Leo Pari: in “Spazio” usa le coordinate sonore di ieri e racconta le nuove certezze dell’oggi

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Quinto album e terzo di una trilogia iniziata con “Rèsina” (2011) e proseguita con “Sirèna” (2013), “Spazio” è il nuovo disco di Leo Pari, cantautore, autore e musicista particolarmente attivo all’interno dello scenario musicale italiano. Pubblicato lo scorso 21 Aprile 2016 per Gas Vintage Records, prodotto dallo stesso Leo Pari con l’ausilio di Sante Rutigliano, questo disco intriso di umori e sapori anni 80, contiene canzoni non più intimiste, non più cantautorali ma densamente Pop.  Discostandosi dal folk iniziale e dallo stile propriamente cantautorale, Leo è riuscito ad eliminare quasi del tutto le chitarre per approdare ai sintetizzatori e lasciare spazio all’elettronica attraverso l’uso di un Prophet e del Juno 106. Dopo un accurato lavoro di selezione dei testi, da una rosa di 35 brani, Lei Pari ne ha scelti 10 in grado di disegnare il ritratto dell’uomo che vive quella famosa età di mezzo in cui il passato si accumula e viene visto con sempre maggiore nostalgia.

Leo Pari ph Magliocchetti

Leo Pari ph Magliocchetti

Le canzoni di “Spazio” nascono ovviamente da esperienze personali ma sono raccontate con un linguaggio più accessibile ma non per questo scontato. Ispirato, influenzato, coordinato da ascolti “vintage”; su tutti Jean Michel Jarre, Vangelis, Klaus Schulze, Giorgio Moroder, “Spazio” affonda le proprie radici in un preciso periodo storico ma si muove con disinvoltura all’interno degli interstizi presenti tra generazioni perennemente a confronto. Scevro da preconcetti, Leo Pari racconta “I piccoli segreti degli uomini”, definisce (lucidamente) i cantautori come “i depuratori della società”, si aggrappa all’amore, prende coscienza del crollo dei valori in “Ave Maria” spiegando che “l’indifferenza adesso è consuetudine”. Piccole amare certezze che bruciano sulla pelle, un dolore agro-dolce sempre più sopportabile.

Raffaella Sbrescia

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La Terza Guerra: Mimosa racconta le donne del nuovo millennio nel suo emozionante album d’esordio

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Attrice, musicista e cantante, Mimosa  Campironi è un talento spinto da una fame insopportabile: fame di emozione, espressione, formazione, sperimentazione, conquista? Chi può dirlo. Dopo aver studiato pianoforte in Conservatorio, recitazione al Centro Sperimentale di Cinematografia, filosofia alla Sapienza, Mimosa debutta nel mondo musicale italiano con “La terza Guerra”, artisticamente prodotto da Leo Pari, in uscita il 25 settembre per Gas Vintage Records. Le undici tracce che compongono questo lavoro spiazzano, commuovono, provocano, smuovono i pensieri, i ricordi, l’anima. Se è vero che ogni canzone racconta un personaggio femminile sempre diverso, è altrettanto vero che il concetto di “fame” tanto caro a Mimosa ricorre ed emerge con prepotenza ed è indice di intimismo e di sensibilità emotiva. “Ora mi accorgo del mio corpo in evoluzione, dello spirito che si muove dentro di me e prende forza. Penso a quanta importanza ha nella mia vita l’amore in tutte le sue declinazioni e la lotta profonda di liberazione dell’ anima. Penso alle mie amiche che attraversano la crisi economica con me, alle ragazze della mia generazione. Penso all’energia con cui ci affanniamo a costruire qualcosa che nemmeno comprendiamo, con la sensazione che i risultati non li vedremo mai. Così ho scritto “La Terza Guerra” una performance e un disco che mette in scena tutte le storie che ho incontrato e vissuto in questi anni”, scrive Mimosa nella sua biografia, aprendo le porte del suo mondo che, in fondo, è anche un po’ il nostro. Donne che lottano con l’arma dell’amore (Terza Guerra), donne che amano troppo (Voglio Avvelenarmi un po’) o che sbagliano a scegliere l’uomo da amare (Il Ragazzo Sbagliato), donne che vengono uccise (Fakhita) o sfigurate (Non Ero io), donne che perdono un padre (Fame D’Aria) prendono vita tra strofe e ritornelli scanditi da arrangiamenti molto curati, impreziositi dalla costante ed elegante presenza del pianoforte.

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Indifferente alle tendenze contemporanee, Mimosa segue la sua linea musicale ed espressiva. Il messaggio è subito chiaro nella title track “La terza guerra”, definita dalla stessa cantautrice come “la canzone donna”: canto la ‘terza guerra’ come se fosse una donna che marcia verso il futuro , finalmente padrona di sè, armata di amore , voglia di cambiamento e coraggio. Più intimo e delicato il mood di “Arance”, brano ispirato al giardino segreto di Roma in cui Mimosa immagina un uomo che, prima di morire, sdraiato nel suo letto, prega la sua donna di vivere in modo assoluto e di non avere paura perché ogni dolore si dissolverà come acqua. “Ho tante cose da raccontarti ma ho la pancia annodata dalla fame”, canta Mimosa, in “Fame d’aria”, scritta per chi avrebbe voluto conoscere e non ha potuto, per chi ha salutato troppo presto. Bellissima la conclusione strumentale al piano, un magistrale tocco di classe. Ne “Gli Effetti”, il pianoforte è come impazzito, alterato come la realtà che viviamo, infestata da una polvere che aleggia nell’aria ed eccita tutti i valori. Dove è andata a finire la parola diritto? Dove è finita la parola domani? Dove è finito il coraggio di osare? Si chiede e ci chiede Mimosa mettendoci con le spalle al muro e di fronte ad un implacabile specchio riflesso. “Fakhita” è un brano coraggioso e controverso, è una preghiera, un ‘Ave Maria, ispirata alle storie delle tante ragazze trovate uccise, di cui spesso non si conosce l’identità. Fakhita è carne sacrificale sull’altare della gente perbene, madre dei ladri e dei poeti. Frenetico e dirompente è il mood di “Voglio avvelenarmi un po’”,  una canzone al monossido di carbonio  in cui l’amore quotidiano è capace di assuefare fino allo svenimento. Surreale e divertente il crash finale al piano. La canzone più cinematografica del disco è “Bambola” in cui clavicembalo, piano e toys raccontano la vita delle cosiddette ragazze ‘cosa’ svuotate di anima e di emozioni che, in verità, continuano ed esistere e a vivere di vita propria. L’aria che entra ed esce dai polmoni diventa essa stessa una cosa e si accumula con gli altri oggetti nella stanza, i sospiri si ammucchiano sotto le coperte  e gli occhi seminano speranze sul parquet di un appartamento al quinto piano.

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“Il ragazzo sbagliato” arriva al momento giusto per raccontare una canzone d’amore al contrario: “abbracciami senza motivo apparente”, canta Mimosa, trasmettendo delicata fragilità ma anche chiarezza di intenti. L’amore adolescenziale è, invece, il protagonista assoluto de “La palestra della scuola”, canzone che racconta il sentimento senza mezze misure. Spazio anche al tragico tema della violenza sulle donne con “Non ero io”: un uomo e una donna sono al centro del racconto. Lui chiede perdono, promette amore, ma le ha gettato addosso dell’acido di fronte a casa sua. Lei racconta pubblicamente quello che è successo, prova a farlo con lucidità, con il viso di un altra addosso e la freddezza di un dolore troppo grande. Il disco si chiude con “Denti”: pianoforte e voce scandiscono una dolce epigrafe conclusiva che apre le armonie del piano a coda sigillando con eterea grazia un esordio, quello di Mimosa, che sorprende, che convince e che, soprattutto, emoziona.

Raffaella Sbrescia

Video: Terza Guerra