“Quando ero bambino, nella mia casa in Puglia c’era un pianoforte vecchio e scordato. Quello era per me il giocattolo più grande, qualcosa che potevo manipolare in maniera autonoma. All’inizio quel vecchio piano poteva generare solo 4 note ed erano proprio quelle quattro note a farmi compagnia. Nel tempo i miei genitori l’hanno aggiustato ma quelle quattro note mi sono rimaste nel cuore. Questo per dirvi: perché faccio musica? Lo faccio per gioco”. Così Renzo Rubino ha spiegato la scorsa notte al pubblico del Serraglio di Milano cosa significa per lui fare musica nell’ambito de “Il Gelato dopo il mare tour”. Gioco sì ma neanche poi tanto, le canzoni composte dal cantautore pugliese sono scritte seguendo il flusso dei pensieri e il battito del cuore. Nel corso di una serata fuori dal tempo, l’artista ha coinvolto i suoi musicisti e gli spettatori in un percorso avulso da scalette e siparietti costruiti a tavolino, anzi, si è sentito così a casa da lasciare da parte i costumi per un momento di autentica condivisione. Il suo racconto è partito dal caos per giungere ad una risoluzione logica e irreversibile, così come lo sono i ritornelli delle sue canzoni. Estroverso ma riflessivo, giocherellone ma attento ai dettagli, ironico ma sentimentalista, Renzo Rubino si è allontanato dai lustrini per dare spazio ai suoni e agli strumenti, almeno una trentina, avvalendosi, tra l’altro di una ricchissima sezione di fiati curata dal bravissimo Mauro Ottolini, che ha anche partecipato agli arrangiamenti dei brani contenuti nell’ultimo album di inediti di Rubino, prodotto da Taketo Gohara. L’atmosfera del club si rivela la più congeniale a Renzo che, attraverso la sua personalità variegata, le sue incursioni citazioniste, gli aneddoti di una vita e le parole più dolci possibili ha ipnotizzato lo spettatore all’interno di un contesto intimo traghettandolo in una dimensione leggera, ovattata, capace di mettere a proprio agio anche i meno convinti.
Raffaella Sbrescia