Adesso sì: Tiziano Gerosa si prende la sua rivincita. Intervista

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“ADESSO SÌ” è il nuovo album di inediti del cantautore comasco TIZIANO GEROSA. Il disco, pubblicato da Clapo Music/Marechiaro Edizioni Musicali e distribuito da Edel Italy/Believe, contiene 13 brani inediti dal taglio pop-rock, tutti scritti, arrangiati e prodotti dallo stesso Tiziano Gerosa con la partecipazione di tanti importanti musicisti.

Ciao Tiziano, cosa significa rimettersi in gioco con un album di inediti in questo contesto musicale?

Rimettersi in gioco dopo parecchi anni ed in completa autonomia, significa poter decidere con estrema liberta’ mettendo al centro il puro piacere di fare musica lontano da pressioni ed aspettative. Ho voluto fare il disco che vorrei comprare.

Quali sono state le tappe che hanno segnato il tuo cammino artistico?

Riassumendo posso dire che pochi hanno fatto ‘gavetta’ come me. Sono partito dalle classiche band giovanili cominciando a scrivere canzoni nell’adolescenza. L’incontro con molti grossi artisti che registravano i loro dischi nello Stone Castle Studios  lo studio più importante di allora, parlo degli anni 80. Poi molta anticamera presso case discografiche e decine di ‘aperture’ per artisti della scena americana , come Robbie Krieger dei Doors. Importante fu la vittoria al Premio Recanati con l’uscita di un mini cd verso la fine dei ’90. Un tour durante il quale aprivo i concerti di R. Vecchioni in una sua fortunata estate. La partecipazione al Rock fur den Frieden di Berlino e ad altri festival internazionali come il Festamajo di Maputo in Mozambico.

Cosa ti ha spinto a incidere questo album? 

Il desiderio di dare una forma al sogno che per tanto tempo ho inseguito e poi abbandonato.

Hai lavorato insieme ad alcuni dei più blasonati turnisti italiani. Che tipo di alchimia sei riuscito a creare? 

Avevo ben chiaro il suono che avrei voluto ottenere e a tale scopo mi servivano musicisti con personalita’ e caratteristiche ben definite. Una volta individuati ho quindi inviato loro i demo di alcuni brani ottenendo un apprezzamento immediato. Proprio per l’estrema libertà di cui parlavo prima, si è da subito creato un clima perfetto di lavoro dove al centro non c’era l’artista famoso per cui lavorare ma una canzone da ‘rivestire di musica’. Ed è questo il clima che si respira ascoltando i brani : il divertimento e la gioia di riempire lo spazio di musica. Voglio citare chi mi ha fatto vivere momenti veramente indimenticabili: Lele Melotti alla batteria, Paolo Costa al basso, Luca Colombo alle chitarre elettriche, Ernesto Vitolo al piano Rhodes e organo Hammond, Claudio Pascoli e Daniele Comoglio al sax, Daniele Moretto alla tromba, Alessio Nava al trombone e Marco Fadda alle percussioni + il Gospel Light Vocal Ensemble.

Video: Adesso sì

Il titolo del disco rispecchia il tuo momento personale?

La canzone ‘Adesso sì’ in realtà racconta di come la vita di ciascuno sia attraversata da molte persone e da qualcuna vieni solo sfiorato mentre con altre fai un cammino più lungo. E spesso il caso gioca un ruolo fondamentale. Ho però voluto adottare questo titolo proprio come mi chiedi, ovvero: questo è il momento. Alcuni dei brani in tracklist hanno un lungo periodo di gestazione.

Com’è stato metterli a punto e inciderli dopo tanto tempo?

Posso usare il termine liberatorio. Parlo soprattutto di ‘Notte fonda’ la cui linea melodica è stata scritta molti anni fa. Ha poi subìto nel tempo parecchie variazioni di testo fino alla versione definitiva scritta durante una notte ‘luminosa e nera’ su una pista di sci da fondo nell’alta Engadina.

Che significato ha per te il temporale?

Devo dire che le due canzoni che parlano del temporale non contengono, per me, nessuna metafora. Ho voluto soltanto cercare di descrivere in musica le sensazioni che precedono l’evento atmosferico puro nel primo caso e nel secondo, quella sorte di pace ritrovata dopo il nubifragio. Ma le canzoni non appartengono più a chi le ha scritte, quindi ognuno si darà il proprio significato.

In che senso “L’amore ti fa”?

Questa è una delle mie preferite, per due motivi. Il primo è che dopo circa 300 canzoni scritte, ho usato la parola Amore per la prima volta. Ho sempre pensato che questa parola vada ‘protetta’ e che abusandola facesse perdere il valore che essa ha. Quindi, adesso sì. L’amore ti fa perché tutto parte, o dovrebbe partire, dall’amore, nel senso più ampio possibile. L’amore è la benzina della vita ed è ciò che rende migliore l’essere umano. Fare le cose con amore fa sì che le stesse cose siano migliori e solo così saremo costruttori di bellezza. Il secondo motivo è strettamente ritmico/musicale dato che è esattamente così che me la sono sognata.

Quali prospettive hai per questo progetto e, più in generale, per la tua carriera artistica? 

Qualcuno mi ha detto che ascoltare queste canzoni è come bere acqua fresca di fonte. Se fosse così sarebbe bello condividere con il maggior numero di persone questa sensazione e per quanto riguarda il mio futuro vorrei al più presto tornare in studio per continuare con un altro progetto che bolle in pentola.

Raffaella Sbrescia

Intervista a Federica Carta: La mia carriera è “Molto più di un film”

Federica Carta

Federica Carta

“MOLTO PIU’ DI UN FILM” è il progetto discografico che rilancia Federica Carta nel mercato musicale italiano. Prodotto da Dario Faini, Antonio Filippelli e Andrea Rigonat, l’album intende segnare il ritorno di Federica a poco meno di un anno dall’uscita dell’album di debutto. Reduce da diverse avventure televisive come il programma di Rai Gulp “Top Music, Federica Carta è nel pieno del suo tour in tutta Italia.

Cosa ci racconti in “Molto più di un film?
Questo è un disco un po’ vario. Ho lavorato con ben tre produttori, questo mi ha aiutato a fare uscire fuori più parti di me, sia dal punto di vista interpretativo che musicale. Ho rispettato i tempi necessari per pubblicare un lavoro che potesse soddisfarmi pienamente e così è stato. Rispetto agli altri ragazzi di Amici sono stata “ritardataria” ma è stato giusto così.

Sei ancora in contatto con Elisa, tant’è che hai lavorato con suo marito Andrea Rigonat…
Sì, mi piace molto il suo approccio al lavoro. Andrea è una persona molto semplice, non ti fa mai pesare che sia un grande, mi ha dato molto spazio anche se in fatto di arrangiamenti non ne so molto.

Il titolo del disco è autobiografico?
Partiamo dal presupposto che il programma “Amici” è una grandissima risorsa. Quello che so ora lo devo a Maria e a quel contesto. La mia vita sembra davvero un film, non ho familiari musicisti, ho questo sogno dentro di me sin da quanto ero bambina. Ho iniziato a cantare a 9 anni, poi ho cominciato a suonare il pianoforte. Quando sei piccolo, fai le cose con ingenuità, poi man mano inizia a palesarsi la tensione. C’è da fare i conti con il pubblico, con chi ti attacca. Per certi versi mi sento una bambina in un mondo di adulti. Non è facile muoversi e crescere in un mondo pieno di pregiudizi.

Quali sono le differenze tra primo e secondo album?
All’epoca ero dentro la scuola, ero limitata ed ero comunque distaccata dal mondo esterno. Le necessità televisive riducono i tempi di lavorazione, avevo poco tempo per scegliere i brani e impararli. Adesso, dopo un anno, sono riuscita a conquistare la possibilità di avere voce in capitolo, ho scelto i brani che volevo realmente cantare, ho potuto pensarci su e scrivere qualcosa anche io e ne sono fiera.

Il tema più gettonato è l’amore.
In effetti è vero. Non è una cosa voluta, sento semplicemente la necessità di parlare di queste cose. In questo album ci sono anche altre situazioni relative alla vita quotidiana. Anche se canto l’amore, credo di non essere mai riuscita a provarlo fino in fondo. Non mi è nemmeno andata così bene quando ho pensato di provarlo.

Sei percepita dal pubblico come Federica di “Amici”. Quali sono le tue ansie, le tue paure e le tue speranze?
Alla fine del programma avevo paura di essere dimenticata, ci ho scritto su e mi sono sfogata così. Quest’anno ho avuto modo di riflettere e capire chi voglio essere. Il mio obiettivo non è distaccarmi dal talent ma affermarmi come cantante.

Come hai strutturato il live?
Abbiamo arrangiato i brani in modo che rendessero al meglio dal vivo. Mi piace molto improvvisare, ci sono variazioni sulle melodie. Sul palco mostro più lati di me: c’è il lato grintoso ma non trascuro nemmeno quello più cupo. Sono contenta della mia band e, più in generale, sono felice di esibirmi dal vivo, mi dà carica e consapevolezza professionale.

Chi è, in sintesi, Federica Carta?
Vivo con i miei, non sono ancora pronta per andare via. Sono nostalgica, quando ritrovo una vecchia foto mi emoziono. L’emotività e la timidezza sono parte integrante di me ma, piano piano, sto trovando una mia dimensione comunicativa. A fine giornata mi capita di ritrovarmi arrabbiata e stanca ma, appena focalizzo l’attenzione su quello che sto realizzando, mi si riempie il cuore di soddisfazione.

 Raffaella Sbrescia

 

Lorenzo Fragola riparte da “Bengala”: “Ho lasciato da parte i super produttori per cominciare a crescere”

Lorenzo Fragola - Bengala

Lorenzo Fragola – Bengala

“Bengala” è il frutto di un lavoro durato diverso tempo. Un tempo che Lorenzo Fragola si è voluto prendere con l’obiettivo di cercare una sua dimensione, una personale consapevolezza. Il fulcro di questo suo nuovo percorso è stato cercare di capire che tipo di artista voler essere e che musica voler fare. Lorenzo si spoglia del suo personaggio, sceglie di ricominciare daccapo seguendo la prospettiva di ricongiungere il personaggio televisivo con la persona. Ci vuole coraggio per capire cosa voler raccontare alle persone e con “Bengala”, anticipato dal singolo “Battaglia Navale”, ci sono 10 brani inediti a fotografare la ricerca di questa nuova direzione che Lorenzo ha intrapreso insieme a Federico Nardelli (a lui la cura di Lontanissimo, SuperMartina, Vediamo Che Succede, Miami Beach, Imbranati, Bengala), MACE (producer di Battaglia Navale, Cemento), SRNO (Echo) e Fausto Cogliati (Amsterdam).

Intervista
Ho girato molto in Italia e all’estero, sono andato ad Amsterdam con l’obiettivo di scrivere ma anche i viaggi di piacere mi hanno dato qualche spunto per chiudere dei brani. Ho scritto tante canzoni, ne ho scelte solo 10, il disco inizia con “Battaglia navale” e finisce con “Bengala”, inizio e fine coincidono con i limiti dettati dalla voglia che avevo di raccontare quello che ho fatto per cercare la mia strada.

Quali sono le conclusioni a cui sei arrivato grazie a questo lavoro?

Non ho voglia di fare altro che non sia quello che mi rappresenta. Prima di X Factor non avevo nemmeno pianificato di voler fare questo lavoro. Il primo brano scritto in italiano l’ho portato istintivamente a Sanremo ma non avevo idee nè strumenti per farlo. Ora ho strumenti per muovermi e con questo lavoro in solitaria sono cosciente della visione di un progetto di cui sono produttore. Scrivere un album in italiano è stato difficile, prima ero affiancato da autori che mi spingevano a cavalcare l’esigenza del momento. Quelli erano i miei primi tentativi di esprimermi, ogni volta speravo di poter fare un piccolo passo in avanti per crescere. I super producers pensano a cavalcare l’onda di un percorso televisivo, non creano l’identità di un artista, ho rifiutato un tour e la tv, ho rinunciato ai soldi e alla visibilità perchè non mi permettevano di crescere, ho scelto questa via perchè ho voglia di mettere insieme nuovi tasselli in grado di darmi una precisa identità.

Com’è cambiato il tuo approccio alla musica?

Il mio approccio alla musica ora è completamente diverso, “Battaglia navale” l’ho scritta due anni fa quando ancora suonava come qualcosa di completamente nuovo. Questo brano mi ha dato la forza di iniziare e di mettermi in gioco all’interno di un percorso con cui rischio di bruciarmi. Ho abbattuto i limiti, prima l’unico termine di paragone che avevo si è trasformato in una voglia di dire qualcosa che mi rispecchiasse.

Qual è il più grande risultato raggiunto finora?
Ho sviluppato delle vere competenze musicali, non mi sono fermato davanti alle distinzioni di genere, ho scelto ciò che ritenevo giusto e autentico sperando che chi mi ascolterà potrà ritrovarsi in questo tipo di pensiero. Non ho messo freni a quello che sento di voler essere, non ho più i filtri che prima usavo come protezione. Ho affrontato questo percorso da solo, ho voluto essere sincero con me stesso, non ho più intenzione di scendere a compromessi.

C’è stato uno strappo vero e proprio?

Sì ed è stato essenziale. L’importante è stato recuperare la serenità ed un rapporto pacifico con ciò che faccio. Trovo che sia giusto fare qualcosa che mi rappresenta, gli strappi creano fragilità ma fare delle cose senza capire chi si è mette comunque in crisi. Avevo voglia di fare quello che mi era proibito, solo così potevo crescere. Se mi fossi fermato a quello che il mio personaggio prevedeva non so che tipo di passi in avanti avrei potuto fare.

Uno dei brani più particolari è “Cemento” in cui canti con Mecna e Mace.

Il brano è venuto fuori esattamente così come è scritto. Con Mace eravamo partiti dalla chitarra. Questa è la prima volta che uso un riff di chitarra elettrica. Con Frah Quintale ho scritto la prima parte, volevo che la storia continuasse senza interrompersi quindi invece di comporre due singoli, ho preferito unire tutto in un unico flow. Il pezzo dura 6 minuti ed è tutto da ascoltare, dall’inizio alla fine. Gli accordi armonici sono gli stessi però l’influenza di mondi diversi ha influito sulla percezione del brano. Si tratta di due versioni della stessa storia: nella prima parte questa persona parla di quello che vorrebbe dire ma non dice mentre nella seconda parte c’è il superamento della rabbia. Il brano deriva dalla perdita e dalla modifica di tanti rapporti personali che ho perso e riacquisito.

Video: Battaglia Navale

E della collaborazione con Federico Nardelli, in arte Gazzelle, cosa ci dici?

Questa è stata una scommessa per entrambi. Fino ad un anno fa non aveva mai prodotto un disco pop, non è stato facile farlo digerire, dire no ai super big. Parliamoci chiaro, un mese a Los Angeles non mi sarebbe mai bastato. Nardelli ha avuto la voglia di abbracciare un ruolo e buttarsi a capofitto in questa esperienza. L’ho dovuto convincere che fosse lui la persona giusta, siamo partiti dalle sessioni di scrittura; questa è stata la scelta più naturale per me, con tutti i limiti del caso. Lui è la persona più vicina a questo discorso non chi pensava di sapere cosa fosse giusto per me. Ho dovuto prendermi la responsabilità di portare a termine il progetto e adesso mi sento più ricco.

Quali sono le più grandi soddisfazioni che senti di esserti preso?
La più grande me l’ha data Enrico La Falce che ha mixato il disco. Lui non si aspettava certi risultati da parte mia. Mi sono messo alla prova su tutto, ho rispettato il momento e l’emozione. Questo disco è stato il passaggio propedeutico per sviluppare delle competenze e confrontarmi con me stesso. La competenza principale che sento di aver conquistato è stata scrivere un album in italiano da solo e senza autori. Mi serviva per non tornare sul palco a cantare solo brani scritti da altri, oggi non ce la farei.

Mi metteva in crisi il fatto che le persone non capissero la mia ricerca, a 22 anni non avrei mai fatto il teen pop. Dopo aver ascoltato questo disco per la prima volta ero terrorizzato, mi sentivo anche in imbarazzo per i brani vecchi, mi sono chiesto il perchè. Essere da solo crea fragilità, insicurezza ma mi serviva per riacquisire consapevolezza. Prima mi sono odiato, ora mi riabbraccio e mi rassicuro. Non mi sono goduto niente, ho vissuto tre anni di non vita, ero frustrato dal fatto di non essere riuscito a crescere, ora sono qui a vivere il rischio ma con la sicurezza di sapere chi sono, cosa faccio e come lo faccio.

Raffaella Sbrescia

Intervista a Motta: “Vivere o morire” è un album che vi fa capire come la penso e da che parte sto.

MOTTA_ph Claudia Pajewski

MOTTA_ph Claudia Pajewski

“Vivere o morire” è il titolo del nuovo capitolo discografico di Motta. Dopo la lunga gestazione de “La fine dei Vent’anni”, il cantautore torna in scena con un album emotivamente ricco con testi densi e arrangiamenti caratterizzati da un substrato  musicale suddiviso su più livelli. L’impostazione dicotomica del titolo lascia intuire subito un’intenzione chiara: rivelarsi senza filtri, svelare da che parte stare; senza sfumature di grigi. Motta si lascia andare, decide che è ora di restare, di essere consapevole, di dare spazio all’urgenza espressiva, all’intimismo, all’anima.

Intervista

Ciao Francesco, raccontaci come stai e come hai vissuto la gestazione di questo nuovo disco.
Ho conquistato una felicità che mi sono guadagnato. Fare dischi è difficilissimo, suonare mi diverte, scrivere i testi invece è davvero complicato. Si tratta di un processo che richiede consapevolezza, impegno, responsabilità. Stavolta ho lavorato in modo diverso, in primis perchè avevo molti più mezzi a disposizione, lavorare a New York non è chiaramente lo stesso che lavorare a casa. Il trucco è stato è non metterci trucchi. In questo disco vi dico da che parte sto e come la penso:  sto dalla parte del vivere ovviamente.

Dal punto di vista musicale invece?
Ho prodotto questo album insieme a Taketo Gohara ma ho suonato molte più cose io stesso. Così come tengo molto a riconoscere il lavoro delle altre persone, stavolta mi piace riconoscerlo a me stesso. Prima di cominciare il lavoro, avevo parlato con Riccardo Sinigallia che mi ha subito detto che stavolta non sarebbe stato lui il mio produttore artistico. Il lavoro di Taketo è stato importante perchè è molto diverso da me e Riccardo, ha svolto un lavoro complementare. Molti potranno obiettare che questo album sia nato in molto meno tempo ma non è vero, ho recuperato anche cose scritte nel 2011. Nel primo disco la gestazione è stata più lunga, più spalmata, non c’era la concentrazione che c’è stata adesso per questo disco a cui ho lavorato 24 ore su 24.

Cosa c’è di completamente nuovo in te e quanto ti porti indietro del passato?

Mi conosco meglio di prima, ho passato più tempo con me stesso. Dopo più di 100 concerti in giro, ho avuto modo di guardarmi indietro e fare delle scelte. L’ultimo brutto ricordo risale al concerto all’Alcatraz di Milano, l’ultimo del tour: non mi sentivo all’altezza di affrontare quel tipo di emozioni. Quando sali sul palco per spaccare tutto, stai sul palco nel modo peggiore in assoluto. In seguito, dopo 3 settimane di silenzio, mi sono vissuto il concerto del 1 maggio al meglio. Per me quel concerto all’Alcatraz è stato eccessivo, sono io che devo sentirmi pronto e se per primo mi accorgo di un errore, sono il primo a incazzarmi. Crescendo mi sono accorto che non è tanto importante la forza quanto scegliere di incanalarla bene. Bisogna capire come si impiega il tempo, questo tipo di considerazioni non le avevo mai fatte prima. A 20 anni mi affascinava descrivere il bivio, ora mi sento pronto a prendere una delle due strade, non so se sia quella giusta ma è la mia.

L’album si chiude con il brano “Mi parli di te”. Un testo molto intimo…

Avevo già parlato dei miei genitori, spesso ne parlo. In questo caso è stato molto complesso scriverne. Ho cercato di guardarli come degli essere umani pieni di pregi e di difetti, questo mi ha portato ad avvicinarmi molto di più a loro.

Tutti, a questo proposito, ricordano ancora con emozione il video del brano “Del tempo che passa la felicità”.

Ricordo che durante le riprese non ci siamo mai incrociati, poi soltanto alla fine ci siamo incontrati e abbiamo vissuto un attimo molto vero. In quel momento c’è stato qualcosa di intimo e privato, mentre tornavamo a casa abbiamo realizzato di non aver mai visto un tramonto insieme prima di allora.

Prima accennavi alla lunga gestazione de “La fine dei vent’anni”, magari adesso avevi semplicemente necessità di lasciarti andare e riempire al massimo questi nuovi testi.

Prima avevo una forte ingenuità nei confronti della mia esperienza di cantautore. In qualche modo c’era una confusione giustificata. In generale, per scrivere, mi serve sempre un gancio emotivo, ci vuole un’idea che mi serve per partire con la scrittura. Stavolta sono andato così tanto sul personale che non era giusto arrivare a compromessi. Ho scelto questa direzione a costo di essere scomodo e di non lasciare spazio per pensare. Ci sono frasi che ti arrivano come coltellate, le ho scelte per sentirmi meglio subito dopo. Per me questo è ciò che conta: ho esorcizzato tantissime cose, ho tolto tutto quello che era in più. In questo disco ci sono nove canzoni, non dovevano essercene nè in più nè in meno. Sono più tranquillo e più sobrio; questo album me lo sono guadagnato.

In “Vivere o morire” canti della paura di dimenticare. Tu ce l’hai?

La paura di dimenticare è quella più grande. Non voglio dimenticare gli affetti, da dove sono partito, quello che ho sbagliato. Per poter crescere la cosa più importante è l’accettazione dell’errore. Secondo la concezione binaria della vita bisogna scegliere se restare o andarsene, io scelgo di restare ma non voglio dimenticarmi delle scelte sbagliate.

Video: Motta presenta “Vivere o  morire”

Per quanto riguarda gli arrangiamenti di questi pezzi, cosa ti sei portato dietro delle tue precedenti esperienze?

Non smetterò mai di ringraziare i miei musiciti con cui sono cresciuto. Ne “La fine dei 20 anni” ho praticamente rivisto tutti i brani in funzione del live. Al soundcheck filava tutto troppo liscio e ho pensato che ci fosse qualcosa che non andava. Mi è piaciuto e mi piace tuttora scrivere musica al computer, non la vivo come una maniera fredda di scrivere canzoni, mi piace la concezione digitale della musica.

Con questi presupposti, stavolta sei volato fino a New York con Taketo Gohara.

Sì, Taketo ha sfruttato questa mia tendenza a suonare un po’ tutto e male. Quindi siamo finiti nello studio di registrazione di Keith Richards e lì, oltre al grande Mauro Refosco, abbiamo trovato una serie di strumenti che non avevo mai visto e sentito. All’inizio mi sono spaventato, ma d’altronde in qualche modo per poter essere produttivi, bisogna essere spaventati da quello che si fa. Sono rimasto diversi minuti a suonare una sola nota senza muovermi, c’erano molti sintetizzatori, alcuni dovevamo fisicamente cercarli. Abbiamo trovato energia pronta a essere detonizzata.

Che musica ascolti adesso?
Ascolto poca musica, soprattutto quando lavoro alla mia. Ultimamente mi sono emozionato ascoltando il disco di Filippo Gatti. Il rap non mi interessa molto anche se è mi è sempre piaciuto Salmo per la sua concezione molto simile alla mia. Alla fine comunque finisco sempre con l’ ascoltare “Rimmel” di De Gregori. La trap è sotto gli occhi di tutti, non possiamo far finta di niente. Ascoltandola mi accorgo di non essere preparato, mi sono scoperto invecchiato e testualmente distante. In ogni caso mi fa piacere vedere ragazzi giovanissimi in grado di fare cose che io a sedici anni certamente non facevo.

Che rapporto c’è tra la tua musica e le immagini?

C’è tanta immagine nelle mie canzoni. Lo stesso mi è capitato anche quando ho lavorato per la realizzazione di colonne sonore. In quel caso ci sono tanti ego che devono collaborare, in quel contesto ho imparato a sapermi mettere anche da parte.

Sebbene tu sia riconosciuto come artista indie, andresti a Sanremo?
Il mio desiderio è che la mia musica possa essere ascoltata dal maggior numero possibile di persone. Quello che conta è che questo non sia mai il presupposto con cui scrivere. Al Festival della Canzone italiana ci andrei se avessi una canzone giusta. Non c’entra il concetto di pop, per partecipare a Sanremo devi essere inattaccabile e portare una canzone adatta al contesto.

Raffaella Sbrescia

Di seguito la tracklist dell’album:
1. Ed è quasi come essere felice
2. Quello che siamo diventati
3. Vivere o morire
4. La nostra ultima canzone
5. Chissà dove sarai
6. Per amore e basta
7.La prima volta
8.E poi ci pensi un po’
9.Mi parli di te

A maggio, Motta tornerà dal vivo con quattro eventi, anteprima del “Motta live 2018″, organizzato da Trident Music. Questo il calendario dei concerti:
26 maggio ATLANTICO Roma
28 maggio ESTRAGON Bologna
29 maggio OBIHALL Firenze
31 maggio ALCATRAZ Milano

I biglietti per le quattro date sono disponibili in prevendita sul circuito www.ticketone.it e presso tutti i punti vendita abituali.

I Baustelle ritornano con “L’amore e la violenza vol.2″. Dodici pezzi che sono tutto tranne che facili.

Baustelle

Baustelle

Amore e violenza. I concetti si rincorrono, si intrecciano per poi distanziarsi all’interno del recente percorso artistico dei Baustelle. Ne “L’amore e la violenza vol.2 – Dodici nuovi pezzi facili” il gruppo nato a Montepulciano nel 1996 concede una tregua alla guerra per mettere in primo piano la love song che, in ogni caso, rimane lontana anni luce da quella inflazionata, mielosa e ormai trita che a ogni più sospinto ci viene riproposta.
Qui i Baustelle sfoderano la loro maestria linguistica, testuale e compositiva celebrando un amore che nasce con la consapevolezza che sarà destinato a consumarsi, previa la sublimazione assoluta.

Perchè un volume 2?

Abbiamo composto queste canzoni mentre eravamo in tour con “L’amore e la violenza vol.1″. Questo è un fatto inedito per noi che non abbiamo mai amato scrivere mentre siamo in giro. Forse stavolta l’immaginario sonoro e le cose che avevamo in mente di dire non si sono esaurite nel vol.1 e abbiamo voluto completare il discorso. Definire questi pezzi facili è un provocazione ironica che fa il verso a un film con Jack Nicholson. Il primo era un disco d’amore in tempo di guerra, c’era più focus sul contesto che sul racconto privato. Stavolta abbiamo dato spazio a relazioni sentimentali anche se le canzoni di questo album parlano di storie d’amor che contengono violenza al loro interno. Possiamo quindi dire che la guerra non è affatto finita, continua semplicemente in modo diverso da quella narrata del volume 1, in cui era più legata al contesto storico-sociale che stiamo vivendo.

L’unica eccezione, in questo senso, è data dal brano “Tazebao”?

Sì, in effetti lo è. Al suo interno ci sono folli aforismi sul presente. Possiamo considerarla l’eccezione che conferma la regola.

Come intendono l’amore i Baustelle? 

In “Amore negativo”, ad esempio, raccontiamo che l’amore è quello in cui nella migliore delle ipotesi ci scappa il morto, attraverso il sacrificio del proprio io. L’annullamento del sè per l’adesione all’altro. Il testo parte con una negazione, poi si sublima in piacere, ancora più forte se si riesce ad annullare l’ego e darsi all’altro senza chiedere niente in cambio. Viviamo in una società che non incita assolutamente questo tipo di concezione, anzi, al contrario siamo al centro di un grande massaggio all’ego. Vogliamo vivere per sempre, essere belli, magri, in forma. L’amore per come lo intendo io è il contrario di questo: è sporco e distruttore.

L’amore è salvifico?

No. Applicare l’annullamento del sè per darsi a qualcosa d’altro è sicuramente qualcosa che dà piacere ma non so da cosa dovremmo salvarci, l’amore non serve per vincere o eliminare le guerre, è una cosa più alta.

Perchè ne “Il Minotauro di Borges” il mostro accetta di morire?

Il Minotauro viene descritto come un essere mostruoso ma in realtà è un essere solo, chiuso in una casa grande come il mondo con stanze ripetute all’infinito. Ogni 12 anni arrivano le fanciulle in sacrificio per lui ma, ancora prima che possa dilettarsi, quelle muoiono prima dallo spavento. Nel dialogo tra Arianna e Teseo si evince che il Minotauro non voleva più vivere. I suoi sono amori impossibili.

Cosa sceglierete di portare dal vivo stavolta?
Porteremo in tour gran parte di questo disco e del precedente. Naturalmente non mancheranno le vecchie glorie che non possiamo non fare. Inoltre abbiamo ritrovato l’amore per certe canzoni vecchie che con un nuovo arrangiamento sono più vicine al nostro modo di suonare contemporaneo.

Una canzone si può giudicare pop o semplice a seconda della fatica che si fa per comprenderla?

Troviamo che sia sempre giusto fare fatica. Tutte le cose che ci piacciono richiedono un importante lavoro interpretativo e, si da il caso che a queste corrispondano per lo più cose che hanno resistito al tempo. La storia ci insegna che le cose che hanno richiesto fatica interpretativa non sono state apprezzate subito e che i loro autori morissero di fame o scoperti postumi. Intanto però sono rimasti nella storia. Tutto il resto è puro commercio. Secondo noi, dunque, l’attitudine giusta per fare qualunque lavoro artistico è cercare di sopravvivere al tempo e rimanere nella storia.

baustelle- cover album

baustelle- cover album

Cosa implica fare pop?

Questa è una definizione di gomma, in Italia questa distinzione è sparita abbastanza presto. Noi nel 1997 volevamo essere per tutti, all’inizio abbiamo avuto difficoltà, intorno a noi c’era molto più rock e scena alternativa. A noi va bene che si sia abbattuto questo muro. Se però abbattere l’indie significa diventare uguale al mainstream più becero allora sarà meglio rimettere su più di qualche mattoncino. Eliminiamo la musica prodotta solo per arrivare al commercio, a questa età non ci va più di perdere tempo a fare cose che non ci va di fare. Preferiamo l’ascolto alto.

Come convivete con la vostra spiccata estetica cinematografica?

All’inizio mescolavamo elementi rock alle colonne sonore. Siamo sempre stati affascinati dai compositori e dimenticati. D’altronde siamo nati quando all’estero cominciavano a scoprire proprio grandi compositori italiani, c’era tutto un sottobosco che allora di definiva “easy listening”. Abbiamo sempre amato il cinema e la musica per cinema. Ci ispirano le aperture prettamente strumentali e infatti ci sono anche in questo album. Ci piace l’idea che il disco si apra come una finestra. Rachele scrive molta musica senza testo, insieme gli diamo poi la forma canzone.

Un po’ come accade nel brano Jesse James e Billy Kid?

Ci piacciono i western, quelli di Tarantino in particolare. Nel brano questi riferimenti vengono usati in modo metaforico. I protagonisti vivono una storia d’amore turbolenta e travagliata.

A che punto siete della vostra carriera artistica?

Questo album racconta e fotografa in modo preciso chi siamo adesso. Le canzoni del vol.2 sono molto diverse dal vol.1, sono state scritte più in fretta e hanno visto un uso massiccio della chitarra, a differenza dei tre dischi precedenti. Quando ci si siede al pianoforte si ha a disposizione una maggiore possibilità di colori e complessità armonica. La chitarra invece ha un limite fisico che porta a scrivere canzoni più semplici, più veloci e più rock’n'roll. Per questo il disco ha una serie di colorazioni spigolose e un piglio ritmico più tirato. Naturalmente non abbiamo rinunciato ai sintetizzatori, sentiamo la differenza con il lavoro precedente e ci piace l’idea di poterlo suonare.

 Raffaella Sbrescia

Tracklist

Violenza

Veronica n.2

Lei malgrado te

Jesse James e Billy Kid

A proposito di lei

La musica elettronica

Baby

Tazebao

L’amore è negativo

Perdere Giovanna

Caraibi

Il minotauro di Borges

Fatti sentire: Laura Pausini presenta il nuovo album. Com’è? E’lei

Laura Pausini

Il ritorno di Laura Pausini

“Fatti sentire” è un invito che voglio fare a me e a chi ascolta la mia musica, un invito a essere coraggiosi ad andare avanti senza avere paura dei pregiudizi. Lo dico io che sono continuamente giudicata e spesso ho sofferto di questo tentando di proteggermi facendo il possibile per piacere a chi mi giudicava male. In questi 25 anni ho cercato di essere coraggiosa anche nei momenti in cui non lo ero”. Tante volte mi è stato detto che sono coraggiosa ma appena scendo dal palco, mi bastano cinque gradini per farmi diventare piccola, fragile e insicura. “Fatti sentire” è una cosa che mi viene da dire quando sono sul palco. Abbiamo una sola vita, una sola occasione e io ho scelto di essere contenta di me stessa, esattamente così come sono.

La scelta delle canzoni
Le canzoni che sono nel disco sono molto diverse tra loro, si passa da una ballad, a un reggaeton a un pop americano tendente al funky. Il disco è il mio 13esimo in italiano, il 12esimo in spagnolo, nasce dalle parole, non è autobiografico ma sono stata felice di cantare queste canzoni in un momento inaspettato. I tempi per fare uscire un album li conosciamo tutti, io stessa credevo di tornare all’inizio del 2019 ma, ad un tratto, nel giro di un mese e mezzo, avevo già tutte le canzoni che volevo cantare, ho chiamato Marco Alboni, presidente di Warner Music Italy e gli ho detto che ero pronta anche se lui non era d’accordo. Gli ho chiesto di venire a casa mia a sentire le canzoni che avevo con me, un po’ in veste di loro protettrice, non volevo aspettare il periodo in cui si vende di più. Avevo voglia di cantarle adesso, magari tra otto mesi non mi sentirò più così. Volevo combattere per loro.

In questo periodo mi sento protagonista di una fase nuova, mi sembra di ricominciare daccapo, finalmente farò promozione in programmi televisivi nuovi con conduttori che non conosco. Anche con le canzoni mi sono comportata in un modo diverso, le ho scelte senza sapere chi le avesse scritte, ho chiesto alla mia manager di inviarmele via mail solo con il titolo ma senza il nome dell’autore. La verità è che mi lascio facilmente influenzare, ho fatto una selezione di 40 brani, lasciandomi colpire da quelle che mi smuovono a livello fisico e che fanno muovere il mio braccio destro.
Il brano in inglese “No river is wilder” è rimasto così perchè mi piace molto interpretarlo, si tratta di un brano un po’ sofisticato dal punto di vista vocale, mi piace sentirmi sfidata.

Tutte le canzoni in tracklist hanno un comune denominatore: il protagonista è sempre qualcuno che si trova di fronte a una scelta, in qualche modo deve farsi sentire. Sono storiie molto diverse l’una dall’altra. Posso dire che questo è il mio disco più vario di sempre.

Musica da produrre e da conoscere

Oltre a produrre musica, sono anche un’appassionata fruitrice, sono attenta al modo in cui lavorano i miei colleghi d’oltreoceano e sono curiosa di come si sia diffusa la tendenza a fare uscire diversi brani prima di pubblicare il disco vero e proprio.
Amo il supporto fisico anche se il digitale va molto più veloce mi aspettassi, voglio imparare ad amare questo modo di conoscere e vivere la musica. Non voglio fare quella della vecchia scuola. La musica urbana va per la maggiore, nel ’93 c’erano tante ballads, tante persone dicevano “che palle” ora, invece, soprattutto in Sud America sono percepite come qualcosa di molto chic. Un prodotto popolare non è per forza scarso, nel mio disco ho voluto inserire il mio secondo brano reggaeton, il primo è stato “Innamorata” di Lorenzo Jovanotti nel disco “Simili”. Non è scritta da un colombiano, è una roba diversa, nata per omaggiare il fatto che per sei mesi all’anno vivo lì. Non posso dimenticare questo fatto, l’attitudine latina fa parte del mio essere e su certi aspetti i latini sono molto simili ai romagnoli, sono molto veraci. La canzone è divertente, di solito faccio fatica a scegliere brani divertenti non sono riuscita a trovare il modo per inserire un allure leggera nelle mie ballads. In genere ci sono temi profondi difatti anche in “Marco se n’è andato” il tema era la solitudine.

Pausini (Julian Hargreaves)

Il tour mondiale inizia al Circo Massimo

Quando Ferdinando Salzano mi ha proposto di aprire il tour al Circo Massimo, sono stata subito felicissima ed entusiasta poi dopo circa 15 giorni ho iniziato ad avere paura e a sentire il peso della responsabilità e il timore di non riempire uno spazio così prestigioso. Ora che sono arrivati i numeri dei biglietti venduti mi sento molto più tranquilla, neanche immaginavo potesse essere possibile che venisse proposto di esibirsi lì a un cantante italiano. Inizialmente la data era solo una ma, francamente, pensando al fatto che tanti miei fan hanno ormai la mia età e hanno figli, mi sentivo in colpa a farli venire in un posto stando in piedi, coi bimbi in braccio e senza vedere nulla. Pensando a questo, gli avrei detto io stessa di restare a casa.

Spazio agli autori del disco

Sono felice di invitare gli autori del disco a sentirsi liberi di venire ad aprire i miei concerti. Virginio Simonelli, Edwin Roberts, Niccolo Agliardi, Giulia Anania, Enrico Nigiotti, Daniel Vuletic, Joseph Carta. Gli autori non sono solo tali, sono interpreti e hanno all’attivo i loro progetti e sarò felice di dare loro lo spazio che meritano.

“Fatti sentire 1/2″
Non ci stavano tutte dentro, non mi andava di farne uscire 20 in Italia e 14 in America, non so come e quando e come uscirà ma so che questo disco ha delle parole che devono continuare. Non ho ancora registrato i brani ma ho i demo, vorrei che si facessero sentire.

Nuovi singoli in arrivo

Il prossimo singolo sarà “Frasi a metà” di Agliardi. In America sta girando invece un remix molto particolare in pieno stile latino con una produzione di Sergio George arricchita da un featuring con Gente De Zona, duo di salsa reggaeton. La diversità sta nel fatto che invece di prendere una canzone e ricantarla, hanno voluto fare un intervento molto più importante entrando nella canzone con testo e musica. Abbiamo fatto qualcosa di nuovo che francamente non avevo ancora mai sentito. Anche se l’arrangiamento è stato molto particolare non mi sono sentita snaturalizzata. A questo proposito sono molto felice di annunciarvi che tra due settimane terrò finalmente un concerto a Cuba, aspettavo da tempo questa occasione.

Laura Pausini

La retorica del femminismo

In questi ultimi anni la figura della donna ha ottenuto molto a fronte del proprio merito. In ogni caso non sono una femminista, non mi piace mettermi dentro una categoria, cerco di apprendere soprattutto quello che riguarda la dimensione umana. Se una ha persona ha del valore, uomo o donna che sia, è giusto che gli venga riconosciuto.

Corde vocali tricolori

Il mio rapporto con l’Italia è fondamentale, quando vado in America canto per lo più in spagnolo ma non con un altro repertorio. C’è sempre Italia nelle mie canzoni, le mie corde vocali sono tricolori, si sentono più comode con quelle note lì. Ovunque io vada sarò sempre “desde Italia”.

“Francesca” (Piccola aliena)

Francesca è la mia nipotina, figlia di mia cugina Roberta. La bambina è morta a tre anni, vittima di una rara malattia genetica (sindrome da deiezione ip36). Sua madre ha scritto una favola e mi ha chiesto di cantarla. Con l’aiuto di Daniel, sempre capace di intuire il tipo di sensibilità necessaria per narrare queste mie cose personali, ho voluto raccontare questa storia anche per sensibilizzare le persone riguardo il fatto che i genitori che perdono i propri figli hanno bisogno di essere aiutate. L’associazione con cui collabora Francesca si chiama “Bimbo tu”.

Scaletta work in progress
Ormai comincio ad avere tante canzoni in repertorio. L’unica che davvero non mi piace è “Cani e gatti” presente nel mio secondo disco. Ricordo che l’abbiamo scritta in mezz’ora allo studio Sant’Anna e non c’era nemmeno il testo. Mi piacerebbe fare 13 concerti e cantare in ogni concerto un disco. Sto buttando giù la scaletta ma è davvero molto difficile, molti fan mi dicono che non vogliono più i medley e le canzoni più famose. Per questo motivo voglio presentare un po’ di canzoni che fanno parte di questo nuovo disco.
Quest’anno non ci saranno ballerini, voglio che la musica sia l’unica vera protagonista. Non si tratta di un percorso dei miei 25 anni di carrriera anche se alla fine lo è. Non riuscirò a fare un concerto di 3 ore, sembrerebbe troppo anche a me. Mi sto guardando in giro alla ricerca di nuove idee tecnologiche, qualcosa che possa essere all’altezza delle aspettative del pubblico. Chi viene da me, viene per conoscere un repertorio ma deve avere anche qualcosa di speciale da guardare.

Il canto dopo 25 anni di carriera.

Più serie e profonde sono le mie canzoni, più vado fuori di testa. Non vedo l’ora che la gente le ascolti. La canzone più difficile da cantare è stata “Nuevo”: pur avendo poche note, per me che sono abituata a cantare ad alto volume e che quando mi gaso spingo, è stato difficile adattarmi all’attitudine di questo nuovo ritmo e cercare di sussurrare. Il prossimo singolo comunque sarà “Frasi a metà”, un brano pop rock che rispecchia il mio mood attuale. Uno dei pochi brani autobiografici, dedicato a una persona che conosco, avevo bisogno di sfogarmi.

Raffaella Sbrescia

Video:

Benji & Fede presentano “Siamo solo noise”: “Crediamo nei frutti del nostro lavoro”

Siamo solo noise deluxe (bassa)

“Siamo solo noise” è il titolo del terzo album di Benji & Fede pubblicato per Warner Music. Il progetto è il risultato di un percorso creativo durato un anno e mezzo e che ha portato i due ragazzi a confrontarsi con diversi autori e produttori. Tra gli altri ricordiamo Michele Canova, Pat Simonini, Fausto Cogliati, Danti, Walter Ferrari, Gazelle, Federica Abbate, Takagi & Ketra, Daddy’s Groove, SDJM, Andrea Nardinocchi, Rocco Hunt. Il titolo dell’album intende racchiudere una buona dose di ironica ma anche lo stretto rapporto di Benjiamin e Federico con i loro fan.

Intervista

Partiamo dal brano “Da grande”. Come vi è venuta l’idea di coinvolgere i bambini del Policlinico di Modena?

Tutto è successo un po’ per caso. Lo scorso Natale siamo stati al policlinico perchè c’erano dei bambini che avevano chiesto di noi. Abbiamo passato il pomeriggio lì con loro ed è stata un’esperienza gratificante. Qualche settimana dopo mentre lavoravamo in studio a questo brano, che tra l’altro apre il disco, abbiamo pensato che ci stessero bene i cori dei bambini per dare ancora più forza al messaggio della canzone. I genitori e i bimbi stessi sono stati molto felici della cosa, i più felici siamo stati sicuramente noi. La canzone raffigura la parte bambina che è n noi e ci dà il coraggio di sognare in età adulta. L’intro corale rafforza lo spirito del brano.

In cosa vi sentite grandi?

In questi anni ne abbiamo fatte di tutti i colori, abbiamo lavorato tantissimo in studio dando vita a una crescita graduale dovuta a tanti fattori.
Fede: Questo album è più consapevole, abbiamo trattato argomenti che prima forse non avevamo la forza e la maturità di trattare. Su tutti cito il brano “Buona Fortuna”, in cui si è finalmente creata l’alchimia giusta per mettere in una canzone delle frasi che mi giravano in testa da tanto tempo. Prima non avrei avuto forza la consapevolezza di cantare tutto questo e risultare credibile. Il fatto che la canzone abbia avuto feedback positivi anche da chi non ci ha mai ascoltati prima ci dà soddisfazione.

Il vostro pubblico si è adattato a questa vostra crescita anagrafica e creativa?

Il nostro obiettivo è crescere insieme al nostro pubblico, come cambiamo noi, lo fanno anche le persone che ci seguono. Le passioni cambiano, l’approccio alla musica cambia, i gusti cambiano, il nostro pubblico forse si aspettava questa crescita. Non abbiamo fatto un cambiamento estraniante, forse perderemo qualche fan, forse ne guadagneremo qualcuno più grande ma non abbiamo voglia dic ambiare target. Abbiamo solo cercato di fare canzoni possibilmente belle e trasversali. Ci siamo detti: “lasciamoci andare, cerchiamo di mettere su carta e in note le emozioni che abbiamo vissuto nell’ultimo anno. Questo è l’album in cui abbiamo osato di più, le canzoni racchiudono diversi lati del nostro carattere.

Questo discorso è stato rispettato dalle persone con cui avete lavorato?

Quando siamo nel bel mezzo di una session di produzione e scrittura cerchiamo sempre di evitare di snaturare la canzone, noi diamo un input, diamo un’idea, arriviamo lì già con una bozza di idea, con degli accordi e delle melodie. L’autore non ti impone la sua idea nè ti scrive la strofa, abbiamo raggiunto un’empatica particolare con le persone con cui abbiamo lavorato. Gli autori ti aiutano in un percorso che ti servirà anche quando lavorerai da solo. Da ognuno impari un metodo, una tecnica, un modo di scrivere. Questo lavoro è un insieme di noi stessi più tutto quello che abbiamo imparato.

Qual è il messaggio del brano “On demand”?
Questo è un brano divertente, volevamo mostrare questo nostro lato ironizzando sui talent show. La prima cosa importante di questo mestiere è divertirsi, quindi abbiamo giocato anche nel video con Vito Shade, particolarmente brillante e calato nella parte, guardando come sarebbe la nostra vita se fosse “on demand”.

Video: On demand

Vivete mai il timore che magari questa “moda musicale” possa cambiare?
Non abbiamo questo timore, sappiamo delle nostre potenzialità e sappiamo quanto lavoriamo. La nostra non è stata un’ esplosione improvvisa, abbiamo fatto 4-5 anni di musica prima di essere conosciuti, cerchiamo di mantenere questo approccio, dedichiamo la nostra vita a questo mestiere, non siamo preoccupati perchè sentiamo che con il lavoro le soddisfazioni arrivano. Anche in questo album abbiamo dato tutto, abbiamo l’anima in pace.

Come avete lavorato agli arrangiamenti di questo album?
Abbiamo lavorato con tantissimi produttori diversi, ognuno ha il suo mondo, il suo modo di lavorare, cerchiamo di non farci snaturare, il nostro marchio di fabbrica è la chitarra e l’ukulele, siamo molto esaltati all’idea di fare suonare questo disco dal vivo, sarà molto divertente da suonare e da fare live, stiamo preparando un po’ di sorprese per il tour, sarà qualcosa di figo.

Da un punto di vista generale, cosa vorreste mettere in evidenza di questo lavoro?
Ogni canzone ha una sua storia, il desiderio più grande è che l’intero disco arrivi in primis al nostro pubblico, ogni canzone ha un messaggio preciso che potrebbe rimanere per un po’ nella vita di ciascuno.

Come mai avete inserito “Niente di speciale” in extremis?
Abbiamo scritto quasi 100 canzoni, avevamo un mucchio di pezzi belli carichi e tosti, scrivere un ballata all’ultimo aveva il suo fascino. La canzone è scritta bene e meritava di starci dentro. Non l’abbiamo ricantata, si è trattato di un “buona la prima” perchè c’era già la magia, questo è un pezzo che cerca la verità.

Come si è evoluto nel tempo il vostro rapporto con i fan?
Spesso i nostri fan ci sorprendono perchè ci rivelano spesso cose che non ricordavamo o che nemmeno conoscevamo di noi stessi. Il nostro intento è sempre stato ribadire: “Guardate che ci siamo anche noi”. Abbiamo cercato di farci sentire, abbiamo creato un rapporto quasi familiare con chi decideva di seguirci. Tra i nostri fan ci sono persone che c’erano già anche prima del primo disco e altre che sono arrivate solo di recente che ci daranno tantissimo supporto. Chiaramente anche noi cerchiamo di fare lo stesso, è giusto ringraziare e fare qualcosa per chi ci segue, non è mai scontato tanto supporto per questo abbiamo sempre voluto incontrare queste persone fin da subito e abbiamo creato un rapporto autentico.

Raffaella Sbrescia

Video: Benji e Fede presentano “Siamo solo noise”

Mr Rain: In Butterfly Effect” c’è tutta la mia energia

Mr Rain - Butterfly Effect

Mr Rain – Butterfly Effect

“Butterfly Effect” è il nuovo album pubblicato da Mr Rain. Ricordi, pensieri, momenti, storie del passato e del presente riempiono i capitoli di questo progetto che, ancora una volta, mette a fuoco la voglia e la capacità del rapper di mettersi in gioco .

Intervista.

Qual è l’urgenza espressiva che troviamo alla base di “Butterfly effect”?
Butterfly Effect è un diario personale. Ogni canzone racchiude una piccola parte di me, ho creato questo album per dare un quadro generale di me stesso.

Quali pensieri, desideri, prospettive hai voluto racchiudere in questo nuovo album?
In ogni mia canzone parlo di me, di quello che mi è successo in passato e di quello che sto vivendo nel presente, ho cercato di trattare tematiche leggermente diverse: dal suicidio alla solitudine, dal pezzo d’amore a quello autocelebrativo.

Il lavoro artigianale che c’è nelle tue canzoni sottrae in qualche modo della linfa a ciò che vivi giorno per giorno?
Gestire il mio lavoro a 360 gradi comporta a sacrificare molto tempo, la mia vita privata sicuramente ne risente, penso sempre a nuovi lavori, nuove idee e di conseguenza non ho mai un secondo libero. Fare tutto da soli significa sacrificare la propria vita, è un lavoro molto impegnativo, comporre le basi, i testi ed i video, mi sottraggono decisamente quasi tutto il tempo che ho a disposizione, è per questo che chi ama questo lavoro rimane solo, sacrifichi momenti, legami, persone a cui tieni per raggiungere il tuo obbiettivo.

Cosa significa, nel tuo modo di vedere, l’espressione self made rapper?

One man band sicuramente è il termine che mi si addice di più, sono sempre stato pignolo, ho sempre preferito fare tutto da solo per non rendere conto a nessuno e se sbagliavo dovevo prendermela solo con me stesso, è un ossessione ma quando riesci ad ottenere qualcosa con soltanto le tue forze sei davvero felice, è una sensazione indescrivibile.

Quali sono le rinunce che pesano di più e da cosa ti senti ripagato?
Non rimpiango nulla, tutte le scelte che ho fatto, gli errori, non cambierei proprio niente, sono le cose che mi hanno portato a diventare la persona che sono oggi.

Video: Ipernova

Che importanza hanno i messaggi che vengono veicolati attraverso le canzoni?
La musica è un mezzo di comunicazione importante, di conseguenza trovo giusto sfruttarla per lanciare messaggi, io personalmente ho fatto errori in passato, da ragazzino mi sono fatto condizionare da molti miei “idoli”, ora voglio dare un buon esempio alle persone che mi seguono, specialmente i più piccoli.

A chi ti ispiri quando scrivi?
Ho sempre ascoltato Eminem, ora mi ispiro molto anche a Macklemore, questi sicuramente sono i miei maestri, però ultimamente ascolto tanta musica, dal blues al pop, dal rock al rap.

Quanto ti rispecchi nei valori della vecchia scuola hip hop?
Sono sempre stato parallelo alla scena hip hop, ho sempre fatto ciò che mi piace di conseguenza non mi rispecchio molto nei valori della vecchia scuola.

Secondo te cosa cercano oggi i ragazzi nella musica?
I ragazzi cercano libertà d’espressione, un modo per evadere e scappare dai problemi.

Cosa ne pensi della nuova corrente di artisti rap e trap?
Come dicevo seguo molto la musica attuale, trovo che la nuova scena sia un po’ satura, ci sono troppi artisti molto simili fra di loro, bisognerebbe fare ciò che sentì di fare non ciò che va di moda.

Raffaella Sbrescia

Lo Stato Sociale a Sanremo 2018: “Una vita in vacanza pone l’attenzione sul mondo del lavoro”

Lo Stato Sociale

Lo Stato Sociale

Lo Stato Sociale è sbarcato al Festival di Sanremo 2018 sdoganando definitivamente l’idea che la musica indie non possa essere mainstream con il brano “Una vita in vacanza”. La canzone racchiude una riflessione sul mondo del lavoro di oggi. Un tema delicato, scottante e scomodo affontato in modo ironicamente leggero e scanzonato. Questo pezzo è stato arrangiato e scritto da tutti i cinque ragazzi bolognesi che fanno canzonette”, prodotto artisticamente e orchestrato da Fabio Gargiulo con gli archi  incisi e coscritti con Davide Rossi (Coldplay, U2, Goldfrapp). Il brano anticipa “Primati”, il nuovo progetto discografico del gruppo che contiene i tre inediti “Una vita in vacanza”, “Fare mattina” e “Facile” in duetto con Luca Carboni, oltre ad una nuova versione di “Sono così indie” e altri tredici singoli che hanno segnato il percorso della band dalla fondazione fino alla partecipazione al Festival di Sanremo.

Intervista
Qual è il messaggio di “Una vita in vacanza”?

Il messaggio della canzone è quello di ribellione contro le imposizioni. Il lavoro dovrebbe essere la nostra passione, la nostra parte di vita fondamntale, non deve esser un obbligo o una costrizione per sopravvivere. Dignita e di passione dovrebbero essere sempre messi al primo posto.

Qual è, invece, l’essenza del vostro collettivo?

Ci occupiamo storicamente di temi attuali e siamo attivisti politici nella nostra città. Raccontiamo quello che riteniamo importante seguendo le nostre logiche di collettivo.

Avete indossato delle magliette con i nomi di 5 operai della sede FIAT di Pomigliano. Perchè questa scelta?

La storia dei 45 operai rappresenta molto bene il mondo del lavoro contemporaneo. Un universo degradante che non rende possibile la ricerca della felicità. Il nostro è un metodo leggero ma efficace per arrivare a parlare di qualcosa di importante per tutti.

Qualcuno vi ha definito eredi di Elio e le Storie Tese, cosa ne pensate?

Ci sembra del tutto impossibile per il semplice fatto che loro sanno suonare. In ogni caso loro sono progressive, noi siamo punk.

Vi definite pazzi?
Di solito i pazzi sono definiti egocentrici. Noi semplicemente abbiamo scarso rispetto per l’autorità. Quella di Sanremo, in particolare, su di noi ha un effetto laterale. Abbiamo 4 minuti per occupare il palco.

Dove avete scovato la ballerina acrobatica 83eene Paddy Jones?

L’abbiamo scoperta su internet alla voce “vecchia che balla” al 13esimo risultato su Google.

Video: Una vita in vacanza

Cosa rispondete a chi vi dice che non siete più indie?
Indie significa indipendenti. Noi produciamo i nostri dischi con Garrincha che è e rimane indipendente. Tutto passa da noi, lavoriamo a tutti gli aspetti del nostro lavoro e non ci lasciamo dire niente da nessuno su cosa fare.

Sareste entusiasti di partecipare all’Eurovision Song Contest?

Siamo assolutamente fan dii questa manifestazione e ci andremmo molto volentieri, non abbiamo pensato all’eventuale taglio del brano, così come non abbimao minimamente pensato di vincere. “Competition isfor horses not artists” disse Bela Bartok. Il nostro obiettivo è suonare il più possibile e divertirci. Siamo qui per un altro motivo, è successo qualcosa di grande, non ci interessa null’altro.

Raffaella Sbrescia

Diodato e Roy Paci in gara a Sanremo con “Adesso”: amici sul palco e nella vita. Intervista

Diodato e Roy Paci

Diodato e Roy Paci

Diodato e Roy Paci sono tra i 20 big in gara al Festival di Sanremo. Le loro storie musicali sono intrecciate da diverso tempo anche sul piano personale visto che i due sono grandi amici da tanto tempo. I due artisti portano sul palco il brano “Adesso” (Carosello Records) e da oggi sarà disponibile negli e-commerce l’esclusivo 45 giri contenente due versioni del brano: l’originale e la strumentale.

Intervista

Si può  trasformare il presente in eterno?
Diodato: “Adesso” è un brano che ho scritto per ficcarmi in testa un concetto importante: una vita con pochi rimpianti è una vita fatta di tanti momenti, anche banali, ma vissuti intensamente. I momenti migliori li ho vissuti quando ero connesso con me stesso.

Roy Paci: questo brano mi rimanda con la mente a una colonna sonora di un film immaginario. II pezzo ha la figura di una forcella, parte da un pianissimo, per arrivare ad un maestoso finale dato dall’uso di tre ottoni molto rari, flicorni baritoni, che appartengono al suono dei rituali e delle processioni del Sud Italia. L’Orchestra di Sanremo dà ancora più lustro a questo film sonoro.

Quale sarà il contributo di Ghemon durante la serata dei duetti al Festival?
Il flow di Ghemon darà vita ad un mix particolare e inedito sul palco dell’Ariston. Lui che ha rotto gli argini e ha sdoganato le differenze tra generi musicali ha anche scritto e musicato una barra apposta per noi.

Che rapporto c’è tra voi due, invece?
Ci siamo conosciuti in Puglia, siamo diventati amici dopo una jam session in una masseria, abbiamo fatto diverse collaborazioni, siamo una coppia di fatto da un po’ di anni, non c’è nulla di strano in questa collaborazione e non è detto che questa sia l’ultima, le nostre strade si incrociano sempre.

Video: Adesso

Roy, tu che sei un’anima selvaggia, come vivi il Festival?
A Sanremo mi sento fuori luogo, ho un’anima punk e la metto in tutto quello che faccio, in questo momento mi sento felice a tutto tondo. Ho vissuto un anno difficile per diversi problemi familiari. Ora sono innamorato e vivo una frase produttiva molto intensa, forse questo è il periodo più adamantino della mia vita. Sto lavorando non solo per me stesso ma anche per gli altri. Devo ammettere che quando mi metto al servizio dei miei colleghi, vivo un arricchimento personale ancora maggiore, amo curiosare oltre gli steccati.

E tu, Antonio?
Il mio “Adesso” è di apertura. Dentro di me c’è un magma emotivo interiore che fuoriesce, questo è quello che porta anche altre persone a riconoscersi nel brano.

Vale la pena essere qui?
Diodato: Certo, creare la propria musica e farla ascoltare a cosi tanta gente in un colpo solo, è il massimo. Per il resto mi piace il fatto che il destino non sappia dove mi porti.

Roy Paci: Vale la pena stare qui adesso perchè abbiamo mantenuto un’identità e un’integrità musicale nostra, non siamo stati snaturati e questo è un grande privilegio. Personalmente sono uno dei più bastardi a livello musicale, sono difficilmente etichettabile, ogni volta traggo in inganno chi deve scrivere di me. Cosa facciamo noi? Semplicemente musica.

Dopo la partecipazione a Sanremo, Diodato partirà nuovamente in tour con il proprio progetto solista e la sua band mentre Roy Paci riprendà il tour già in corso e ha già assemblato un ricchissimo calendario estivo. Magari i due si incroceranno ancora sulle vie della musica, mai dire mai.

 Raffaella Sbrescia

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