Duets: tutti possono entrare nel magico mondo di Cristina D’Avena. Intervista

Cristina D'Avena

Cristina D’Avena

L’oasi della leggerezza, il varco per tornare a sentirsi bambini almeno per lo spazio di una canzone, magari quella di un cartone animato che ha segnato i nostri momenti più felici. Un desiderio di molti, anche degli stessi cantanti che in “Duets”, il nuovo progetto discografico nato dalla collaborazione tra Crioma e Warner Music, cantano Cristina D’Avena con Cristina. Il punto forte di questo album è, in primis, la costruzione cronologica della tracklist, in secondo luogo la varietà degli artisti presenti nel disco e, least but not last, la cura degli arrangiamenti che regalano una nuova e godibilissima veste ai brani che noi tutti abbiamo imparato ad amare fin da bambini.

L’incanto, la gioia, la squisità bonta di Cristina si mettono al servizio del pop Made In Italy e il risultato convince e diverte. Tra i nostri brani preferiti: “Piccoli problemi di cuore” ft. Ermal Meta (specialista nella cura dei dettagli), l’iconica “Occhi di gatto” ft. l’indomabile Loredana Berte e “E’ quasi magia Johnny”, nuovo auspicabile singolo ft. La Rua.

Intervista

La tua carriera è costellata di grandi soddisfazioni. Cosa rappresenta questo progetto in questo tuo momento esistenziale?

 Vivo l’uscita di “Duets” in modo sereno e avvolgente. Sono stata me stessa dall’inizio alla fine, credo di aver dato ai miei colleghi la giusta positività e la giusta spinta per cantare queste canzoni togliendosi i panni della loro discografia. Mi sono divertita da matti, mi sono che adeguata allo spirito del pezzo, è stato bello condividere questi momenti di confronto. Per me questo disco vuole essere un mezzo di aggregazione che genera gioia così come lo è stato per tutti noi. Ognuno ha lasciato trasparire la propria personalità dando valore aggiunto ad un progetto davvero magico.

Come sei arrivata alla realizzazione di “Duets”?

Avevo questo sogno in testa già da un po’, mi balenava spesso l’idea di poter cantare o far cantare le mie sigle ai miei colleghi. Poi con la partecipazione a Sanremo c’è stata la svolta: tutti gli artisti che partecipavano al Festival cantavano le mie canzoni, ero stata invitata da Carlo Conti come super ospite, dietro le quinte accadeva di tutto, tutti cantavano le mie canzoni, c’era una sorta di toto sigla quindi quell’anno ho toccato con mano qualcosa che poteva diventare realtà. Successivamente tornammo a Bologna, parlammo un po’ del progetto, finchè un giorno abbiamo cominciato a buttar giù una tracklist, ho scelto e ho fatti i nomi di artisti che conosco e che ascolto principalmente. A me piace la musica in generale, ne ascolto tanta, non mi piace ascoltare un artista in particolare, ho messo già un po’ di nomi, a qualcuno sono arrivata a qualcun’altro no. Su tutti Jovanotti: non ce l’ho fatta ho avuto troppi muri, troppi ostacoli, vediamo se magari posso farcela nel volume due.

L’apertura è subito di grande effetto con “Pollon” e J-Ax

Il brano l’ha scelto direttamente lui, gli è sempre piaciuto, si è ricordato anche del programma Bim Bum Bam e mi ha preparato due barre con un arrangiamento ad hoc. Gli sono molto grata.

E l’incontro generazionale con Francesca Michielin?

Francesca è stata adorabile, all’inizio molto timida ed emozionata. Lei in realtà voleva cantare “Magica Doremì” però in questo primo volume la canzone in questione era troppo recente. Abbiamo preferito creare un bel nuovo vestitino per “Creamy”.

Poi c’è Loredana Bertè

Con “Occhi di gatto” Loredana è impazzita letteralmente di gioia. Mi ha raccontato che cantando questo pezzo si è liberata, ha sorriso, ha liberato il cuore. Questo è ciò che conta di più per me. L’ho adorata.

Molto particolare il duetto con Arisa.

L’incontro con Arisa è onirico. Anche in questo caso il brano l’ha scelto lei, quando ha cominciato a cantarla, mi sono incantata, mi ha trasportato in un mondo che non c’è. Mi sono emozionata con lei, una bella fusone di mondi e di voci.

A sentirti parlare con così tanto trasporto viene voglia di ascoltarvi tutti insieme dal vivo, magari in un bel concerto…

Un progetto live lo faremo, ci stiamo pensando!

Cristina D'Avena

Cristina D’Avena

Tornando ai duetti…c’è l’inconfondibile teatralità di Elio in “Siamo fatti così”.

Lui è veramente eccezionale, l’arrangiamento è raffinato e lui l’ha interpretato alla sua maniera. L’incontro con lui è stato particolare, Elio ha un cuore grandissimo, ci siamo conosciuti ad un mio concerto a cui era venuto con i suoi bimbi, non ci eravamo mai parlati più di tanto, mi ha fatto un bel regalo.

La scommessa del disco è anche quella più promettente. Mi riferisco al brano con i La Rua.

Sì, sono ragazzi abbastanza giovani ma proprio per questo li ho chiamati. Sono stati bravissimi, Johnny inizia in un modo e finisce in un altro. Hanno centrato l’arrangiamento perfetto, e pensare che quasi non ci credevano quando li ho invitati a cantare con me!

Una parentesi a parte per Ermal Meta specialista di incantesimi e magie.

Ermal ha cantato davvero a ruota libera. Gli ho soltanto detto: non ti preoccupare di nulla, canta, canta, canta…è stato semplicemente bravissimo, lui fa la differenza.

Se lo chiedono tutti, te lo chiedo anche io. Questo disco potrebbe essere da preludio ad un cambio di rotta nel tuo repertorio?

Non credo al cambiamento in questo senso. Vorrei fare un disco di cover, magari cantare “A te” di Jovanotti, visto che la canto sempre. Ecco, mi piacerebbe reinterpretare le canzoni che hanno scandito la mia vita. Per il resto non cambierò genere, amo talmente tanto il mio mondo, quello chè stato, quello che è, quello che sarà; questo disco rappresenta presente e futuro quindi mi basta.

 Raffaella Sbrescia

Questa la track list:

1. Pollon, Pollon combinaguai (feat. J-Ax)

2. Nanà Supergirl (feat. Giusy Ferreri)

3. L’incantevole Creamy (feat. Francesca Michielin)

4. Occhi di gatto (feat. Loredana Bertè)

5. Kiss me Licia (feat. Baby K)

6. Magica, magica Emi (feat. Arisa)

7. Mila e Shiro due cuori nella pallavolo (feat. Annalisa)

8. Jem (feat. Emma)

9. I Puffi sanno (feat. Michele Bravi)

10. Siamo fatti così (feat. Elio)

11. E’ quasi magia, Johnny! (feat. La Rua)

12. Una spada per Lady Oscar (feat. Noemi)

13. Che campioni Holly e Benji (feat. Benji & Fede)

14. Sailor Moon (feat. Chiara)

15. Piccoli problemi di cuore (feat. Ermal Meta)

16. All’arrembaggio! (feat. Alessio Bernabei)

Le Furie raccontano che “Il futuro è nella testa”. Intervista

Le Furie - Il futuro è nella testa

Le Furie – Il futuro è nella testa

Trovare l’intenzione, la voglia, il modo e il tempo di esserci, per formarsi, per dire qualcosa in cui credere per primi. Questo è l’obiettivo de Le Furie e del loro album “Il futuro è nella testa”. Canzoni caratterizzate da concetti precisi, idee chiare e una concezione della vita all’insegna della semplicità e dell’eccezionalità, due parametri imprescindibili l’uno dall’altro. Il percorso artistico della band fiorentina de Le Furie ricomincia dunque da qui con la produzione di Davide Autelitano (cantante de I Ministri) e Taketo Gohara, un lavoro artigianale che sposa appieno l’energia del gruppo. A parlarcene nel dettaglio è EDO.

Intervista.

Passate da “Andrà tutto bene” a “Il futuro è nella testa”. C’è una linea di continuità dietro questi lavori

Sì, il messaggio di oggi riprende le nostre prime linee guida anche se in questo caso il nostro è un invito a scegliere il futuro, quello che più ci appartiene. Vogliamo dedicare attenzione a quello che scegliamo per noi stessi.

Quello che scrivete lascia trasparire una chiarezza di idee molto marcata.

Abbiamo aspettato quattro anni e mezzo per far uscire questo disco. Abbiamo aspettato che le canzoni non fossero più annebbiate, che fossero mature e pronte per far sì che potessero realmente rappresentare quello che avevamo intenzione di dire. Autocritica e autoironia sono le armi che usiamo nella nostra battaglia esistenziale.

Secondo te perché la gente ama prendersi tanto sul serio, questo è uno dei punti chiave che toccate nel disco, tra l’altro.

La cosa più divertente e avvilente allo stesso tempo è che ci prendiamo sul serio per cose banali e poi ci sono cose che necessitano davvero di attenzione ma non riusciamo a prenderle in considerazione. Nell’ambito musicale, la serietà sta nell’autocritica e nel saper capire quando è il momento di esporsi e quando, invece, è ancora il momento di lavorare. Il lavoro del musicista deve essere veramente artigianale, c’è bisogno di sperimentazione e di esercizio, sia tecnico che spirituale per raggiungere l’effetto sperato. Un buon artigiano, in ogni caso, non si prende mai sul serio, fa soltanto il suo lavoro e lo fa per bene. La scelta deve essere dettata dalla dedizione.

A proposito di esercizio quotidiano, come avete lavorato alla produzione di questo lavoro visto che siete abituati a collaborare con produttori top di gamma?

La fortuna aiuta gli audaci. Noi l’abbiamo avuta nel lavorare con Taketo Gohara, nostro padre guida. Questo disco è stato prodotto da Davide Autelitano, cantante de I Ministri, ovvero la persona giusta per portarci in studio in maniera armonica.

Diverte e avvilisce al contempo la definizione di “Artisti da fast food”.

Al giorno d’oggi gli idoli dei giovanissimi vengono spesso osannati e poi vomitati poco dopo il loro esordio artistico. La figura dell’artista deve essere totalizzante; si è persa la dedizione, la consapevolezza del dover soffrire, pochi lo fanno, serve la gavetta, il lavoro autentico, altrimenti si verrà fagocitati dal sistema un po’ come quando si va al Mc Donald’s o da Burger King.

Interessante il mea culpa generazionale di “Camerieri”.

Siamo gli artifici delle nostre miserabilità, la colpa è sempre nostra. Lo stesso vale anche sul piano artistico: se scegli di fare un disco di canzoni brutte, lo scegli tu e ne paghi le conseguenze. Anche io ho fatto il cameriere, proprio per produrre e stampare questo album, a volte è capitato che spendessi quei soldi per pagarmi da bere, a quel punto il rischio è scegliere un lavoro in grado di autoalimentare il proprio disagio e non ci si può più lamentare.

In che modo concepite i concetti di semplicità e di eccezionalità?

Le cose che contano sono come le lettere a e b, le altre sono tutte superflue. Stiamo perdendo la semplicità di vivere, apprezzare e condividere le cose in modo diretto ed essenziale. D’altro canto ognuno di noi dovrebbe cercare dentro se stesso la propria peculiarità. Sarebbe bello se ciascuno scegliesse di puntare sulla propria voce invece di mettersi in fila per far parte di una massa. L’essere umano deve essere rivalutato come individuo pensante. L’obiettivo quindi sarebbe quello di cercare di costruirsi un futuro con queste prerogative. Si tratta di concetti che trascendono dalle ideologie, sono scelte da fare innanzitutto per se stessi.

E poi c’è l’impatto emotivo di “Confido in te”.

Questo è un brano tecnicamente difficile. Un tempo in 5/4 che ha reso complesso l’inserimento delle parole per il testo e che ha richiesto molto lavoro. Il brano è incentrato sul tema dell’amore per un’altra persona, inteso come risorsa a cui fare riferimento in ogni momento. Aggrapparsi all’altro diventa quindi un modo salvifico per affrontare le difficoltà e le proprie miserabilità.

Come vive il vostro pubblico questo modo di pensare così controcorrente?

Ci interesserebbe sapere cosa pensano ma in realtà non dobbiamo neanche preoccuparcene troppo. D’altronde nemmeno io vorrei mai conoscere davvero i miei idoli musicali. Quello che ci auguriamo è di vivere la dimensione umana come facciamo adesso e di dare un senso sempre migliore a quella artistica. Del resto i più grandi artisti ci hanno insegnato che bisogna sempre considerare fino a un certo punto quello che viene richiesto, il senso dell’arte sta nel cercare di dire, comunicare ed emozionare attraverso le proprie emozioni. Questo è quello che vogliamo imparare a fare.

 Raffaella Sbrescia

Video: Artisti da Fast Food

Intervista a Mario Riso: il mio “Passaporto” racconta il mio sconfinato amore per la musica

Mario Riso

Mario Riso

Mario Riso è il creatore e direttore del progetto musicale Rezophonic, l’iniziativa a sfondo sociale in cui ha riunito il meglio del rock italiano per aiutare la realizzazione di pozzi d’acqua potabile in Kenya, ma è anche e soprattutto un batterista rock che all’alba del suo 50esimo compleanno ha voluto raccontare la sua storia musicale in “Passaporto”. All’interno dell’album comprensivo di 18 tracce, Mario Riso ha racchiuso le tappe principali della sua carriera iniziata poco più di 30 anni fa. Insieme a lui hanno cantato Danti, Rise, Cristina Scabbia, Tullio De Piscopo, Giuliano Sangiorgi, Movida, Caparezza. L’abbiamo incontrato per lasciarci conquistare dal suo sconfinato amore per la musica e il suo strumento.

Intervista

Ciao Mario, questo nuovo progetto si presenta come una opera omnia…

In realtà si tratta di un vero e proprio passaporto, un documento d’identità in cui si parla, grazie ai timbri, dei viaggi che ho percorso durante la mia vita. Visto che in qualità di batterista divido il tempo in quarti e frazioni di quarti, ho voluto realizzare un passaporto temporale con l’indicazione dei timbri degli anni in cui le canzoni sono state realizzate. Ecco perché si parte dal 1983, l’anno in cui facevo parte in cui facevo parte di una band che si chiamava Mad Runner e sognavo di poter fare della mia passione un lavoro, fino ad arrivare al 2017, anno in cui per la prima volta ho provato a cantare e a utilizzare la mia voce come strumento.

Cosa hai provato nel mettere la tua voce in gioco su supporto discografico? Come ti è venuta questa voglia?

Devo ringraziare Danti, autore incredibile che si è messo in gioco a sua volta insieme a me per aiutarmi a rendere questa canzone così speciale. Cantare per me è ancora oggi qualcosa di strano, mi approccio sempre all’arte con rispetto. Ho cantato con il cuore più che con la gola, ho raccontato una storia per me importante che parla dell’amore nei confronti della musica e della batteria, un’esperienza unica per me, volevo vivermela così a 50 anni e l’ho fatto andando anche contro l’istinto che mi faceva sentire inadeguato al canto.

Uno degli aspetti da evidenziare è il grande rispetto che hai per la musica e chi la fa. Come intendi difendere questo tipo di approccio?

Non saprei comportarmi in un altro modo. Sono grato alla musica, ai musicisti, al mio strumento. Quando ero piccolo sognavo di fare un certo tipo di percorso, oggi che sono arrivato a 50 anni posso dire a voce alta che la mia vita attuale è molto più bella di quella che sognavo. Dico sempre che chi ha avuto tanto dalla vita, deve anche restituire e io sto provando a farlo nel miglior modo che conosco.

Molto interessante il confronto generazionale insieme a Tullio de Piscopo e Rise.

L’idea è nata da una considerazione: grazie all’innovazione tecnologica si riescono a fare delle cose che una volta non si conoscevano neppure. I giovani possono permettersi dei lussi che gli consentono degli sconti, riescono spesso ad ottenere risultati senza meritarseli, parlo in questo caso di chi usa autotune e pro tools. Prima se volevi suonare dovevi essere pronto, se volevi cantare dovevi realmente saperlo fare. Oggi tutti cantano, tuti suonano perché la tecnologia lo consente e gli permettere di essere qualcosa che in realtà non sono. Ragionando in questi termini nel mondo batteristico ho quindi voluto mettere a confronto tre generazioni: Tullio ha fatto innamorare tanti ragazzi dello strumento, la mia è una generazione intermedia e poi c’è Rise che con la bocca fa cose che io non saprei mai riprodurre con la batteria; far convivere queste tre realtà era una scommessa e l’abbiamo vinta.

Video: Un temporale

Come te la sei cavata con Rock tv, considerando le tante difficoltà e soprattutto l’allontanamento “forzato” dalla musica suonata?

L’uomo nasce nudo, passa la vita a cercare di coprirsi e poi ad un certo punto vuole tornare nudo. Questo è metaforicamente il mio caso: ho sempre voluto suonare la batteria poi ad un certo punto ho pensato che fosse arrivato il momento di fare tanto altro perché sono innamorato della vita e son curioso quindi ho deciso di improvvisarmi in un ambito che non conoscevo e questo mi ha portato ad allontanarmi per certi versi dallo strumento e dalla possibilità di migliorarmi, fin quando ho capito che sono semplicemente un batterista e ho ricominciato da dove avevo lasciato. Ho conosciuto tanti artisti stupendi in 12 anni, anche questo fa parte del mio bagaglio di vita e delle mie conoscenze. Ho avuto tutto dalla musica, le sono grato e ne ho troppo rispetto, suonare la batteria tutti i giorni per me è una magia, conciliare la propria passione con la possibilità di lavorarci è il massimo; lo auguro a tutti.

Mario Riso

Mario Riso

“Leggendo” questo tuo Passaporto, viene da approfondire anche la tua passione per la musica latina…

Sono cresciuto in una famiglia contaminata dal mondo latino-americano e argentino. Mio padre ha origini argentine, da sempre ho vissuto il crossover culturale ma non l’ho mai esteriorizzato più di tanto. Il senso di appartenenza a questo tipo di mondo è venuto fuori sempre più negli anni. In questo disco ho colto l’opportunità di fare qualcosa di particolare, ho chiamato dei musicisti incredibili che vengono da Cuba, Costarica, Colombia e abbiamo realizzato una registrazione in presa diretta, proprio come se fossimo in una cantina anni 50. Ho riproposto un mondo che non c’è più ma che fa parte delle mie radici.

E poi c’è il nuovo capitolo Rezophonic dietro l’angolo…

Ho già preparato anche Rezo4, sto trovando un accordo discografico per pubblicarlo, ci saranno sorprese incredibili. Ho voluto fare un solo featuring di caratura internazionale che ci farà il giro del mondo e che ci farà raccontare la nostra storia un po’ ovunque, c’è già anche il video.  Presto saprete di chi si tratta! Nel frattempo non vedo l’ora di andare in giro e suonare le canzoni del mio disco, ci sono tante cose da fare, vi aspetto tutti!

 Raffaella Sbrescia

Intervista a Thomas: “I miei sogni stanno diventando realtà”

Thomas - Cover album

Thomas – Cover album

Thomas fa il suo ingresso ufficiale nel mondo discografico italiano con il suo primo omonimo album. In questi ultimi mesi avete avuto modo di conoscerlo ascoltandolo in radio e ai festival musicali in giro per la penisola italiana. Da oggi ascolterete il nuovo lavoro full-lenght di questo ragazzo che dimostra di avere tanta voglia di fare. Sincero, appassionato ed entusiasta come solo un diciassettenne può essere, Thomas raccoglie quanto seminato fino ad oggi con un occhio rivolto all’energia del funk e all’istrionismo di Bruno Mars. Sotto la guida di Warner Music Italy e con il coordinamento di Alex Tricarichi, le dieci tracce (più la versione in inglese di E’ un attimo) riempiono i primi tasselli di un percorso promettente.

Intervista

Ciao Thomas, eccoti raggiante. Come hai vissuto la vita in studio durante la preparazione di questo lavoro e quali sono le sensazioni che ti hanno accompagnato?

La realizzazione del disco è stata intensa e divertente. Abbiamo lavorato tanto con l’instore tour e Festival estivi, mi sono divertito un sacco e sono riuscito a trovare la concentrazione necessaria per fare tutto al meglio. Questo nuovo album si chiama Thomas perché parla di me, raccoglie i miei colori, i miei sogni e le sfumature della mia personalità.

Come si è rapportato il tuo modo di essere sia all’interno dell’interpretazione che della scrittura? Hai partecipato in prima persona a tutte le fasi di questo lavoro?

Sì, ho cercato di essere il più presente possibile nella realizzazione del mio album, mi piace dare il massimo in tutto quello che faccio.

Quali sono, invece, le differenze, a livello tecnico tra il tuo primo Ep e questo disco?

Senz’altro c’è stato un cambiamento di metodo di lavoro: prima uscivo da un percorso diverso, abbiamo registrato tutto in due sere, non ho avuto modo di collaborare, se ne sono occupati direttamente gli arrangiatori. Adesso, invece, ho imparato tantissime cose, ho lavorato fianco a fianco con dei professionisti, è stato bellissimo lavorare con Alex Trecarichi che ha interpretato al meglio le mie idee e le ha sviluppate.

Ritmi incalzanti, sonorità hip hop e R’n’B, ma anche alcune ballad intime e delicate. Come sono state fatte queste scelte sonore?

Il risultato è un mix di quello che ascolto, mi fido tanto di Alex. Ci siamo ispirati a Bruno Mars e The Weekend in particolare.

La tua cultura musicale è molto vasta e va anche indietro nel tempo nonostante la tua giovane età… Raccontaci i passaggi che hanno scandito questa formazione.

 Ho iniziato a crescere con la musica dei Pooh di cui mia madre era appassionata. All’età di 8-9 anni sono stato folgorato da Michael Jackson poco prima della sua dipartita. Michael mi ha portato la passione per la danza e per il canto ma in realtà mi ha aperto molti fronti musicali: grazie a lui ho scoperto il soul, il funk, l’r’n’b. Poi mi sono dedicato alla musica leggera e al pop italiano e alla musica elettronica. Per un periodo mi sono interessato al mondo dell’hard rock anni ’70 poi sono ritornato sui miei passi e mi sono orientato su artisti più moderni come Bruno Mars concentrandomi sul mondo black di Lionel Richie, Jamiroquai, Craig David.

Nel frattempo hai portato avanti il discorso del ballo? Lo porterai anche nei tuoi prossimi concerti?

Assolutamente sì, la danza non mi hai abbandonato, ho continuato a studiare in parallelo.

Per quanto riguarda i testi, approfondiamo il significato de “Il sole alla finestra”…

Parto dal presupposto che la musica mi porta oltre la realtà contingente. Le canzoni che canto parlano di storie che non sempre mi appartengono eppure mi consentono di viaggiare ed emozionarmi. Ciò detto, il brano in particolare parla di ricordi che si ostinano a farci male, ci esorta ad andare contro le nostre paure e a trasformarle in luce D’altronde se non ci fosse il nero non ci potrebbe essere la luce.

Come vivi queste fasi di eluzione e crescita professionale e umana e come ti contestualizzi all’interno dell’attuale panorama musicale?

Queste emozioni che vivo sono sogni che si avverano. Ci credevo fin da piccolo, vivo tutto con positività. Musicalmente mi piacerebbe portare un mood internazionale in Italia e in italiano. Ovviamente sogno di espandermi ma mi concentro sulla mia lingua per ora.

Ti senti più autore o più interprete?

Mi piace tanto scrivere i miei pezzi e interpretarli, vorrei migliorare nella scrittura e approfondire la parte dei testi. In genere mi occupo della parte armonica e melodica dei miei brani, in ogni caso entrambe le cose sono fondamentali: se scrivi, ci metti più anima però ricevere consigli è comunque importante

Cosa senti di aver imparato e cosa vorresti approfondire più avanti?

Le tecniche di registrazione, il modo di lavorare in studio e di concepire le possibilità di arrangiamento dei brani. Questo è un mondo davvero affascinante!

 Raffaella Sbrescia

Video: E’ un attimo

 

Dal 13 ottobre incontrerà i fan negli store delle principali città italiane. Questi i prossimi appuntamenti:

Venerdì 13 Roma Discoteca Laziale Via Giovanni Giolitti, 263 h. 15.00

Sabato 14 Milano Mondadori Piazza Duomo h. 15.00

Domenica 15 Bassano del Grappa cc Il Grifone h. 16.30

Lunedì 16 Bari Feltrinelli Via Melo 119 h. 15.00

Martedì 17 Torino Media World cc Lingotto Via Nizza 262 h. 18.30

Mercoledì 18 Stezzano (BG) Media World cc Le Due Torri h. 17.00

Giovedì 19 Palermo Feltrinelli Via Cavour 133 ore 15.00

Venerdì 20 Nola cc. Vulcano Buono h.17.30

Sabato 21 Catania Feltrinelli Via Etnea 285 ore 15.00

Domenica 22 Bologna Mondadori Via Massimo D’Azeglio, 34/A h. 15.00

Lunedì 23 Genova Mondadori Via XX Settembre, 27/R h. 15.00

Martedì 24 Marghera Mondadori cc Nave de Vero Via Pietro Arduino 20 h. 15.00

Mercoledì 25 Firenze Galleria Del Disco h. 15.00

Giovedì 26 Brescia Feltrinelli Corso Zanardelli 3 h. 15.00

A novembre sarà protagonista di due appuntamenti live: l’11 novembre a Roma (Atlantico) e il 12 novembre a Milano (Fabrique). L’inizio è fissato per le ore 18.00.

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“La mia generazione”: intervista a Mauro Ermanno Giovanardi

La mia generazione -Giovanardi

La mia generazione -Giovanardi

Tre anni per portare a termine un lavoro intriso di rispetto e amore. Tre anni per farsi carico del recupero e della valorizzazione di una parte importante del nostro patrimonio musicale. Tre anni per arrivare a “La mia generazione”, il nuovo album di Mauro Ermanno Giovanardi, in uscita oggi per Warner Music Italy.

Questo disco racchiude una nobile intenzione, quella di omaggiare un decennio ricco di nuovi stimoli, di fluttuanti idee musicali, artistiche e culturali. Un’ epoca in cui tanti gruppi italiani si sono sdoganati dalla lingua inglese per avvicinarsi al pubblico raccontandogli delle storie da condividere.

In questo disco Giovanardi ripercorre, evitando qualunque accenno nostalgico a quei tempi e con l’aiuto di ottimi musicisti (tra cui Davide Rossi), alcuni brani storici di Afterhours, Marlene Kunz, Subsonica, Neffa, Casinò Royale e tanti altri, accompagnandosi anche ad alcuni protagonisti di quella stagione: Manuel Agnelli, Rachele Bastreghi, Emidio Clementi e Cristiano Godano e Samuel. Ognuno chiamato a interpretare un pezzo iconico della scena di quegli anni, in un gioco di specchi in cui nessun artista canta il proprio brano.

Intervista

Da dove nasce il desiderio di portare avanti questo tipo di operazione di stampo antropologico-culturale?

Fin dall’inizio avevo messo dei paletti ben precisi a questo progetto, uno di questi era scansare a tutti i costi ogni retorica del revival e della nostalgia. Ho scelto deliberatamente di invitare pochi ospiti perché non volevo che fosse un circo. Ho cercato di fare un’operazione onesta e soprattutto umile e rispettosa. Come un attore con il copione mi sono messo a disposizione delle canzoni, volevo fare un omaggio serio ad un momento importantissimo della musica. Mi sono accorto che questo è il disco più difficile e pericoloso che abbia mai fatto.

Forse la genialità di questo progetto sta negli incroci e nella rivisitazione del tutto personale di ciascun brano

Sempre perseguendo l’obiettivo di non scivolare nel mood nostalgia, ho voluto far sì che ogni pezzo fosse riscritto per mano mia, era fondamentale farne delle versioni non delle cover. Se avessi voluto fare un disco di cover, ci avrei messo una settimana, ho voluto trovare il giusto equilibrio tra il rispetto nei confronti dello spirito originale dei brani e farne una versione mia che fosse credibile. Per essere più chiaro: rappare e cantare, cantare e salmodiare, cantare e declamare sono mestieri diversi. Per questa ragione mi sono dovuto inventare un modo altro di cantare.

Parliamo dello scambio umano che c’è stato in questo lavoro non solo con i tuoi musicisti ma anche con gli artisti che hanno preso parte al compimento di questo percorso.

Samuel, Manuel, Cristiano ed Emi li ho voluti perchè sono testimoni diretti di quella stagione, Rachele Bastreghi c’è perché volevamo fare un pezzo insieme da “Amen” e poi perché i Baustelle sono i figli diretti di questa scena musicale. L’idea di far cantare agli ospiti non il proprio pezzo bensì quello di altri, sta proprio a sottolineare l’umiltà che caratterizzava quel periodo musicale. Io Manuel, Samuel, Cristiano siamo passati tutti dalla grande famiglia Mescal per cui è stato facile coinvolgerli. Ho lasciato fuori un sacco di ospiti: da Raiz a Cristina Donà, Edda, Simone dei Virginiana Miller. La verità è che quando fai un disco così o fai un’enciclopedia della musica o fai delle scelte mirate. Di cuore avrei voluto invitare più amici ma questo avrebbe sminuito il disco e gli avrebbe dato un aria nostalgica che volevo evitare.

Il singolo attualmente in rotazione è “Baby Dull” in cui canti con Rachele. Con lei c’è grande chimica da sempre…

Assolutamente sì. A questo proposito vi racconto un aneddoto: nel ‘96 suonammo con i La Crus in un clubbino vicino Perugia. quella sera rilasciai un’intervista per una fanzine. Rachele in quell’occasione venne con una macchina fotografica subacquea che non funzionava spacciandosi per la fotografa della fanzine perché mi voleva conoscere a tutti i costi. Una cosa dolcissima che può rendervi l’idea della nostra amicizia.

Cosa significa cantare rock in italiano?

Ho ben presente lo sforzo del passaggio del cantare dall’inglese all’ italiano. Negli anni ’90 capimmo che era importante confrontarsi con la nostra lingua e farsi capire dal pubblico. Con la maturità ti rendi conto che in una canzone riuscita le tue esperienze diventano anche quelle di chi riesce ad immedesimarvisi. Fino a quel momento in Italia, a parte i Litfiba o alcuni gruppi degli anni ’80, sottobosco per appassionati molto elitario, tutto sembrava fermo. Poi di botto, è arrivata quella che io amo definire età dell’oro: ci sono state delle congiunzioni astrali pazzesche, le major che si sono accorte di questo fenomeno in 6-8 mesi, abbiamo avuto la possibilità di aver più esposizione con concerti che da 100 persone ne facevano 1000. Abbiamo quindi cominciato a raccontare le nostre storie cercando una via altra alla canzonetta, c’era voglia e necessità da parte del pubblico di cantare le cose nella propria lingua ma con un suono diverso.

Ha senso cantare rock in italiano oggi?

Ai ragazzi che dopo un concerto mi passano una loro demo, dico sempre che finchè si canta in inglese questa passione resterà sempre un hobby perché è fondamentale cantare nella propria lingua. Con l’esperienza ho scoperto che in Inghilterra interessa di più un gruppo italiano che canta in italiano invece di un gruppo italiano che canta in un inglese un po’ maccheronico; naturalmente ci sono sempre le eccezioni però a parte Elisa non mi viene in mente nessuno. Cantare in inglese è un po’ una scorciatoia, benchè uno possa avere una certa cultura, non avrà mai la capacità di cogliere le varie sfumature dei significati delle parole. A questo aggiungo che guardare negli occhi una persona che sta in prima fila e raccontargli una storia in italiano crea un’energia che va ben oltre la musica.

Mi piace pensare che tu voglia portare dal vivo questo progetto. Lo farai?

Assolutamente sì, anzi! Nel live metterò certamente qualche pezzo che non sono riuscito ad inserire nel disco. Poi stando in giro avrò anche la possibilità di invitare altri ospiti che hanno fatto parte di questa epoca. Venite a trovarci!

Raffaella Sbrescia

Mauro Ermanno Giovanardi incontrerà i fan in due appuntamenti:

22 settembre a  ROMA, Feltrinelli Via Appia h.18.00

25 settembre MILANO, Feltrinelli Piazza Piemonte h. 18.30

 Ascolta qui l’album:

 

 

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cover_hanglover_freddepalma

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Due anni per mettersi alla prova, per sperimentare, per sorprendersi e per sorprendere. Fred De Palma torna in scena con “Hanglover”, un quarto album di inediti (Warner Music) per mettere a fuoco ricordi, nuove impressioni e altrettante influenze musicali. Una tracklist simile ad una compilation fluttuante tra generi musicali e tematiche disparate senza mai tralasciare l’attenzione al divertimento nella sua accezione più immediata. Per questo nuovo lavoro, Fred De Palma ha lavorato con Mace e Davide Ferrario (che hanno curato anche il suo album precedente “BoyFred”), Frenetik & Orang3, Zef, Mamakass, Takagi&Ketra e Freeso. Tra le collaborazioni presenti nell’album anche quelle con Madh, Low Low e Livio Cori, Achille Lauro, Cicco Sanchez, Samuel Heron e Giulia Jean. Un parterre di colleghi piuttosto variegato, a coronamento di un periodo di intensa ispirazione: «Questo album è il frutto di una ricerca di stampo personale. La tracklist racchiude una compilation di quello che più mi piace, anche all’interno del panorama musicale internazionale – racconta Fred De Palma». Si tratta di un lavoro caratterizzato da una forte componente di spontaneità, quasi il risultato di una sorta di flusso di coscienza: «Ho realizzato queste canzoni in modo nuovo per me. Ho sempre scritto i miei brani su carta, stavolta invece sono partito dai beats, mi sono divertito a viaggiare sulla traccia, sia a livello melodico che testuale, e mi sono ritrovato a registrare i brani direttamente a memoria. Credo proprio che adotterò questo sistema ancora per un po’» – ha raccontato Fred – aggiungendo: «Ho sempre amato improvvisare, penso che questo tipo di approccio alla musica, adottato da molti altri artisti nel mondo, possa diventare qualcosa di più articolato perché si sposa molto bene con le mie canzoni».

Video “Ora che”

Un ultimo doveroso focus va fatto proprio sui brani: slanci sentimentali creano un discontinuità tematica in grado di indurre l’ascoltatore ad incuriosirsi e a cercare di individuare connessioni ed eventuali riferimenti. Il tutto senza mai rinunciare ad esercizi di stile a regola d’arte: «Un po’ tutto l’album vuole essere una sorpresa, sia nel bene che nel male – spiega Fred De Palma – l’insieme della tracklist intende raffigurare una sorta di risveglio dopo una lunga festa. Ho cercato di ricordare quello che mi è successo e, tra le varie tematiche, ho scelto di dedicare spazio al mio “periodo rosa” anche se “Il mio game” è il rap ed è sempre quello che mi appassiona di più».

 Raffaella Sbrescia

Questa la track list: 1.Hanglover; 2.Love King; 3. Un’altra notte feat Giulia Jean; 4. Adiòs; 5. Goodnite feat. LowLow & Livio Cori; 6. Alabama; 7. Io no; 8. Il Cielo guarda te; 9. 5.30 feat Achille Lauro; 10. Niente da dire; 11. Ora che; 12. Almeno tu feat. Cicco Sanchez; 13.Non Tornare a casa; 14. Tu dimmi; 15. Il Mio Game feat. Samuel Heron; 16. Dyo; 17. Vuoi Ballare con me feat. Madh; 18. Voilà.

Dal giorno dell’uscita dell’album, Fred De Palma incontrerà i fan negli store delle principali città italiane. Di seguito gli appuntamenti:

15/9 Torino FELTRINELLI h.15.00 – Genova MONDADORI h.18.30
16/9 Varese MONDADORI h. 15.00 - Milano MONDADORI Duomo h. 18.00
17/9 Brescia MONDADORI h. 15.00 – Verona FELTRINELLI h. 18.30
18/9 Firenze GALLERIA DEL DISCO h.15.00 - Lucca SKY STONE h. 18.30
19/9 Bologna MONDADORI h. 15.00 – Padova MONDADORI h. 18.30
20/9 Latina FELTRINELLI h.15.00 - Roma DISCOTECA LAZIALE h.18.00
21/9 Salerno FELTRINELLI h. 15.00 - Napoli FELTRINELLI h. 18.30
22/9 Bari FELTRINELLI h. 15.00 - Lecce FELTRINELLI h.18.30

23/9 MEDIA WORLD – cc Fiordaliso – Rozzano (MI)

Ascolta qui l’album:

Intervista a Il Cile: “Cerco di lasciare emozioni che durano nel tempo”

Il Cile - La Fate Facile

Il Cile – La Fate Facile

Lorenzo Cilembrini, in arte Il Cile, torna sulla scena musicale italiana con “La Fate Facile” (Universal Music). Il terzo album in studio del cantautore è un lavoro veramente pieno: di emozioni, di ricordi, di dolore, di amore ma soprattutto di verità. Lorenzo si mette a nudo come pochi hanno il coraggio di fare. Nelle sue canzoni c’è tutto il suo mondo, i pensieri più angoscianti e quelli più dolci si alternano in dieci tracce così intime e così profonde che viene spontaneo chiedersi se una società così superficiale come quella che ci circonda saprà essere in grado di meritarsi una simile purezza di spirito.

Intervista

Fare delle domande rispetto a un progetto così intimo da parte di un estraneo significa entrare nella dimensione intima di un artista. Come ti sei sentito a buttare giù dei concetti così forti e così importanti?

L’ho fatto per me stesso e per tutte quelle persone che si ritrovano in quello che scrivo. Infine l’ho fatto perché ritengo che questa sia la mia rappresentazione artistica più completa. Gli alti e i bassi fanno parte della vita di tutti e sapere che a volte una canzone molto cruda riesce ad aiutare qualcuno a non sentirsi solo e a non sentirsi anomalo, è una grande soddisfazione per chi fa il mio mestiere.

A cosa si riferisce il titolo “La fate facile”?

Questa è una cosa nata a seguito del grande successo riscontrato con il brano “Maria Salvador” insieme a J-Ax. In quell’occasione mi hanno conosciuto persone che non avevano idea di chi fossi, famiglie con bambini mi fermavano per chiedere una foto o per fare un saluto al figlio. Tutto questo è bellissimo però la mia carriera è anche “Il Cile”, non  sono solo un collaboratore. Questa cosa, vista dall’esterno, spesso viene sottovalutata perché si pensa che questo lavoro sia solo successo e autocelebrazione. In realtà tutto quello che si conquista in una carriera, lo si deve conquistare anche a livello personale e io, in questo, ho avuto difficoltà. Ho sempre cantato me stesso e quello che vivo, prendendo in considerazione tutti gli aspetti che questo comporta. La verità a lungo termine paga, gli artisti che ho più amato nella mia vita sono proprio quelli che si sono sempre dati in pasto al pubblico e che hanno sempre cantato della loro vita privata regalando emozioni che durano nel tempo. Ecco, questo è l’obiettivo di questo disco: cercare di lasciare emozioni che durano nel tempo.

Ad oggi è come se tu avessi superato diversi step, come stai tu aldilà dell’uscita del disco?

Sono teso perché l’uscita del disco porta sempre tensione, com’è naturale che sia dopo tre anni di lavoro e di fatiche. Sono una persona che ha accettato di avere dei problemi e ha deciso di affrontarli facendosi anche aiutare. Voglio riprendere in mano la mia vita, la mia carriera e la mia arte. Ho sempre suonato e cantato cercando di lasciare un segno. Lo faccio per il mio pubblico ma anche come terapia. Solo con la scrittura riesco ad esorcizzare le dinamiche più spigolose della mia vita; sarà per questo che non ho avuto paura a denudarmi in tutti i sensi.

Come hai trovato la forza di raccontare delle cose così forti a tutti?

Credo che questo sia un istinto di sopravvivenza insito nella mia natura. Anche l’autodistruttività, che mi porto dietro dall’adolescenza, ha sempre trovato un freno nel momento in cui mi rendevo che conto che rischiavo di compromettere la cosa più importante per me, ovvero scrivere canzoni.

Come hai lavorato alla costruzione degli arrangiamenti di questo album?

C’è stato un grande lavoro da parte di Fabrizio Barbacci, alla terza prova discografica con me. Anche lui ha affrontato momenti non facili, quando non riesci a chiudere un disco e ci devi continuamente mettere mano, vuol dire che qualcosa va bilanciato. L’obiettivo era cercare di fare qualcosa di più originale rispetto agli arrangiamenti canonici e fare in modo da risaltare la forza lirica delle parole. Ci sono stati vari tentativi e in questo caso il sudore e l’impegno ci hanno aiutato a realizzare il disco che volevamo fare. Il resto sarà il pubblico a deciderlo.

Video: “Era bellissimo”

“Mamma ho riperso l’aereo” è un brano dissacrante ma geniale e costruttivo al contempo. Come ci sei arrivato?

Per permettermi di toccare un mostro sacro come Rino Gaetano, ho pensato che me lo potevo permettere visto che è tra i tre artisti che mi hanno segnato nella vita. Il nero del cielo di cui parlo in questo brano, non è un nero negativo, è il nero dei tablet e dei cellulari che sono diventati un prolungamento delle nostre mani e che in molti casi hanno sostituito la vita reale. La società non sta aiutando le persone a migliorare se stesse, anzi!  Per non parlare di come il modo di comunicare tra le persone abbia perso ogni pudore, la gente si sente autorizzata a dire qualunque cosa, c’è la convinzione che tutto sia concesso, che tutto si possa criticare. Io credo che rendere più barbaro il rapporto tra le persone per sfogare in modo becero la propria repressione sia una sconfitta della società. Mi auguro che prima o poi si ponga un limite a questa degenerazione. Viste le condizioni socio-politico-culturali che ci circondano, c’è bisogno di aiuto per tutti.

Parlando di intensità di sentimenti c’è il brano “Qui per te” in cui metti su nero la forza di un sentimento puro.

Questo brano fa parte di quelli che si sono sbloccati con il trasferimento a Milano, una canzone in cui cerco di far capire ad una persona che la mia presenza, anche nei momenti di lontananza c’è sempre stata e forse sempre ci sarà sotto qualche aspetto. Si tratta di un atto d’amore, l’amore nella musica ha un senso che accompagna gli slanci artistici più intimi, profondi e delicati. Non mi sono mai vergognato di essere così esplicito e plateale, crudo e realista. Sento che quello che scrivo è vero, autentico; non me ne devo vergognare.

A questo proposito, cosa ti dicono i fans?

Loro hanno sempre empatizzato molto verso i miei lati testuali. Molte persone mi hanno ringraziato per averli aiutati a lavare via il dolore causato da momenti difficili della propria vita. Molti hanno capito che io non sono solo un cuore spezzato ma c’è tanto altro che cerco di esprimere per lasciare una mia impronta artistica che duri nel tempo.Quando mi cercano e mi scrivono, capisco che qualcosa di buono lo sto facendo.

Il Cile

Il Cile

Come si sente Lorenzo sul palco?

Sicuramente mi sento più a mio agio che in altre situazioni più tecniche come le conferenze e tutto il resto. Rimango una persona timida ma sul palco ho sempre avuto un’altra visione della mia stessa vita. Nel privato sono così per tante cose successe dalla mia infanzia ad oggi ma quando devo affrontare uno spettacolo per persone che fanno il sacrificio di pagare un biglietto per ascoltarmi, lì mi piace lasciare un segno per lasciarli tornare a casa soddisfatti e fargli venire voglia di tornare.

Visto che vuoi lasciare segni nella vita degli altri, quali sono i segni che stai disegnando tu sulla tua tela della vita?

Desidero lasciare un bel ricordo musicale di me stesso e arrivare a più persone possibili. Questo è quello che sogno e che mi impegnerò a fare. Ho ripreso in mano la mia vita con un’altra ottica e ho capito che tutti i sacrifici che ho fatto che portare a termine questo lavoro, non solo erano necessari ma li rifarei tutti da zero per arrivare a un pubblico sempre più preso da quello che faccio e non di passaggio.

 Raffaella Sbrescia

Ascolta qui l’album:

I Soul System presentano “Back to the future”: un primo album pieno di contagiosa energia

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Hanno voglia di raccontarsi, di ballare, di stare insieme e di contagiarci con la loro irrefrenabile energia. Loro sono i Soul System che, dopo aver vinto l’ultima edizione di X Factor, compiono il primo vero passo ufficiale all’interno della discografia italiana con “Back to the Future”  (Sony Music), un album che straborda di influenze musicali: si passa dal funk, al soul, all’hip hop, alla dance anni ’90, alla reggaeton che tanto spopola negli ultimi tempi. Il “ritorno al futuro” dei Soul System riprende le fila dei fasti passati con l’intento di donargli una veste fresca e coinvolgente, la stessa che da sempre questi ragazzi indossano con l’intento di divertirsi e far divertire.

Li avevamo lasciati, infatti, sul palco dei Magazzini Generali per una gustosa anteprima del tour estivo ancora in corso ed ecco come li ritroviamo: «Dai Magazzini Generali di Milano ad oggi ne abbiamo fatta di strada! Quel concerto per noi ha rappresentato uno dei primi assaggi di professionalità. Certamente avevamo tenuto altri concerti prima di allora ma, stare di fronte ad un pubblico pagante in attesa del nostro show, senza l’ausilio di tecnici e professionisti della tv, ci ha riempiti di adrenalina. Non è stato semplice ma abbiamo superato la prova del nove ed oggi siamo qui, pieni di voglia di lavorare e di far vedere cosa siamo capaci di fare».

Soul System @ Sony

Soul System @ Sony

Ed è proprio questo desiderio che traspare in “Back to the future” che pare rappresentare l’emblema di tutto l’excursus formativo della band: «Avevamo 25 brani a disposizione ma insieme al nostro producer Antonio Filippelli abbiamo scelto quelli che in qualche modo potessero rispecchiare in modo fruibile la nostra essenza. Ci siamo rifatti alle nostre influenze risalenti alla musica black americana ma anche a quella africana che ci ha insegnato a cantare, scrivere e suonare. Abbiamo accorpato tanti stili e tanti generi ma la nostra identità stilistica è quella che mettiamo in evidenza». Una scelta ragionata quella dei Soul System che hanno voluto optare per un primo passo prudente e non troppo rischioso: «Alcuni brani che sono rimasti fuori perché erano un po’ troppo avanti, spiegano i ragazzi della band, siamo molto attenti alla scena musicale contemporanea e ci rendiamo conto che, azzardare troppo all’inizio potrebbe risultare presuntuoso. Ci siamo fidati del nostro produttore che, come un allenatore, ci coordina per andare a segnare. Il suo è un ruolo fondamentale perché riesce a tirare fuori il nostro meglio senza mai snaturarci. Quello che ci interessa adesso è evolverci, muoverci gradualmente verso il gusto del pubblico e trovare un percorso artistico da seguire».

Video: i Soul System presentano “Back to the future”

Compatti, energici e realmente legati da un affetto reciproco i Soul System raccontano con entusiasmo del loro primo tour estivo e delle inaspettate reazioni enstusiastiche dei loro fan; in attesa della conclusione di questo percorso on the road, la loro mente viaggia già verso l’allestimento del tour invernale: «Ci aspettano Iseo, Verona, Imola e Palinuro poi faremo un bel po’ di instore e solo allora ci fermeremo un attimo per fare il punto e ripartire». Infine un doveroso approfondimento al messaggio socio-culturale che Soul System intendono diffondere: «Uno dei brani di questo disco, nonché prossimo singolo in uscita il prossimo 15 settembre, è “Whiteniggas”. All’interno di questa canzone esprimiamo un concetto ampio che racchiude il nostro modo di pensare e di concepire la vita e la società aldilà del colore della pelle o dell’estrazione sociale. Per noi è importante che questo messaggio arrivi diretto: i Soul System considerano la diversità una risorsa e non un limite».

Raffaella Sbrescia

 

Ensi: “La mia scuola non è vecchia o nuova, la mia scuola è la vera, ti spiego”

Ensi

Ensi

Per chi ha voglia di compiere un excursus di spessore all’interno dello scenario hip hop italiano, è in arrivo il nuovo album di Ensi. Che siate appassionati di rap o meno, saprete che Ensi appartiene alla generazione dei pionieri di questo genere musicale in Italia. Il suo free style ha fatto scuola e, ad oggi, le sue canzoni rappresentano un ponte di collegamento tra i dogmi di ieri e le novità di domani. Il titolo “V” (Warner Music) prende il nome da Vincent, suo figlio, da Vella, il suo cognome, la sua famiglia, le sue radici e da “Vendetta”, il suo primo album e, in ultima istanza, dal numero romano che sta a dirci che questo è il quinto disco di Ensi.

La spina dorsale di questo lavoro è la voglia con cui l’artista mostra di mettersi in gioco, di esserci, di mostrarsi con nuove responsabilità e un punto di vista molto lineare e ben definito. Gli aspetti che rendono tangibili queste deduzioni si possono individuare in una scelta stilistica eterogenea ma equilibrata, che non snatura che principali peculiarità di Ensi.

Forma e contenuto vanno a braccetto tra beat, filtri e trap, Ensi chiude il cerchio e lo fa suo modo.

Intervista.

Bentornato Ensi. In questo disco ti sei divertito a modellare forma e contenuto, come ci sei riuscito?

Per un rapper come me, che nasce da un percorso in cui l’unico modo di farsi notare era farlo dal vivo, la forma è un elemento fondamentale. Ad oggi non sono in molti a saper riprodurre dal vivo ciò che fanno in studio ma, sebbene lo stile faccia parte del gioco, ritengo che i concetti siano altrettanto importanti. In questo mio nuovo lavoro il mantra è “Rap over everything”.

Che tipo di idea hai seguito durante la scrittura dei testi?

C’è stata un’evoluzione nel mio percorso, ho cercato un punto in comune tra il mio essere trentenne e il voler raccontare delle cose anche ai giovanissimi. Ho voluto inserire molto del mio vissuto senza essere dogmatico e senza fare la lista della spesa, ho semplicemente voluto renderlo fruibile. Sono soddisfatto di questo equilibrio globale e devo dire di averci ragionato molto su.

La sensazione che si percepisce è che tu intenda dire a chi ti ascolta: “Guarda, io ti sto dicendo delle cose ma non sono lontano da te, sto cercando di spiegarti cosa significa rappare e come siamo arrivati a quello che ascolti oggi…”

Esatto ma vorrei sottolineare che non mi metto in cattedra, nessuno può insegnare niente a nessuno in questo gioco, tutti i ragazzi devono fare il loro percorso e imparare. Siamo in periodo di forte crossover, il rap ha subito le evoluzioni della società, sono cambiati i mezzi, i formati ed è normale che i ragazzi abbiano voglia di qualcosa di veloce, di immediato, di meno pesante. I ragazzi si sentono lontani da tutto: dalla politica, dai professori, dalle istituzioni. La musica è forse la loro unica fonte di ispirazione. I giovani hanno i mezzi e la possibilità di fare grandi cose, purtroppo però gran parte di loro li vedo schiacciati da un alone di materialismo e di superficialità che un po’ aleggia nella società in generale.

Quindi come si configura questo lavoro nello scenario musicale italiano secondo te?

Non sto dicendo che il mio disco vada a colmare un gap però ho fatto sinceramente quello che mi sentivo di fare e il fatto che questo lavoro si vada a sposare con l’attualità che viviamo credo che farà sì che il disco possa trovare una posizione ben precisa. Nel corso dell’ultimo decennio ho fatto tante cose che nessuno può cancellare, ho conquistato tanti riconoscimenti nell’ambito del free style e, alla luce del mio ruolo, ritengo sia importante che quelli della mia generazione non si mettano a fare i ragazzini perché senno abbiamo finito di giocare.

Video: Iconic

Parliamo delle scelte musicali che hai fatto in “V”

Nel disco parlo a tutti, sia dal punto di vista testuale che musicale. Il mood è quello di alternare elementi musicali innovativi a break beat e filtri. Abbiamo giocato con la spina dorsale dell’hip hop fino mettendo in risalto le mie peculiarità.

Come hai lavorato con i produttori?

Mi sono creato una squadra di persone che mi conoscono molto bene. Tra queste c’è VOX P, una delle figure più importanti con cui ho condiviso tante cose. Sono tornato a casa con un gruppo torinese. Di Torino è il fonico, il tecnico di studio, il responsabile del progetto fotografico Andrea Nose Barchi. Questa squadra mi è servita superare il fatto che per tre anni non ho scritto più rap concentrandomi sull’essere diventato padre. Insieme a loro ho dosato la scrittura, ho effettuato un grosso lavoro di sgrassatura, le prime settimane eravamo a fare beat e loop su miei free style fino a collezionare l’ossatura del disco. In un secondo momento abbiamo cominciato a coinvolgere gli altri produttori in modo molto naturale: ho avvicinato persone con cui avevo già collaborato ma anche nuovi nomi che potessero arricchire il mio lavoro con le loro doti migliori. Sono contento che il disco abbia raggiunto un equilibrio tra vari livelli.

v- cover album

v- cover album

Tra i duetti, quello con Clementino è forse quello che lascia trasparire una chimica particolare. Concordi?

 Clementino è stata una delle poche persone, insieme a Luchè, a cui ho pensato fin dal primo momento. Clementino ed io abbiamo condiviso tantissime cose insieme: dai momenti bui, al passaggio di testimone con la primissima generazione dell’hip hop italiano, a quelli di maggiore popolarità. Nel pezzo che cantiamo insieme l’obiettivo è quello di trasmettere ai ragazzi questa fortissima voglia di spaccare, di essere MC nel vero senso della parola. Volevamo raccontare di quando, treno dopo treno, viaggiavamo ovunque per farci sentire e farci vedere, di quanto non c’erano le views su youtube per farsi puntare dai discografici. Poi, certo, quando ci siamo visti al Red Bull Studios, non abbiamo resistito alle 4 barre a testa come facevamo nelle sfide di free style. Ah, che figata la tana delle tigri!

E, per chiosare, il tuo marchio di fabbrica: “Non basta che mi segui, serve che ci credi”

In questo momento così caotico in cui tutti si sentono in diritto di dire la loro, in cui esce qualcosa di nuovo ogni giorno, questo tipo di messaggio sottintende il concetto di reale appartenenza ad un genere musicale che in Italia ha attecchito con 40 anni di ritardo, che affonda le radici nella sofferenza, che cerca di scavare in profondità e che, in quanto tale, aldilà dei contenuti sempre meno in linea con il suo scopo principale, intende sempre parlare alle persone senza alcun filtro.

Raffaella Sbrescia

Ensi incontrerà i fan negli store delle principali città italiane.

Questi gli appuntamenti:

 

1 settembre  TORINO Feltrinelli  – h. 18.00

2 settembre BARI Feltrinelli h. 15:00 e BRINDISI Feltrinelli h. 18:30

3 settembre  SALERNO Feltrinelli h. 15.00 e NAPOLI Feltrinelli h. 18.30

4 settembre ROMA Discoteca Laziale h.18.00

5 settembre  FIRENZE Galleria Del Disco h.15.00 e  BOLOGNA Mondadori h. 18.30

6 settembre PADOVA Mondadori h. 15.00 e  VERONA Feltrinelli h.18.30

7 settembre  MILANO Mondadori Duomo h. 18.00

Tieniti forte: il nuovo equilibrio di Marco Carta. Intervista

Cover album Tieniti forte

“Tieniti forte” è il titolo del nuovo album di inediti di Marco Carta. Pubblicato per Warner Music lo scorso 26 maggio, l’album è stato anticipato dal singolo “Il meglio sta arrivando” e si compone di dodici brani che, in modi diversi, affrontano un discorso lineare. Marco è cresciuto, è cambiato, ha acquisito nuove consapevolezze e oggi lo ritroviamo più bilanciato e desideroso di proporsi con un messaggio preciso. Non solo ballads ma anche brani up tempo per affrontare diverse tematiche da un medesimo punto di vista. Giunto a circa un anno di distanza dal precedente lavoro “Come il mondo”, questo disco vorrebbe scardinare i pregiudizi che da tempo accompagnano il percorso di Marco Carta che racconta: «Tutto è partito da una forte esigenza di cambiamento. In virtù di questa mia voglia di evoluzione, ho sentito il bisogno di lavorare con nuove persone. Nel corso del tempo sono cambiato e così anche le mie esigenze, soprattutto quelle professionali. Parto col dire che il precedente album “Come il mondo” è stato lavorato in due anni e, dato che in questo lasso di tempo chiunque subisce dei cambiamenti, quando è uscito non mi ci rispecchiavo. Per questo ed altri motivi, ho scelto di lavorare con nuove persone. In genere sono molto epidermico e raramente mi sbaglio. Non ho mai lavorato tanto serenamente e in modo spedito. Tengo comunque a sottolineare che questa non è una critica al team precedente».

Chiarito questo primo punto, l’artista entra nello specifico del disco: «Il primo step di questo percorso è stato il singolo “Il meglio sta arrivando”» – spiega – «Si tratta di un pezzo uptempo, un electro-pop molto estivo e fresco che rispecchia pienamente la mia necessità di cambiare stile. Non volevo più fare solo ballate, volevo sentirmi completamente a mio agio». A proposito del ricorrente concetto del tenersi forte, Marco specifica: «Questo concetto è presente in diversi momenti nell’album. C’è sempre qualcosa a cui tenersi forte. In questo momento della mia vita, per esempio, il tenermi forte vuol dire tenermi stretto alla mia famiglia e alle piccole cose che in genere davo per scontato. Il tempo non è infinito, ci vuole coraggio per guardare in faccia la realtà». Un legame, quello con il tempo, che Marco sente molto forte, la testimonianza è tangibile nel brano “Dove il tempo non esiste”: «La canzone ha un riferimento molto chiaro al tempo e a come lo vivo. Il vero momento di svolta in questo senso è stata l’esperienza a L’Isola dei Famosi. In quel contesto ho sentito la mancanza dei miei cari. Una volta tornato a casa, ho cambiato tante cose nella mia vita e soprattutto nei confronti della mia famiglia. Pensavo che una volta rientrato in Italia avrei dimenticato certi pensieri, invece mi è rimasto tutto dentro». A questo proposito, Marco Carta si sofferma a lungo sul tema legato all’uso delle tecnologie: «In “Solamente la pelle” parlo del punto di non ritorno a cui siamo arrivati. Abbiamo perso la carnalità, quel contatto fisico che prima c’era e faceva davvero la differenza. Oggigiorno siamo un po’tutti malati di tecnologia e con questa canzone vorrei far riflettere sull’importanza di riavvicinarci alla realtà».

Marco Carta

Marco Carta

Alla luce di questi cambiamenti e delle nuove consapevolezze acquisite, lo stato d’animo di Marco Carta è di quelli che si sentono pronti a nuove sfide: «Il cambiamento fa sempre paura. Mi faccio tante domande ma i miei fan mi hanno già dimostrato una forte vicinanza. Anche il supporto delle radio mi sta incoraggiando. Oggi, dal punto di vista personale mi sento molto più concreto e determinato. Ho capito che devo ascoltarmi di più, talvolta ho perso tempo a non farlo lasciandomi condizionare. Anche professionalmente mi sento maturato. Grazie a questi anni di esperienza il mio orecchio è più attento a tutto. Anche durante i mesi di lavorazione dell’album sono stato in studio e ho vissuto una forte crescita. A questo punto, vorrei avere la possibilità di far vedere quello che sono  diventato anche se c’è ancora un certo pregiudizio nei miei riguardi. Non rinnego Amici, anzi, non posso che ringraziare il talent perché se sono quello che sono oggi è anche grazie al programma. Al pubblico vorrei dire questo: ascoltatemi senza pregiudizi, sentite cosa ho da dirvi!».

Raffaella Sbrescia

Ascolta qui l’album:

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