Francesco Renga: “Aspetto che torni” crea un corto circuito emotivo in me”. Intervista

© Toni Thorimbert - FRANCESCO RENG

© Toni Thorimbert – FRANCESCO RENG

Francesco Renga è in gara al Festival di Sanremo con “Aspetto che torni”, una canzone che fa leva sull’emotività dell’artista, un’intensa istantanea del Francesco di oggi. Stasera Francesco Renga reinterpreterà “Aspetto che torni” con Bungaro, coautore del brano insieme C. Chiodo e Rakele, e l’esibizione sarà impreziosita da una coreografia eseguita dall’étoile Eleonora Abbagnato insieme all’étoile Friedemann Vogel.

Intervista

Cosa ti riporta sul palco dell’Ariston e cosa vorresti comunicarci con questo brano?

“Aspetto che torni” è una canzone molto speciale. Ho sempre sfruttato il Festival di Sanremo per fermare passaggi importanti della mia vita e della mia carriera artistica. Questo è uno di quelli e ci tenevo a condividerlo con tutti voi da questo palco.

Questo brano racchiude i cardini della poetica che mi ha contraddistinto negli ultimi anni, racconta le mie assenze e le mie presenze creando un corto circuito emozionale dentro di me. Il 2019 è un anno molto particolare, comincio ad avere la stessa età in cui mia madre se ne è andata e i miei figlio hanno invece l’età che avevo io quando mi ha lasciato. Avevo bisogno di uno sfogo e di raccontare i piccoli momenti di felicità che spesso abbiamo intorno e di cui non ci accorgiamo cercandoli altrove. Dopo 30 anni ho fatto pace con questo abbandono, ho fatto tesoro del dolore e ho abbracciato la rabbia e il rancore che mi hanno pervaso l’anima in questi anni.

Cosa ne pensi di questa rosa di cantanti in gara?

La qualità delle canzoni è davvero molto elevata, credo che non si sia mai rappresentato così tanto bene il panorama musicale italiano e sono felice di poter partecipare con la mia storia.

Come ti confronti con le penne più giovani del nostro cantautorato?

Ci sono molti talenti giovani da cui cerco di carpire i cardini del linguaggio, hanno un modo di scrivere fresco e diretto. Mi confronto da tempo con giovani autori per cercare di andare avanti al meglio. Resto coi piedi per terra e le orecchie aperte, pronto a capire e tradurre con la mia sensibilità, la mia cifra, il mio stile tutti gli spunti che arrivano per rendere la mia musica un qualcosa di unico ma più contemporaneo.

Come si arriva a decidere di andare Sanremo con tanti anni di carriera sulle spalle?

Il palco di Sanremo lo puoi domare solo se hai qualcosa di così importante, urgente, intimo, coinvolgente e privato da dire, tanto da impegnarti da un punto di vista emozionale da dimenticare dove ti trovi. Nel mio disco nuovo ci sono tante cose meravigliose che però qui non avrebbero trovato posto perché non erano figlie dello stessa urgenza espressiva. “Aspetto che torni” è arrivata da me tramite Claudio Baglioni, l’ho ascoltata in modo violento e ho capito subito che risvegliava delle cose che gridavano dentro di me, per troppo tempo in fermentazione. In una notte travagliata ho riscritto il testo, alla fine è rimasto solo il ritornello poi con Tony ho individuato una scrittura classica che mi ha dato modo di tornare un po’ alle mie origini.

Come vivi il tuo ruolo di padre in questo contesto socio-culturale?

Faccio quello che posso, esattamente come tutti i genitori. Il mio essere artista si traduce nel mio lavoro. Scrivere canzoni è il mio modo fisico di stare al mondo, ed è l’unico modo che ho. Resto ben ancorato alle cose concrete della vita. I figli mi hanno fatto crescere, mi hanno reso responsabile, mi hanno fatto guardare la vita attraverso il loro sguardo. Tutto questo mi terrorizza ma mi dà anche forza. Vivo una vita normale, sono innamorato e sono fiero della mia provincialità. Vivere in una piccola città ti fa sentire protetto, ora i ragazzi vivono la società in modo decisamente diverso, ora si gioca on line, non ci si incontra più di persona. Questo mi spaventa molto ma cerco di tenere tutto sotto controllo.

Raffaella Sbrescia

 

Ghemon a Sanremo 2019 con “Rose viola”: dalla musica alla stand up comedy con sacrificio e umiltà.

Ghemon @ Sala stampa Lucio Dalla -Sanremo
“Rose Viola” (Carosello Records e Artist First) è il brano con cui Ghemon  è in gara alla 69^ edizione del Festival di Sanremo. Il singolo è acquistabile in formato 45 giri in edizione esclusiva su vinile colorato viola, che contiene oltre alla versione originale, anche quella realizzata con gli artisti che accompagneranno Ghemon sul palco nella serata ospiti: Diodato e i Calibro 35.
In “Rose Viola”, la voce soul e black di Ghemon trasfigura la sensibiltà di una figura femminile assuefatta da un rapporto logoro e fragile. Nel racconto dell’artista, la donna si ritrova sola e in lacrime nel cuore della notte, mentre ripensa a quanto l’amore che una volta le aveva riempito il cuore ora sia un sentimento esausto e malsano a cui, però, non riesce a dire basta. Ad arricchire questo brano, la versione che include una strofa inedita scritta e cantata da Diodato. Il non plus ultra è il contributo dei Calibro 35, uno dei pochi gruppi musicali italiani che unisce abilmente chitarre fuzz, organi distorti, bassi ipnotici e funk grooves, dando vita ad un immaginario cinematografico.
 
Intervista
Negli ci hai abituato a tanti cambi di pelle ma il tuo sound conserva un tocco riconoscibile.
Calco il palco di Sanremo con l’intento di distinguermi, dimostrare che la mia voce, trovata e conquistata grazie a lunghi anni di studio e gavetta, riesca a declinare in tanti modi diversi la musica italiana. Mi piace essere più versatile che specifico. Quello che faccio oggi è fluido, ci ho messo tanta fatica per essere libero di fare questo genere di cose. Quello che mi prefiggo di fare è progredire e, in questo senso, il disco che uscirà sarà il proseguimento naturale di non percorso evolutivo sempre attivo.
Per te che sei emblema di un substrato culturale particolarmente profilico quali sono i modi, i tempi e i luoghi in cui trovi ispirazione?
L’ispirazione viene dalla vita. Spesso viaggio in metropolitana, amo soffermarmi sui particolari di tutto quello che mi circonda
Tornando al mondo sanremese, se avessi potuto scegliere una cover, cosa avresti cantato?
Amo sparare alto, avrei cantato volentieri “E poi” di Giorgia ma sono molto legato a “La terra dei cachi” di Elio e le storie tese”.
Ghemon - rose viola

Ghemon – rose viola

Sei attento ai particolari ma sei anche attivo in campo solidale. Quali sono le cause a cui tieni di più?
Credo nel potere del coraggio, sono passato attraverso tanti fuochi e situazioni diverse. La realtà non è fatta solo di sogni ma anche di tante spine. Io provo a raccontarle e a sostenere chi prova districarvisi all’interno. Tra le varie cose, ho messo all’asta un paio di scarpe della mia collezione privata,  quello con cui ho calcato il palco del Festival durante la prima serata, a favore di un’asta di beneficenza organizzata da Charity Stars per aiutare le donne che soffrono di disturbi alimentari, ci tengo molto.
Che rapporto hai con la ricerca e con l’arte in generale? Ci sono altri modi in cui declini la tua sensibilità artistica?
Fin da ragazzino avevo il cuore pulito e sognavo a voce alta. A volte mi scambiavano per un presuntuoso ma ho sempre amato muovermi tra le cose che mi piacevano. Ho lavorato tutti i giorni, nessuno mi ha mai regalato nulla, dal mondo rap mi sono spostato al canto studiando tanto, ho scritto un libro e solo di recente ho cominciato a cimentarmi con la stand up comedy. Questo mondo mi piace molto, mi consente di tirare fuori l’ironia che mi contraddistingue nella vita privata e che nelle canzoni non riesco sempre a tirare fuori. Non escludo di poter continuare a percorrere questa strada, far sorridere una persona è un’emozione impagabile. Mi sento di dire che, all’interno di un mondo dove grazie a Internet diventi famoso in 10 minuti, mi approccerò a questa arte con grande rispetto. Mi sembra che questo sia un messaggio importante da trasmettere: le cose belle bisogna sudarsele.
Raffaella Sbrescia

Arisa al Festival di Sanremo 2019: “Mi sento bene” e ve lo dimostro!

Arisa- Mi sento bene
Con “Mi sento bene” Arisa cambia volto e conquista tutti. Con il passaggio in Sugar e un nuovo album in arrivo intitolato “Una nuova Rosalba in citta”, lo stato d’animo dell’artista è di quelli contagiosi. L’abbiamo incontrata oggi presso la sala stampa Lucio Dalla di Sanremo.
Ciao Arisa, come stai? La tua esibizione sul palco del Festival di Sanremo 2019 ci ha comunicato gioia e benessere, è così?
Sì, confermo, Se c’è una nuova Arisa in città è anche merito della Sugar e del mio nuovo management.
Il mio nuovo album parla chiaro già a partire dal titolo. Ci sono tante canzoni in cui c’è tanto di nuovo anche se in qualche modo ritorno al mood  di “Sincerità” e “Ma l’amore no”. Nella vita mi è successo di ritrovarmi a diventare Arisa, ho dovuto prendere un po’ le misure con questa identità facendo i conti con malinconia e scomodità. Alla fine ho capito che per stare bene dovevo riprendere in mano le mie origini, farle crescere e sbocciare. Questa è l’Arisa che volete e che piace a me per prima.
Cosa c’è della vecchia te che non ti mancherà?
In “Mi sento bene” ve lo spiego. Quella perdita di tempo nell’elucubrarsi nel farsi troppe domande causa una perdita di energie. Va bene essere profondi ma è importante farlo investendo questo tipo di sensibilità nei rapporti con gli altri piuttosto che nei concetti. A 36 anni è ora di volersi bene, vivere e quagliare.
Dei nuovi brani in arrivo, quale ti piace di più?
Sicuramente “Il futuro ha bisogno d’amore”. Una verità importante e definitiva.
Che importanza ha l’esteriorità nel tuo mestiere?
Mi rifaccio alla storia de “Il Piccolo Principe” per dire che curarsi serve a ottimizzare tempo e risorse. Presentare ottime idee con un cattivo aspetto non rende.
Come hai lavorato insieme ai numerosissimi autori del nuovo disco?
Devo dire che non è stato facile. La Sugar mi ha messo a disposizione un vasto parco autori, abbiamo fatto un briefing sulla linea da seguire per poi iniziare i lavori, non senza difficoltà. Per me è stato costruttivo lavorare in squadra, io sono un lupo solitario, ballo da sola da sempre, sono sicura che questo lavoro è il frutto dell’impegno di tanti guerrieri della luce.
Dove ti troveremo dal vivo?
Sto preparando un tour nei club di tutta Italia, non vedo l’ora di farvi divertire insieme a me!

Dimartino presenta “Afrodite”: La mia musica è libera e mi diverte. Intervista

Dimartino - Afrodite

Dimartino – Afrodite

Sono giorni buoni per la musica italiana. Antonio Dimartino pubblica oggi “Afrodite”, un album di inediti prezioso, cosparso di contenuti importani veicolati con intelligenza, romanticismo, efficacia. Prodotto per Picicca/42 Records, “Afrodite” trova la sapiente mano del produttore Matteo Cantaluppi che disegna un vestito più leggero e svolazzante ad un lavoro che segna un nuovo bel capitolo artistico di Dimartino, sempre pronto a mettersi in gioco in nome della creatività libera.
Intervista.
“Cuore Intero” sintetizza in alcuni passaggi la tua nuova condizione artistica e personale. “Ho bisogno di naufragare per trovare qualcosa di vero. E’ tutto in mille pezzi ma il cuore è intero.
Sì, la voglia di ripartire da zero è un concetto fondamentale nella vita di un essere umano. Io sono una persona che si mette molto in discussione, ho spesso bisogno di rimettere le carte in tavola e capire come ripartire. Non rinnegherei mai quanto fatto finora ma questa per me è una vera ripartenza.
Anche dal punto di vista musicale non mancano i cambiamenti, come hai lavorato in studio?
Mi ha aiutato molto il mio pianista Angelo Trabace con cui ho arrangiato quasi tutte le canzoni. Abbiamo ripreso canzoni che avevo messo da parte da tempo, le abbiamo stravolte e riarrangiate. Anche il produttore artistico Matteo Cantaluppi ha avuto un ruolo chiave dando, di fatto, un altro suono alla mia musica. Mi piaceva l’idea di avere cose molto intime da dire ma avevo due strade da poter percorrere: o restavo ancorato ai miei vecchi dischi acustici o cambiavo rotta. Avevo quindi bisogno di una visione personale come quella di Matteo, il suo è un suono particolare aldilà del fatto che i suoi lavori possano piacere o meno. Nel disco suonano anche Giusto Correnti, Mirco Onofrio e Daniel Plentz dei Selton.
Come hai vissuto questo periodo di lavorazione e come ti senti adesso?
Adesso mi sento libero. “Afrodite” tende al pop dal punto di vista sonoro ma allo stesso tempo veicola contenuti importanti di cui oggi si deve parlare. Dal punto di vista artistico vivo un momento di grande libertà, prima di questo lavoro ho fatto un disco dedicato a Chavela Vargas, una cantante messicana quasi sconosciuta in Italia. Direi che non mi sento catalogabile o etichettabile, scrivo delle cose che piacciono soprattutto a me.
A proposito del progetto “Un mondo raro”, sono previsti nuovi passi o l’avventura è terminata?
Il progetto non è si è esaurito, ci saranno sicuramente nuove date più avanti, abbiamo in piedi uno spettacolo teatrale a tutti gli effetti.
A proposito di contenuti importanti, il brano “Ci diamo un bacio” è sicuramente uno di quelli in cui il messaggio veicolato è tra i più forti, che peso dai a questo testo?
Sinceramente questa è una delle mie canzoni preferite del disco, parla del rapporto con la mia terra, con la mia città Palermo attraverso una successione di immagini legate alla mia vita, al modo di vivere, al modo di fare siciliano. Sono molto legato a questo brano perché tratta anche il tema dell’accoglienza. Palermo è una città che negli ultimi anni sta dando prova di essere aperta, libera, accogliente, si tratta di una città millenaria in cui convivono diverse identità.
In “Feste comandate” parli della tua paternità in modo molto particolare…
Questo brano è nato tutto d’un fiato, l’ho scritto in neanche mezz’ora durante una delle tante riflessioni che si fanno nei mesi in cui aspetti un figlio e immagini che la tua vita cambierà completamente ma non sai ancora in che modo. Mentre scrivevo non avevo consapevolezza di cosa stessi dicendo, solo alla fine ho capito che è come una fotografia che avrò gioia di riguardare anche tra 20 anni. Sono felice di averla scritta aldilà della strada che troverà, è una canzone molto personale che rappresenta fedelmente un momento della mia vita.
Come vivi il tuo rapporto con Picicca?
Beh con loro ho un rapporto familiare molto vivo, per questo disco ci appoggiamo anche a 42 Records ma con Picicca sono praticamente cresciuto, mi hanno aiutato a fare determinare scelte, sono affettivamente legato a loro.
Qual è il tuo approccio alla ricerca?
Direi maniacale. Mi soffermo su mille cose diverse, spesso me le perdo anche per strada, ho sempre scelto l’approfondimento, mi piace soffermarmi sulle cose. Non mi piacciono le frasi a effetto, gli slogan, i titoloni. Sono molto curioso, amo prendere appunti e ritrovarli in giro. Sto lavorando a 10 progetti diversi anche se poi non so se avranno mai luce. Ci tengo a comunicare queste cose perché siamo ormai abituati a distogliere subito l’attenzione, a soffermarci solo sulle immagini forti, non vediamo mai dietro le cose, non cambiamo mai punto di vista. Questo è il mio modo per fare la differenza.
C’è qualche lato di te che ancora non abbiamo avuto modo di conoscere in questi anni?
A dirla tutta ci sono tanti aspetti di me che ancora devo conoscere io stesso. Ho sempre voglia di fare cose nuove, mi diverte pensare che le cose che faccio divertono me per primo. Credo che questo sia un requisito fondamentale per chi scegliere il mestiere di scrivere o suonare. Questa è la chiave per fare cose belle e importanti.
A proposito di cose belle e importanti, come sarà il nuovo tour?
Sarà molto divertente, sul palco con me ci saranno tutte le persone con cui ho lavorato negli ultimi 10 anni. Sarà una vera e propria rimpatriata. In questo momento stiamo ragionando sulla scaletta, dopo 4 album ci sono tanti brani in lista, ognuno è affezionato a qualche canzone in particolare. Vorremmo portare in giro un live molto potente, parecchio suonato e, possibilmente, parecchio divertente.
 Raffaella Sbrescia

Il 15 febbraio parte da Palermo il “Afrodite Tour 2019”, organizzato e prodotto da  Baobab Music, che vedrà Dimartino live nei principali club italiani. Si parte il 15 febbraio da I Candelai di Palermo e si prosegue il 16 dal Ma di Catania, il 21 alla Santeria Social Club di Milano, il 22 a Cavriago (RE) al Circolo Kessel, il 28 all’Hiroshima Mon Amour di Torino. Il 9 marzo sarà la volta di Coversano (BA) alla Casa delle arti, il 14 all’Auditorium Unical di Cosenza, il 15 marzo al Monk di Roma e infine il 16 al Locomotiv Club di Bologna.

I biglietti sono disponibili per la vendita su www.ticketone.it e in tutti i punti vendita autorizzati. Info tour e biglietti www.baobabmusic.it

 

Questo il calendario completo di “Afrodite Tour 2019”:

 

15/02/19 PALERMO – I CANDELAI

16/02/19 CATANIA – MA

21/02/19 MILANO – SANTERIA SOCIAL CLUB

22/02/19 CAVRIAGO (RE) – CIRCOLO KESSEL

28/02/19 TORINO – HIROSHIMA MON AMOUR

09/03/19 COVERSANO (BA) – CASA DELLE ARTI

14/03/19 COSENZA – AUDITORIUM UNICAL

15/03/19 ROMA – MONK

16/03/19 BOLOGNA – LOCOMOTIV CLUB

 

Per ulteriori info:

www.42records.it - www.picicca.it

VINILE: http://www.42records.it/?p=5512

CD: http://www.42records.it/?p=5074

 

Paranoia Airlines: Fedez si racconta mettendosi in gioco in un nuovo album

PARANOIA AIRLINES
Esce venerdì 25 gennaio “PARANOIA AIRLINES”, il nuovo album di Fedez. Il disco presentato in modo originale all’Aeroporto di Milano Linate, si compone di 16 brani inediti, in cui Federico Lucia ha voluto collaborare con artisti nazionali e internazionali: si va dal rap di Trippie Redd ed Emis Killa, alla dance pop di Zara Larsson, al cantautorato di LP passando per la trap di Tedua e la Dark Polo Gang fino al pop di Annalisa. Prodotto da Michele Canova Iorfida, il disco ha visto la luce tra Milano e Los Angeles riportando Fedez sulla strada da solista dopo la fine del connubio artistico con J-AX.
Già a partire dal titolo questo album vorrebbe mettere in luce gli aspetti meno noti di Fedez, gli sfregi e i difetti che molto spesso lo hanno messo in una condizione psicologica di paranoia, ansia, inquietudine, irrequietezza. Un aspetto personale, questo, che in realtà emerge ogni qual volta Federico Lucia decida di raccontarsi a cuore aperto, andando oltre quello che giorno per giorno sceglie di mostrare della propria vita.
Dal punto di vista musicale questo album ha portato Fedez a lavorare in modo diverso dal solito, d’altronde lo scambio umano e artistico con Canova è stato evidente nel corso degli ultimi mesi e, sebbene il risultato sia meno sperimentale di quanto si potesse pensare ascoltando il singolo dedicato a Leone “Prima di ogni cosa”, alcuni brani danno l’idea che Fedez sia sempre più lontano dal mondo rap e in ogni caso dai primi dischi pubblicati in passato.
Libero da logiche di vendita e da restrizioni discografiche, Fedez sceglie di fare come crede, con chi crede. Un pugno di jam sessions l’ha portato a interagire direttamente con gli artisti che ha invitato a lavorare con lui nel disco, un modo di lavorare istintivo, di pancia, che in qualche modo ha voluto esorcizzare gli aspetti più cupi della personalità del giovane artista, il cui background è già carico di esperienze all’attivo.
L’obiettivo di Fedez è recuperare leggerezza e spontaneità, la voglia è quella di fermarsi un attimo a respirare, imparare a godersi quanto si è fatto finora. Godersi la neo-famiglia, ristabilire il centro delle priorità. A breve ci sarà ovviamente un atteso tour nei palazzetti italiani, un’esperienza che, fatta da solo, sarà ben diversa da quella fatta in coppia per “Comunisti col Rolex”. Per lo stesso volere di Fedez non ci sarà un tour estivo perché verosimilmente questo disco non avrà una vita molto lunga, aldilà dei risultati che porterà. Una delle ragioni di questo annuncio controtendenza, fatto dallo stesso Fedez, sta nel fatto che sono tanti gli spunti e le velleità che l’artista sta portando avanti grazie alla potente sinergia privata e professionale che si è venuta a creare con sua moglie Chiara Ferragni.
Video: Holding out for you:

Tra gli aspetti più interessanti di Fedez c’è l’evidente capacità di ricordare ogni singolo avvenimento passato. Tra i passaggi più significativi della conferenza stampa milanese c’è il momento in cui Federico parla della sua collaborazione e storica amicizia con Emis Killa: “Ci conosciamo da quando avevamo 13 anni, siamo cresciuti nel centro nevralgico della cultura hip hop milanese. Quando avevo 18 anni avevamo la stessa etichetta amatoriale, io me ne andai perché non mi consideravano, lui esplose con il suo mix tape. Poco dopo ci siamo persi, poi ritrovati, spesso sentiti al telefono, mai riusciti a rivederci fino a quando ci siamo ritrovati entrambi genitori ed è stato davvero stranissimo. Ci siamo sempre supportati e invidiati a vicenda sviscerando la cosa in modo trasparente, la sana competizione tra noi non si spegnerà mai”. Bello anche il modo che Fedez trova per parlare della sua amicizia con Martin Garrix, spesso frequentato durante le lunghe permanenze a Los Angeles con Chiara: “Martin ha ottenuto il successo a 15 anni, vive in tour da 5 anni, fa 200 date all’anno, vive su un aereo e nonostante tutto ha dormito sul mio divano. Martin è di una umiltà incredibile, credo sia nato esattamente per fare questo tipo di vita. Mi ha colpito davvero molto”.
FEDEZ
Tanti gli argomenti toccati durante l’incontro stampa, dalle sorti di Newtopia alla paura di cantare in tv: “Newtopia non è mai cambiata – spiega Fedez – sono sempre stato io il fulcro della direzione artistica, ho semplicemente acquisito delle quote. Siamo partiti in 3 ora siamo più di 10 persone, gestiamo una ventina di talenti da sportivi a youtubers ma non sento di dovermi esporre. Non sono un burattinaio. Tutti pensano che io mi esponga perché sono sempre sui social ma credetemi se vi dico che non è così. Il mio personaggio coincide con la mia persona. Per esposizione io intendo essere in tour, fare tv, fare dischi. Pubblicare stories non mi costa fatica, mi viene spontaneo e non pubblico quello che non mi piace. Le mie paure sono le stesse che accomunano tante persone: dalla mera ipocondria alla paura di non essere all’altezza di tante cose nella vita. Chiara vede sempre il bicchiere mezzo pieno, io lo vedo sempre mezzo vuoto, siamo l’antitesi l’uno dell’altra, sarà per questo che ci apparteniamo. Stare sul palco non mi pesa ma cantare in tv è uno dei miei punti deboli, mi fa davvero paura. Sarà per questo che non so se riuscirei a cantare a Sanremo. Ho fatto vedere tanti lati deboli di me, spesso ho detto troppo rispetto a quello che dovevo dire, tante volte mi sono rammaricato di non essermi espresso con la chiarezza che volevo. In questo momento però vivermi il presente è il mio rimedio primario e la mia unica prerogativa”.

 Raffaella Sbrescia

La carica creativa di Marco Mengoni esplode in “Atlantico”. Le dichiarazioni fiume dell’artista.

Marco Mengoni

Marco Mengoni

Apertura, ricerca, emotività sono i tre concetti chiave che potremmo usare per parlare di “Atlantico”, il nuovo album di Marco Mengoni in uscita il 30 novembre 2018 per Sony Music.
L’artista ha presentato questo nuovo progetto alla stampa questa mattina alla Torre Velasca di Milano e per l’occasione ha voluto creare un percorso di attraversamento e di avvicinamento alla sua nuova musica con un Festival patrocinato dal Comune di Milano. Tutte le forme di arte sono state ingaggiate all’interno di una serie di happening, mostre e installazioni ricche di contenuti ispirati ai testi e alle musiche di “Atlantico”.
“Dopo aver investito energie in un progetto molto lungo, ero scarico, avevo necessità e voglia di ricrearmi, fare le cose con lentezza per poterle capire sino in fondo. Ho fatto tanti viaggi, sia mentali che pragmatici, mi sono staccato dalla quotidianità e mi sono ritagliato degli spazi da solo. Sono entrato in contatto con tante culture diverse, ho assorbito influenze diverse, mi sono ritrovato a sorvolare spesso l’Oceano Atlantico e, guardando quanti paesi ne sono bagnati, ho voluto che il titolo del disco riportasse proprio il nome del secondo oceano più grande del pianeta.
In questi due anni e mezzo sono cresciuto e sto crescendo, sono rimasto spesso da solo con i miei pensieri e ho avuto modo di vivere esperienze che non pensavo potessi vivere se non ascoltandole da altri.
Per prima cosa sono andato a Cuba, ho voluto scoprire un posto che volevo toccare con mano, mi sono fatto raccontare tanto di una storia difficile, sono andato alla scoperta delle origini della tradizione salsera e rumbera. Mi sono lasciato affascinare da testi pesanti come macigni vestiti di allegria e ho messo da parte quelle suggestioni per inserirle anche nelle mie canzoni. Non so se ci sono riuscito ma ho cercato di fare esattamente questo.
Una delle persone che più di tutte mi ha aiutato a decodificare le emozioni e gli appunti di questi viaggi è Fabio Ilacqua a cui ho cercato di trasmettere quello che di volta in volta vedevo. Così come quando sono stato per un periodo a New York, una città incredibile, piena di energia, in cui sono arrivato con la testa piena di domande a cui cercavo di dare delle risposte. Mi sono sentito solo in una città che offre tantissimo, ho seguito un percorso di autoanalisi dentro di me, ho analizzato cosa fossi riuscito a fare finora e cosa mi fossi perso. E così è venuto fuori il concetto di lentezza, inteso con accezione positiva. Mi sono anche arrabbiato con me stesso perché mi sono reso conto che quando mi succedevano delle cose importanti, nel lavoro e nella vita, ho sempre seguito l’istinto di mettere da parte le cose che fanno più male e i sentimenti più brutti. Da questo percorso molto duro sono quindi nati dei pezzi incentrati sul concetto di contrasto, un termine così distante dal mio imprinting educativo che, ripetuto così tante volte, viene svilito del suo stesso significato.
Video: Marco parla del brano “Hola”

A questo punto del percorso creativo, è sopraggiunto il concetto di condivisione: mi sono sbloccato nella mia intimità artistica, non è mai successo che collaborassi con altri artisti in un mio album, in questo caso non ho voluto ragionare tanto sulle cose, a 30 anni ho capito che è inutile l’individualismo, quindi ho scelto di condividere il brano con Tom Walker, gli ho dato massima libertà, l’ho spinto a fare quello che voleva. Ha scritto un inciso completamente diverso e il risultato è “Hola” (I say).
Sulla scia dei miei viaggi è nata anche “Amalia”, una canzone ispirata alla figura di Amalia Rodriguez, luminare del fado portoghese. Ho cercato le origini, le tradizioni, ho immaginato le donne che vedevano partire i propri mariti senza sapere se e quando sarebbero tornati. Ho quindi iniziato a scrivere il brano per poi vestirlo con il contrastante ritmo della cultura brasiliana facendomi supportare dai Selton e da Vanessa Da Mata.
Successivamente sono andato in studio dal Maestro Mauro Pagani con i miei musicisti di sempre e abbiamo cercato gli arrangiamenti più giusti per queste storie. Il disco si è praticamente prodotto da solo anche se dopo due mesi di suoni, sono andato a cercare dei produttori stranieri e i Rudimental hanno risposto alla mia chiamata per arrangiare il brano “Rivoluzione”; un pezzo che parla di me in prima persona e di come sono arrivato a oggi.
 
Tra i personaggi importanti di questo album c’è anche Adriano Celentano con un bel cammeo ne “La Casa Azul”, un brano che ho dedicato alla meravigliosa figura di Frida Kahlo. Adriano è stato subito entusiasta, naturalmente ha fatto quello che voleva e non a caso si inserisce nel brano subito tipo un shhhh di invito al silenzio. Credo che senza di lui non sarei stato in grado di omaggiare fino in fondo un’artista tanto incredibile quanto Frida.
L’ultima dedica del disco è a Muhammad Alì, nel mio percorso mi sono sentito tante volte debole e ho sentito l’esigenza di documentarmi su chi nella storia non ha mai avuto paura di salire sul ring. Muhammad rimane un punto di riferimento anche oggi e vorrei che lo conoscessero anche i ragazzi che non hanno avuto la fortuna di nascere quando lui incantava il mondo con le sue battaglie.
Il disco si chiude con “Dialogo tra due pazzi”: una relazione tra due persone che non sono normali che in realtà è l’occasione per chiedersi cosa sia in realtà la normalità. Un pezzo in cui si può ritrovare davvero chiunque.
Per quanto riguarda la lavorazione in studio, posso solo dire che il Maestro Pagani ha qualunque strumento, lavorare con lui è stato ancora più stimolante. Io e i miei musicisti di sempre stiamo crescendo insieme, abbiamo tutti e quattro la stessa età, mi accompagnano da 15 anni a questa parte, essere in studio con loro è stato fondamentale perché ho potuto esprimermi nella mia nudità più totale, sanno cosa voglio e siamo messi lì come ai vecchi tempi seduti in circolo. Ci siamo scontrati su tante cose, sulle ritmiche e sulle influenze sonore di mamma Africa, ci siamo misurati anche tempi ritmici molto complessi e siamo cresciuti professionalmente tutti insieme anche in questa occasione.
Video: Marco e il pubblico estero

 
A chi mi chiede se questo album nasce e si configura come progetto internazionale, rispondo che il disco esce in contemporanea in molti altri paesi con un’edizione incisa completamente in spagnolo oltre a quella italiano. A breve ci saranno 5 anticipazioni dal vivo per quello che ad aprile e maggio sarà il vero e proprio tour di cui ho disegnato il palco ben 3 anni fa ormai. Ho sentito vociferare di concerti negli stadi ma io e il mio team abbiamo deciso di fare un passo indietro. Il percorso continua nei palazzetti perché è più giusto, perché il disco si sposa meglio con quel tipo di intimità e perché per gli stadi c’è tempo. Studierò il modo per far arrivare questi miei nuovi messaggi al meglio, vorrei creare un percorso sensoriale che possa riportare le persone all’interno della musica e viverla come esperienza completa. Queste mie nuove idee hanno trovato terreno fertile anche in altri progetti: la partnership con National Geographic per la salvaguardia del pianeta contro l’abuso della plastica, con Casa Chiaravalle, un ex proprietà confiscata alla malavita, oggi luogo di accoglienza, a cui andranno i ricavati dell’Atlantico Fest.
Marco Mengoni al pianoforte - Secret show - Atlantico

Marco Mengoni al pianoforte – Secret show – Atlantico

Forse queste idee mi sono venute dopo essermi costretto a stare da solo, a pensare a quello che mi era accaduto, a dare il giusto peso alle sensazioni di quel periodo. Mi sono preso tempo per seguire delle cose e per prendermi cura delle persone che mi stanno vicino. La cosa che mi più mi fa arrabbiare è il concetto di c’è tempo. In alcune occasioni ho lasciato che il tempo scorresse piuttosto che fare qualcosa, la lentezza serve per ragionare, la velocità serve per rispondere e agire. Non so se ci sarà una vita dopo ma da oggi vorrei lavorare per non perdermi più niente”.
 
 Raffaella Sbrescia

LA TRACKLIST

 

  1. VOGLIO
  2. HOLA (I SAY) feat. Tom Walker
  3. BUONA VITA
  4. MUHAMMAD ALI
  5. LA CASA AZUL
  6. MILLE LIRE
  7. INTRO DELLA RAGIONE
  8. LA RAGIONE DEL MONDO
  9. AMALIA feat. Vanessa Da Mata & Selton
  10. RIVOLUZIONE
  11. EVEREST
  12. I GIORNI DI DOMANI
  13. ATLANTICO
  14. HOLA
  15. DIALOGO TRA DUE PAZZI

Il ritorno di un’icona: Raffaella Carrà presenta “Ogni volta che è Natale”. Con lei è impossibile annoiarsi. Intervista

Raffaella Carrà_copertina album
Natale è alle porte e con le festività anche i dischi natalizi iniziano ad arrivare. Stavolta però c’è una sorpresa. L’iconica Raffaella Carrà torna in scena con “Ogni volta che è Natale” (Sony Music). A presentare questo variegato lavoro è lei stessa con la verve e la carica anticonformista che la contraddistinguono da sempre.
“Vorrei fare un augurio valido non solo per questo Natale – racconta la Carrà alla stampa- vorrei che si buttasse nel cestino il verbo litigare. La lite finisce nella violenza e a pagare siamo noi donne nella maggior parte dei casi. Agli uomini chiedo di essere più comprensivi e alle donne chiedo di contare fino a 100 prima di sfociare in una lite. A questo aggiungo che bisogna rifiutare sempre l’ultimo appuntamento che  è e rimane sempre il più pericoloso”.
A proposito dell’album, l’artista racconta: “Non avevo intenzione di cantare, poi la Sony ha cominciato a farmi notare che non avevo un album di Natale nel mio repertorio. Dopo un periodo di vacanza mi sono messa ad ascoltare i 70 brani che mi hanno proposto e pian piano mi sono convinta visto che il repertorio c’era. Nel disco c’è anche l’inedito di Daniele Magro, un brano che ho chiesto io. Direi che in generale mi sono molto divertita, ho fatto praticamente quello che volevo, mi hanno dato totale libertà e insieme a Valeriano Chiaravalle abbiamo cambiato gli arrangiamenti di tante canzoni famose. Mi sono sentita proprio bene a mio agio ma, se proprio devo trovare il pelo nell’uovo, vi dico che avrei voluto tanto cantare un brano raggaeton ma non hanno voluto farmelo fare. Ditemi voi, cosa c’era di intoccabile in un brano come “Feliz Navidad”? Quasi quasi lo canterei per sfregio in televisione”. (ride ndr).
Scendendo poi nei dettagli del track by track dice: “C’è tanto da ballare in questo album, si va dal pezzo popolare spagnolo in una rumba che nasce dall’Andalusia, alla versione di Stefano Magnanenzi di “Merry Christmas”, alla mia versione di Hallelujah che ho cantato insieme a due giovani soprano che hanno dato il loro meglio, passando per Happy Christmas, la versione valzer del grande classico di John Lennon in cui mi accompagnano i bambini del Coro Dell’Antoniano. Questo disco, insomma, non poteva cantarlo nessun altro, almeno non in questo modo, quando lo ascolto sono io, questo è il mio stile”.
Non sono Natale per la Carrà che non perde l’occasione per qualche toccante momento amarcord: “Milano mi ha sempre portato fortuna. La prima volta sono arrivata in città per Fantastico III. Mi sentivo una fuori sede, ero nata artisticamente a Roma, il primo giorno mi sentivo persa e ho pianto. Poi sono riuscita a coinvolgere il mio amico Corrado per vivere insieme quell’avventura televisiva e fu un grandissimo successo. Ecco, oggi spero che Milano porti fortuna anche a questo album, ho dischi d’oro e di platino nel mio ufficio ma ho uno spazio che vorrei riempire e lavoro anche con l’obiettivo di prendermi questa ulteriore soddisfazione”.
E se qualcuno le chiede cosa avessero di così speciale le sue hits dal fascino eterno, Raffaella risponde così: “Con Fiesta ero impazzita per la Spagna e ho voluto dedicarle una rumba. Mi scatenavo, mi divertivo troppo, non riuscivo a stare ferma davanti al microfono. “Rumore” poi non ha tempo, è una canzone unica, è un pezzo dalla magia che resiste ai decenni. Se la gente mi scrive ancora che con questo pezzo ritrova il buonumore, probabilmente sarà vero! Le mie canzoni erano scritte da Gianni, l’ironia è sempre stata la chiave di tutto. Io stessa non ci credevo fino in fondo, il segreto è non tirarsela sennò se si è rovinati. L’importante è avere il coraggio di essere se stessi. Se poi vogliamo pensare alla musica in generale, io credo che la musica abbia canzoni belle e canzoni brutte. Ciò che conta che non venga fatta a tavolino ma che sia sincera, la melodia è la chiave del passaporto per fare il giro del mondo.”
Video: Raffaella Carrà presenta l’album “Ogni volta che è Natale”

Incorpora video

Impossibile pensare a Raffaella Carrà senza considerare il suo ruolo rivoluzionario nell’ immaginario collettivo: “Per me era normale, dice lei, sia in Spagna che in Italia mi riconoscono questa rivoluzione ma io non vivo di sovrastrutture. In me c’è una parola che mi ha fatto pagare certe scelte ed è la libertà. Mi sono presentata per quello che ero ma c’era da avere coraggio per essere liberi, devo dire che in varie occasioni ho trovato degli uomini che hanno creduto in me. Prima il rapporto tra sessi non era paritario, io ho avuto questa fortuna e me la sono giocata alla grande. Il pubblico femminile mi segue con particolare attenzione, io sono con loro, non mi servono tante parole e quando posso lo dimostro sempre, soprattutto nel mio privato. Non mi interessano le onirificenze, il mio aver fatto da ponte culturale tra Italia e Spagna mi ha gratificato molto ma il premio più importante è che la gente mi voglia bene anche se non mi vede in televisione. Ho un credito con il mio pubblico e non l’ho mai tradito, con me non si sgarra, non sono stata raccomandata, non mi interessa il Cavalierato del lavoro, mi fregio del fatto che in 50 anni di televisione ho conquistato il cuore di tantissime persone”.
Inevitabile chiedersi a questo punto com’è il Natale della Carrà: “Se sono a Roma non posso rinunciare agli spaghetti col tonno tanto amati da Mastroianni. Non ho mai passato un Natale triste da bambina anche se i miei erano separati. Adesso mi diletto a fare i pacchi e se non riesco a vedermi con i miei cari durante le feste, celebriamo il nostro Natale in un altro momento solo nostro. Mi piace fare regali quando so cosa piace alle persone a cui tengo, per me invece va bene tutto basta che non sia qualche soprammobile inutile. Faccio regali mirati e mi dedico molto agli altri, mi piace esserci per chi soffre durante tutto l’anno”.
Raffaella Sbrescia

Eros Ramazzotti presenta il nuovo album “Vita ce n’è” al Castello Sforzesco di Milano.

Eros Ramazzotti @ Castello Sforzesco - Milano

Eros Ramazzotti @ Castello Sforzesco – Milano

Un anno e mezzo di lavoro, nuove idee e tanti giovani confluiscono in “Vita ce n’è”, il nuovo album di Eros Ramazzotti che ha presentato questo suo 15esimo lavoro in carriera nella suggestiva Sala della Balla del Castello Sforzesco di Milano, aperto in notturna solo per ospitare questo speciale evento mediatico inserito nell’ambito della Milano Music Week. Eros torna in scena con un disco positivo che vedrà la luce in più di 100 paesi nel mondo. A febbraio 2019 l’avventura live vedrà il cantautore romano in giro per i 5 continenti, senza considerare che sono già stati venduti oltre 200.000 biglietti in Europa e che il tour americano verrà annunciato il 3 dicembre.
Da Don Bosco a Roma ai palchi di tutto il mondo, Eros Ramazzotti ne ha fatta di strada in questi suoi 55 anni di vita eppure mantiene sempre intatto quello spirito naturale e spontaneo di chi vive la vita in maniera genuina e semplice. “Con questo album volevo dare un segnale positivo in un momento storico molto particolare per tutti noi”, spiega Eros alla platea di giornalisti e al compagno di palco per la serata Pippo Baudo. “In questa tracklist ci sono 15 canzoni d’amore, con testi semplici che arrivano subito al cuore. Ho lavorato per costruire qualcosa di immediato e di efficace. Il disco è dedicato all’amico fraterno Pino Daniele di cui noi tutti sentiamo la mancanza e contiene tre featuring internazionali: ci sono Alessia Cara, una italo-canadese spesso al centro di situazioni artistiche di prestigio, Helene Fischer, artista nota in Germania e Luis Fonsi che m ha sempre dimostrato grande stima”.
Eros Ramazzotti @ Castello Sforzesco - Milano

Eros Ramazzotti @ Castello Sforzesco – Milano

Tornando ai temi del disco, quello che salta all’occhio è il desiderio di tranquillità e positività che traspare un po’ da tutta la lavorazione e dalle scelte che sono state portate avanti: “La produzione musicale è al passo con l’evoluzione tecnica di questa epoca ma è anche la risposta a quello che veniva dal mio istinto. Per la produzione mi ha dato una grande mano Antonio Filippelli con un sound contemporaneo e leggermente più schiacciato. Tra le tante collaborazioni presenti nell’album c’è prima di tutto quella con Federica Abbate che ha collaborato alla scrittura di sette canzoni del disco, poi ci sono Cheope, Dario Faini, Paolo Antonacci di cui posso dire che è un bravissimo autore: inizialmente scriveva cose molto lunghe, praticamente delle suite da 8-10 minuti, gli ho spiegato che per fare canzoni pop bisognava lavorare in un altro modo. Successivamente mi ha portato ‘Due volontà’, pensava di inciderla lui, ma l’ho voluta io perché mi è piaciuta molto”. Tra gli altri autori figurano anche Enrico Nigiotti, Fortunato Zampaglione, Bungaro, Cesare Chiodo, Stefano Marletta, Edwyn Roberts, Mario Lavezzi e Mogol, un mix di autori del nuovo pop nazional-popolare e classici. Fra questi ultimi non manca una sorpresa: Lorenzo Chreubini Jovanotti è infatti l’autore di ‘In primo piano’, nata da un provino che Lorenzo aveva inviato due anni fa a Eros e che oggi vive sotto una luce pop con il benestare del Jovanotti nazionale, protagonista anche di un video proiettato in sala.

Video: Vita ce n’è


Dei 25 brani prodotti, solo 15 sono finiti nella tracklist finale. Tra questi c’è “Buon Amore”, dedicata alla figlia Aurora Ramazzotti che finalmente ha trovato l’amore vero e che fa stare tranquillo anche papà Eros. Il brano più delicato è invece “Dall’altra parte dell’infinito”, una lettera a un figlio morto nata dopo avere letto sul Corriere la storia di un padre che ha perso il figlio a causa della leucemia. Poi la cinica “Per il resto tutto bene”: Un’ analisi lucida e spietata degli usi e costumi della società contemporanea. Una denuncia dei vizi, miopie e prepotenze disumane.

Infine il già conclamato tour mondiale in cui Eros porterà con sé Eric Moore (batteria), Luca Scarpa e Giovanni Boscariol (tastiere), Corey Sanchez e Giorgio Secco (chitarre), Paolo Costa (basso), Scott Paddock (sassofono), Monica Hill, Christian Lavoro e Giorgia Galasso (cori), un mix di musicisti italiani e americani per non lesinare mai sulla qualità di uno spettacolo pensato per lasciare un ricordo duraturo di tutti coloro che vorranno andare ad ascoltare Eros.
Raffaella Sbrescia
 
Tracklist
1 PER IL RESTO TUTTO BENE
2 VITA CE N’È
3 VALE PER SEMPRE feat. ALESSIA CARA
4 SIAMO
5 IN PRIMO PIANO
6 TI DICHIARO AMORE
7 PER LE STRADE UNA CANZONE
feat. LUIS FONSI
8 UNA VITA NUOVA
9 HO BISOGNO DI TE
10 DUE VOLONTÀ
11 NATI PER AMARE
12 DALL’ ALTRA PARTE DELL’INFINITO
13 BUONAMORE
14 AVANTI COSÌ
SPECIAL TRACK
15 PER IL RESTO TUTTO BENE
feat . HELENE FISCHER

Giorgia presenta l’album di cover “Pop Heart”. Duetti, sorprese, ricordi e lati nascosti

Giorgia

Giorgia

Uscirà il 16 novembre “Pop Heart”, il nuovo progetto artistico di Giorgia. La cantante si mette in gioco con un album di cover, le stesse che hanno scandito i suoi primi passi nel mondo della musica. In tracklist ci sono alcuni di quei brani che la cantante romana ha scoperto grazie al suo papà che cantava nei club e nei locali di zona. Altri sono arrivati come fulmini a ciel sereno in età adulta. Altri ancora magari verranno con un possibile volume 2.

“Il titolo è arrivato alla fine del disco quando ho tirato le somme e mi sono resa conto di aver fatto delle scelte di cuore; un cuore profondamente pop. Quando ero giovanissima, mi sceglievo le canzoni che mi piacevano, ero schizofrenica, mi sono specializzata in soul e ryth’m & blues poi i miei gusti si sono evoluti. In questi 15 anni ho trovato difficoltà a dare una coerenza, a seguire un ordine di tempo o di genere. Ecco perché questa tracklist nasce da cose che mi sono appartenute nel tempo e che mi riportano a momenti della vita importanti. Tutto diventa pop nel momenti in cui un qualcosa di tuo può essere condiviso con altri”, racconta Giorgia.

“Non è facile cantare le canzoni degli altri. Speso a fine concerto mi diverto a farlo ma, un conto è farlo live insieme al pubblico, un altro è incidere qualcosa che resterà. Per questo lavoro, mi sono ascoltata le canzoni con molta attenzione, non mi sono imposta di dare qualcosa di mio. Ho rispettato le versioni originali cercando di farle mie il più possibile. Più che concentrarmi sull’uso della voce, ho messo l’accento sui testi. Per me è stato un esercizio interpretativo finalizzato a mettere in evidenza il sentimento. Questo è l’aspetto che mi interessa di più in questo momento. Dopo tanti anni di tentativi e di esperimenti, alla fine impari che la voce veicola e trasmette le tue emozioni anche se il a tenere le fila di tutto questo discorso è il fiato. Se ne hai il controllo, puoi crederci e dare una sensazione precisa a chi ti ascolta cantare”.

“In questo lavoro ho voluto cantare cose che il pubblico non avesse già ascoltato. Insieme a Canova ho cercato degli arrangiamenti che, pur rispettando la versione originale, ci trasmettessero un plus. Io stessa ho cestinato tanti brani in cui non mi ci sentivo. Questo album nasce confidando nel futuro, non c’è ancora un volume 2 ma è un strada che mi sono lasciata aperta. Potrebbe essere un classic heart o un black heart”.

POP HEART - Giorgia_Cover

POP HEART – Giorgia_Cover

“Tra i brani più belli e più difficili c’è sicuramente “I Will Always love you” di Whitney Houston. All’inizio la ritenevo intoccabile poi, in virtù del fatto che io ero una sua fan mitomane, dall’alto della mia antica pretesa di capirla, ho voluto cantare qualcosa di suo per omaggiarla. Il brano che ho scelto non è neanche quello che amo di più, ne ho fatte altro più r’n’’b ma questo è il manifesto della sua carriera. Il brano è del ‘92 e segna la fine di un momento. Dopo quel pezzo sono cambiate tante cose nella mia vita, all’inizio lentamente poi più velocemente. Avevo la sua versione originale stampata nelle orecchie, ho voluto fare quella più difficile, all’inizio non ci arrivavo, avevo la gola chiusa poi pian piano sono entrata nel pezzo, ho fatto pace con la responsabilità e dopo 6-7 tentativi, sono riuscita a trovare la mia versione”.

Il duetto più inaspettato è quello con Tiziano Ferro ne “Il conforto”: “Forse vi sarà sembrata una scelta inconsueta, visto che il brano è molto recente. Ma d’altronde perché no? Si tratta di una bella canzone, ben costruita per un duetto. La versione con Carmen è magnifica ma mi piaciuto cantarla con Tiziano. Avevo voglia di duettare con lui da tempo, ci siamo andati vicini parecchie volte e questa è stata l’occasione per omaggiare una bella canzone. Abbiamo ricantato il brano a Milano, Tiziano era felicissimo, ci siamo divertiti a fare quello che ci piace e che nasce dalla nostra matrice comune”.

Video: Le tasche piene di sassi

Gli altri duetti sono camei: “A Elisa ho chiesto di fare Ligabue ed è stata molto dolce sebbene fosse impegnata con l’uscita del suo disco. Mi piace molto il fatto che quando cantiamo insieme nel brano non si capisca chi è chi. Nel brano di Eros ho cantato una tonalità molto diversa, a lui ho chiesto un colore per creare una cifra che avesse il suo benestare. Il suo timbro rimette le cose a posto. Poi ci sono delle chicche: c’è la bellezza assoluta di “Anima” di Pino Daniele, l’attualità di Vasco Rossi, l’originalità di Mango ( del suo brano mi piace pensare che se l’avesse fatta oggi, l’avrebbe fatta proprio così come adesso). Tra le sorprese c’è il contributo di Benny Benassi in “I Feel love” di cui mi ha promesso una versione extended. Questo brano l’ho scoperto ascoltando una delle cassette di mio padre per i night. Ricordo che mi flashò con questa intro di un quarto d’ora. Donna Summer aveva una modernità assurda, faceva cose proibite a quel tempo e cantava con una sensualità pazzesca. Dovevo fare un suo brano, è una parte di me che c’è e resiste. Poi c’è “L’essenziale” di Marco Mengoni: io e Marco abbiamo un passato in comune ed è come se fossimo parenti. Scherziamo tanto insieme su un terreno comune e abbiamo un bellissimo feeling, spesso gli dico “Sembro te, che sembri me, che sembro te”. In “Come neve” ricordo questo divertente aneddoto: pensavo di essere troppo alta perché lui non si sentiva, alla fine era lui che cantava ed io che si trattasse della mia voce”.

“Mi piacerebbe che qualcuno di questi artisti venisse a trovarmi in tour ma sarà difficile, molti sono impegnati nei rispettivi tour. Il mio live partirà ad aprile, il palco non sarà centrale, mi sono fatta già troppi chilometri (ride ndr). Ci sarà più leggerezza e ci divertiremo a trovare formule per suonare con agilità sul palco. A brevissimo, e per l’esattezza il 23 novembre, canterò nel Duomo di Milano per un evento benefico organizzato dall’Associazione “Per Milano”, in collaborazione con il Comune e con la Caritas Ambrosiana finalizzato al raccoglimento di fondi da destinare ai bimbi disabili. Per la prima volta sarò in Duomo, con me ci sarà la mia band ma anche l’Ochestrs Roma Sinfonietta con 50 elementi coordinati dal Maestro Valeriano Chiaravalle. Canterò “Come saprei”, “Di sole e d’azzurro”, “Gocce di Memoria”, “E poi”, “Credo”, “Le tasche piene di sassi”, “Anima” e un’immancabile “Ave Maria” (sto studiando la versione di Andrea Bocelli). A chiudere “You make me feel like a natural woman”. Il tutto mentre vestirò un elegantissimo abito Dior”.

“La morale a tutto questo lavoro è che l’importante sia che l’emotività arrivi. Nella vita non c’è matematica, non ti avvisa di nulla. Spesso mi è capito di capire di trovarmi in un altro punto della mia vita, ho imparato a vedermi in un altro modo, a vivere momenti di sconforto per poi ricominciare. La mente fa la differenza e incide sul canto. Se canti pensando, canti male. La parte che deve arrivare non ha un nome, o c’è o non c’è e la raggiungi attraverso un lavoro interiore.”

 Raffaella Sbrescia

Mia madre odia tutti gli uomini: Maldestro si mette a nudo in un album di alto livello. Intervista

Mia madre odia tutti gli uomini_cover

Mia madre odia tutti gli uomini_cover

“Mia madre odia tutti gli uomini” è il titolo del nuovo album di Maldestro. Il cantautore napoletano compie un importante upgrade compositivo che lo pone subito al centro della scena cantautorale italiana. Il fulcro di queste nuove 10 canzoni prende spunto da pezzi di vita vissuta, quella di Maldestro, che sceglie di spogliarsi del dolore, dello sporco, del veleno e dell’inquietudine e, nel farlo, apre lo scrigno delle parole. Coadiuvato da Taketo Gohara alla produzione artistica, Maldestro trova i vestiti più accattivanti e più originali per i suoi flashback autobiografici. Si va dal ritmo blues de “Il seme di Adamo” al naufragio tra le paure di “Spine”. “Difendiamoci dalle insidie del futuro, da soli non si può combattere”, canta e scrive Maldestro ne “La Felicità” salvo poi mitigare la tensione emotiva con i ritmi caraibici de “I Poeti”, ironicamente definiti osservatori, bugiardi, impostori, ladri di carezze che qualche volta scrivono canzoni per ingannare il tempo. I concetti di paura, bellezza, pazzia, dolore convivono tra le vivaci note suonate da artisti del calibro di Mauro Ottolini (ottoni e conchiglie), James Senese al sax, Vincenzo Vasi al theremin, il quartetto d’archi EDODEA. “Costruire richiede sacrifico” ammette Maldestro in “Fino a qui tutto bene”. Ecco perché dopo lungo peregrinare, dopo notti passate ad ubriacarsi di errori, Maldestro conquista una nuova consapevolezza artistica pur mantenendo “un bagaglio leggero e l’intenzione del viaggio”.
Intervista
In questi testi c’è davvero tanta carne al fuoco, parli tantissimo di te, della tua vita, delle tue inquietudini ma in realtà sei particolarmente illuminato sull’ evoluzione dell’animo umano. Da dove arriva tutta questa ispirazione?
Il processo è stato naturale e bello da vivere. Avevo la voglia e il desiderio di raccontare una parte della mia vita in modo diverso, più intimo. Volevo mettermi completamente a nudo e fermare una parte della mia vita e raccontarla. Da questa intuizione è venuto fuori tutto il resto. La nudità che ne emerge si è trasformata dal mio punto debole al mio principale punto di forza.
Qual è stata la molla che ha innescato questo meccanismo di destrutturazione?
La consapevolezza e l’esperienza. Dopo la pubblicazione del secondo album “I muri di Berlino” e l’incontro con determinate persone ha fatto sì che la mia identità sgorgasse in modo fertile e prolifico. In particolare, molto importante è stato l’incontro con Taketo Gohara che, guardandomi negli occhi, mi ha spinto a tirare fuori la mia vera anima. Quella che lui ha visto subito e che mi ha aiutato a tirare fuori. Taketo ha capito perfettamente quello che sono e ha vestito queste canzoni in modo splendido.
Hai suonato con pezzi da ‘90 come Senese, Ottolini, Vasi… com’è andata?
Sebbene sia stato difficile mettermi così a nudo nei testi, mi sono altresì divertito tantissimo a suonarlo. Entravamo in studio e giocavamo, nel vero senso della parola. La stesura delle melodie è stata naturale e velocissima, la registrazione è durata solo 12 giorni. Tutto è filato liscio e quando abbiamo finito, invece di sentirmi male e nauseato come capitava in passato, mi è dispiaciuto che fosse già finita.
Approfondiamo questo discorso… in che senso prima quando finivi un lavoro ti sentivi sfinito e nauseato?
Probabilmente le persone con cui ho lavorato, pur essendo dei professionisti eccellenti, non mi erano vicine da un punto di vista interiore e psicologico. Con Taketo ho trovato un’empatia diversa, mi ha voluto parlare, capire, starmi vicino per 24 ore prima di mettere mano al disco. Mi ha ascoltato e mi ha messo particolarmente a mio agio. A questo discorso però si accompagna il fatto che dopo 2 mesi passati ad ascoltarti per 12 giorni ore al giorno, odi te stesso, il mondo e quello che hai scritto. Diventa una catena di montaggio e questo non mi piace molto. In questo caso invece è stato fatto tutto con molta leggerezza nonostante si trattasse di testi molto intimi e profondi.
Maldestro

Maldestro

Sono infiniti gli spunti, i concetti e le verità messe a fuoco in questo album. Dove vorresti che si soffermasse l’attenzione ?
Uno dei punti chiave è la nudità. Da qui l’accettazione del dolore come fonte di positività. Il dolore va curato allo stesso modo in cui si cura una gioia. Inutile scacciarlo e metterlo da parte, tanto tornerà indietro come un boomerang, tanto meglio occuparsene con una certa attenzione e prenderlo per mano in cerca della felicità.
Tutta questa inquietudine, tutto questo peregrinare ti guidano ad un approdo sicuro anche se attraverso passaggi sofferti. È questo che racconti nel brano “La felicità”?
Questa canzone mette d’accordo un po’ tutti. Fa da capogruppo, da anello di congiunzione che chiude il cerchio e quando l’ho scritto in modo fulmineo, nemmeno mezz’ora, ricordo che l’ho mandato subito a Luca Nottola che mi ha detto: “Ecco il punto di partenza del tuo nuovo album. Da qui devi partire”. Ecco perché “La felicità” è un brano a cui siamo tutti molto legati.
E poi ‘c’è il western di Joe Maldestro…
Joe è il mio migliore amico Giovanni con cui ho condiviso cose belle, cose brutte, mazzate, gioie, risse, sogni, viaggi. Da qualche anno è diventato papà di una meravigliosa bambina e le nostre vite sono cambiate. Io giro l’Italia, lui cura questo bellissimo fiore. Il nostro tempo ne ha risentito e ho voluto fermarlo in una canzone.
Sei consapevole del fatto che questo lavoro ti consacrerà ad un livello molto alto all’interno del panorama cantautorale italiano?
Sicuramente parto da nuove consapevolezze, credo soltanto che dopo aver fatto un certo tipo di incontri professionali, io sia stato capace di metterli a frutto al meglio. Non limito il mio modo di curiosare, non è detto che tra due anni non possa fare un disco completamente elettronico. La musica per me è un gioco e tale deve restare. Continuerò a sperimentare e a studiare tutto quello con cui riesco a misurarmi. Spero di essere un emergente per tutta la vita.
Cosa accadrà sul palco adesso?
Sono concentrato sulla scrittura dello spettacolo. Avrò con me una nuova fantastica band con cui farò un nuovo viaggio. Adesso però sto prima di tutto scrivendo testi.
In che senso?
Lo spettacolo si ispirerà allo stile del teatro- canzone di Giorgio Gaber, ci saranno dei monologhi ad accompagnare le canzoni di questo disco. Le date del tour usciranno la settimana prossima, partirò dai teatri e finirò nei club.
Raffaella Sbrescia

Previous Posts Next Posts