Appino: “Il palco è un non luogo, un punto di verità”

Andrea Appino ph Niko Giovanni Coniglio

Andrea Appino ph Niko Giovanni Coniglio

A distanza di due anni da “Il testamento”, Appino, leader dei Zen Circus, torna sulla scena musicale con un album completamente diverso dal precedente intitolato “Il grande raccordo Animale”.  Nel nuovo disco, il cantautore compie un viaggio senza meta tra testi intimi e solari, ballate risolute e beat taglienti. “Grande raccordo animale” (Picicca Dischi / La Tempesta / Sony Music), scritto quasi interamente nelle isole del Nord Africa, risente dell’influenza mediterranea, in un alternarsi tra metropoli e deserto, avvalendosi, tra l’altro, della produzione di Paolo Baldini (già con Africa Unite, TARM e tanti altri). In questa intervista Appino ci racconta questo suo nuovo lavoro senza trascurare delle interessanti osservazioni relative al proprio percorso artistico e alla scena musicale contemporanea.

Come nasce il “Grande raccordo animale”?

L’anno scorso ho avuto la voglia e la fortuna di viaggiare per piacere, cosa che non facevo da un bel po’, visti gli impegni con gli Zen e varie altre cose. Ho girato il mondo in 12 mesi  e l’album è nato in maniera molto leggera. Mi sono immaginato questa grande infrastruttura che collegava tutti i posti in cui ero stato, compresa Roma. In  fondo il Grande raccordo anulare circonda la città ma se non si esce, si gira in tondo per sempre…

Hai definito questo disco un carnevale di emozioni e persone, in che senso?

Rispetto a “Il Testamento”, che era un disco con un concept molto preciso, ovvero la famiglia italiana partendo dalla mia esperienza personale, questo è un disco libero, scritto in viaggio, quindi non ha un’argomentazione specifica se non il viaggio in sé. Ogni canzone ha una storia, c’è l’autocitazionismo classico anche degli Zen Circus e c’è l’amore, un tema che non avevo mai toccato. In verità tutto il disco è una cosa che non avevo mai fatto: le voci, la musica, i testi, è tutto diverso. Anche se sembra più leggero de “Il Testamento”, ho ancora più voglia di approfondirlo perché non c’è una linea guida generale.

Entrando nel dettaglio delle scelte stilistiche e degli arrangiamenti, come hai lavorato all’album?

Negli ultimi due anni, soprattutto l’ultimo, ho vissuto dei momenti personali molto forti, c’è stata la musica africana accanto a me, a tirarmi fuori un sorriso anche quando non avevo niente per cui sorridere. A questo aggiungerei anche tanto dub,  ho ascoltato pochissimo rock ed è forse anche naturale; sono 25 anni che suono e lavoro sul rock,  ho sentito l’esigenza di abbracciare la vita con un po’ più di solarità. Credo che i dischi vadano fatti non tanto per piacere al pubblico, quanto per portare avanti il proprio viaggio personale. La differenza sostanziale è che ho fatto sì che le cose andassero come dovevano andare senza  preoccuparmi del possibile riscontro.

Tu che vivi il pubblico sulla tua pelle come vivi l’uscita del disco?

Ho deciso di uscire d’estate perché è un disco dedicato al sole; una cosa per me poco convenzionale. Lo sto portando in giro con una band fatta di amici con un live molto bello che mescola sia “Il Testamento” che “Il grande raccordo animale” senza preferire l’uno all’altro; questo crea una scaletta continuativa veramente interessante. Mescolare le carte ci fa divertire da matti e questo si percepisce.

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Quali sono le differenze tra i tuoi progetti da solista e quelli con il gruppo, peso massimo della musica indipendente italiana?

Abbiamo un immaginario forte, veniamo dal punk e da una serie di ascolti nonchè da un tipo di etica che abbracceremo sempre. Siamo un po’ come dei personaggi dei cartoni animati che hanno sempre lo stesso vestito ma vivono avventure diverse. Raccontiamo cosa vuol dire vivere in questo paese oggi dai 16 ai 70 anni. Quando sono da solo tendo ovviamente a lasciarmi andare anche verso altri lidi. La cosa migliore che si può fare, sia nei confronti del pubblico, che di se stessi e fare quello che ci si sente. Quando sono negli Zen è come stare in una congrega di supereroi, una fortezza inespugnabile; sono con loro da quando avevo 16 anni, gli Zen sono famiglia.

Sei una delle penne più originali della scena musicale contemporanea, come ti inserisci all’interno di un contesto che dà sempre più spazio ai talent?

Non riesco ad immaginarmi come possa essere la vita di un musicista senza una storia fatta di scelte difficili, di gavetta, di passione e che non sia figlia di una scatoletta ridicola e finta come la televisione. Da qualche parte c’è del talento, della vera e pura voglia di fare, però mi fa pena che il suddetto talento debba essere giudicato da un mezzo così lontano dalla verità, quale è la televisione. Sono veramente pochi quelli che poi realmente escono con un bagaglio culturale tale da poter portare avanti un discorso musicale bello e interessante.

Andrea Appino ph Niko Giovanni Coniglio

Andrea Appino ph Niko Giovanni Coniglio

Un bellissimo elenco di date live affolla la tua estate… faresti il punto sulla situazione sulla musica indipendente italiana e, più in generale, sui Festival?

La musica indipendente ha cambiato molto le direttive generali attraverso i social mentre mentre prima era un vero e proprio porta e porta. Anche adesso è così ma c’è molta discrepanza tra le realtà più piccole e quelle più grandi, non c’è più una via di mezzo, se non c’è un gruppo noto,  non si va a vedere il concerto e questa è una cosa che mi dispiace molto pur facendo parte dei cosiddetti “big”. Ci sono tanti Festival che hanno deciso di puntare su nomi non conosciuti; un esempio su tutti e il MIAMI, che quest’anno ha completamente rinnovato la line up. L’anno scorso si festeggiava il decennale e c’eravamo veramente tutti, quest’anno, invece, si è scelto di cambiare. Quello che farei io è cercare di smuovere un po’ il pubblico verso altri ascolti, nel frattempo io continuo a suonare, mi sento a mio agio sul palco che, per me,  è un non luogo, un punto di verità.

C’è qualche contesto musicale in cui avresti voglia di esibirti ma non ci sei ancora riuscito, per esempio all’estero?

All’estero è sempre bello andare, anche se andiamo sempre per  un pubblico italiano. Non è detto che un giorno possa tornarmi la voglia di tornarci facendo qualcosa di non italiano, questo non lo so…In realtà non ho grandi aspettative, anche perché le aspettative di solito sono fatte per essere mancate quindi mi limito a fare quello che mi piace! Ci sono tante cose che vorrei fare ma non mi metto lì con l’ansia a pensarci su. Una cosa è sicura: i teatri non li sento miei, quell’esperienza lì non la voglio ancora fare perché da noi la gente viene soprattutto per ballare…

Hai mai pensato di mettere nero su bianco quello che hai vissuto fin’ora?

Lo farò sicuramente, è una cosa a cui io e gli Zen pensiamo spesso  ma che, allo stesso tempo, ci spaventa un po’… forse perché è qualcosa che attesta che sei un vecchio, quindi aspettiamo di esserlo davvero! (ride ndr)

Raffaella Sbrescia

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La tracklist di “Grande raccordo animale”: “Ulisse”, “Rockstar”, “Grande raccordo animale”, “New York”, “La volpe e l’elefante”, “Linea guida generale”, “L’isola di Utopia”, “Nabuco Donosor”, “Buon anno (Il guastafeste)”, “Galassia”, “Tropico del Cancro”.

 Video: La volpe e l’elefante

Intervista a Peter Truffa: “Vi presento Art School, il mio Ep da solista”

PeterTruffa&PandaEXP

PeterTruffa&PandaEXP

Dopo anni di tour e pubblicazioni in Italia con Giuliano Palma & The Bluebeaters e negli Stati Uniti con la New York Ska Jazz Ensamble, Peter Truffa si mette in gioco con “Art School”, l’Ep che segna il suo debutto da solista sulla scena internazionale. Il cantante e pianista newyorkese ha registrato il lavoro tra il Buffalo Stack Studio e il Mamma’s Place Studio a Woodstock, area settentrionale di New York. Le tracce che compongono la tracklist hanno come filo conduttore un autentico rocksteady corretto dal gusto tipicamente rock ‘n roll all’ americana. L’Ep offre, perciò, degli spunti indie reggae, con accenni di piano boogie e ska tradizionale. Il risultato è un viaggio a tappe all’interno delle varie evoluzioni che la musica giamaicana ha incontrato durante il suo lungo pellegrinaggio fra le diverse culture musicali occidentali. Abbiamo incontrato Peter Truffa per farci accompagnare per mano al centro di questo coinvolgente percorso musicale e umano.

Dopo un lungo ed articolato percorso artistico, ti stai avventurando in un’avventura in veste di solista. Perchè? Cosa ti ha fatto scoccare la scintilla?

La scintilla c’e’ sempre stata dentro di me. Io ho avuto la fortuna di lavorare con Andy Stack, chitarrista dello  NY ska jazz ensemble. Lui mi ha influenzato molto artisticamente e ha prodotto il disco con me. Andy è un musicista molto noto e influente, infatti a NY tutti conoscono il suo progetto Buffalo Stack.

Parlaci di “Art School”: perchè hai scelto questo titolo? Quali idee, prospettive, influenze,  storie, persone, ispirazioni racchiude questo album?

Art School racconta di come voglio vivere. Voglio sentirmi libero nel fare delle scelte per  non avere in futuro rancori o rimpianti. “Arte” per me significa essenzialmente la libertà assoluta nel creare qualcosa che ti piace e che ti fa stare bene, senza costrizioni imposte da altri.  Se non ti piace, perché devi farlo ?

Nella bio c’è scritto che questo progetto nasce esattamente nel luogo in cui hai conosciuto la musica quando eri soltanto un bambino. Potresti approfondire questo discorso, magari facendo un parallelo con allora?

In realtà penso che NY sia una città come tante altre. Sono le persone che rendono il luogo unico. Personalmente ho avuto la fortuna di essere fin da piccolo circondato da persone che mi hanno sempre stimolato molto. Lo scorso anno è morto mio nonno, si chiamava Pietro Truffa, ed era della provincia di Asti. Per me era il migliore. Una certezza e un importante punto di riferimento. Nel 1938 si è trasferito a NY e li ha vissuto il resto della sua vita. Lui credeva che i sogni potessero diventare realtà e, grazie ai suoi racconti, ci credo anche io.

“So Natural” è la traccia che si distanzia di più dalle altre, grazie al suono degli archi il risultato è veramente particolare. Qual è il tuo commento a questo brano?

“So Natural” è nata in modo molto naturale. Molte delle mie canzoni sono influenzate dal mio stato d’animo che determina il mio gusto in un determinato momento e fa si che una cosa mi piaccia e che l’altra no, non saprei spiegarlo in maniera razionale.

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PeterTruffa

Potremmo definire il sound di “The limit to your love” un “epic reggae”?

Sì direi proprio di sì, anche se mi auguro che il brano venga ricordato non tanto per  una fantomatica definizione stilistica quanto per le emozioni che è capace di trasmettere.

Come sintetizzeresti la tua decennale collaborazione con Giuliano Palma & Bluebeaters?

E’ stata una bellissima esperienza dal punto di vista umano e professionale.

Che rapporto hai con Alberto Bianco?

Alberto è un mio amico e sono contentissimo del suo successo. Considero la sua musica molto speciale, il suo talento va al di là di ogni categorizzazione o definizione.

Come presenteresti la musica di “The Sweet life society” a chi non la conosce?

I Fratelli Sweet Life (Gabri, Matteo e Theo Melody) hanno saputo ricreare un suono che li distingue da tutto il resto. Io ho collaborato con loro nel 2009 quando il progetto stava nascendo ed ho capito che la musica è al secondo posto, prima viene il cuore.

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In cosa consiste il progetto ska-boogie italiano?

Sappiamo che lo Ska in Giamaica arriva prima del reggae e del rock steady. Boogie è quando balli per sfogarti. Boogie boogie invece è un particolare modo di suonare il pianoforte legato all’immaginario Blues di New Orlenas. Lo ska – boogie è quindi un miscuglio di queste cose.


Che tipo di concerto offri al tuo pubblico?

Mi auguro di riuscire a trasmettere tantissima energia ma soprattutto cuore. Il pubblico è ovviamente sempre il ben venuto soprattutto se si lascia trasportare dalla musica. E come dico sempre: “se mi vedessi morire sul palco prendi il mio corpo e fammi ballare”…

Raffaella Sbrescia

Video:

Intervista a Dodicianni: “Ora c’è spazio solo per me, la mia band e migliaia di km davanti!”

 

Andrea Dodicianni

Andrea Dodicianni

“Piccadilly Line” è il nuovo singolo di Andrea Dodicianni e anticipa l’album da poco ultimato a Los Angeles sotto la guida di Howie Weinberg (Nirvana, Muse, Metallica, Jeff Buckley ecc.). Diplomato in Pianoforte al conservatorio e laureando in Storia della musica, Andrea ha all’attivo più di 400 concerti. In questa intervista  il cantautore ci ha spiegato che, dopo aver vissuto studiando qualcosa, ora vuole semplicemente dedicarsi alla musica e percorrere tanti, tanti chilometri…

 ”Piccadilly Line” è il titolo del brano  che anticipa il tuo album. Di cosa parla questa canzone? Come e con chi ci hai lavorato e cosa intendevi esprimere?

Questo pezzo è nato a Londra proprio nella Piccadilly Line alle 18 di una sera di qualche mese fa ed è stato l’osservare l’incedere frenetico e noncurante delle persone a farmi chiedere come sarebbe stata una storia d’amore nata lì, come sarebbe potuta andare insomma. Ci ho poi lavorato col produttore di questo lavoro Edoardo “Dodi” Pellizzari mentre il tocco magico finale l’ha dato Howie Weinberg con un master che mi ha davvero spiazzato.

Quali saranno i temi, le strutture musicali e gli obiettivi espressivi contenuti nel tuo lavoro discografico?

Principalmente sono un cantastorie perciò le canzoni sono appunto piccole storielle che non richiedono strutture musicali incredibili, anzi, cerco sempre di usare il minor numero di accordi possibili con melodie molto semplici, la musica non è una gara.  Ci sarà, invece, un grande lavoro concettuale nell’artwork e nelle scenografie che già portiamo in palco con noi nei live.

Sei laureando in storia della musica. Su cosa incentrerai la tua tesi di laurea e quali sono le scoperte che, più di altre, hanno segnato il tuo percorso di studi?

Verterà su una comparazione tra l’originale e una rilettura in chiave moderna di un manoscritto inedito di una stampa Petrucci, cose noiose insomma, sinceramente il mio percorso universitario non mi è stato di grande aiuto per la mia crescita musicale, fortunatamente è corredato di altri corsi di storia dell’arte e storia pura che hanno stimolato molto il mio interesse. Vado fiero invece della mia laurea al conservatorio di Adria in pianoforte. Paragono questo percorso ad un parto, il dolore credo sia simile tra l’altro…

Che rapporto hai con il pianoforte? In quali momenti e in quali contesti ti senti più a tuo agio con i tasti dello strumento?

Ho un rapporto di amore/odio. Dopo dodici anni di studio si crea un rapporto simbiotico ma anche di sincera repulsione. Purtroppo nel percorso creativo non riesco a far uso del pianoforte, preferisco la chitarra che suono amatorialmente, mi da più stimoli. Considero il mio rapporto col pianoforte come quei matrimoni della durata di quarantanni:  sì ok, c’è e ci sarà sempre stima e rispetto, ma in quanto a stimoli… scarseggiano.

Tu che hai all’attivo centinaia di concerti, come vivi la dimensione live?

La parte live è quella che preferisco di questo lavoro. Che brutta la parola lavoro, la sostituisco subito, viaggio. Ho la fortuna di condividere il palco con persone che sono diventati fratelli: in primis Jack Barchetta, bassista ma anche capobanda, quello che detta impegni ed orari insomma; poi il bimbo della band Daniele Volcan, batterista, e Francesco Camin, cantautore trentino col quale divido palco e tour da un anno, davvero un grande amico e artista. Il suo unico difetto? Finiti i live fa “il trentino”, per l’appunto, e vuole subito andare a dormire in furgone, mentre io e Jack…

Hai composto il tuo Ep “Canzoni al buio” tra le tende dei terremotati in Emilia… cosa hai provato in quella situazione e perchè hai scelto di comporre lì?

In verità non l’ho scelto, mi sono trovato calato in una situazione emotivamente molto intensa, ero volontario tra i campi tenda come musicista, avevo una Opel Zafira, un cuscino e una chitarra e la notte da dedicare a me, è successo insomma.

Come in una sorta di diario, parlaci di te, dei tuoi hobby, dei tuoi ascolti e di quello che più di ogni altra cosa vorresti realizzare nonostante tutto e nonostante tutti…

Sono nato in un paesino della provincia di Venezia di nome Cavarzere e ho moltissime manie! Ve ne svelo qualcuna: mangio solo pesce e pizza, amo l’arancione, l’arte concettuale, il baseball e la California, mi fa schifo lavare i piatti, in compenso lavo una ventina di volte al giorno le mani, ho paura degli aghi e ho una decina di paia di scarpe tutte uguali.
Non sogno nel mio futuro di riempire gli stadi, non è nelle mie priorità, sogno invece di continuare a fare per vent’anni la vita che sto facendo ora, ho passato tutti i miei primi vent’anni a studiare qualcosa, prima il diploma da geometra, poi pianoforte, poi contrabbasso, poi l’università, ora basta, c’è spazio solo per me, la mia band e migliaia di km davanti!
Ah, abbiamo un paio di sedili in più in furgone se qualcuno volesse aggregarsi.

E dimenticavo… in furgone si ascoltano solo Tom Petty e Kid Rock!

Raffaella Sbrescia

Video: Piccadilly Line

Intervista agli Zois: “Le nostre creazioni seguono l’istinto”

Zois

Zois

 

Nato dall’incontro di Valentina Gerometta e Stefano di ChioZois è un gruppo musicale nato a Bologna e condensa l’esperienza maturata sul campo dai propri componenti in un progetto caratterizzato da una forte vena  sperimentale.
Il linguaggio musicale degli Zois mescola con leggerezza generi apparentemente anche molto distanti tra loro con un risultato sempre degno di considerazione.
Per l’album d’esordio gli Zois hanno coinvolto anche il chitarrista Alessandro Betti e il batterista Ivano Zanotti e, tra le tracce che lo compongono, spicca l’illustre collaborazione con il prematuramente scomparso artista Pino Mango, sia per la realizzazione di una originalissima cover del suo famoso brano “Oro” che per la scrittura a quattro mani di un brano inedito. Grazie a questa intervista, abbiamo avuto modo di conoscere da vicino il modus operandi degli Zois e la grande passione che li spinge a sperimentare per offrirci nuove esperienze di ascolto.

Zois in greco vuol dire “vita”; quali sono gli elementi che contraddistinguono questa forte connotazione dinamica della vostra musica e della vostra compagine più in generale?

La creazione di una cosa nuova, sia essa un essere vivente o una canzone, parte sempre da un’altra cosa che le è preesistente e il rapporto che lega questi due elementi è di appartenenza e indipendenza allo stesso tempo. Forse è questa l’idea che meglio spiega il nostro modo di intendere la musica: creare le nostre canzoni e contaminarle con tutto il patrimonio genetico musicale che siamo riusciti ad mettere da parte nella nostra esperienza. Ci piace rendere espliciti i nostri riferimenti, giocare con gli arrangiamenti e accostare elementi che solitamente appartengono a mondi separati. E’ così che catturiamo un suono dal mondo esterno e lo facciamo diventare un suono Zois. E, cosa più importante, cerchiamo di farlo seguendo l’istinto. Il risultato a cui arriviamo deve essere la strada naturale che quella canzone ci ha indicato, non un complicato esperimento fine a se stesso. Se ci si pensa, la vita, la “creazione” è la cosa più semplice che ci sia, nonostante porti dentro se processi complessissimi e ancora a sconosciuti.

Contaminazione e sperimentazione attraversano il vostro modus operandi… quali sono i vostri modelli e riferimenti?

Di musica ne abbiamo ascoltata davvero tanta e l’elenco dei grandi musicisti a cui ci ispiriamo, da questo punto di vista, è veramente lungo. Abbiamo cercato di attingere dall’esperienza di tutti quegli artisti che nei decenni hanno contaminato il pop e il rock: i Beatles, Bowie, i Talking Heads, Bjork, i Radiohead.

Quali, invece, le prospettive più specificamente legate alle vostre prossime creazioni musicali?

Ci stiamo spingendo più a fondo lungo la strada che abbiamo intrapreso con questo nostro primo album. Con questo disco abbiamo imparato a fidarci più delle canzoni e a seguirle senza timore anche in territori sconosciuti, mantenendo sempre le orecchie aperte su quello che ci accade attorno musicalmente. Personalmente mi piacerebbe approfondire il rapporto tra la voce utilizzata come strumento e l’elettronica…ma è tutto un percorso in via di sviluppo, chi può dire dove ci porterà!

La vostra originale rilettura di “Oro” ha incontrato il favore e la collaborazione di un grande artista come Mango. Potreste parlarci del vostro rapporto con lui e con sua moglie?

Con Mango è subito scattata un’empatia speciale. Dobbiamo dire che lui ha reso tutto facile, perché ci ha accolto con un affetto e un calore che non ci saremmo mai aspettati da un grande della musica. E questo affetto lo ha dimostrato anche con i fatti, non solo a parole, perché si è prodigato in ogni modo e con massimo entusiasmo per permettere a questo progetto di uscire. Quando provi a muoverti nell’ambiente musicale, speri sempre che arrivi qualcuno che creda in te, che ti prenda per mano e ti aiuti a capire, a imparare. Mango per noi ha rappresentato la grande conferma che aspettavamo e, per il poco tempo in cui abbiamo potuto stargli vicino, abbiamo cercato di assorbire come spugne tutti i consigli e le indicazioni che ci dava. Era un artista ed un uomo molto generoso, è stato un onore poter collaborare con lui.

Per descrivere il rapporto con Laura Valente ci riesce difficile usare parole più belle di quelle che lei stessa ci ha riservato, nella lettera in cui ha voluto presentare Oro. A Laura siamo particolarmente grati per averci sostenuto in un momento così duro della sua vita: è una donna dotata di una forza straordinaria e di una rara sensibilità. E poi lei è Laura Valente: potete immaginare cosa ha significato per noi ricevere quelle parole di apprezzamento da un’artista così?

A breve pubblicherete anche un album di inediti…cosa dovremo aspettarci? Quali saranno i temi e le linee guida con cui dovremo ascoltarlo?

Dal punto di vista del suono, l’album seguirà la strada tracciata da “Oro”. Innanzitutto è un disco di canzoni, con un’anima rock e una melodia pop. Il consiglio è di farsi prendere per mano proprio da loro, dalle canzoni, ed attraversare tutto il disco come se fosse un viaggio attraverso tanti scenari diversi. Di fatto è un disco che si può anche “vedere” oltre che ascoltare. Ogni canzone è nata da un’esperienza reale e racconta il mondo attraverso le emozioni che quell’esperienza ha generato. Il disco non parla solo di fatti privati, personali, ma anche del momento sociale che stiamo vivendo. Noi abbiamo scelto, però, di farlo sempre attraverso gli occhio dell’individuo e dei suoi sentimenti, perché la soluzione parte sempre da se stessi e da un sereno contatto con il proprio mondo emotivo.

Che tipo di inedito è quello che avete realizzato con Mango?

Il brano che abbiamo scritto insieme a Mango si intitola “Stella Contraria”, ha una grande importanza per noi. Quando Pino Mango ci ha proposto di scrivere il testo per la sua musica e di arrangiarla, eravamo entusiasti della grande occasione che ci stava offrendo. Ne è uscita una canzone molto intensa, con una particolare fusione tra la melodia, che porta il marchio inconfondibile di Mango, e il nostro mondo sonoro.

Avete altre collaborazioni in corso?

Al momento no: negli ultimi mesi ci siamo concentrati sulla chiusura dal nostro disco. Speriamo però di poter ripetere presto l’esperienza di lavorare con altri artisti. La condivisione e il confronto sono sempre il teatro dei migliori spettacoli.

Per quando riguarda il live, qual è il vostro contesto ideale e che tipo di concerto proporreste al vostro pubblico?

Il contesto ideale è qualsiasi palco con un pubblico disposto a dedicarci la sua attenzione e che abbia voglia di emozionarsi. Il nostro live è molto energico, è un concerto in cui bisogna lasciarsi andare.

Raffaella Sbrescia

Video: Oro

Segui la tua stella: Mauro Brisotto presenta il suo progetto di sostegno al Nepal

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 Musica per vivere, crescere, aiutare il prossimo e sentirsi vivi. Questo è il mantra del cantautore di Pordenone Mauro Brisotto che, con il nuovo singolo “Segui la tua stella”, ha dato vita a un progetto di solidarietà,volto ad aiutare le famiglie colpite dal terribile terremoto avvenuto in Nepal lo scorso 25 aprile.  

Tutti i proventi ricavati dalla vendita del brano  andranno ad alimentare la raccolta fondi per il progetto di costruzione di 100 shelter d’emergenza realizzati con materiali recuperabili sul territorio e riutilizzabili, poi, per la copertura delle abitazioni definitive. In questa intervista, l’artista ci ha raccontato tutti i dettagli di questa  meravigliosa avventura senza, ovviamente, trascurare tutte le news relative ai prossimi progetti musicali.

Quali parole useresti per spiegare il termine solidarietà?

Le parole per spiegare il termine solidarietà sono: Credere, Amare, Sacrificarsi, Imparare.

Perchè hai scelto di aiutare la popolazione del Nepal e cosa provi ogni singolo giorno pensando che la tua musica regala nuova speranza ad altre persone?

Ho scelto di aiutare la popolazione del Nepal in quanto sono già diversi anni che aiutiamo un nostro amico nepalese e, con quello che è accaduto lo scorso aprile, ci siamo sentiti in dovere di aiutare questa splendida popolazione che sorride continuamente nonostante la tragicità di quello che è successo. Pensare che in qualche modo una mia canzone possa aiutare questa popolazione mi rende veramente orgoglioso e fiero, mi dà un gran senso di serenità è perché vuol dire che molte persone hanno colto il messaggio e nel loro piccolo contribuiscono anche loro a rendere questo progetto ancora più speciale

In cosa consiste il progetto nello specifico e quali prospettive potrà dare alla popolazione locale?

Oltre al lato musicale che prevede che tutte le vendite di iTunes vengano destinate al popolo nepalese ci siamo attivati per una raccolta fondi e di vestiario. L’ultima volta che ci siamo recati in Nepal a fine giugno siamo riusciti a portare 4 quintali di vestiario per i bambini di una scuola e nell’ ospedale della capitale, inoltre abbiamo costruito 60 Shelter, delle strutture in ferro con dei pannelli di lamiera che servono per dare riparo a nuclei famigliari di circa 4/5 persone e in più ne abbiamo acquistati altri 50, i quali sono stati montati direttamente da abitanti stessi. Nella prima spedizione, invece, mia sorella ha acquistato generi alimentari per la popolazione, circa 3 tonnellate di riso, lenticchie e beni di prima necessità. Ora stiamo ultimando la raccolta degli indumenti che, nel mese di Settembre, se tutto va bene, spediremo in Nepal con un container, sono centinaia di cartoni di vestiario per bambini e adulti, oltre che alle coperte e i sacchi a pelo.

 Di cosa parla il brano “Segui la tua stella” e in che modo le immagini del video si legano alle parole della canzone?

La canzone vuole riassumere quello che è stato fatto per la popolazione nepalese e l’aiuto che abbiamo portato con tanta soddisfazione da parte nostra. Nel testo ho voluto sottolineare il fatto che il Nepal non deve sentirsi solo e che, nonostante tutto, c’è sempre qualcuno pronto a dare una mano con dei valori forti da trasmettere. Il testo si lega molto al video che ho girato con il mio telefonino, perché ho voluto creare un videoclip/documentario che serva a far riflettere un po’ di più la gente su quanto siamo fortunati rispetto ad altre persone che non hanno tutte le nostre comodità.

Mauro Brisotto in Nepal

Mauro Brisotto in Nepal

Anche tua sorella Claudia si è attivata per la stessa causa e presto tornerà sul posto….ci racconti nel dettaglio il suo contributo?

Mia sorella è stata la prima a partire e subito dopo il terremoto si è recata in Nepal da sola portando con sé qualche quintale di vestiario….è stata l’organizzatrice di queste due spedizioni in quanto si è attivata per avere dei permessi speciali aeroportuali e delle compagnie aere per riuscire a portar via più materiale possibile. Essendo comandante di linea per Air Dolomiti (Lufthansa) è riuscita ad avere degli aiuti nelle spedizioni. Ad ottobre si recherà nuovamente in Nepal per gestire il materiale che spediremo e provvedere per quanto possibile all’acquisto di altri Shelter in base ai soldi che riusciremo a raccogliere. Si è presa la responsabilità di contattare diversi artigiani della capitale per avere dei preventivi dettagliati e confrontare i prezzi per riuscire a costruire più Shelter possibili.

Come nasce la tua passione per la musica? A quale genere e a quali tematiche ti senti più affine?

La mia passione per la musica nasce quando avevo 10 anni circa. Ho iniziato subito con lo studio del pianoforte per poi passare al sax e alla batteria. Il mio genere preferito è lo Swing e il Rockn’roll. Mi piace molto la musica italiana degli anni 80’ anche se onestamente ascolto un po’ di tutto. Tra i miei artisti preferiti ci sono Elton John, Battisti, ultimamente Il Volo e Tom John.

Stai componendo nuovi brani?

Certo! Da settembre inizieremo a registrare in Studio un nuovo CD con i miei brani inediti; spero che per fine anno possa essere ultimato

Sul fronte live? Hai date in programma?

Abbiamo parecchie serate live dove proponiamo per l’Italia tutte le più belle canzoni Cover dagli anni 60’ ad oggi e alcuni miei brani. Per l’estero abbiamo un repertorio di canzoni classiche italiane che vanno da Ramazzotti, Ricchi e Poveri, Al Bano, Toto Cotugno oltre che brani internazionali.

Mauro Brisotto

 Cosa dovremo aspettarci dal tuo prossimo lavoro?

Stiamo lavorando bene con l’estero, infatti ad ottobre avremo due serate in Camerun sponsorizzate dalla moglie del Presidente dove proporremo un repertorio classico italiano ed internazionale. Portare la musica Italiana all’estero mi dà molta soddisfazione e orgoglio.

Hai pensato di coinvolgere qualche collega nei tuoi progetti?

Nella canzone “Segui la tua stella” ho coinvolto due carissime amiche che sono delle splendide cantanti, Mirna Brancotti (Amici con Maria de Filippi) e Silvia Smaniotto (ex corista di Elisa) In questa canzone ho voluto espressamente la loro collaborazione per dare più senso al brano, per fare sentire più voci e rendere l’idea che ci sono più persone che credono e hanno lavorato a questo progetto.

Raffaella Sbrescia

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Intervista a Fabrizio Bosso: l’omaggio a Duke Ellington e l’idea di un disco con dei rappers

Fabrizio Bosso

Fabrizio Bosso

Abituato ad ammaliare il pubblico sui palchi di tutta Italia, Fabrizio Bosso è uno dei trombettisti italiani più amati dal panorama musicale internazionale. In occasione della pubblicazione del suo ultimo album “Duke” , omaggio al grande Ellington, l’abbiamo intervistato per conoscere più a fondo una personalità artistica così vivace e così ricca di spunti.

Il tuo ultimo album “Duke”, pubblicato lo scorso 26 maggio, nasce da un preciso input: la rinascita dello swing…
L’idea è partita dal Festival Jazz di Roma di un anno fa. Mi fu proposto di mettere su un progetto ad hoc pensando al tema dello swing e da lì è partita l’idea di fare un tributo a Duke Ellington, uno dei più importanti compositori del ‘900. Già da piccolo ascoltavo i suoi dischi ed è quindi uno degli autori che ho assimilato meglio. Suono spesso suoi brani e durante i miei concerti “In a sentimental Mood” è nei bis.

Come hai lavorato con Paolo Silvestri per gli arrangiamenti?
L’idea di allargare l’organico viene dal presupposto che non avevo mai fatto qualcosa con i fiati. Ne parlavo da un po’ con Paolo Silvestri, ho scelto la musica che avevo voglia di suonare, i brani che sentivo più vicini a me, li ho proposti a Paolo e lui ha iniziato a lavorarci senza che dovessi dirgli praticamente nulla. Sono molto felice del risultato perché Paolo è riuscito a mettere a proprio agio tutti i musicisti e a valorizzare il loro contributo.

Perchè “In a sentimental Mood” suscita in te particolare emozione? E’ vero che se avessi avuto occasione di suonare insieme al “Duca” ti sarebbe piaciuto suonare proprio questo brano?
Si tratta di una melodia così forte che, ogni volta che la suono, a prescindere dalla location in cui trovo, mi emoziono. Sento che questo brano arriva in maniera diretta alle persone e penso che questa sia la forza dei grandi. Riuscire a comunicare così tanto con della musica strumentale è una cosa incredibile. Tra l’altro quando ho proposto a Paolo Silvestri di riarrangiare questo brano, lui era un po’ terrorizzato all’idea di dover andare a toccare della musica praticamente perfetta, invece io penso che sia riuscito a darci modo di esprimerci al meglio.

Per suonare la tromba ad un certo livello c’è bisogno di orecchio, studio, emissione, muscolatura, respirazione e… cos’altro?
Tanta pazienza! La tromba è uno strumento lento! Prima di riuscire a fare qualcosa di accettabile o di piacevole all’ascolto ci vuole un bel po’. Chiaramente anche la predisposizione ed il talento incidono molto però non si tratta di uno strumento immediato. Un’altra cosa fondamentale è la continuità: se stai una settimana senza suonare, quando riprendi lo strumento in mano non suonerai certamente come prima; i muscoli facciali si indeboliscono, il diaframma lavora meno bene per cui dopo due o tre giorni qualcosa la si deve fare…

Fabrizio Bosso

Fabrizio Bosso

La tua ricerca del suono è ancora un alternarsi di amore e odio?
Penso che sarà così per sempre! E’difficile che si possa essere appagati dal proprio suono, è importante cercarlo sempre, ascoltare altri suoni, lasciarsi ispirare da altre cose. Ci sono giorni in cui magari ci si sente più vicini al suono ideale, altri in cui ci si allontana molto.

La tua matrice è jazz ma porti il tuo linguaggio in tanti generi e contesti. Come hai acquisito questo tipo di versatilità e come cambia di volta in volta il tuo approccio allo strumento?
È stato tutto abbastanza naturale perchè, pur essendo cresciuto con il jazz, ascoltavo anche Mina, Ornella Vanoni, Fabio Concato e tutti i grandi cantautori. Forse l’unico genere musicale che mi sono un po’ perso è il rock, magari perchè non mi ha mai veramente appassionato e non l’ho mai approfondito. Alla prima occasione di collaborazione con un cantautore, il primo è stato Sergio Cammariere, è stato subito tutto molto naturale. Mi veniva da ridere quando mi veniva chiesto se i jazzisti puristi potessero giudicarmi per questo tipo di collaborazioni. Io sono un musicista e penso sia importante valutare la qualità delle cose, preferisco fare un bel concerto pop piuttosto che fare un brutto concerto jazz.

Qual è la formula della miscela musicale che hai creato con Julian Oliver Mazzariello?
Io e Julian abbiamo un background comune; anche lui è un jazzista appassionato di vari generi musicali, ha studiato bene la tecnica del pianoforte quindi cerca di sfruttare il più possibile tutto il range del suo strumento e questa cosa si sente quando suoniamo insieme. Riusciamo entrambi ad utilizzare tutte le dinamiche dei nostri strumenti, proponiamo musica da film, brani italiani, standard jazz, brani inediti. Quando abbiamo messo su il duo non ci siamo preoccupati di quale direzione intraprendere, abbiamo deciso soltanto di suonare la musica che ci facesse stare bene e che ci divertisse.

E’ vero che ti sei fatto costruire una nuova tromba?
Il cambio degli strumenti testimonia un po’ l’irrequietezza che contraddistingue noi musicisti. A volte cerchiamo un certo tipo di suono, altre volte siamo solo stanchi e con poche idee. La scusa dello strumento, a volte può sembrare un po’ stupida però magari racchiude un reale stimolo. Un suono leggermente diverso o anche una forma diversa possono aiutarci a superare piccoli momenti di crisi. In questo periodo sto usando uno strumento artigianale che fanno vicino a Milano, il suono che esso produce mi appaga e mi fa avvicinare un po’ a quello che ho in testa però la ricerca dello strumento perfetto non avrà mai fine…

Lo sanno ormai tutti: hai iniziato a suonare con tuo padre, è stato il tuo primo modello e ancora oggi suonate insieme…
Sì, ogni tanto vado a suonare in qualità di ospite nella Big Band in cui sono cresciuto e dove ho iniziato a suonare quando avevo nove-dieci anni. Ogni volta è davvero emozionante suonare con un gruppo in cui si vede una fortissima passione per la musica e lo faccio sempre molto volentieri.

Ti piacerebbe che anche tuo figlio suonasse un giorno?
L’importante è che lui ami la musica e l’arte in generale; se vorrà fare qualcosa seriamente, io lo appoggerò però di sicuro non lo forzerò mai! Dovrà essere lui ad avere veramente questo desiderio.

Fabrizio Bosso

Fabrizio Bosso

Se a qualcuno venisse l’idea di lanciare un talent show per musicisti, che cosa ne penseresti?
Sarebbe carino, perché no! A me la cosa che non piace sono le liti, trovo che ci sia una dispersione inutile di energia. Sarebbe bello fare vedere ai giovani quanto impegno serve per arrivare a raggiungere un traguardo e imparare a suonare per bene. Se abituiamo il pubblico a dei contenuti seri e importanti, penso non ci sia neanche bisogno di tutto il resto per fare audience.

Sei direttore artistico del Festival Note d’Autore.Con quale spirito hai vissuto l’edizione di quest’anno?
L’obiettivo è sempre quello di portare un po’ di buona musica a Piossasco coinvolgendo anche gente che viene da altrove. L’idea è quella di dare la possibilità a giovani musicisti di stare sul palco con artisti più importanti e farsi conoscere da un pubblico più vasto. La finalità generale è quella di far respirare musica tutto il giorno per tre giorni.

Nell’ambito del Progetto Etiopia Onlus Lanciano, hai partecipato all’inaugurazione di una scuola in una località a pochi chilometri di distanza da Addis Abeba…che ricordi hai delle tue esperienze africane?
Ho molta voglia di tornare in quei luoghi, lo farò presto! Questo è un tipo di emozione che va al di là della musica, quando arrivi in questi posti e vedi com’è la situazione, la dignità e la voglia di vivere di queste persone ti fa riflettere sui valori della vita. Presto andremo anche ad inaugurare un acquedotto, anche questo frutto del lavoro della Onlus di Lanciano e già penso all’emozione che troverò negli occhi dei bambini e dei capo villaggi che, non hanno niente, ma che sembra abbiano tutto.

Sei molto seguito anche in Giappone…come cambia il tuo approccio sul palco e con il pubblico?
Quando suono penso prima di tutto a creare la giusta sinergia sul palco con i miei musicisti per arrivare al cuore degli spettatori. I Giapponesi sono un pochino più riservati ma se riesci a coinvolgerli possono diventare anche caciaroni. La cosa bella di lavorare lì è che funziona tutto alla perfezione, puoi pensare davvero a fare solo il musicista senza magari doverti mettere a fare il fonico come accade ogni tanto dalle nostre parti. Lì arrivi e suoni. Un’altra cosa che mi sorprende che è che sei giapponesi sono tuoi fan, ti mettono allo stesso livello di qualsiasi altra star.

Che cosa suoneresti se avessi la possibilità di incontrare Stevie Wonder?
Certamente “Overjoy”…

Cosa stai ascoltando in questo periodo?
Quando viaggio ascolto spesso musica brasiliana, mi piace molto Nana Caymmi e, in particolare, “Sangre de mi alma”. Il suo timbro mi fa stare bene, il suo modo di cantare, malinconico e speranzoso al contempo, mi avvolge.

Cosa ci racconti del progetto “Shadows. Le memorie perdute di Chet Beker” con Massimo Popolizio?
Si tratta di una sintesi di”Come se avessi le ali” , un libro di memorie di Chet, che va dal periodo del militare fino a poco prima che morisse. Popolizio è un grande attore e si immedesima veramente bene in questo ruolo. Abbiamo già fatto 4-5 repliche di questo spettacolo ed è andato molto bene.

C’è un progetto che prima o poi vorresti realizzare?
Ogni tanto mi torna in mente l’idea di fare un disco con dei rapper. Non ho ancora le idee molto chiare a riguardo, devo ancora capire bene se portare loro nel mio mondo o se immergermi io nel loro… Non è semplice trovare un equilibrio per creare un buon prodotto però ci proverò; jazz e rap non sono neanche tanto lontani, c’è un modo di diverso di improvvisare ma sarebbe carino fare incontrare questi due mondi musicali…

 Raffaella Sbrescia

The Kolors: un live inebriante all’Estathè Market Sound

The Kolors live @ Estathè Market Sound ph Francesco Prandoni

The Kolors live @ Estathè Market Sound ph Francesco Prandoni

Piacciono, convincono, divertono, stupiscono. I The Kolors demoliscono clichè e pregiudizi. Neovincitori dell’ultima edizione di Amici di Maria di Filippi, Stash Fiordispino e compagni rappresentano la tangibile testimonianza che il talent show può ancora dirci qualcosa di fresco e originale in fatto di musica. Dritti, proprio come la cassa in quattro montata sul palco dell’Estathè Market Sound a Milano, i tre giovani musicisti hanno dato vita ad un concerto comprensivo non solo dei brani contenuti nel vendutissimo album d’esordio “Out” ma anche, e giustamente, dei brani con cui il pubblico ha imparato a conoscerli e ad apprezzarli durante gli ultimi mesi. Forti dell’esperienza maturata durante gli anni passati ad esibirsi in giro per locali, su tutti il compianto “Le Scimmie”, i The Kolors si contraddistinguono per una particolare cura del  suono: dalla chitarra al piano al moog, i tre spaziano dal pop al funk alla dance anni ’80 dimostrando talento, precisione e attenzione al dettaglio.

The Kolors live @ Estathè Market Sound ph Francesco Prandoni

The Kolors live @ Estathè Market Sound ph Francesco Prandoni

Venti i brani proposti in scaletta tra cui “Everytime”, colonna sonora portante di questa estate. Tra le cover più rischiose c’è stata “Radio Ga Ga”, particolarmente apprezzata dal pubblico, insieme al forte impatto emotivo di “Me Minus You”, impreziosita soltanto dalle note di un pianoforte. Poche interazioni e nessun orpello particolare, i The Kolors si concentrano sulla musica con l’umiltà di chi si approccia per la prima volta su un grande palco ed il risultato ci appare non solo allettante ma anche aperto ad un margine di migliorabilità che verrà presumibilmente colmato molto presto. Subito dopo il concerto Stash e compagni hanno accolto la stampa per un incontro a quattr’occhi e la sensazione generale è stata quella di prendere parte ad una chiacchierata informale.

The Kolors live @ Estathè Market Sound ph Francesco Prandoni

The Kolors live @ Estathè Market Sound ph Francesco Prandoni

Ad introdurre l’incontro è Ferdinando Salzano di Friends and partners, la celebre agenzia che cura il tour del gruppo: “Questo tour è stato organizzato in pochissime settimane e abbiamo dovuto rifiutare circa 50 date in Italia, per concentrarci solo su alcune località”. Subito dopo è lo stesso Stash a rompere il ghiaccio: “A volte ci si rende conto a distanza di quello che succede.  Stasera, invece, mi sono subito reso conto che stavo vivendo qualcosa di importante, di inebriante. Il nostro stile di vita non è cambiato molto: prima ci svegliavamo alle 11, preparavamo gli strumenti e andavamo a suonare nei localini e si tornava alle 3 o 4 del mattino; lo stesso avviene anche adesso anche se le cose sono ovviamente organizzate diversamente”.

Immediatamente dopo arrivano le domande dei giornalisti:

Questi grandi palchi arrivano dopo anni di serate in giro…

Pensate che i Modà ci vedevano suonare 5 anni fa a Le Scimmie e una volta, addirittura, in un locale di Melzo erano gli unici spettatori. Stasera ci sentivamo a casa, qua compravamo la mozzarella da rivendere (legalmente) nel negozio  di mio padre in zona San Babila. Tornare qui dopo due anni per un nostro concerto è stata una vera botta al cuore.

“Il mondo” è l’unica canzone italiana inserita in scaletta. Come mai?

Durante il programma era la nostra prova del nove. Oggi, invece, vedere delle adolescenti cantare una delle pietre miliari della musica italiana come fosse una canzone uscita ieri, ci riempie d’orgoglio.

Quali sono i vostri riferimenti musicali?

Amiamo i “classici” e li intendiamo come i colori primari della musica: Beatles, Led Zeppelin, Michael Jackson e Pink Floyd. Ascoltiamo anche gruppi alternative come gli inglesi XTC e i belga Soulwax. Rispetto ai DJ cui, noi, con l’acustico non potremmo mai tenere testa, abbiamo scelto di contaminarci con qualcosa di più contemporaneo. I nostri riferimenti sono anche i Depeche Mode e la scena elettronica francese.

E Andy dei Bluvertigo?

Andy è un riferimento musicale ed umano. Lui ci ha visto a Le Scimmie nel 2010 e ha subito capito che volevamo rappresentare un mix tra Gang of four, Soulwax e il pop anni ’80 di Michael Jackson.

A cosa si deve la scelta di aver voluto inserire anche tante cover fatte ad Amici?

Tante persone non ci conoscono solo per il tormentone e lo spot Vodafone ma anche perché ci ha visti in Tv e noi vogliamo regalare loro qualcosa che li leghi a quel contesto.

Alcune band campane  vi hanno inviato messaggi di elogio, cosa ne pensate?

A tutti i nostri colleghi vorrei inviare un messaggio: non è vero che se vai ad Amici ti fanno fare solo cose alla Marco Carta (con tutto il rispetto per lui). Ad Amici abbiamo trovato un ambiente molto rock and roll perché ci hanno lasciato fare quello che volevamo. I discografici ci dicevano: “In Italia l’inglese non funzionerà mai”; ultime parole famose, seppellite oggi da oltre 120mila copie vendute.

Stash, stasera c’erano i tuoi genitori?

No, preferisco non farli venire, avrei la sensazione  di essere al saggio di fine anno. Ovviamente qualora avessero voglia di venire mi farebbe molto piacere.

Come identifichereste il vostro gruppo?

Siamo sicuri di non essere una boy band tipo Backstreet Boys, Take That o One Direction. Se poi mi chiedete se ci saremo ancora tra tanti anni… non lo so. È successo tutto così in fretta e non mi rendo conto di niente, non riesco a pensare.

Come e dove ricercate le nuove tendenze musicali?

 Londra rappresenta la nostra fonte di aggiornamento per la musica. Appena abbiamo dei giorni off siamo lì.

Stash, qual è il tuo approccio alla musica?

Sono cresciuto con chitarre in casa e mio padre che faceva concerti, ma mi ha subito detto che dovevo trovare la mia strada. Non mi ha influenzato. A 12/13 anni ho iniziato a fare concerti con la mia band ma ero sempre il figlio di, e questa cosa mi stava sulle palle. In seguito sono venuto a Milano perché qui ci sono le persone giuste e le case discografiche. Ora mio padre è felicissimo  perché, attraverso di me, vede anche la sua realizzazione.

Cosa pensate delle canzoni nelle pubblicità visto che ora con “Everytime” ci siete finiti anche voi?

La pubblicità di Vodafone è il sogno di chi fa musica. A me è capitato una volta di stare 40 minuti in attesa ed è così che ho scoperto Malika Ayane! A volte chiamiamo Vodafone per ripassare la canzone e, a questo punto, chiediamo agli operatori di aumentare il tempo di attesa nel servizio clienti, così le persone ci ascoltano di più… (ride ndr)

Raffaella Sbrescia

“Eterno Agosto”: dopo il boom de “El Mismo Sol” Alvaro Soler presenta l’album d’esordio

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Dopo aver saldamente conquistato la vetta delle classifiche con il super tormentone “El Mismo Sol”, il cantautore Alvaro Soler  pubblica “Eterno Agosto”, l’album d’esordio registrato tra Berlino e Barcellona in cui il giovane artista cosmopolita riversa le sue esperienze personali attraverso una miscela musicale che unisce la solarità mediterranea, la ritmica metropolitana berlinese e la poesia minimalista di stampo orientale. Naturalmente predisposto all’uso delle lingue, curioso e aperto alla sperimentazione, Alvaro che è cresciuto tra Spagna, Giappone e Germania, ha concentrato le proprie energie nella ricerca di un sound inedito che potesse in qualche modo rappresentare l’essenza della sua personalità così ricca e complessa. Se il singolo di lancio “El Mismo Sol” lancia un preciso messaggio di fratellanza e accettazione dell’altro, tra allegri xilofoni e riff contagiosi, la title track “Agosto” prende ispirazione dalla fine di una storia d’amore che Alvaro ha affrontato cercando di venire a patti con il dolore e si sviluppa attraverso una tastiera d’epoca arpeggiata e una melodia contemplativa e compiacente. Scanzonata ed ottimista la trama di “Tengo un sentimiento”, brano caratterizzato da un arrangiamento distante dai primi due e leggermente più metallico. Versatile e sperimentatore, Alvaro spazia tra temi e ritmi, sogni, ricordi e speranze. Divertente il brano up-tempo “Lucia” , dedicato alla sorellina da difendere, delicato il testo ispirato al canto popolare intitolato “Cuando volveras”, trascinanti le percussioni esotiche in “Esperandote”. La tracklist si chiude con “El Camino”, una canzone di forte impatto emotivo in cui la voce di Alvaro si fonde perfettamente con il suono della sua chitarra e il ritmo del basso spagnolo.  Il testo parla dei diversi ostacoli nella vita che portano a pensare se si è ancora sulla strada giusta e rappresenta il momento d’ascolto più intenso di tutto l’album che, in quanto opera prima, convince per freschezza e attenzione al dettaglio.

 Ecco cosa ci ha raccontato l’artista negli studi di Universal Music a Milano, in occasione dell’ospitata a The Voice of Italy

Alvaro, complimenti! “El Mismo Sol” ha letteralmente conquistato l’Italia…

Grazie mille, sono contentissimo! In effetti questo è il Paese in cui la canzone sta avendo maggior successo. Il brano è salito in vetta alle classifiche in pochissimo tempo, ora stiamo lavorando affinchè possa uscire anche negli altri Paesi.

Cosa ci racconti nell’album “Eterno Agosto”?
È un disco che parla di esperienze personali. Nella canzone “Lucia” dico a mia sorella (Paola, ndr) che deve stare attenta ai ragazzi; sta diventando una donna e io che sono il fratello grande devo proteggerla! Nella canzone “Tengo Un Sientimento si parla del divertirsi con gli amici, c’è un verso molto divertente che ripete i numeri 4, 7 e 20: «4 amici mi portano al bar, 7 volte uno shot di gin e 20 ragioni per festeggiare». Altre canzoni parlano di relazioni d’amore che ho avuto e di rotture sentimentali. Ci sono poi brani più «filosofici» come “El Camino, che parla dei momenti in cui ti accorgi che le cose non sono come le avevi immaginate ma che, ad ogni modo, fanno comunque parte del tuo cammino. Questa è la mia filosofia di vita: tutto ciò che accade, accade per una ragione. Spero che le persone quando ascolteranno il disco potranno staccare la spina da tutto e rilassarsi.

Alvaro Soler

Alvaro Soler

Sei di Barcellona ma sei vissuto molti anni a Tokyo, e adesso vivi a Berlino… c’è un posto che ti fa sentire davvero a «casa»?
Barcellona è ancora la mia casa, ogni volta che prendo l’aereo per tornare provo questa bellissima sensazione di appartenenza.

Come hai iniziato a fare musica?
A 10 anni, quando vivevo a Tokyo, i miei genitori mi regalarono una tastiera elettronica, poi a scuola cantavo in un coro e avevo una band. Verso i 16 anni ho iniziato a scrivere e registrare, ho formato un’altra band con mio fratello quando siamo andati in Spagna e abbiamo scritto due album. In seguito ho deciso di fare le cose da solo per vedere come sarebbero andate…

Come ti sei trovato quando vivevi in Giappone?
In realtà frequentavo una scuola tedesca quindi non ero completamente immerso nella cultura giapponese. Ricordo però che andavamo spesso al karaoke perché, essendo troppo giovani, io e i miei compagni non potevamo avere accesso alle discoteche. Passavamo intere serate a cantare e il giorno dopo non riuscivamo neanche a parlare.

Chi sono i tuoi riferimenti musicali a cui ti ispiri? Conosci e ascolti musica italiana? Se sì, chi apprezzi tra i cantanti italiani?
Mi piace ascoltare tanta musica, in macchina con i miei genitori ascoltavamo i dischi di Juanes e Phil Collins. Poi Linkin Park, Maroon 5, John Mayer, ecc. Tutti artisti molto differenti, in effetti: non ne ho uno preferito in particolare. Per quanto riguarda la musica italiana, da piccolo ascoltavo molto Andrea Bocelli ed Eros Ramazzotti. Ultimamente ascolto Tiziano Ferro e Laura Pausini.

Cos’è per te la musica?

A me la musica ha sempre fatto bene, al suo interno c’è qualcosa che disattiva per un attimo i miei pensieri e che mi fa sentire meglio: è come una medicina. Quando le cose si mettono male, è meraviglioso buttarsi di testa tra le note.

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 Raffaella Sbrescia

Video: El Mismo Sol ( Live Acoustic Version)

Intervista a Conchita Wurst: il debut album “Conchita” e l’autobiografia di una nuova diva

Conchita Wurst cover album Conchita

La tenacia, la sicurezza e l’intraprendenza di Conchita Wurst ( all’anagrafe Tom Neuwirth) rappresentano un importante barlume di speranza per tutti coloro che nel cuore hanno un sogno da realizzare ma anche un fitto percorso ad ostacoli da affrontare. Accolta con clamore dalla stampa italiana, Conchita ha presentato il libro Io Conchita. La mia storia, uscito il 15 maggio per Mondadori Electa e il suo disco di debutto “Conchita”, pubblicato da Sony Music lo scorso 19 maggio, nella Sala Reale della Stazione Centrale di Milano. Un album molto variegato, forse troppo, che spazia dalla dance alle ballate drammatiche senza farsi mancare spruzzate di swing. Un lavoro sicuramente impegnato, ricco di importanti messaggi ma che parla anche di cuori spezzati e storie d’amore dal triste epilogo. Con il suo allure da gran diva, Conchita dimostra di essere in realtà una persona semplice e affabile, nonché un’intensa interprete dalla voce potente e carismatica.

“Conchita” è il tuo album d’esordio. Come hai lavorato a questo progetto così importante per te?

Ho realizzato questo album in modo egoistico, perché volevo che prima di tutto piacesse a me. Ho ricevuto più di 300 canzoni da vagliare e ascoltarle tutte ha richiesto non poco tempo. Non mi importa chi scrive le canzoni, sono molto precisa e quando si tratta di scegliere una canzone da cantare, deve esserci subito almeno una parte di me nel brano, di solito mi colpisce la melodia, poi passo al testo. “The Other Side of Me”, ad esempio, è stata scritta da un autore svedese, Erik Anjou, a cui l’ispirazione è venuta guardandomi sul palco dell’Eurovision. Questa canzone per me è speciale perché Eric è rimasto così ispirato da mandarmi la canzone, senza pensare ad altro.  Più in generale sono felice che il disco sia così colorato e sfaccettato, ‘Conchita’ abbraccia tutti i miei generi musicali preferiti e per questo spazia dalle ballate drammatiche ai brani dance.

Quando hai capito di voler fare musica nella vita?
A 7 anni giocavo a fare la cantante e sognavo di essere famosa, perché – credetemi – essere famosi è divertente. Sono sempre stata molto determinata nel perseguire i miei scopi e, dato che il mio sogno è vincere un Grammy, non ci sono scuse, quando si ha un obiettivo bisogna lottare per raggiungerlo!

E che cosa cantavi a 7 anni?
Shirley Bassey era il mio punto di riferimento. Non conoscevo la lingua l’inglese ma in una compilation di mia madre c’era “Goldfinger “, un brano che cantavo in continuazione cercando di imitare la voce di Shirley che mi ha inconsapevolmente dato lezioni di canto.

A cosa attribuisci il tuo successo? Non hai paura che il clamore creatosi intorno al tuo personaggio possa presto esaurirsi?

 La cosa più importante per me è essere autentici. Ho creato questo personaggio e porto sul palco una mia verità. Sono a mio agio, mi diverto, sono la persona che avrei sempre voluto essere. All’Eurovision ci sono stati diversi fattori che mi hanno aiutato: la canzone, la performance, certamente anche il look, ma soprattutto persone che hanno creduto in me. La scelta che ho fatto è di essere felice nella vita, quindi so che se anche tutto questo dovesse finire troverei ugualmente il modo di esserlo.

Conchita Wurst Ph Mischa Nawrata

Conchita Wurst Ph Mischa Nawrata

Oltre al disco è uscita anche una biografia. Com’è nata l’idea di raccontare la tua storia in un libro?
Dopo la mia vittoria all’Eurovision un editore mi ha fatto questa proposta ma all’inizio ero del tutto contraria! Ho 26 anni, mi sembra un po’ prematuro scrivere le mie memorie. In seguito mi hanno chiesto di ripensarci e mi sono detta: “Se proprio devo farlo allora deve essere il genere di libro che comprerei”. A me piacciono quelli con molte foto e, proprio per questa ragione, in questa biografia ce ne sono tante. In quattro giorni ho raccontato la mia vita ad un ghostwriter  ed ho avuto la possibilità di  scoprire e riscoprire tante cose di me.

Che rapporto c’è tra Tom e Conchita? Che cosa hanno imparato l’uno dall’altra?
Conchita ha imparato da Tom a essere più rilassata e orgogliosa di quel che fa, mentre Tom ha imparato da Conchita a lavorare sodo per riuscire nella vita ed avere successo.

Cosa faresti se avessi modo di incontrare Putin?
Vorrei incontrare Putin per capire cosa vuol dire essere Putin. Potrei imparare tanto da lui anche se ha preso decisioni che non mi hanno reso felice. Discutendo con lui vorrei capire i suoi ragionamenti per poi provare a fargli cambiare idea.

 Com’ è Conchita nella vita di tutti i giorni?
Ho una vita privata normale e non mi prendo troppo sul serio. Senza ciglia finte e parrucche non mi riconoscereste. Vado al supermercato, prendo i mezzi pubblici e nessuno sa chi sono.

Quando potremo ascoltarti dal vivo?
Al momento sto promuovendo l’album e il libro in tutto il mondo. In fondo non sono Madonna, perciò non posso aspettarmi un pubblico di migliaia di spettatori ad un mio show, però ho la possibilità di cantare nel corso della promozione. Andrò in Australia, Giappone, Stati Uniti e poi farò qualche concerto: non sarà un vero e proprio Conchita Tour, però un giorno ci sarà!

 Raffaella Sbrescia

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Video: You are Unstoppable

Intervista a Jason Derulo: “Everything is 4″ è un album necessario

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Con oltre 45 milioni di singoli venduti in tutto il mondo, Jason Derulo è tra gli artisti di maggiore successo degli ultimi anni. Fautore di un genere musicale fresco ed accattivante, a cui molti altri artisti pop-dance si sono rifatti dopo il suo successo, Jason è tra i più ascoltati sulle piattaforme musicali Spotify e Shazam. Le sue canzoni hanno tutte un particolare appeal radiofonico, senza dimenticare il fatto che Jason è stato anche invitato a partecipare nel ruolo di giudice alla prossima 12° stagione di “So you think you can dance”, il noto reality show americano sul mondo della danza.  In occasione dell’uscita del singolo “Want To Want Me”, Jason Derulo è arrivato a Milano per parlarci del suo nuovo album “Everything Is 4”, nei negozi dal 1° giugno, un lavoro composto da undici tracce in cui troviamo sonorità provenienti da generi diversi, quali pop, dance, urban e R’n’B, con numerose le collaborazioni importanti, tra le quali Stevie Wonder, Jennifer Lopez, Keith Urban, Megan Trainor e Matoma. Durante l’intervista l’artista ci ha parlato non solo del nuovo album e della propria musica, ma anche di sé e delle proprie emozioni.

Il titolo del tuo album è “Everything is 4”. Qual è il significato di questa scelta?

Tutto è per una ragione. Tutto è per mia madre, per i miei fan, per il mio futuro. Anche il numero 4 nel titolo ha un significato simbolico: le quattro gambe in un tavolo, il susseguirsi delle quattro stagioni, i quattro stati della materia.

Anche i generi musicali presenti nell’album possono essere ricondotti al numero 4?

In verità ce ne sono molti di più! C’è il country, il folk, il pop, l’R’n’B, l’alternative e tutta una serie di richiami a generi diversi.

Riallacciandoci a questa tematica, ci racconti come hai lavorato al brano, “Broke”, realizzato in collaborazione con Keith Urban  e Stevie Wonder?

Incredibile. Keith è un grande professionista. Stevie l’ho incontrato ad una cena alla Casa Bianca, ho parlato con lui, gli ho proposto di suonare l’armonica in “Broke” e lui ha accettato.  Quando è arrivato in studio ha portato con sé  dieci o quindici armoniche diverse per scegliere quella giusta per questa particolare registrazione, è un genio!

Come possono generi così diversi, come pop, il country, il soul andare d’accordo tra loro?

La musica è sempre musica. Credo che una canzone come “Broke” possa rompere le barriere perché non è solo country ed il risultato è stato sorprendente anche per me!

Nell’album ci sono altre collaborazioni importanti, come quella con Jennifer Lopez in “Try me”. Com’è andata?

J.Lo è una delle più influenti artiste femminili di tutti i tempi. Abbiamo cantato e ballato per due notti, l’obiettivo era trovare il mood più adatto per una canzone che parla di noi. Lei è fantastica, si è materializzata dal muro della mia stanzetta nel mio studio di registrazione. Ne siamo usciti fuori con una canzone House stile caraibico che è davvero entusiasmante.

Jason Derulo

Jason Derulo

Potresti dirci qualcosa di più riguardo ai testi e ai contenuti dell’album?

Ogni canzone è davvero diversa dalle altre. Per esempio, “Painkiller”, il duetto con Metghan Trainor, parla di come le avventure di una notte possano aiutare a dimenticare la sofferenza per la fine di una relazione, anche solo per un po’, proprio come fanno gli antidolorifici. Non riesco a scrivere di cose che non mi capitano e a me capita questo. Anche se per un breve tempo, le avventure fanno bene.

Da cosa nasce un pezzo come “Want To Want Me”, che hai scelto come singolo?

Credo sia frutto della sperimentazione, anche perché non penso mai «ora farò così». Gli anni ’80 sono stati un periodo meraviglioso. C’è molto di Michael Jackson e di Prince in questo album. Quando ero piccolo, non capivo Prince  e non capivo perché alla gente piacesse. Quando sono diventato più grande, sono riuscito ad apprezzarne pienamente il genio. Quindi sì, ogni cosa arriva dalla sperimentazione.

Come descriveresti il tuo album, con una sola parola?

Necessario. Ci sono canzoni per chiunque e per ogni situazione, sia che tu stia attraversando la fine di una relazione, sia che ti stia innamorando di qualcuno. Ogni canzone è speciale in modo diverso.

“Want To Want Me” è il tuo sesto singolo ad entrare nella Billboard Hot 100. Cosa serve per arrivarci?

Il talento, naturalmente. Credo anche che per continuare ad essere nella Billboard serva saper scrivere le proprie canzoni e non dipendere da altri. Il talento è la vera chiave del successo e quindi mi piace pensare che chi si scrive le cose da solo non debba dipendere dal talento altrui.

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Come hai deciso di diventare una pop star?

Ho cercato me stesso per molto tempo. Volevo cantare. Volevo fare rap, R’n’B, soul, country e jazz. I musical hanno avuto una parte importante nella mia vita, finché non ho finalmente ottenuto un ruolo a Broadway e ho capito che non era la cosa giusta per me. A quel punto ho deciso di fare la mia musica che, giorno dopo giorno cambia volto in maniera camaleontica e direttamente proporzionale al mio umore. Di sicuro non sarà mai noiosa, perché ci sono così tanti “gusti” tra cui scegliere.

Sarai in “So You Think You Can Dance”, il famoso talent show americano sul mondo della danza, nel ruolo di giudice al fianco di Paula Badul e Nigel Lythgoe. Senti una certa responsabilità verso coloro che dovrai giudicare?

Certo! Ero in quella posizione non molto tempo fa, so come ci si sente a fare audizioni di fronte a tre o quattro persone. Sento la responsabilità di non dire solamente «no», penso sia importante spiegare le ragioni del rifiuto.

Nei tuoi video appari spesso come un sex symbol. Tu ti vedi così o semplicemente ti diverti ad interpretare questo ruolo?

Sarebbe davvero strano vedere me stesso come un sex symbol! Ma sono felice di rivestire questo ruolo, mi piace il sesso. Ad ogni modo vengo da Miami e a Miami non abbiamo molti vestiti addosso!

C’è qualcosa di specifico che ispira i tuoi testi?

A volte penso di essere guidato da Dio per le idee che ho in testa. Mi piace la sperimentazione, vengo da Miami dove ci sono tanti stili musicali e a me piace mischiarli. A questo aggiungo il mio approccio evolutivo alla musica.

Quale sarà il tuo prossimo singolo?

Non lo so, sto ancora decidendo. Ho messo online tre o quattro canzoni, sperando che questo mi indicasse le preferenze del pubblico ma sono piaciute tutte e il compito della scelta non è stato facilitato come speravo. Questo è un disco che vale nella sua interezza, vorrei fare un video per ogni pezzo perché non vorrei essere ingiusto con le canzoni, non vorrei lasciarne indietro nessuna!

Raffaella Sbrescia

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Video: “Want to want me”

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