Marco Martinelli: un talento tra arte e scienza. L’intervista

Marco Martinelli

Marco Martinelli

Giovane, appassionato e iperattivo. Marco Martinelli canta e suona fin dall’età di 7 anni. Ingegno e creatività l’hanno condotto ad associare l’amore per la musica a quello per la scienza. Con una laurea Triennale in Biotecnologie Agro-Industriali e un Master in corso in Molecular And Industrial Biotechnology, Martinelli ha partecipato anche a diverse trasmissioni televisive in nome di un sogno da realizzare. In quest’intervista, Marco ci parla del nuovo singolo “Tienimi con te”, scritto da Mimmo Cavallo, e dei nuovi progetti che lo vedono al fianco di Antonio Coggio e Mariella Nava.

 “Tienimi con te” è il titolo del tuo nuovo singolo. Raccontaci le emozioni che hai vissuto quando questo brano è arrivato tra le tue mani. In che modo la tua voce e la tua interpretazione si sposano con la penna di Mimmo Cavallo?

L’idea di cantare “Tienimi con te” è nata da Mariella Nava, che per prima ha ascoltato il brano, scritto e musicato da Mimmo Cavallo, e poi lo ha proposto a me. Mimmo Cavallo è un grandissimo autore di successi noti ed inizialmente ho temuto di non riuscire a dare alla canzone quell’intensità che lo stesso Mimmo Cavallo riusciva ad avere, in realtà l’intuizione di Mariella Nava si è rivelata corretta, perché il modo in cui sono riuscito ad interpretarla ha dato al pezzo note di un’incredibile dolcezza. In questo senso credo di aver sposato la penna di Mimmo Cavallo trasformando il suo graffio in una carezza.

“Tienimi con te” è una frase importante che, se da un lato trasmette l’idea di un legame forte e viscerale, dall’altro espone il nostro lato fragile. Quale delle possibili interpretazioni senti più vicina?

 Sento vicina l’idea di un legame forte e viscerale, un legame che si ha verso le persone a cui vogliamo bene. “Tienimi con te” è una frase che possiamo dire a un amico, amica, amata, amato, persino all’amante; a un genitore o a un figlio. L’esplicitazione dei propri sentimenti ci espone sempre ad un rischio, il rischio di non essere capiti, di non essere corrisposti, di essere invadenti o inopportuni. Io credo però che valga la pena di rischiare, anzi di cantare a chi amiamo un “Tienimi con te”.

L’amore può ancora essere la risposta alla solitudine del mondo?

L’amore è una risposta alle problematiche del mondo, sicuramente la migliore risposta alla solitudine. L’amore in senso di amicizia o di sentimento tra due persone o inteso come volersi bene potrebbe evitare molti contrasti tra le persone su piccola scala. Seguire il principio dell’amore ed il rispetto per il prossimo potrebbe salvare le nazioni.

Marco Martinelli

Marco Martinelli

Stai lavorando ad altri inediti? Ti dedichi anche alla composizione delle musiche?

Sì stiamo lavorando su altri brani, al momento tutto work in progress. Stare a contatto con Mariella Nava, Antonio Coggio e tutto il team di Suoni Dall’Italia mi permette anche di sperimentare e cominciare a scrivere ma è tutto ancora agli inizi. Se riuscissi a scrivere qualcosa di bello, mi piacerebbe che in seguito potesse essere inserito nell’album; ovviamente tutto questo sarà una scelta che passerà in primis da chi conosce e fa questo mestiere da tempo e con grandi risultati ossia Antonio Coggio e Mariella Nava.

Quali sono i richiami e le influenze a cui fai riferimento?

Sono cresciuto con Battisti, Baglioni, Beatles poi mi sono innamorato di Giorgia e Alex Baroni. Ero  anche un fan delle Spice Girls. Nella mia testa c’è passata tanta musica diversa, e io ho fatto un po’  un mash-up per creare la mia.

E le tematiche di cui preferisci cantare?

Non ho una tematica che preferisco cantare, ho molte cose da dire in vari ambiti e mi piace cantare pezzi che mi permettano di farlo.

Hai una laurea in Biotecnologie Agro-Industriali. Come si svolge la tua vita a metà strada tra arte e scienza?

Io mi sento un po’ un uomo rinascimentale, anzi posso dire che mi piacerebbe dare il via al neo rinascimento. Credo però che la società al momento sia più proiettata verso una regressione culturale piuttosto che una progressione. Molti pensano che ci sia distinzione tra materie umanistiche e scientifiche in realtà sono molto vicine, nell’arte serve creatività per creare, nelle scienze serve creatività per risolvere problematiche in modo ingegnoso. L’artista e lo scienziato guardano in modo critico il presente e cercano di creare un futuro migliore.

Quali sono le altre attività di cui ti occupi? Hai all’attivo diverse partecipazioni a programmi tv, senti che questo tipo di realtà di sia particolarmente congeniale? Lo rifaresti in futuro?

Al momento sto avviando un progetto Start up e mi sto cimentando nel girare alcune puntate del “Senatore Codazzo” in onda a “La Gabbia” su La7 il Mercoledì sera alle 21.10. Le mie esperienze televisive mi hanno cambiato e migliorato, cresciuto sotto molti punti di vista. Ma come ha sempre detto Raffaella Carrà, queste sono solo l’inizio, un trampolino di lancio verso un percorso che richiede sacrifici, umiltà e tanta voglia di rischiare e buttarsi per seguire la propria passione. Rifarei ogni cosa e ringrazio tutti coloro che ho incontrato in questo cammino.

 Raffaella Sbrescia

Intervista ad Alex Ricci: “Le cose semplici funzionano sempre”

Alex Ricci & Skinny Boy

Alex Ricci & Skinny Boy

 Alex Ricci degli Après la Classe è un bluesman e figlio d’arte. Musicista/cantautore appassionato ha cominciato la sua carriera da solista nel 2013 con “Gonna Rossa”, edito dalla pugliese Auand Records e distribuito da Goodfellas, disco dove blues e pop d’autore si mischiano riflettendo sulle tematiche più antiche e ricorrenti della vita di ogni ascoltatore.  L’abbiamo incontrato nel bel mezzo delle registrazioni per la realizzazione del secondo lavoro.

Intervista

Alex, raccontaci senza filtri la tua musica. Da dove nasce, cosa racchiude, cosa intende trasmettere e come vorresti che fosse interpretata dal tuo pubblico…

Ho avuto la fortuna crescere in una famiglia in cui la musica c’è sempre stata, mio padre è un chitarrista e per 25 anni insieme a mia madre ha posseduto un bellissimo negozio di dischi nella piazza di Atri. Fin da piccolo sono stato circondato da dischi e chitarre, ricordo che all’età 7 anni durante una festa di carnevale vinsi una armonica a bocca, da quel giorno questa forte passione per la musica mi accompagna, mi guida, parla di me. Quando scrivo una canzone parto da un concetto semplice, due accordi, un riff, qualcosa che possa rimanere stampato nella testa delle persone e magari farle appassionare alla mia musica; le cose semplici funzionano sempre.

Nel 2013 hai pubblicato “Gonna Rossa”. Parlaci di questo lavoro, come e con chi ci hai lavorato, quali sono le storie, i temi e le influenze musicali che lo attraversano…

“Gonna rossa” parte da lontano ed arriva in un momento molto particolare della mia vita artistica. Frutto di un percorso fatto di studio, gavetta, sacrifici ed esperienze che mi hanno dato la forza per affrontare e concludere con determinazione questo “primo lavoro”. Tutto il bagaglio che mi portavo dentro è arrivato ad una prima destinazione del viaggio. La maggior parte dei musicisti che hanno suonato nel disco sono Abruzzesi, professionisti e amici che stimo da sempre. L’Abruzzo è una regione zeppa di talenti musicali e questo disco ne è una piccola testimonianza. Altrettanto importanti sono i featuring con Raffaele Casarano nel brano “La Musica” e Après la Classe in “Faut Chanter”.Il Blues, il Rock e il Pop sono gli ingredienti primari di questo disco che vale la pena ascoltare.

In cosa consiste il più recente progetto Alex Ricci & Skinny Boy? Unite blues, rock e loop?

E’ una lunga storia quella fra me e Skinny Boy. Valerio Pompei è un batterista dotato di grande talento e sensibilità, volevamo realizzare da molto tempo questo progetto, tutto si è materializzato nel momento giusto, senza pressioni o tensioni, abbiamo suonato e basta. Il progetto percorre il Blues classico e le canzoni originali. La chitarra e la batteria, la semplicità di due elementi arricchita dall’elettronica e dai suoni campionati,  generano un “sound roots” più che mai attuale, mischiato ai rumori di questo tempo, alle vite che cambiano e tornano al punto di partenza, alle origini, alle radici appunto. Brani di Howlin wolf, Otis Rush si uniscono alle atmosfere più rarefatte dell’elettronica e i pezzi originali tratti dal mio album si riducono ad arrangiamenti essenziali e potenti.

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Stai lavorando al tuo secondo album? Che idee hai a riguardo? In cosa sarà diverso dal tuo precedente lavoro?

 Si, sto lavorando al nuovo album, tante idee mi passano per la testa in questo momento, registro decine di note audio ogni giorno, prima della fine dell’anno vorrei finire, ovviamente vi tengo aggiornati.

Cosa ci dici di “Idea Sonica” e delle lezioni di chitarra on line?

Idea Sonica è un bel progetto che ho ideato nel 2013 e adesso mi sta dando ottime soddisfazioni, le lezioni online sono il futuro dell’insegnamento, in questo modo si possono abbattere i tempi, le distanze e i costi, se vi va potrete fare un giro sul sito www.ideasonica.it e acquistare una lezione di chitarra online con Alex Ricci.

E con gli “Apres la Classe”? Siete al lavoro su nuovi progetti?

Si, con gli Après in questo momento stiamo lavorando al nuovo disco, nel 2016 la band compie 20 anni, ci saranno delle belle novità ma per il momento tutto resta top secret!

Ci sono live in corso o in programma?

Certo, farò dei concerti con Skinny Boy fra febbraio ed aprile, porteremo il nuovo live in giro per i club, il nostro booking www.ilpicco.net sta facendo veramente un buon lavoro, nella prossima primavera suonerò anche nella Super band Mei insieme Luca Amendola, bassista dei Kutso, Cesare Petulicchio, batterista dei Bud Spencer Blues Explosion, Angelo Trabace, tastierista di Dimartino, Danilo Vignola all’ ukulele, la voce maschile sarà di Simone Sartini (Il Sinfonico e l’Improbabile Orchestra) mentre quella femminile sarà di Veronica Lucchesi (La Rappresentante di Lista).

Raffaella Sbrescia

Shade presenta “Clownstrofobia”: Oltre le rime c’è di più

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Shade è un rapper, attore, doppiatore, freestyler e stand up comedian italiano nato a Torino. Lo scorso 15 gennaio Shade ha pubblicato il suo primo album intitolato “Clownstrofobia” (Warner Music), un lavoro in cui lo stile ironico e tagliente del rapper si sposa con contenuti anche più delicati. L’album rappresenta l’incontro tra il mondo del freestyler ironico e pungente e quello dell’artista più maturo e introspettivo. Spesso i panni dell’intrattenitore risultano stretti e si soffre di clownstrofobia. Ecco cosa ci ha raccontato Shade al telefono.

Intervista 

Dietro le rime, si nasconde una scrittura profonda e una voglia di lanciare dei messaggi ben  precisi.

Questo è un lavoro molto diverso rispetto alle cose fatte finora.  Nel precedente lavoro mi ero cimentato in pezzi molto divertenti e allegri, sono sempre usciti dei video  in cui facevo free style di intrattenimento incastrando le parole e le rime. In questo  album ho cercato di fare uscire fuori un lato di me che finora non avevo potuto mostrare. Un disco ufficiale in vendita rappresenta l’occasione giusta per farlo!

Perché il titolo “Clownstrofobia”?

Ad un certo punto l’etichetta di intrattenitore ti sta stretta e quindi ne soffri. In questo disco, a partire dalla cover, dimostro che non ne posso più di rappresentare un determinato tipo di cose e ho scritto dei pezzi che la gente non si aspettava da me…

In “Bar Mitzvah” canti “Gioco con le parole, me ne fotto delle persone”. Cosa intendi dire?

Non faccio giochi di parole per fottere le persone, gioco con le parole e me ne fotto delle persone. La critica si riferisce al fatto che molti mi dicono: “Sei bravissimo ma non hai contenuti”,  come a dire: “Sei una Ferrari a rappare ma ti limiti a fare il giro dell’isolato.  Secondo me sono magari loro che si limitano a guardarmi mentre faccio il giro dell’isolato. Forse il limite è più di chi segue questo genere di musica…

In “Patch Adams” parli di una storia importante e di una tematica delicata che si distanzia dal resto del progetto.

Sì, ho voluto inserirla come ultima traccia ed è il pezzo a cui sono più affezionato. Ho scelto di raccontare un brutto periodo della mia vita, ci si augura sempre di non avere a che fare con gli ospedali invece volenti o nolenti succede e a me è successo molte volte. In questo caso particolare si trattava di un’ altra persona che mi dispiaceva  vedere in brutte condizioni; andavo costantemente a trovarla fingendo che mi andasse tutto bene, vestendo un po’ i panni del clown per starle vicino poi, una volta uscito dall’ospedale, stavo malissimo ma non mollavo perché il giorno successivo sarei andato a trovarla di nuovo per convincerla che sarebbe andato tutto bene non sapendo se poi le cose si sarebbero risolte. Alla fine c’è stato un lieto fine ma è una cosa che mi ha segnato molto.

Il tuo stile richiama tematiche che rientrano anche nel repertorio di altri rapper però la tua ironia irriverente fa la differenza. Vai fino in fondo e te ne prendi la responsabilità?

Sì, questo è il mio modo di fare, non ho mai avuto problemi a tenermi le cose, non ho filtri e anche questa ragione ho dovuto rivedere tante cose che ho scritto in tanti miei pezzi. Chiaramente non vogliamo incorrere in denunce però se devo dire una cosa la dico. Faccio l’esempio di quando ho partecipato ad Mtv Spit: in quel momento non mi interessava di essere in tv, non ho cambiato nulla rispetto a quello che faccio quando giro l’Italia per i concerti. Sono sempre me stesso purtroppo o per fortuna!

“Stronza bipolare” è un brano divertente e spietato

La protagonista di questo brano è una persona con cui ho avuto molto a che fare e che mi ha fatto impazzire, attraverso litigi, crisi d’ansia, botte. Ho raccontato questa storia  in maniera tragicomica, il pezzo è quasi divertente ma la vicenda è stata distruttiva.

Netflix  è uno schizzo di quello che ci circonda al momento….

Le serie tv sono parte integrante della mia vita. Ho intitolato Netflix perché è arrivato da poco in Italia, ha rivoluzionato il mondo delle serie tv, prima avevamo solo lo streaming e quel poco che passa in nella tv tradizionale.

Dicci della collaborazione con Fred De Palma, sia nel singolo “Se i rapper fossero noi” che nella saga

Abbiamo fatto questa serie per caso, non sapevo nemmeno se volevo farla con lui. Volevo realizzare questo video intitolato “Se i rapper si facessero i complimenti”…. Lui si è mostrato subito super entusiasta e in effetti abbiamo realizzato questo video che ha superato i 3 milioni di visualizzazioni. La cosa ha rappresentato  lo stimolo giusto per realizzarne altri. Di solito ci mettiamo veramente pochissimo tempo a farli, credo al massimo  un’oretta e abbiamo culminato il tutto con “Se i rapper fossero noi”, il primo singolo estratto da “Clownstrofobia”.

“Disco d’horror” rispecchia un po’ il costume dei tempi delle querelle da classifica e lo fa in maniera dissacrante 

Ho un’ansia pazzesca per classifiche e cose del genere. La Warner ha puntato molto su di me e non voglio deludere nessuno. So che ci sono mille logiche che possono determinare il successo di un album ma voglio comunque fare il massimo e dimostrare che hanno fatto bene a puntare sul mio nome  e sul mio lavoro.

Questo è il pezzo più cattivo del disco, l’ho fatto uscire come primo vero estratto, ho postato il video su Facebook, dico cose cattive su altri rapper perché secondo me non esiste un migliore , esiste qualcuno che è più bravo ad incontrare il gusto delle persone. Il rap non è come il calcio, non è una cosa statistica, vendere tanto non vuol dire necessariamente saper fare buona musica.  Ho voluto smontare l’ego di certe persone approfittandone per realizzare un pezzo un po’ più tecnico.

Ti aspetta un Instore tour a tamburo battente…

Sì sarà un “instore tour de force”! Ho iniziato a Torino, l’anno scorso facemmo un concerto in metro, ci inventammo un instore che prevedeva pezzi eseguiti in metro. Purtroppo tanti mi scrivono di andare nella loro città ma non sono io a decidere. Chiaramente si tratta di un tour, ci sono  dei costi e ci sono persone che decidono cosa fare e perché. In ogni caso stiamo preparando una sorpresa per febbraio… sarà molto divertente!

Nel 2014 hai doppiato alcuni personaggi tra cui Eminem e 2pACm, nella nuova stagione di South Park in onda su Comedy central. Come hai vissuto il tuo ruolo?

Uno dei miei insegnanti mi mandò un messaggio vocale super serio chiedendomi di richiamarlo, ho subito pensato di aver fatto qualche cretinata delle mie. Ero al secondo anno della scuola di doppiaggio per cui credo siano i personaggi che ho doppiato peggio in assoluto, riascoltandomi mi “imparanoio”. I personaggi che doppio ora non sono di quel calibro lì, per me che faccio rap è stato  fantastico e poi South Park è il mio cartone preferito. Il direttore di doppiaggio è Walter Rivetti è colpa sua se South Park è così figo e rende bene anche in italiano rispetto all’inglese.

Cosa stai doppiando ora?

Ho doppiato una serie tv che si chiama “Bitten” che uscirà a breve in Italia, sul genere Twilight. Sto doppiando un cartone animato giapponese molto bello che si chiama “Sengogu Bazara, in questo caso il mio personaggio è un figo e dalla seconda stagione diventerà ancora più figo!

Raffaella Sbrescia

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Instore – Le date

Dal 15 gennaio Shade incontra i fan negli store delle principali città italiane: il 15 gennaio a Torino (Feltrinelli Stazione h.15.00) e a Genova (Feltrinelli via Ceccardi, h.18.30); il 16 gennaio a Milano (Mondadori Duomo h.15.00) e a Varese (Casa del Disco, Piazza Podestà h. 18.30), il 17 gennaio a Verona (Feltrinelli via Quattro Spade, h.15.00) e a Brescia (Mondadori C.C. Freccia Rossa h.18.30), il 18 gennaio a Padova (Feltrinelli via S. Francesco, h.15.00) e a Bologna (Mondadori via Massimo D’Azeglio, 34h.18.30), il 19 gennaio a Firenze (Galleria del Disco, Piazza della Stazione h.15.00) e Roma (Discoteca Laziale ,via Mamiani h.18.30); il 20 gennaio aMarcianise (Mondadori C.C. Campania, h.15.00), e a Napoli (Feltrinelli, Stazione h.18.00); il 21 gennaio a Bari (Feltrinelli via Santa Caterina h.15.00) e a Lecce(Feltrinelli via dei Templari, h.18.30)

Video: Sei rapper fossero noi feat. Fred De Palma

Alessandra Amoroso è come un fiore che sboccia in “Vivere a colori”. Intervista

Cover Vivere a Colori- Giovanni Gastel (1)

Chi è oggi Alessandra Amoroso? Una donna autentica, sicura di sé e delle proprie possibilità. Una donna felice, radiosa ed un’artista in continua evoluzione. Ad otto anni dalla vittoria di Amici e a due anni e mezzo di distanza dalla pubblicazione di “Amore Puro”, l’artista salentina torna con un nuovo album di inediti intitolato “Vivere a colori”, un lavoro maturo e ricco di importanti collaborazioni con nomi di grande spicco come Elisa Toffoli, Tiziano Ferro, Dario Faini, Roberto Casalino, Daniele Magro, Federico Zampaglione e i ritrovati Federica Camba e Daniele Coro.  «Vivere a colori racchiude un messaggio specifico: sono felice e voglio trasmettere la mia felicità. Questo album vuole trasmettere gioia, rispecchia il mio essere e le sfumature della mia personalità», ha spiegato Alessandra Amoroso ai giornalisti accorsi alla conferenza stampa di presentazione dell’album a Milano. «Sicuramente c’è un cambiamento nei testi, ho fatto un percorso di crescita. In passato le ballate mi hanno portato tanta fortuna ed ammetto che mi ci sono sempre ritrovata alla perfezione; ora abbiamo scelto un sound diverso, un ritmo con cui si potesse ballare e cantare. Ho tante cose  nascoste dentro di me, faccio fatica a raccontare la mia vita privata ma ora ho deciso di trasmettere tutta la mia positività».

In effetti  con “Vivere a colori” Alessandra ha fatto dei grossi passi avanti in termini di freschezza, dinamismo, frenando sui sentimenti struggenti  per lasciare spazio a ritmi uptempo. Dopo aver affrontato una delicata operazione alle corde vocali, la Amoroso ha anche ritrovato il suo timbro con cui confessa di aver sempre avuto un rapporto di amore-odio: «Avevo molta paura per quello che poteva succedere e per come stavano le persone a me care, fortunatamente l’intervento è andato benissimo e ora sono pronta a preservare il mio strumento con tutte le attenzioni necessarie -ha raccontato la cantante- ho anche fatto un video per rassicurare i miei fan e la mia famiglia, ho ricevuto delle critiche per questo ma volevo solo che le persone a me vicine non si preoccupassero».

Alessandra Amoroso ph Gastel

Alessandra Amoroso ph Giovanni Gastel

 Non solo un album di inediti per Alessandra che, ormai da un po’ di tempo, ha lanciato un disco in spagnolo prodotto da Josè Luis Pagan: «L’esperienza Sudamericana è stata molto positiva anche se i tempi non sono maturi per essere completamente entusiasti. Mi piace molto la lingua, l’ho imparata in poco tempo anche se preferisco parlarla piuttosto che studiarla. La cosa che mi ha colpito di più è che i sudamericano hanno voglia di conoscere me e io di conoscere loro, mi apprezzano per quello che sono, sono un popolo carnale come me, sarà per questo che li sento molto vicini», ha aggiunto.

Umile ma determinata, Alessandra ha in programma diversi appuntamenti importanti anche se ha escluso un’eventuale coinvolgimento nelle vesti di coach ad Amici: «Sono ancora molto legata alla tuta di Amici e, più in generale, non mi sento pronta per insegnare perché mi sento ancora una studentessa che ha molto da imparare». Niente Sanremo anche quest’anno: «E’ sempre uscito qualche mio lavoro in concomitanza col Festival di Sanremo, anche questa volta  è stato così ma ho preferito dedicarmi alla mia Big Family.  Quest’anno guarderò il Festival da casa però ho promesso a mia mamma di portarla!». In attesa delle due anteprime il 7 maggio al Palalottomatica di Roma e il 30 al Mediolanum Forum di Milano, godiamoci “Vivere a colori” in cui spicca “Stupendo fino a qui“, una canzone regalata ai fan su Facebook e scritta dal duo più congeniale e sulle corde di Alessandra, Federica Camba e Daniele Coro (presenti in 4 canzoni). Tra le 14 canzoni presenti in tracklist particolare attenzione la meritano anche “Comunque Andare” scritta da Elisa (Toffoli) con Alessandra, riuscito inno alla gioia, in chiave moderna,  e “La vita in un anno” scritta da Tiziano Ferro con Michael Menisci, particolarmente intensa e significativa. Freschi e accattvanti anche i brani di Daniele Magro  “Avrò cura di tutto” e “Fidati ancora di me”. Due pezzi che sposano bene lo spirito multi-sfaccettato dell’album, in equilibrio di leggerezza e profondità. Sinuosa la trama di “Nel tuo disordine”, la canzone scritta da Federico Zampaglione.  Spassose e ballabilissime “Vivere a colori” e “Il mio stato di felicità”, due gemme che completano un lavoro denso di emozioni e di energia.

Raffaella Sbrescia

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Video: Stupendo fino a qui

La tracklist di “Vivere a colori”:

“Stupendo fino a qui”

“Vivere a colori”
“La vita in un anno”
“Avrò cura di te”
“Mi porti via da me”
“Sul ciglio senza far rumore”
“L’unica cosa da fare”
“Comunque andare”
“Appartenente”
“Se il mondo ha il nostro volto”
“Nel tuo disordine”
“Fidati ancora di me”
“Non sarai mai”
“Il mio stato di felicità”

 

“The Prophecy”, Giulia Facco ed il suo jazz d’autore. L’intervista

cover disco Giulia Facco

Dall’8 Gennaio 2016 è nei negozi tradizionali, in digital download e in tutte le piattaforme streaming “The Prophecy” (Emme Records Label), il nuovo disco inedito della pianista e compositrice Giulia Facco con Mirko Cisilino (tromba), Davide Tardozzi (chitarra), Riccardo Di Vinci (contrabasso) ed Enrico Smiderle (batteria). All’interno di questo lavoro fortemente legato al jazz modale e al blues, Giulia racchiude diversi momenti del proprio vissuto ofrendo una rivisitazione personale di melodie intrise di richiami a compositori eccelsi quali Wayne Shorter, Thelonious Monk, Horace Silver ed Enrico Pieranunzi. L’obiettivo di questo progetto è quindi quello di mescolare echi tradizionali ad elementi moderni, mantenendo un’energia ritmica costante che accompagna l’ascoltatore in un viaggio sonoro decisamente personale ed evocativo.

Intervista

Perché hai scelto questo titolo per l’album?
Ho scelto “The Prophecy “ perchè è uno dei primi brani jazz che ho scritto. Ricordo di averlo scritto in un momento in cui ero molto ispirata; il pezzo è “uscito” in un flusso costante, quasi come se esistesse già da qualche parte e fosse arrivato alla mia mente

Nelle otto tracce che proponi al pubblico hai racchiuso ben 4 anni della tua vita. Quali sono gli universi sonori ed emotivi che hai inteso ricreare nelle tue composizioni?
Ho cercato di tradurre in musica delle esperienze che fanno parte del mio vissuto; dietro a ogni pezzo ci sono situazioni, paesaggi, sensazioni e persone. Mi piace ricreare dei piccoli universi sonori in cui siano presenti calore, voglia di immaginare, relax, amore per la vita e senso dell’umorismo; questi, per me, sono tra gli aspetti fondamentali dell’esistenza e, perché no, della musica stessa.

Come è avvenuta la concatenazione delle melodie e la scelta di accordi non sempre “ortodossi”?

Quando scrivo mi affido molto all’orecchio: tendenzialmente mi canto delle melodie e delle linee di basso, poi riempio le con degli accordi. In questo modo le progressioni armoniche seguono un equilibrio dettato dall’istinto.

Quanto conta per te l’istinto?
É sicuramente una qualità molto importante: direi che nella musica improvvisata è fondamentale per trovare la propria voce, inoltre la musica molto “razionale” a mio parere perde in capacità espressiva.

E l’orecchio?
É un alleato necessario!

La spiritualità?
Credo che la spiritualità sia una parte fondamentale della vita di ogni uomo e probabilmente la più trascurata. Per quanto mi riguarda, la spiritualità non centra per forza con la religione, ma è un processo interiore per trovare un equilibrio con noi stessi e con le persone e l’ambiente che ci circondano, cercando di sviluppare al massimo le nostre potenzialità; è un viaggio alla ricerca di noi stessi.

“Giuly Sun” è un pezzo molto energico. A chi e a cosa si ispira?
Ho scritto “Giuly Sun” dopo aver ascoltato un brano di Ellis Marsalis dal sapore latino. Il titolo è la deformazione di un soprannome che mi aveva dato un mio amico, Giuly San, come i guerrieri giapponesi (diceva che secondo lui ero una “guerriera”; ho scritto il pezzo in un momento in cui mi sentivo “alla riscossa”, ma, dato che il sapore del brano non è per nulla giapponese, ma per lo più cubano, ho cambiato “san” in “sun” (= sole).

La trama immaginifica di “Promenade” ci offre una nuova chiave di lettura della morte. Qual è la tua?
Mi piacciono le filosofie/religioni che dipingono la morte come il passaggio a una realtà extra corporea, a un livello superiore in cui diventiamo energia pura. Una sorta di liberazione e rinascita.

Giulia Facco

Giulia Facco

“Take Me A-Wayne” prende ispirazione da un concerto di Tom Harrel in quintetto. Cosa ci racconti di questo blues funky?
Questo blues mi è stato ispirato da alcuni pezzi che Tom Harrel aveva suonato in quel live: mi ha influenzato nell’uso dei pedali del basso e nella ritmica jazz-funk.

Quanto conta per te la figura di Miles Davis?
Miles è stato uno dei musicisti decisivi della storia del jazz, un riferimento per tutti: ho sempre amato il suo stile improvvisativo così attaccato alla melodia e agli spazi, la sua tenacia nell’affermare la sua voce e la capacità geniale nel costruire gruppi che hanno cambiavano la storia della musica, scovando sempre nuovi giovani talenti.

Enrico Pieranunzi è il soggetto della tua tesi relativa al triennio di studio in conservatorio, a lui hai anche dedicato il brano E.P.Centro. Cosa rappresenta la sua figura all’interno del tuo percorso artistico?
Enrico Pieranunzi è sicuramente uno dei musicisti più validi della scena italiana e internazionale: il suo linguaggio mescola sapientemente elementi della musica italiana, classica, del jazz tradizionale e moderno. Approfondire lo studio della sua musica mi ha sicuramente influenzato nell’approccio agli elementi melodico-armonici. Tra l’altro, uno dei miei insegnanti di piano, Stefano Onorati, è stato un suo allievo.

“Out Of The Comfort Zone” è una suite di due brani, una ballad e un fast, collegati da un pedale funk e da un solo di batteria; una composizione audace e intraprendente. Potremmo considerarla il punto di partenza per il prossimo lavoro?

Sicuramente trovo molto stimolante scrivere in forma di suite perché permette di collegare momenti sonori apparentemente molto distanti tra di loro, quindi da questo punto di vista, sì, può essere un punto di partenza per il prossimo lavoro.

Come hai lavorato con Mirko Cisilino (tromba), Davide Tardozzi (chitarra), Riccardo Di Vinci (contrabasso) ed Enrico Smiderle (batteria)?
É stato molto stimolante: sono degli ottimi musicisti e si è creato da subito un clima di collaborazione e rispetto reciproco. Credo ci sia un buon equilibrio tra le personalità musicali di tutti e questo è davvero importante.

Dove e quando potremo ascoltarti dal vivo?
Col quintetto ci esibiremo il 3 febbraio all’hostaria da Filo a Venezia e il 4 febbraio al ristorante Vegetiamoci di Padova.

Raffaella Sbrescia

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Mama Marjas racconta la sua fame di musica. L’intervista

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Mama Marjias torna sulle scene musicali italiane con “Mama”, un concept album di 12 tracce, promosso con il sostegno di “PUGLIA SOUNDS RECORD 2015 - REGIONE PUGLIA “, di cui l’artista è autrice sia delle musiche che dei testi. Giunto a tre anni di distanza dal precedente lavoro, “Mama” fonde al suo interno atmosfere latinoamericane e ritmi caraibici e afroamericani insieme alla lingua italiana. Una sfida sicuramente impervia eppure brillantemente superata per Mama, ormai considerata  punto di riferimento nella cultura musicale underground. Abbiamo avuto il piacere di poterle fare un pò di domande, principalmente incentrate su questo nuovo album. Ecco cosa ci ha raccontato.

Intervista

“Mama” è un omaggio alle musiche del mondo. Un viaggio in cui la tua voce ci accompagna in Giamaica, ma anche in America latina, con canzoni invase dai ritmi della cumbia e della rumba. Raccontaci il centro, l’origine e la destinazione di questo percorso.

Il centro è la mia crescita artistica e la mia “fame di musica”. Sentivo di dover assecondare la mia volontà di affrontare tutti i generi che mi accompagnano da sempre , che mi fanno vibrare. L’origine è stata l’istallazione di Logic sul mio pc! (ride ndr).  Nei miei 3 dischi precedenti ho sempre scritto su musiche non prodotte e pensate da me, mentre in questo ho “buttato su progetto” ogni mia idea, ogni mio desiderio musicale, anche perché sono un tipo di artista molto ispirata: ho bisogno del momento giusto per farmi venire un’idea e, quando all ’improvviso arriva, scappo al pc per imprimerla. La destinazione ancora non la conosco….seguirò come sempre la corrente delle buone vibrazioni!

Quale ruolo esercita nella tua musica “Mama Africa”?

Mama Africa con la sua triste storia di schiavitù ha portato la sua cultura e i suoi colori nel mondo, contaminandone la musica e le tradizioni. Nel Mondo, già dai tempi della comparsa dei primi ominidi, tutto è nato dall’africa subsahriana e il mondo non è che una grande MAMA per come la vedo io.

Sei autrice sia delle musiche che dei testi. Perché hai scelto l’italiano e quali sono i messaggi che intendi sottoporre all’attenzione del pubblico?

Ho scelto l’italiano anche un po’ per sfida, quella di far scorrere le parole sulla musica come se non fosse italiano, come se fosse inglese o spagnolo o francese e dimostrare il legame tra tutte le musiche del mondo, compresa la nostra Italia e la sua “scuola di melodia”. Il groove è una componente importante nella mia musica, amo intrattenere e far star bene il pubblico ma altrettanto importante è dare dei messaggi che siano quelli giusti. In questo disco lotto contro l’individualismo e il qualunquismo, per tornare ai veri valori di tempi in cui prima di giudicare una persona o di dire che “sei suo amico” la guardavi negli occhi, in cui la gente si conosceva di persona, in cui c’era maggior rispetto per le professioni altrui. Lotto contro il razzismo, perché ognuno è libero di vivere dove vuole nel mondo e lotto per la libertà di essere se stessi in ogni luogo indipendentemente da sesso, etnia, colore e/o religione, siamo tutti fratelli e figli di MAMA.

Hai dichiarato di voler portare in Italia generi musicali meno conosciuti come con la Soca di Trinidad il Dembow della Repubblica Dominicana. Ci parleresti delle caratteristiche e delle origini di questo tipo di sonorità?

Si tratta di musica urbana, popolare, è la musica del popolo piena di energia e spensieratezza ed unisce la gente grazie a messaggi di aggregazione e rispetto nel nome del divertimento collettivo.

In molti ti definiscono la “regina del reggae italiano”. Come vivi la cosa?

La vivo benissimo, perché dovrei vivermela diversamente? Sono chiaramente onorata di tale riconoscimento ho lavorato tantissimo per arrivare a questo. Non è semplice essere donna e fare musica “da maschi col vocione”. E’ per questo che nel 2009 davanti a Marjas misi Mama: mi piaceva l’idea di diventare il punto di riferimento femminile nel genere vista la gavetta e la quantità di dancehall che ho visto e alla quale ho partecipato alla pari con i miei colleghi maschi in Italia in lungo e largo dal 2004 al 2009.

Che rapporto hai con i 99 Posse?

Un fantastico rapporto di rispetto e amicizia vera. Siamo stati come fratelli dal primo momento, loro per me sono stati tra i tanti maestri e ora è un onore per me far parte della loro famiglia e essere “la loro sorellina” come mi dice sempre Luca Zulu’. E’ importante far divertire la gente per evadere dalla realtà almeno a un party ma è fondamentale comunicare e dare i giusti messaggi.

In che senso “Mai” è un atto di amore per la tua terra?

Lo è semplicemente perché amo ogni ulivo, ogni conca, ogni grotta della mia regione e mai me ne scorderò. La consapevolezza e il radicamento sono valori importanti, specie oggi: il Sud Italia vive una condizione drammatica e c’è bisogno di noi giovani per ostacolare chi vuole ammazzarci e contaminarci il territorio…casa nostra!

Mama Marjas

Mama Marjas

“La gente” ha riscosso un entusiasmante riscontro da parte del pubblico. Ci racconti come è nato questo brano e cosa racchiude al suo interno?

E’ nato nel giorno in cui ero a Firenze a lavorare su “Poco Poco” con Arge (numa crew), finito il riddim per il brano, mi ha fatto ascoltare delle sue produzioni “libere” e appena ho ascoltato quella che sarebbe diventata “La gente”, ho intonato il ritornello e scritto di getto le strofe. Al suo interno c’è il Messico, un po’ di Cuba ma anche molto Peru,Cile e Sud America. La canzone racchiude la rabbia di non poter cambiare le sorti della nostra società che sembra si rovini lentamente e inesorabilmente con le sue stesse mani e armi. E’ una canzone di rassegnazione, ma anche di lotta e speranza… “El frio que me hacen sentir nunca deja mi mission de decir”.

Con “Mare” riscrivi un classico della musica italiana “Se puoi uscire una domenica sola con me” portata al successo da Gianni Morandi…

Anche questa è nata per caso: Niam (produttore e batterista dei Dot Vibes) mi ha mandato una cartella di riddim per un suo progetto, tra i vari riddim appena è partito quello che sarebbe diventato quello di “Mare” ho iniziato istintivamente a cantare la strofa di Morandi. La prima melodia che ti viene su un riddim è sacra, è sicuramente quella giusta e lo so per esperienza, quindi ho deciso di sceglierla facendola però un po’ più “Mama Marjas”. Ho invertito i ruoli: in questa versione è la donna che va a prendere il suo lui sotto casa troppo impegnato tra calcio, amici e la pasta al forno della mamma: triste specchio della società attuale!

“Poco poco” decanta la possibilità di vivere con poco. Un messaggio in controtendenza rispetto ai nostri usi e costumi…

Rispetto a quelli declamati dagli ultimi modelli musicali e televisivi sicuramente! Io sono una donna del sud cresciuta sudandosi i soldi quindi mi sento in dovere di mandare un tipo di messaggio del genere guardando come sta diventando materialista e consumista la nostra società. La bellezza e “lo swag” lo fai tu con il tuo stile e la tua personalità, non lo fanno i soldi che spendi in una marca.

In “Dicono” ti sei ispirata ai tuttologi che affollano le timeline dei social network italiani?

Assolutamente! Ho scritto tutto quello che i tuttologi dei giorni nostri mi hanno scritto nel corso di questi anni, le ho messe insieme e ne è uscito un bel rock and roll! Menomale che c’è la musica! Ormai il network ha dato libertà di parola a tutti….ma proprio a tutti purtroppo.

Dove e quando potremo ascoltarti dal vivo?

Sarò in giro con il nuovo live dal 19 dicembre a Cassano Murge per continuare con 27 e 28 in giro per il sud a presentare il nuovo show a Bari, Taranto e in provincia di Benevento per le altre date ci sono i siti internet: www.mamamarjas.com, www.loveuniversityrecords.it  e chiaramente le pagine Facebook.

Stai organizzando un tour? Che idee hai a riguardo? Andrai anche all’estero?

Sarà un live-set carico di musica e tanto ritmo all’insegna della Negritude! Spero anche di fare un giro all’estero, il mondo è il mio pubblico. One Love… e Bless the Ladies!

Raffaella Sbrescia

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Questa la tracklist di “MAMA” (distribuzione digitale Believe Digital/distribuzione fisica Self): “MAMA intro”“Mai”“La Gente”“Più Guardo Lei”“Come Dimenticare”“Mare”“Chi Sei”“Alla Fine”“Tiene Tumbao”“Poco Poco”;“Il Pollo”“Dicono”

Video: Poco Poco

Tony Hadley presenta “The Christmas Album”: tra grandi classici e due inediti. L’intervista

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Il Natale è alle porte e, come ogni anno, fioccano progetti discografici dedicati alla ricorrenza più attesa. Questa volta il disco perfetto è The Christmas Album, il nuovo album solista del frontman degli Spandau Ballet, Tony Hadley. Registrato e prodotto interamente in Italia su etichetta Universal Music,  l’ album, prodotto da Claudio Guidetti,  ripropone i migliori classici di Natale e due inediti rispettivamente intitolati Every Seconds I’m Away, scritto da Tony Hadley  insieme allo stesso Claudio Guidetti e la nostra Annalisa ScarroneSnowing all over the World, interamente scritta da Hadley in persona. Con un totale di ben sedici tracce, Tony spazia tra con disinvoltura tra grandi classici natalizi e inaspettate chicche musicali inserite qua e là. Si va dalla riuscitissima Fairy Tale of New York , cantata insieme a Nina Zilli, per un inedito duetto folk in chiave irish a Have yourself a Merry Little Christmas, passando per Shake Up Christmas dei Train, Lonely This Christmas dei Mud, Run Rudolph Run di Chuck Berry, Driving Home for Christmas di Chris Rea la hit degli N’sync, I don’t want to spend one more Christmas without you, Somewhere only we know dei  Keane per arrivare a I Believe in Father Christmas di Greg Lake con la speciale partecipazione di Aldo Tagliapietra de Le Orme. Abbiamo incontrato Tony negli uffici della Universal Music a Milano, ecco cosa ci ha raccontato.

Intervista

Come è nata l’idea di realizzare un disco dedicato al Natale?
Si tratta di un’idea che mi ha sempre affascinato e, quando Claudio Guidetti me l’ha proposto, ho subito accettato pensando a qualcosa di non convenzionale. Ho scelto tanti classici della tradizione natalizia ma li abbiamo riarrangiati a modo nostro. Il risultato che abbiamo raggiunto mi piace molto, riesce a creare un’atmosfera magica. L’aspetto più interessante e controverso riguarda proprio i testi di queste canzoni: se ci si sofferma sulle parole è incredibile scoprire che alcuni di essi sono molto tristi.

Come hai lavorato con Claudio Guidetti?

Collaborare con Claudio è stato facile ed estremamente  piacevole. Lui è un professionista capace e multitasking,  riesce a passare dalla chitarra al piano, ama le belle melodie ed è un ottimo arrangiatore.

Di cosa parla Snowing all over the World?

Quando ho scritto questo brano mi sono sorpreso a pensare che a 55 anni ancora mi piace il Natale! Lo adoro come se fossi un bambino! La più piccola dei miei figli ha nove anni e ama il Natale, come del resto tutti i bambini, questa è una cosa a cui dovremmo pensare più spesso.

E Every Seconds I’m Away ? 
Per quanto riguarda Every Seconds I’m Away ho pensato che spesso sono via per lavoro, proprio in quei momenti ripenso all’importanza che ha per me la mia famiglia.

Come mai manca una nuova versione di Do They Know It’s Christmas?

Direi che quattro versioni di questa canzone siano già abbastanza! (ride ndr)

Quali sono i brani che preferisci tra quelli presenti nella tracklist dell’ album?
Sicuramente Have Yourself A Merry Little Christmas. La più difficile da interpretare è stata invece Ave Maria. Ne ho sentite moltissime versioni prima di incidere la mia. Devo ringraziare le lezioni di canto classico che ho preso per anni quando ero giovane, vista la struttura complicata del brano. Sono soddisfatto del risultato che abbiamo raggiunto perché siamo riusciti a dare al brano anche un’anima elettronica oltre a quella più classica.

Quali accorgimenti adotti per mantenere intatta la tua voce?
Beh, sono molto fortunato ma ho anche smesso di fumare molto tempo fa! Riesco ancora a fare quattro o cinque concerti consecutivi senza problemi. Questa cosa mi rende particolarmente felice perché questo lavoro è troppo bello per pensare di dirgli addio! Non smetterò mai!

Ti aspettano cinque live italiani. Che tipo di concerto proporrai al pubblico?

Canterò sia pezzi degli Spandau Ballet sia quelli che ho scritto e prodotto come solista. Ovviamente ci sarà anche qualche canzone tratta dal mio album natalizio. Per l’anno prossimo mi piacerebbe  fare  un tour di Natale e portare in giro le canzoni di The Christmas Album.

Come ti spieghi il grande amore che il pubblico italiano ti riserva ormai da anni?

 Il popolo italiano è molto musicale e melodico, caldo e amorevole. Forse per questo le sonorità molto dolci, classiche e melodiche degli Spandau Ballet gli sono sempre piaciute. A prescindere da questo discorso anche io amo questo paese, se non fosse per la mia povera linea!

Come va con gli Spandau Ballet?

Visto che la band lavora ogni due tre anni, ogni tanto mi dedico ai miei progetti. Tra tutti spicca l’idea di un mio album di inediti che farò uscire in primavera.  Lo spunto è nato quando mi è capitato di ripensare al primo periodo degli Spandau, quello dance, quando eravamo ancora molto legati ai club. Quella è la versione che mi piace di più e un po’ di quello ci sarà nel prossimo mio disco. Ci ho lavorato per anni: ci lavoravo e poi dovevo partire per i tour, poi tornavo e continuavo a lavorarci. Un po’ di pezzi di ho scritti assieme a Claudio Guidetti anche se il disco verrà registrato  nel Regno Unito.

Come mai hai deciso di partecipare al reality I’m A Celebrity?

L’industria è cambiata molto negli ultimi anni. Sono andato nella casa discografica inglese e mi hanno detto che non stampavano nemmeno più i cd, è tutto in streaming. Bisogna trovare modi diversi per farsi notare, bisogna stare al passo, inventarsene sempre di nuove per essere in tv. So che la mia partecipazione al reality ha destato molte polemiche ma per me è stato fantastico vivere nella giungla, è stato come un ritorno alle origini: via i cellulari, niente caffè, niente zucchero, niente pizza… Ho perso un bel po’ di chili, niente male!

Come affronti dopo decenni la rivalità con i Duran Duran?

Trovo strano che ci siano persone ancora convinte del fatto che fossimo rivali! Siamo amici, quest’anno eravamo a Barcellona tutti assieme, John Taylor è anche venuto in America a vedere la prima del nostro film. Magari un giorno potrebbe addirittura esserci un concerto “Duran Spandau”, mai dire mai!

Come sarà il tuo Natale?
Mi piace l’atmosfera e il senso di comunità che si respira, specialmente la mattina di Natale quando vado a messa. Non sono cattolico praticante, mi considero agnostico, ma ci vado perché è bello. In Inghilterra purtroppo c’è ormai un materialismo dilagante ed è anche per questo ho appena detto a mia moglie di non comprare niente; ho una splendida carriera e una bella famiglia, cosa posso volere di più? Vorrei che ci fosse più raccoglimento.

 Raffaella Sbrescia

Video: Have Yourself A Merry Little Christmas

Damien McFly racconta i suoi “Parallel Mirrors”: musica genuina per sognatori puri

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“Parallel Mirrors” è il titolo del nuovo album di Damiano Ferrari, in arte Damien McFly. Pubblicato lo scorso 15 ottobre per l’etichetta Ferrari Records, il disco racconta di quanto tutte le nostre vite siano simili, di come per anni con persone ci si specchi costantemente senza mai incontrarsi davvero. Siamo tutti specchi paralleli e cerchiamo un po’ di noi stessi negli altri. Attraverso un suggestivo sound ottenuto registrando i brani all’interno di storiche ville e teatri veneti, ricercando ispirazione nelle diverse sonorità degli ambienti antichi, Damien ha realizzato un lavoro di grande qualità e forte spessore contenutistico. Ecco cosa ci ha raccontato questo artista dall’animo profondo e dalla voce che scalda il cuore.

Siamo davvero tutti specchi paralleli degli altri?
Siamo specchi paralleli rispetto alle persone che conosciamo nella nostra vita. É inevitabile, nel momento in cui c’è uno scambio a livello verbale o anche solo emotivo con qualcuno, avviene una riflessione delle nostre personalità dalla quale si prende il meglio dell’altro.

New Start “racconta di un riavvicinamento con una nuova consapevolezza. Una storia in controtendenza rispetto ai costumi dei tempi che corrono…

Al giorno d’oggi la maggior parte delle relazioni corrono velocemente, in modo particolare per quanto riguarda i più giovani. Chiusa una porta si cerca sempre di aprirne una nuova ed in molti casi è la soluzione migliore, questo non è stato il mio caso. “New Start” è un invito a non abbandonare quello che si è fatto, ma a provare a sistemare le cose senza paura.

Parlaci della costruzione del tuo suono, di come lavori per creare gli arrangiamenti, di come scegli di vestire le canzoni. Il metodo, le suggestioni, le tecniche, le abitudini…

Scrivo molto spesso parole quando sono in tour. In treno, bus o in aereo, dovunque abbia il tempo di mettermi a riflettere su quello che mi sta accadendo. Quando viaggi le emozioni sono amplificate e ogni persona che incontri ti lascia qualcosa dentro. Ogni volta in cui prendo la chitarra in mano cerco di buttare giù qualche giro di accordi o arpeggio interessante. Parto sempre con la chitarra solitamente. Spesso ci sento già un paio di strumenti sopra e li aggiungo, da lì poi costruisco una linea melodica e il resto dell’arrangiamento.

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“Parallel Mirrors” è stato registrato all’interno di storiche ville e teatri veneti, ricercando ispirazione nelle diverse sonorità degli ambienti antichi… ci racconti le fasi di questo processo creativo?

Non ritrovandomi molto nel sound italiano e non avendo ancora a disposizione un budget tale da poter lavorare con produttori stranieri ho pensato di creare un mio sound da solo utilizzando tutti strumenti acustici ho pensato di valorizzarli facendoli risuonare in ambienti particolari, da ville e teatri a ristoranti o capannoni. Ho spostato la mia attrezzatura di location in location e ogni canzone racconta ora una sua storia anche a livello di registrazione oltre che di puro sound.

Suoni tanto e in posti anche molto diversi tra loro. Tra le location più frequenti c’è il Nord Europa. Cosa ti lega a questi luoghi e come ti approcci al pubblico che vi incontri di volta in volta?

Mi ritrovo molto nei luoghi e nelle abitudini nordiche tranne per il costante freddo. Non è facile capire chi si ha davanti per questo solitamente uso qualche pezzo come test per vedere le reazioni. Spesso le durate dei concerti variano e intrattenere un pubblico per due ore non è sempre semplice. La cosa a cui tengo è che chi mi ascolta deve riuscire a conoscermi attraverso la musica, non solo a capire se sono bravo o meno. In UK il folk si muove in ogni pub e la competizione è molta, ma l’impressione che si ha è che tutti siano disposti ad aiutarsi, a voler darsi spazio l’un l’altro, perché valgono più le storie che si raccontano rispetto al voler arrivare da qualche parte.

In questo album racconti molto di te stesso, della tua personalità e della tua vita in generale. Perché hai scelto di esporti così tanto e così a fondo?
Credo la risposta stia nel fatto che non mi fa paura mettere a nudo me stesso o quello che ho fatto in questi anni. La musica che scrivo voglio sia sempre il più genuina possibile senza dover affrontare temi particolari solo per far notizia o per scrivere più facilmente.

Quali sono i brani a cui tieni di più e perché?

Tengo molto a “The Taste Of Rain” e a “Reflection”. La prima perchè parla di come ho affrontato gli ultimi anni, di determinazione, di colpe e della voglia di vivere il presente appieno. “Reflection” invece è il brano che fa da collante tra i primi pezzi scritti e gli ultimi. Parla di un linguaggio universale che va oltre le parole e si muove attraverso le emozioni. Dal titolo di questo brano sono poi arrivato a dare il nome all’album.

Cosa o chi ispira la tua musica e le tue canzoni?
Molto spesso sono le cose che mi accadono, dal ricevere una mail toccante al rompere una relazione o a riprenderla in mano. Cerco sempre di scavare a fondo per non essere scontato o finto.

Hai mai pensato di mettere la tua penna al servizio di altri artisti?
Ci ho pensato e l’ho fatto. Mi viene facile scrivere musica e arrangiamenti ma per un testo cerco sempre di confrontarmi con chi ho davanti, un po’ come funziona in America dove i songwriters incontrano l’artista e assieme creano i brani.

Hai aggiunto “Take me back” al disco dopo il tour europeo come mai? Di cosa parla questo brano?

Stavo attraversando un momento difficile in una relazione. Mancava il brivido che si aveva appena la storia era partita. “Take me back” significa “riportami indietro a quando tutto sembrava sbagliato, perché ora siamo intrappolato nelle abitudini.”

Damien McFly

Damien McFly

Che rapporto hai con il tempo?
Assente, nel senso che mi sembra non bastare mai. Odio sprecarlo e cerco sempre di organizzare gli impegni in modo fiscalissimo. Mi ripeto costantemente che la vita è una e non vale la pena sprecarne una grossa parte a valutare troppo ogni singola scelta.

E con i social network?

I social sono una fortuna per i nuovi artisti, ma più uso Facebook più mi accorgo che pur di diventare virali o di avere likes si perdono i contenuti. Suoni per 1000 likes o perché ne senti la necessità? Appena mi sono accorto che mi stavano rubando molto tempo ho deciso di concentrarmi più sul fare le cose alla vecchia maniera, suonando il più possibile e viaggiando costantemente.

Hai scritto ”Reflection” dopo aver ricevuto una mail dal North Carolina dove una ragazza raccontava la storia di bullismo che stava vivendo. Ci racconti come è andata ?
Questa ragazza americana, dopo aver visto un mio video cover, mi ha scritto subito invitandomi a suonare in North Carolina, ad un raduno contro il bullismo. La cosa che mi ha colpito è stato il modo in cui si apriva con me, pur conoscendo solo la mia voce e poco più. Mi è arrivata dentro come poche persone hanno saputo fare. Grazie a questa cosa ho capito che c’è un linguaggio fatto non di parole ma di emozioni e sensazioni, un linguaggio che viene dalla nostra anima e non dalla mente.

Il tema del lavoro è sicuramente uno dei più delicati al momento. Quali sono le tue idee a riguardo e come pensi che si possa uscire dalla situazione di stallo in cui ci troviamo, soprattutto in Italia?
Questo è il momento perfetto per creare una carriera o per provare a seguire i propri desideri. Il modo migliore è rimboccarsi le maniche e accendere la propria mente. Bisogna mettersi in gioco e reinventarsi perché è troppo facile ricercare in maniera quasi passiva un lavoro che ci dia solo da mangiare. Sicuramente da lì si può partire ma, ora come ora, bisogna investire il proprio tempo in qualcosa che possa dare anche soddisfazioni.

“The taste of Rain” è uno dei brani più suggestivi del disco… ci parli del testo e delle emozioni che ne hanno determinato la scrittura?
Il testo è molto introspettivo. Parla delle scelte che ho dovuto fare per arrivare ad essere chi sono, ovvero una persona che sta seguendo i suoi sogni ogni giorno. Ho perso amici per colpa delle corde della mia chitarra, che sono la cosa più importante.
L’ho scritta lo scorso autunno, mentre viaggiavo nella mia auto sotto una pioggia intensa.

Dove e quando potremo ascoltarti dal vivo?
Fino a fine anno farò alcuni concerti nel mio Veneto per poi tornare in Francia e Belgio a gennaio. Spero di riuscire a fare un bel tour italiano nei primi mesi del 2016.

Che tipo di concerto è il tuo? Cosa intendi comunicare al pubblico e cosa metteresti nella tua scaletta ideale?
Il mio è un concerto in cui cerco di far divertire il pubblico, allo stesso tempo di fargli conoscere chi sono raccontando le canzoni e le storie che ci sono dietro. Nella mia scaletta ideale al momento metto ancora alcune cover, la finalità è invogliare il pubblico ad ascoltare tutti i miei pezzi.

Raffaella Sbrescia

Giusy Ferreri presenta Hits: una raccolta per ripartire con nuovo slancio e tre ottimi inediti.L’intervista

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Esce oggi per Sony Music “Hits”, il best of che raggruppa i successi di Giusy Ferreri e li unisce a 3 brani inediti, a partire dal singolo “Volevo te”. La raccolta rappresenta una buona occasione per apprezzare alcune buone produzioni del repertorio dell’artista che, dal 2008 ad oggi, si è sempre messa in gioco con audacia ed intraprendenza mantenendo intatta una coerenza di fondo.  Sulla scia del clamoroso successo riscontrato Roma-Bangkok, in duetto con Baby K, Giusy Ferreri ritrova l’entusiasmo e, dopo averlo dimostrato nei nuovi brani, lo ha ribadito anche a parole durante l’ intervista rilasciata negli uffici della Sony a Milano.

Come mai hai scelto di pubblicare un greatest hits e non un album con soli inediti? 
La scorsa primavera stavo iniziando a lavorare all’album di inediti, poi il grande successo di Roma-Bangkok ha preso il sopravvento e ho preferito fare un punto della situazione su ciò che era successo fino ad allora, ho pensato che questo potesse essere il momento migliore per ripercorrere tutta la mia carriera, per me è stata una fortissima spinta emotiva e siamo stati tutti d’accordo nel voler portare avanti questo tipo di progetto.

Questa raccolta potrebbe essere considerata come un modo per riaffermarti?

Sempre partendo dalla grande gratificazione data dal successo di “Roma- Bangkok”, ho ritrovato un fortissimo entusiasmo e una grande voglia di apertura nell’affrontare questo percorso, un pò come quando lavorai con Ferro e Canova. All’epoca avevo voglia di confronto e di lavorare in team. Mi avevano proiettato in una dimensione pop d’avanguardia e quest’estate ho ritrovato quel tipo di spirito, ho pensato a quanto sono stata fortunata in questi anni ad aver provato diverse esperienze confrontandomi con  diversi produttori: Corrado Rustici, Marco Trentacoste e, in quest’ultimo periodo Fabrizio Ferraguzzo, con cui sto lavorando all’album di inediti. Con lui abbiamo trovato una formula pop con ritmiche incalzanti immaginando degli spettacoli live che potessero essere molto energici. Ho voluto conoscere giovani autori, ma soprattutto Fortunato Zampaglione, autore di “Volevo te”, a questo proposito avevo le idee piuttosto chiare: pensavo proprio di presentarmi al pubblico con un brano che potesse rappresentare l’evoluzione di “Novembre”, un brano malinconico con sfumature anni ’80.

Con quale criterio hai scelto i brani inseriti in questa raccolta?

Siccome era molto difficile realizzare questo tipo di scaletta e i brani del passato dovevano essere 17, ho preferito avvalermi dell’esperienza della direzione artistica che mi ha affiancato in tutti questi anni. Sono felice che siano riaffiorate alcune canzoni che in questo nuovo contesto hanno la possibilità di essere valorizzate. Probabilmente ne manca ancora qualcuna ma rischiavamo di togliere coerenza al progetto. In questo senso  un brano come “Rossi papaveri” ha preso il sopravvento su “ La bevanda ha un retrogusto amaro” che, sebbene affronti sempre una tematica sociale, risulta più aggressiva rispetto alla stessa “Rossi papaveri” che, pur affrontando un argomento delicato, risulta un inno alla vita.

Ci parli degli altri due inediti?

Daniele Magro in “Come un’ora fa” è riuscito a racchiudere nelle strofe una modernità vicina al mondo hip hop. Come? Svelando nell’apertura degli incisi sonorità più fedeli alla malinconia di una “Non ti scordar mai di me”. Poi, visto che ho adorato il coinvolgente ritmo reggaeton di “Roma-Bangkok”, mi sono innamorata subito di “Prometto di sbagliare”: mi piace tanto il testo, mi rappresenta tantissimo per l’approccio che ho sia in campo musicale che nei rapporti umani in generale.

Com’è arrivata “Roma Bangkok”?

Ero in studio di registrazione, stavo provinando alcuni brani poi è arrivata questa proposta di duetto con Babi K che conoscevo già soprattutto perché anche lei ha lavorato con Ferro e Canova.  L’avevo seguita anche sui canali tv dove intervistava i cantanti in qualità di veejay per cui mi sono subito esaltata pensando alla sua personalità e originalità.  Il brano mi è parso subito semplice, orecchiabile , coinvolgente, mi ha ricondotto alla spensieratezza di una mia canzone come “Il Party”, ho pensato istintivamente che potesse riscontrare dei risultati importanti.

Quale sarà il filo conduttore del tuo nuovo album?

Il filo conduttore sarà l’idea di avanguardia e modernità. Con “Roma Bangkok” mi sono affacciata ad una nuova dimensione. I lavori sul nuovo disco sono già iniziati nei mesi scorsi, mi sono confrontata con giovani autori: durante alcune sessioni abbiamo provato a scrivere insieme, in altre mi sono limitata ad ascoltare il loro repertorio. In altre ancora qualcuno aveva scritto pensando a me senza conoscermi direttamente. Poi dal confronto reale sono nati brani che mi hanno stupito perché hanno carpito cose della mia personalità che forse io avrei messo in musica in maniera meno efficace. Sono già innamorata di alcune canzoni realizzate.

C’è qualcosa di cui ti sei pentita in questi anni o che rifaresti in modo diverso?
Mi sono tolta la soddisfazione di realizzare tutto quel che volevo e sicuramente ripercorrerei nello stesso modo ogni cosa.

Giusy Ferreri

Giusy Ferreri

Che rapporto hai con i fan?

Per quanto riguarda l’uso dei social mi sto aggiornando, sto cercando di introdurmi in questo nuovo modo di comunicare ma in generale mi piace il confronto diretto con i fan, ritengo che sia molto gratificante nei confronti di persone che mi danno tanto affetto e sostegno. A volte ci scambiamo delle telefonate, ci scriviamo su Whatsapp, ci aggiorniamo a vicenda, abbiamo un reale rapporto d’amicizia.

Com’è nata l’idea della copertina del disco?

In questi anni mi sono sempre divertita a giocare molto con la mia immagine. Ad un certo punto ho sentito di aver completato un certo di manifestazioni, ho pensato alla mia età e ho voluto mostrarmi in una veste più elegante. La rosa rimanda sia alla mia sensualità che ai tratti più spigolosi della mia personalità.

Che consiglio daresti ai giovani di oggi?

Quello che avrei dato a me stessa, ovvero vivere le esperienze con una mentalità predisposta al confronto e all’apertura. La voglia di potersi scoprire anche sotto aspetti differenti e di non prenderli come allontanamenti dalla  propria personalità se non come una ulteriore sfaccettatura che appartiene comunque alla propria personalità . Ricordo che “Il party” era frutto di 3 anni  di lavoro in cui stavo provando a confrontarmi con varie case discografiche. La mia scrittura era introspettiva e con un certo peso, poi ho avuto l’idea di racchiudere tutte le tematiche che amavo affrontare all’interno di un brano più frivolo ed eccola là: la formula magica. Fu la mia prima vera occasione anche se i consensi non furono così importanti. L’apertura più grande è arrivata con X Factor è da lì che sono arrivate man mano grandissime opportunità. Mi sono riscoperta e ho capito che si stava aprendo un mondo nuovo.

Raffaella Sbrescia

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Hits – Tracklist

Volevo te (inedito)

Come un’ora fa (inedito)

Prometto di sbagliare (inedito)

Roma-Bangkok – Baby K feat. Giusy Ferreri

Non ti scordar mai di me

Novembre

Il mare immenso

Ma il cielo è sempre più blu

La scala (The ladder)

Ti porto a cena con me

Piccoli dettagli

Stai fermo lì

Noi brave ragazze

L’amore e basta feat. Tiziano Ferro

Cuore assente (The la la song)

Aria di vita

Rossi papaveri

Nessuno come te mi sa svegliare

Il mare verticale

Il party

Intervista ai Quintorigo: dopo la trilogia dedicata a Mingus, Hendrix e Zappa arriva un album di inediti

Quintorigo

Quintorigo

I Quintorigo rappresentano una delle realtà musicali italiane più complete e versatili. Valentino Bianchi  (Sax ), Andrea Costa  (Violino),  Gionata Costa (Violoncello) e Stefano Ricci (Contrabbasso) sono quattro musicisti romagnoli che da sempre si muovono lungo tre cardini principali: eclettismo, contaminazione, sperimentazione. Alla luce del loro percorso artistico costellato di cross over tra generi musicali ed influenze, abbiamo intervistato Valentino Bianchi per lasciargli raccontare l’evoluzione della trilogia di lavori rispettivamente dedicati a Mingus, Hendrix e Zappa e per conoscere quali saranno le novità che riguarderanno il prossimo album di inediti del gruppo.

A proposito della trilogia che avete completato, parliamo anche del fatto che vi ispirate a musicisti che hanno detto cose importanti non solo dal punto di vista musicale ma anche da quello politico ed ideologico.

Ad oggi ci ritroviamo ad aver pubblicato una trilogia che non era stata concepita a tavolino. Abbiamo cominciato a lavorare con Mingus, un autore estremamente stimolante da riarrangiare e reinterpetare, successivamente abbiamo pubblicato un disco di inediti che si chiamava “English Garden” poi ancora abbiamo deciso di dedicarci ad Hendrix,  unanimemente ritenuto da tutti noi uno degli autori più importanti della musica del secolo scorso, colui che ha maggiormente segnato a livello chitarristico, ma anche in generale, il costume della fine degli anni ’60. L’ultimo lavoro su Zappa, che stiamo per altro promuovendo maggiormente al momento, è nato da una proposta di Roberto Gatto alla quale non abbiamo potuto dire di no, sia perché Zappa incarna perfettamente la figura del musicista sperimentale, eclettico, contaminato (tutti elementi che nel nostro piccolo abbiamo sempre ricercato) sia perché Roberto Gatto è un artista con cui ci è sempre piaciuto collaborare e che ci ha sempre dato tanto, non solo in termini di ritmo, ma proprio in generale. Naturalmente si tratta di musicisti che hanno veicolato idee tendenzialmente positive e molto attuali. Mi riferisco al rifiuto delle discriminazioni razziali molto evidente in Mingus ma presente anche nell’opera di Hendrix. L’altro tema chiave è il pacifismo, minimo comune denominatore di tutti e tre, inteso come contestazione della politica aggressiva e di guerra, un messaggio che evidentemente non è stato recepito.  Vista la situazione attuale, riproporre le loro idee e la loro musica può farci solo del bene.

Avete mai pensato di proporre al pubblico un concerto che in qualche modo potesse racchiudere il meglio di questi tre progetti?

Certo,  lo scorso anno ci è già capitato di fare un concerto di questo tipo durante il quale ci siamo avvalsi della collaborazione di un’orchestra sinfonica. Vorremmo adattare gli arrangiamenti al nostro organico e proporli al pubblico. Mingus, Hendrix e Zappa sono musicisti diversi tra loro ma possono stare bene assieme, soprattutto se colorati dai nostri timbri e dal nostro modo di suonare. Stiamo pensando alla possibilità di presentare un live del genere durante la tre giorni di concerti che terremo a Roma a gennaio 2016; dobbiamo capire come organizzarlo anche dal punto di vista scenografico, ci piace curare anche l’aspetto visual del progetto, sarà il battesimo della trilogia e cercheremo di coinvolgere e divertire il pubblico il più possibile.

Quintorigo

Quintorigo

Alla luce di questo lungo percorso di ricerca che avete affrontato. Che tipo di discorso state portando avanti per il nuovo album?

Sarà sicuramente un disco di brani inediti anche perché i nostri “pochi” fans se lo aspettano e non vogliamo certo deluderli.  Per un musicista che reinterpreta un autore o che semplicemente si diverte ad ascoltare un disco di un grande autore, è inevitabile che la musica di questi si sedimenti, più o meno consapevolmente e che di conseguenza possa caratterizzare  in qualche modo la propria musica originale. Nel caso dei  mostri sacri che abbiamo reinterpretato, ciascuno di loro, sulla scorta di uno studio approfondito e filologico, ci ha regalato qualcosa: la tendenza all’improvvisazione libera e folle di Mingus, la straordinaria chiarezza di alcuni brani di Hendrix così come l’approccio sperimentale e contaminato di Zappa, sono caratteristiche che, qualora non le avessimo innate, ora le abbiamo sicuramente mutuate. In questa fase di scrittura ci stiamo rendendo conto che spesso salta fuori un fraseggio, un pattern, un groove ispirato a uno di questi tre artisti.

In che senso potreste definirvi “una spina nel fianco del panorama jazz italiano”. E’ una provocazione?

Certamente. Ci siamo affacciati sulla scena jazz mainstream italiana con il primo di questi album  non senza un po’ di timore reverenziale, consapevoli del fatto che spesso questa scena è abbastanza chiusa ed elitaria. Alla fine siamo stati smentiti da una calorosa accoglienza. Abbiamo suonato nei festival più importanti, a partire da Umbria Jazz, e questo disco, che ormai ha qualche annetto, ha anche conquistato diversi riconoscimenti. Non siamo jazzisti nel senso stretto della parola, il jazz è un mondo che ci ha sempre affascinato e che ritorna anche nel nostro modo di scrivere, risultiamo sicuramente atipici sia su un palco rock che su un palco jazz. In ogni caso siamo sempre stati ben accolti, questo ci ha portato a collaborare con musicisti di grandissima  fama come Enrico Rava, Antonelli Salis, Roberto Gatto, Gabriele Mirabassi, artistiche nel corso degli anni sono diventati non solo collaboratori ma anche fonti di ispirazione e amici.

Una serie di verbi potrebbe sintetizzare la vostra musica: cercare, inventare, sconvolgere, distruggere per poi ricostruire. Alla luce di ciò, come si svolge un vostro concerto? Cosa volete trasmettere al vostro pubblico e in che modo?

Uno dei nostri “pochi” punti di forza è sempre stata la voglia di trasmettere la nostra essenza con la musica dal vivo. Non che la cosa non emerga anche nei nostri lavori discografici però, da sempre, siamo una band live che ama stare sul palco e suonare in tempo reale, il nostro modus operandi è proprio espresso da questi verbi, forse anch’essi un po’ provocatori. Il musicista del XXI secolo ha il dovere di conoscere l’enorme passato musicale che gli appartiene per poi cercare la propria originalità spesso proprio ricostruendo, trasformando, distruggendo e ricomponendo il repertorio di autori importanti; questo è il nostro modo di scrivere e lavorare con grande apertura nei confronti di ogni forma di espressione purchè riconosciuta esteticamente valida. Abbiamo sempre avuto un atteggiamento di grande apertura attraversando la storia della musica dalla classica alla contemporanea, al rock, al jazz, al raggae. Certo, non è facile dire qualcosa di nuovo ma forse l’originalità risiede proprio in un’onesta e profonda conoscenza del passato.

Quintorigo

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Coinvolgerete anche Moris Pedrella nel nuovo progetto?

Sì, con lui ci siamo trovati molto bene fin da quando lo coinvolgemmo nel disco e nel live del progetto legato a Jimi Hendrix. Risulta chiaro che il gruppo risulta ormai da tanto tempo composto da noi 4 mentre il cantante è un elemento che scegliamo e aggiungiamo a seconda del progetto che andiamo a realizzare. In Moris però abbiamo trovato un musicista davvero molto preparato, lui è in grado di interpretare non solo i  grandi maestri ma anche il nostro repertorio.  Per il prossimo lavoro di brani inediti ci stiamo avvalendo della sua collaborazione anche in sede di composizione, siamo contenti ed entusiasti  di quello che sta uscendo fuori.

Facciamo il punto sui prossimi appuntamenti?

L’ 11/12 saremo all’Orion Club a Roma, il 12/12 a Cesena.  Ci sono date in trattativa a Perugia e  Prato, poi faremo tre giorni a Roma dal 29 al 21 di gennaio al Big Mama, sempre con Roberto Gatto come ospite. In linea generale vorremmo continuare questo tour vita natural durante perché abbiamo bisogno di suonare dal vivo, è una cosa che ci manca nei momenti in cui ci fermiamo.  La nostra politica segue l’idea di tour perenne,  il live è la nostra vita.

Raffaella Sbrescia

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