale” tenendo vive le radici, usando diverse citazioni musicali, al limite del livello di citazioni scolastiche. Sono un ascoltatore pigro, mi diverte l’autocelebrazione, cerco di continuare la linea artistica di Marracash e Gue Pequeno. I nuovi della scena rap/trap si sono distaccati da questo filone io invece resto vicino al mondo dei miei miti mantenendo un equilibrio”.

Non dimentica dunque le origini Ernia che, in questo album ritrova anche l’amico d’infanzia Tedua: “Io e Mario eravamo vicini di casa prima che si trasferisse a Genova, abbiamo anche frequentato le scuole materne insieme, ci piaceva soprattutto il free style e prenderci in giro. In questo mio album non ci poteva essere nessun altro che lui. Trattandosi di un featuring chiamato, ci siamo cimentati in un puro esercizio di stile per spiazzare il pubblico”. Per stupire il pubblico non possiamo non parlare della struttura musicale di questo album che si presenta piuttosto variegata e ricca: “Premevo per fare un richiamo alla musica black old style. “Tosse” e “Sigarette”, ad esempio, sono prese da campioni jazz, all’interno di “Simba” ho inserito la base di pezzi club degli anni 2000. “King QT” cita King Kunta di Kendrick Lamar. Nello specifico abbiamo risuonato e cambiato i giri dei campionamenti che avevamo scelto”. Tecnicismi a parte, Ernia è uno che ama darsi completamente sul palco: “Mancano due mesi al tour e ho in mente di mettermi a studiare un mese a Bologna per prepararmi al meglio. Non sono un fan del rapper con la band, il rapper deve avere il dj dietro, adoro il one man show. Il mio obiettivo è sempre e solo il live. Se non arrivi al pubblico, resti zero. Puoi fare tutte le views del mondo ma senza i risultati reali non ci sei, non esisti. Non mi chiedere di singoli e di video, io presento il disco nella sua interezza, sarà chi lo ascolterà a dirmi quale traccia preferisce. Il mio pubblico non è giovanissimo ma non mi sento un pesce fuor d’acqua, mi piacciono tanti altri rapper, li ascolto tranquillamente. Quello che viviamo adesso è un trand, uno o due al massimo sopravvivranno, tutti hanno copiato il numero 1 che è Sfera Ebbasta. Se il trend finisce, sarà la fine di molti, io che non faccio parte di questo giro, se cadrò lo farò solo per colpa mia”.

Raffaella Sbrescia

Da venerdì 7 Settembre Ernia sarà impegnato nel “68 instore tour” che lo vedrà protagonista nelle principali città italiane per la presentazione del nuovo album d’inediti e per l’atteso incontro con i fan.

68 instore tour partirà Venerdì 7 Settembre con un doppio appuntamento prima a Varese presso Varese Dischi e poi a Milano presso il Mondadori Megastore di Piazza duomo per poi proseguire Sabato 8 settembre a Monza e poi a Brescia, il 9 Settembre a Padova e Bologna, il 10 Settembre a Genova e Torino, l’11 Settembre a Firenze e Roma, il 12 Settembre a Napoli e Salerno, il 13 Settembre a Bari e Lecce, il 14 Settembre a Mestre e Verona, il 15  Settembre a Modena e Forlì, il 16 Settembre a Lucca e Massa, il 17 Settembre a Frosinone e Caserta, il 18 Settembre a Palermo, il 19 Settembre a  Messina e Catania, il 20 Settembre a Como e Arese e il 21 Settembre a Cagliari.

 

Alvaro Soler: “Il mio Mar de Colores vi dimostrerà che c’è ben altro oltre i tormentoni estivi. Intervista

Alvaro Soler - Mar de Colores

Alvaro Soler – Mar de Colores

Arriva venerdì 7 settembre il “Mar De Colores” di Alvaro Soler. Il giovane cantante e musicista cosmopolita ormai gode di ampio affetto da parte del pubblico italiano grazie alle sue canzoni fresche e allegre. Anche questo album nasce dall’idea di mettere insieme visioni, pensieri, colori e tradizioni con l’intento di unire le persone tra loro in un’epoca martoriata da conflitti di svariata natura. Si fa presto a definirlo “One hit man” e in effetti l’obiettivo dell’artista è quello di scrollarsi finalmente questa etichetta non veritiera dalle sue spalle.

“In questo disco ho messo in luce diversi lati del mio carattere e del mio modo di pensare. Ho esaltato il gusto di viversi la vita in modo semplice, autentico e senza fretta. Non dimentichiamoci di goderci il momento. Io stesso l’ho fatto con il repentino successo di “Eterno Agosto”, un album nato come un esperimento e che invece si è rivelato essere il primo passo per costruire le fondamenta di un percorso che mi ha portato davvero lontano”. Quella che emerge in questo album è, dunque, la filosofia di vita di Alvaro che ha vissuto il periodo di preparazione del progetto come una leva per fare di più e meglio, per reinventare delle idee rock e addolcirle con uno stile più vicino a testi più maturi e più pensati. “Molti si chiedono come una persona così cerebrale come me possa scrivere cose allegre, io invece penso che abbiamo già abbastanza canzoni per piangere. Questo mestiere mi ha insegnato a trovare un equilibrio tra momenti in cui sento di volermi identificare con canzoni felici, altri in cui sento la necessità di isolarmi e riflettere”.

Per tornare al suo ultimo successo “La Cintura”, Alvaro ha voluto alzare la posta in gioco con un featuring che ha visto la partecipazione di Flo Rida e Tini: “Non sai mai che valore aggiunto puoi dare ad un brano che è già stato suonato parecchio, con “La cintura” si è presentata questa opportunità e l’ho sfruttata per compiere un altro importante passo verso l’apertura e la condivisione tra generi musicali diversi. In quel periodo Tini faceva un po’ di promozione a Madrid e abbiamo girato il video divertendoci molto e sentendoci davvero a molto agio”. A proposito di colori, inevitabile chiedergli quale sia quello dominante in questo album: “Non c’è un colore predominante, si tratta di sfumature che predono vita dai colori primari che si mixano tra loro. Questa cosa rispecchia perfettamente me stesso che parlo tante lingue ma nessuna in modo perfetto, faccio tante cose ma nessuna al meglio (ride ndr)”.

A un artista così attento al concetto di integrazione e cosmopolitismo non si può non chiedere inoltre un’opinione su quanto stia accadendo in Catalogna, a proposito del movimento indipendentista: “Non sono perfettamente informato sugli ultimi sviluppi visto che vivo anche a Berlino. Mi baso molto su quello che mi raccontano i miei genitori e mi rattrista vedere il mio popolo scisso. Ho visto i miei nonni avere paura di uscire in strada, non so come andrà a finire ma spero davvero che si possa trovare una soluzione pacifica”. Con numeri così importanti alla mano, cosa si porrà come obiettivo un giovane artista come Alvaro? Ecco la risposta: “Visto che la gente conosce soprattutto le canzoni che passano in radio, vorrei riuscire a portare avanti tutto l’album, fare in mondo che il pubblico possa affezionarsi al mio repertorio in modo più ampio. Vorrei che le persone venissero ai miei concerti per sentire tutto e non solo i singoli più famosi. Conservo un ottimo ricordo di X Faxtor e di tutte le persone che ci lavorano, la tv è interessante ma ora come ora voglio concentrarmi sulla mia carriera da musicista. A novembre metterò in piedi il nuovo show e sono felice di anticipare che ho già delle idee molto creative che non vedo l’ora di mostrarvi. Vi aspetto!”

Raffaella Sbrescia


ALVARO SOLER incontrerà i fan italiani per presentare ad autografare il suo nuovo album durante 3 esclusivi appuntamenti: il 15 settembre a la Feltrinelli Libri e Musica Stazione Garibaldi di NAPOLI (Piazza Giuseppe Garibaldi, ore 18:00), il 16 settembre al Mondadori Megastore di MILANO (via Marghera 28, ore 17:30) e il 17 settembre alla Discoteca Laziale di ROMA
Questa la tracklist completa: “La cintura”, “Histerico”, “Te Quiero Lento”, “Ella”, “Puebla”, “Au Au Au”, “Fuego” feat. Nico Santos, “Veneno”, “Bonita”, “No Te Vayas”, “Nino Perdido”, “Yo Contigo Tu Conmigo”, “La Cintura” featuring Flo Rida & Tini.

Alvaro Soler - Assago

Alvaro Soler – Assago

Prezzi biglietti:

Parterre in piedi: 25,00 € + diritti di prevendita

Tribuna numerata A: 50,00 € + diritti di prevendita

Tribuna Gold Numerata: 50,00 € + diritti di prevendita

Anello B non numerato: 35,00 € + diritti di prevendita

Biglietti in prevendita esclusiva per gli iscritti My Live Nation dalle ore 10 di mercoledì 5 settembre

Biglietti disponibili su ticketmaster.it, ticketone.it e in tutti i punti vendita autorizzati dalle ore 10 di giovedì 6 settembre

L’organizzatore declina ogni responsabilità in caso di acquisto di biglietti fuori dai circuiti di biglietteria autorizzati non presenti nei nostri comunicati ufficiali.

Intervista a Luca Carboni: il mio nuovo tour sarà “Una grande festa”. Provare per credere!

Con il dodicesimo album intitolato SPUTNIK,  Luca Carboni si mantiene in vetta alla classifica musicale Made in Italy. Il primo singolo “Una grande festa” ha celebrato l’universo pop attraverso una sintesi artistica ironica e concettuale al contempo. Abbiamo approfittato di uno dei suoi ultimi Firmacopie in vista del tour che partirà in autunno per approfondire la conoscenza dell’album e del pensiero che c’è alla base di questo lavoro.

Luca Carboni

Luca Carboni

Luca parliamo subito di questo nuovo splendido album “Sputnik”. Già il titolo da l’idea di partenza. Una partenza che però fa tesoro delle esperienze passate. Un album che è molto coerente, e che è il proseguimento ideale di “Pop Up”…

Intanto ti ringrazio per l’aggettivo “splendido” perché i complimenti fanno sempre piacere. Sono felice di presentare questo nuovo album; per me è una grande festa, per parafrasare il titolo del primo singolo estratto. Come dicevi tu, il titolo ricorda anche molto della mia storia. Io sono nato negli anni ’60, cresciuto nell’epoca della guerra fredda; lo Sputnik è stato il primo satellite lanciato dai sovietici, che erano in gara con gli americani per la conquista dello spazio; però se ci pensiamo bene, questo satellite ha inaugurato anche l’era moderna in cui viviamo oggi; senza i satelliti vivremmo una vita sicuramente diversa, sapremmo meno cose. Questo simbolo, nella traduzione italiana significa anche compagno di viaggio, quindi è una parola dura che però ha un significato dolce, e mi piace pensare che le canzoni siano compagne di viaggio delle persone. E’ così anche per me; sono legato a tutte le canzoni che ho cantato e che ho scritto in questi anni. Mi auguro che anche le canzoni di questo nuovo lavoro possano essere compagne di viaggio…

In questo album c’è un pezzo molto interessante, che è anche una bella dichiarazione di intenti, “Io non voglio”, e una frase che dice “Voglio un cambiamento radicale”. Se Luca Carboni si guardasse intorno oggi, quale cambiamento radicale vorrebbe?…

Il cambiamento radicale nella canzone è legato al tema dell’amore, al fatto che nell’amore di coppia vissuto in profondità, ci deve essere la capacità di amare anche l’errore dell’altro, di perdonarsi, di non drammatizzare ogni situazione, quindi in questo caso la canzone parla di un cambiamento all’interno di un amore, di una coppia, di una storia. In generale i cambiamenti che vorrei sono davvero tanti, da quelli legati all’ambiente, a quelli legati all’apertura nella nostra società. Il discorso diventerebbe davvero lungo e complesso. Sicuramente ognuno di noi ha dentro di se’ un desiderio da realizzare, un cambiamento da attuare…

Video: Una grande festa

Nel disco hanno collaborato anche noti artisti della scena indipendente come Calcutta, Gazzelle e Giorgio Poi…

Sì, la scena indipendente mi piace molto. Negli ultimi anni, nella musica italiana, c’è stato il pop, il rap, e il rap che si trasformato in trap. Mancava da tempo una generazione che facesse anche la canzone d’autore in una chiave nuova e che rubasse un po’ di spazio al pop più banale presente da anni nella musica italiana, perciò ben vengano queste nuove generazioni che hanno un punto di contatto con cantautori come me, che hanno cominciato negli anni’ 80. Loro “rubano” un po’ la scena al pop, si stanno staccando dalle cose più alternative e stanno arrivando pian piano nelle radio, non rimanendo isolati. E questo mi fa molto piacere; un po’ come noi che negli anni ’80, volevamo uscire dalla canzone ideologica e politicizzata dei cantautori anni ’70. Noi volevamo raccontare l’uomo al di là dei partiti, delle divise, delle bandiere. Secondo me questa nuova generazione è interessante. Con Calcutta e Giorgio Poi, ci siamo incontrati a Bologna, girando spesso per il centro. Ho scoperto che erano venuti a vivere a Bologna. E’ nata prima un’amicizia, e da lì l’idea di collaborare in quest’album. Gazzelle invece è un cantautore di Roma; mi era piaciuto il suo disco, sono andato a sentirlo in concerto sempre a Bologna, in un club dove tra l’altro io faccio spesso le prove con i miei musicisti, e così è nata l’idea di provare a fare qualcosa insieme.

Un pezzo di quest’album che amo molto è “2”. Tu descrivi una verità assoluta, ovvero, “Tutta la gioia, tutto il dolore, tutto quello che hai è due…”

Questa è una canzone a cui tengo davvero tanto anche io; faccio un po’ di confusione con la matematica, perché il due sarebbe divisibile, e io dico invece che è indivisibile. In ogni storia d’amore ci sono due vite, due differenze, due culture, due mondi da cui arrivi e quando si ama non si deve pretendere di cancellare le differenze, che magari sono proprio quelle che ci hanno attratto della persona, e quindi mi piaceva questo concetto, viviamo una unità su due elementi che possono stare insieme per sempre…

Lo Sputnik Tour parte il 12 Ottobre da Nonantola, ed approda a Napoli, alla Casa Della Musica, il 26 Ottobre. Che tipo di concerto sarà?…

L’album è uscito l’8 Giugno, ma io ho voluto spostare il Tour volontariamente ad Ottobre perché mi piaceva che le canzoni di questo nuovo disco fossero conosciute bene, visto che faranno parte della scaletta del concerto, insieme ai successi che ci si aspetta e ad altre canzoni che solitamente non faccio dal vivo. Voglio fare un tour con la consapevolezza di cosa racconta questo album, delle idee che ci sono dentro. Ho lavorato tanto anche al progetto visuale, che gioca un po’ anche con i disegni della copertina, lo spazio, la spazialità, l’ironia, e anche momenti commoventi di un lavoro video che accompagnerà un po’ tutto il concerto…

“Cosa rimarrà dei nostri tentativi di rimanere umani”?…
Questa è una bella domanda… io sono da un lato un po’ fatalista, dall’altro anche ottimista e penso che l’umanità possa venire anche da un solo uomo, un po’ come dicevano le Sacre Scritture. Anche se c’è un solo uomo che porta dentro questa umanità, il mondo si può salvare…

Giuliana Galasso

Sputnik – Tracklist
Una grande festa
2 (Due)
Amore Digitale
Io non voglio
Ogni cosa che tu guardi
I film d’amore
L’alba
Prima di partire
Sputnik

Sputnik Tour
12 Ottobre – Nonantola (Vox Club)
13 Ottobre – Cesena (Vidia Rock Club)
16 Ottobre – Bologna (Estragon)
18 Ottobre – Padova (Gran Teatro Geox)
20 Ottobre – Venaria Reale (Teatro Della Concordia)
22 Ottobre – Firenze (Obihall)
23 Ottobre – Perugia (Afterlife)
25 Ottobre – Modugno (Demodè)
26 Ottobre – Napoli (Casa Della Musica)
28 Ottobre – Roma (Atlantico Live)
29 Ottobre – Milano (Fabrique)
31 Ottobre – Genova (Politeama Genovese)
3 Novembre – Brescia (Gran Teatro Morato)
4 Novembre – Parma (Campus Industry Music)

 

Il ritorno di Briga: “Cantare non è un business semestrale e non è per tutti”. Intervista

Briga

Briga

Ritratti di Note ha incontrato Briga durante la tappa campana degli Instore di presentazione del nuovo album “Che cosa ci siamo fatti”, un concept-album ispirato dal suo secondo romanzo “Novocaina”. Un disco nel quale si parla d’amore, di insicurezze, delle difficoltà relazionali delle nuove generazioni, e che segna un cambiamento importante per questo giovane e talentuoso artista, cambiamento già palpabile nella scelta del suono, che dà preponderanza alle chitarre e regala al tutto un tocco British. Un album sincero e coerente che mostra un Briga nuovo, che a noi piace molto.

Mattia, “Che cosa ci siamo fatti” è un album che si ispira al tuo romanzo, ma in realtà, all’interno ci sei tu a 360 gradi, i libri che hai letto, la musica che hai ascoltato, i viaggi che hai fatto. Questo è un disco da ascoltare ma anche molto da “leggere”…

Sì, è un disco, come le mie cose solite, da leggere tra le righe, perché ci sono tante storie su di me, tanto quotidiano, tanto di quello che ho vissuto io, che mi sono lasciato alle spalle e anche tanto di quello che ho da vivere, in relazione alle prospettive, alle ambizioni, ai sogni che ho. E’ un disco di cui sono molto orgoglioso, perché rispecchia in pieno il carattere e la persona che sono, uno che va controcorrente. E’ un disco molto “anti” rispetto ai tempi che corrono, va controtendenza; me ne sono un po’ fregato delle dinamiche del marketing, e di ciò che il mercato musicale impone agli artisti. Io credo che debbano essere sempre gli artisti ad imporre qualcosa; del resto c’è chi nasce per “seguire” e chi per “osare”…

In questo disco si parla molto di errori. La parola “errore” viene anche citata più volte. Gli errori sono i nostri primi maestri di vita…

Gli errori fanno parte della vita. Forse dirò una banalità, ma gli errori servono davvero per migliorare e migliorarsi, quindi ben vengano. Nel singolo “Che cosa ci siamo fatti” dico “Di errori potrei non farne più e ognuno dei miei comunque sei tu”… Io guardo sempre con un grande sorriso a tutti gli enormi errori che ho fatto perché sono stati gli errori giusti nei momenti giusti. Ho sicuramente bruciato molte tappe, ma di sicuro tutti questi errori, tutti questi passaggi a vuoto sono stati simpatici. Io guardo sempre con grande ironia al passato; Forse ho un po’ di preoccupazione per quelli che farò perché già so quali errori commetterò, ma questo è un altro discorso…

Mattia in questo disco si parla anche di mancanze, di quelle che lasciano “un buco nello stomaco”. C’è una canzone che mi ha toccato nel profondo, e immagino che anche tu ne sia legato ,“Ciao Papà”.

“Ciao Papà” è una canzone molto nostalgica, che parla di una mancanza, sebbene non sia la mancanza di mio padre, perché fortunatamente lo ho ancora con me, ma visti gli strumenti che ho, carta e penna, rivoluzionari per i tempi che corrono, perché non dedicare una canzone ad un genitore?… Penso sia una delle cose più belle che ho fatto. In questo brano parlo di mancanza della normalità, della voglia di tornare indietro nel tempo con una maturità diversa. Alla soglia dei trent’anni, mi guardo indietro e riapprezzo i piccoli e meravigliosi gesti che ho ricevuto nella mia vita da parte delle persone che amo e che mi vogliono bene, che ci sono state e ci saranno sempre per me. Voglia e ritorno alla normalità. Faccio parte di una generazione che in qualche modo ha dovuto sempre “uscire dalle righe”, sballarsi un po’ per sentirsi viva, mentre adesso invece ripenso a quando da piccolo andavo a vedere la partita con papà o a quando lui mi comprava la coca cola, mentre camminavamo per il Lungotevere. Una cosa meravigliosa che mi rimarrà per sempre dentro, e un giorno vorrò fare la stessa cosa con mio figlio.

Video: Che cosa ci siamo fatti

Mattia c’è una canzone che amo in questo disco e che si intitola “Stringiti a me”. C’è anche molta Napoli in questo pezzo, perché hanno collaborato con te il Maestro Enzo Campagnoli e Fabio Massimo Colasanti, ex chitarrista di Pino Daniele…

Sì vero… penso che Napoli e Roma siano le città che hanno fatto un po’ la storia della canzone italiana e secondo il mio punto di vista sono le uniche due città che hanno sfondato nel mondo della musica nazionale con una loro identità. E’ chiaro che ogni regione ha la sua identità musicale, ma le uniche scuole musicali e cantautorali che hanno fatto da pioniere sono state quella napoletana e quella romana. Essendo io un melodico, c’è sempre un po’ di Napoli, oltre che Roma, nelle mie canzoni. Con il Maestro Campagnoli c’è un legame molto forte perché è stato il mio maestro di canto ad Amici, quindi quando posso, gli chiedo sempre di collaborare alle mie produzioni. Per me è un grande onore e lui è uno di quei musicisti che alza il livello delle mie canzoni.

Proprio in “Stringiti a me”, canzone d’amore, dici una grande verità: “Quante decisioni provvisorie disegnano le storie”. Spesso succede proprio così…

Sì, perché noi ci creiamo delle aspettative ed in base a quelle ci facciamo dei film. E continuo dicendo “Sopra i muri di un quartiere, da scoprire ancora…”. Quando uno scrive una cosa su un muro è perché vuole lasciare un segno e dire anche questa è un po’ casa mia. A proposito di quartieri, Io conosco molto bene il mio, ma per alcune strade e vicoli del centro di Roma ancora mi perdo. Questa è una cosa bellissima e lascia intuire anche perché mi piaccia così tanto Roma e perché ne sia così legato, perché è una città tutta da scoprire, sebbene non stia attraversando un periodo facile; il livello affettivo però è una cosa che riesce ad andare oltre i problemi e la realtà delle cose.

Questo è un album molto coerente dal punto di vista dei suoni. C’è una forte presenza delle chitarre. Molto bello anche il giro finale in “Mi viene da ridere/Trastevere…

Sì, io ho la fortuna di avere una band meravigliosa, siamo tutti amici, tutti professionisti e tutti under 30. Siamo molto legati e questo è importante; per un lavoro delicato come quello del musicista, prima di tutto vengono i rapporti umani e, oltre ad Enzo Campagnoli e Fabio Massimo Colasanti, che sono musicisti fondamentali ma occasionali nelle mie produzioni, ci sono i miei musicisti di sempre, Nico D’Angiò il bassista, Giuseppe Taccini, che è un polistrumentista e si occupa soprattutto della fase di mix and mastering, e del recording dei miei dischi; Danilo Menna il batterista e Fabrizio Dottori, il sassofonista. Poi c’è Mario Romano, che a detta di tutti gli addetti ai lavori, a livello europeo, è il miglior chitarrista under 30. Potendo godere di un chitarrista del genere, che è anche un mio grande amico da anni, non posso non utilizzare queste sue grandi doti e il fatto che sia un chitarrista formidabile. La preponderanza della chitarra, che tra l’altro è uno strumento che amo moltissimo, è dovuta proprio alla sua presenza. Tra l’altro Mario Romano ha composto la musica di “Sei di mattina”, la mia canzone più famosa…

Citiamo anche Boosta dei Subsonica. Il suo sound è particolarmente evidente nel brano “Overlay”…

Boosta è stato un musicista importante per la produzione di questo album, si sente sicuramente il suo tocco e lo ringrazio per avermi regalato pezzi di grande spessore. E’ un cultore della musica ed un musicista con il quale ho legato molto all’interno della Nazionale Cantanti. Ci tengo a dire che con la Nazionale Cantanti non facciamo solo partite di calcio, ma c’è tutto un mondo dietro che va oltre la partita che facciamo in tv. E questo è importante. Siamo amici, facciamo spogliatoio e molti di noi collaborano anche musicalmente. E’ un’associazione di cui vado molto orgoglioso e speriamo di fare sempre più del bene.

Prendo spunto dall’ultima traccia di quest’album “Volevo essere per te”, per chiederti… in questo momento della propria vita cosa vuole essere Briga per se stesso e per la musica?…

Io vorrei tornare ad essere come quei cantautori degli Anni 70, che stanno nell’aria, di cui si percepisce l’anima ma che non si vedono e non si toccano. Questa è un’idea un po’ anacronistica per tempi come questi che invece richiedono sempre di più l’apparire, la presenza dell’artista. Prendiamo ad esempio gli instore; oggi se non fai gli instore rischi magari di non vendere nemmeno un disco. C’è questa cosa di farsi firmare l’album e di fare la foto per invogliare il pubblico a comprare l’album. Non voglio essere frainteso, non che io non ami il rapporto con il pubblico perché è una delle cose che mi rende più orgoglioso, ma mi piacerebbe che tornasse questa versione e visione dell’artista come se fosse qualcosa di astratto. Ti dico una cosa, io a Roma abito nello stesso quartiere di De Gregori, ma lo avrò visto massimo due volte nella mia vita, mentre tornava a casa con la spesa. Ecco io vorrei vivere in una dimensione in cui l’artista fosse quasi una forma di “super partes”, che sta nell’aria, e di cui si percepisce solo l’essenza e il punto di vista. Questo mi auguro di essere per il pubblico, poi nei rapporti personali, spero di essere capito, ed è quello che ho cercato di esprimere nel disco. Io in quest’album inizio subito con la mia voce, senza intro, senza musica, dicendo “Se ti sbranassero gli squali” e così via, come per dire hai comprato il disco, hai speso dei soldi e adesso mi ascolti dalla prima all’ultima traccia. Hai fatto questa scelta e adesso mi devi stare a sentire… Spero che il musicista ritorni a non essere un lavoro possibile a tutti, come la società sta cercando di far succedere adesso. Sembra che fare il cantante e comunicare sia possibile a tutti, in realtà non lo è. Spero che questo lavoro torni ad avere la stessa importanza di una volta. Oggi non è così. E’ puro business semestrale, non c’è niente di valore, niente di etico e non mi piace la piega che sta prendendo…

Giuliana Galasso

“Che cosa ci siamo fatti – Tracklist
Se ti sbranassero gli squali
Che cosa ci siamo fatti
Ciao Papà
Negli occhi tuoi
Mi viene da ridere/Trastevere
Dopo di noi nemmeno il cielo
Overlay
Stringiti a me
Mi sento strano
Ti piace ancora, qui?
Volevo essere per te

 

Pitagora pensaci tu: Renato Caruso presenta la sua anima latina. Intervista

RENATO CARUSO PH. RAY TARANTINO

RENATO CARUSO PH. RAY TARANTINO

“Pitagora pensaci tu” rappresenta un’opera omnia in cui racchiudi le sfaccettature del tuo suono. Come nasce questo titolo e a chi si rivolge questo lavoro?

Il disco nasce per due motivi: per omaggiare la mia città, Crotone. Qui Pitagora si trasferì a 40 anni in questa cittadina per poi fondare la scuola pitagorica e tante altre meraviglie; fu uno dei primi musicologi, colui che si interessò alla musica come scienza facendo numerose scoperte. La seconda ragione è che forse un po’ mi ritrovo in lui, avendo una formazione sia scientifica che musicale. Il lavoro si rivolge semplicemente a tutti gli amanti della buona musica.

Da studioso, cultore e maestro di chitarra classica. Come vivi il tuo strumento giorno dopo giorno e come è cambiato il tuo rapporto con l’uso, sia compositivo che interpretativo, della chitarra?

Di sicuro sono cambiato nella scrittura, prima avevo un approccio molto più di getto che razionale. La cosa va anche bene, ma spesso bisogna pensare al futuro e al fine di una composizione. In questo disco c’è molto istinto ma anche tanta riflessione. La mia interpretazione è molto cambiata negli anni, forse sono diventato con l’età un po’ più dolce, romantico e meno virtuoso (ride ndr).

In questo album convergono i tuoi ascolti, i maestri di sempre e le aspirazioni del domani. Come sei riuscito a mettere tutte queste cose a fuoco?

Ho fatto una cernita di brani e stili che ho sempre suonato e depositato nella mia mente e nel cuore. Ho scelto questi perché forse mi rappresentano. In effetti sì, sono proprio i miei studi e i maestri di sempre come dici tu. Spero solo di non aver fatto un pasticcio e di aver messo troppa roba al fuoco!

Uno dei brani più suggestivi è “Aladin Samba”. Raccontaci la genesi e le visioni di questo brano.

Ero in un ristorante 8(di nome Aladin) con degli amici e sentivo questa musica arabeggiante… quasi non vedevo l’ora di andare a casa e mettere su qualche bella melodia e così ho fatto! Poi ho aggiunto un altro brano e così ho unito due stili, forse questa è la mia specialità.

Nel tuo viaggio musicale si va da Parigi al Brasile, da Milano al Portogallo, passando per l’Africa. Eppure “Napoli caput mundi”. Perchè?

Napoli per me rappresenta il centro di tutto, la musica, la poesia, l’arte, il cibo, ma soprattutto la melodia, l’armonia. A Napoli sono nati i primi conservatori, è stata la capitale tecnologica, lì è nata la prima stazione ferroviaria e tante altre cose belle che i partenopei ci hanno lasciato. Era d’obbligo lasciare una traccia del mio disco dedicato a Napoli. E poi non dimentichiamoci i grandi interpreti e maestri della scuola napoletana che ammiro come Carosone, Caruso, Paesiello, Scarlatti, Pergolesi, ecc Napoli è un’entità dalle tante anime, ecco perché il brano ha più generi. Rappresenta le tante anime di Napoli.

Chi è stato e cosa rappresenta Pino Daniele per te e per la tua musica?
Per me Pino è stato il mio Maestro Nascosto. Il Maestro che non ho mai avuto ma da lui ho imparato molto, soprattutto le ritmiche latine e bossanova, le devo solo a lui. Al conservatorio imparavo altro. Quindi, si può dire, che io sono musicalmente figlio di Pino.

Video: Pitagora Pensaci tu

Cosa significa possedere un’anima latina?
Forse è inteso più come avere un grande senso ritmico, cioè un’anima che ha del groove si direbbe oggi. Forse noi che siamo discendenti di una cultura greca e latina siamo un po’ filosofi ma anche un po’ ritmici, un po’ melodici e un po’ armonici.

Che rapporto hai con la Calabria?
Un rapporto come tutti quelli che, come me, vivono lontani dalla propria terra d’origine. Vado quando posso anche perché ho lì tutta la mia famiglia, la mia terra, la mia Sila che mi aspetta d’estate tra gli alberi, fuoco e vino. Quando posso scappo spesso. Ogni tanto bisogna staccare da Milano. Ci vuole un sentiero senza semafori, anche nel senso metaforico.

Raccontaci gli omaggi contenuti nell’album e il melting pot culturale che hai costruito.
Parto da ANTONIO’S CHORO. Il Choro è un termine portoghese che significa lamento e viene usato soprattutto nelle composizioni come dire minuetto, aria, tango, ecc. Antonio è un amico storico e ho voluto dedicargli questo brano perché ci accomuna la chitarra classica e i famosi Choro di Heitor Villa-Lobos studiati in conservatorio. Poi c’è BOSSA DE SHEILA La bossa, samba, ritmo latino fanno parte di me. Fosse per me suonerei tutto in chiave bossa! Questa piccola composizione è nata in campagna, in Calabria, dove io passo le vacanze estive. CARO MIO JOBIM invece è un brano molto particolare. Rimanendo sempre in tema latino, samba, ho voluto maggiore un brano al re del bossanova, Antonio Carlos Jobim è considerato uno dei padri insieme a Gilberto, il poeta De Moraes e tanti altri. Ho diverse opere in bossa e ho scelto questa perché poi ha una leggera influenza pop nel ritornello. Infine, CIAO ROLAND è dedicato Roland Dyens, chitarrista e compositore classico tra i più apprezzati al mondo. La sua musica va dalla classica al jazz, dal funk al reggae, da Frank Zappa a Edith Piaf. Colui che ha detto tutto quello che si poteva con il linguaggio della musica attraverso la chitarra. L’ha esplorata a 360 gradi. Quando suona la chitarra si deve solo tacere. Il minuto è dedicato a lui perché ci ha lasciati giovane. Dopo Segovia c’è Roland Dyens.

Sogni di comporre colonne sonore. Come lavori per coniugare immagini e note?
Sì, è proprio il mio sogno. Non so come faccio. Forse quando scrivo penso a qualcosa di dinamico. Ho delle immagini, dei pensieri, delle storie da raccontare. Ancora me lo chiedo anche io! Spero di non trovare mai la risposta o l’algoritmo risolutivo altrimenti è finito il gioco.

Raffaella Sbrescia

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