Moni Ovadia
Il Forum delle Culture ospiterà “Senza confini. Ebrei e zingari”, il nuovo spettacolo dell’attore teatrale, drammaturgo, scrittore e cantante Moni Ovadia, considerato uno dei massimi esponenti della cultura occidentale nel Mondo. All’interno del Festival intitolato “In diverso canto”, in programma alla Mostra d’Oltremare di Napoli, il recital intende rappresentare una preziosa occasione di lotta al razzismo. In questa intervista, Moni Ovadia ha approfondito diversi aspetti legati sia alla sua prestigiosa carriera che alla sua filosofia di pensiero, su tutti la definizione di dignità.
Qualche giorno fa Lei ha tenuto una lectio magistralis presso il Museo della Scienza di Milano sul tema della dignità. Cosa ha spiegato agli studenti che l’hanno ascoltata e con quali parole definirebbe questo concetto tanto delicato?
Ho fatto un discorso articolato cercando di trattare diversi aspetti di una questione che in Italia non è stata dibattuta come, ad esempio, lo è stata in Germania. La definizione a mio parere più sintetica e folgorante appartiene allo scrittore premio Nobel Josè Saramago, che ha scritto questa cosa quando era in prigionia durante la dittatura fascista: “…non ci dicano com’è la dignità perché lo sappiamo già perché, perfino quando sembrava non fosse altro che una parola, noi comprendevamo che si trattava della pura essenza della libertà nel suo senso più profondo. Quello che ci permette di dire, contro l’evidenza stessa dei fatti, che eravamo prigionieri eppure eravamo liberi”. Sono dunque partito da questa definizione articolando un’argomentazione ampia, una riflessione che si è concentrata sullo statuto dei diritti, soprattutto quelli sociali. In verità la dignità stessa precede i diritti. La dignità è qualcosa che l’essere umano sente prima dello Statuto di legge, lo sente in sé come assoluto, si tratta di una condizione assoluta a cui l’uomo ha di natura i requisiti per accedervi. Nel monoteismo abramitico la dignità si pronuncia con un termine che significa “onore a me stesso”, non a caso questo concetto viene espresso attraverso il fatto che ognuno è formato sull’impronta di Dio, contiene in sé una dimensione assoluta, quindi inviolabile. In Germania, dopo il nazismo, i padri costituenti tedeschi hanno capito e hanno messo la dignità in testa alla costituzione in modo assiomatico: “La dignità umana è intangibile”, “tutti gli organi dello stato devono garantire l’intangibilità della dignità umana”. Quando togli la dignità ad un uomo, lo riduci alla pura sopravvivenza, quindi ammazzarlo diventa solo un dettaglio.
Lei è il protagonista di un corto didattico sul rispetto della natura e lo sviluppo eco-compatibile . Di cosa narra questo lavoro, da chi è stato realizzato, con quali obiettivi e qual è stato il suo ruolo attivo in questo progetto?
Si tratta di un progetto molto divertente, pensato per i più piccoli, in cui interpreto la parte del professor Ottusus. In questo corto si immagina un mondo del futuro in cui non esiste più la natura, cancellata da macchine e bolle piene d’aria, perché ingombrante. Attraverso questo paradosso, Elisa Savi, ideatrice del progetto, mi cala nei panni di Ottusus per spiegare ai bambini l’evoluzione dei fatti. Essi, nella loro freschezza, rimangono stupiti dalla bellezza della natura, ormai concentrata nei musei, come un reperto del passato. Quando, infine, Ottusu fa scoprire loro un posto segreto in cui sono conservate tutte le semenze, essi riescono a rubarne qualcuna per piantare le prime piantine e restituire un futuro alla natura.
Ci parla dello spettacolo “Cabaret Yiddish”e di come esso si è evoluto nel corso degli anni?
Il mio spettacolo si è evoluto naturalmente, acquisendo nuove dinamiche, nuovi musicisti etc…Ora, per esempio, si è aggiunto un musicista rom ed è tornato il primo violinista, a questo aggiungo che il mio modo di raccontare si è arricchito grazie alla gavetta fatta e all’evoluzione del rapporto con il pubblico. Questo è uno spettacolo che continua ad essere magicamente richiesto ed ha un clamoroso successo che stupisce anche me. Il suo segreto sta nel fascino delle prime forme di espressione teatrale in cui i commedianti arrivavano su un carro e allestivano lo spettacolo con pochi strumenti per raccontare il mondo al pubblico. Io, con questo spettacolo, sono riuscito a portare l’epopea di una grande diaspora al pubblico che, in questo modo, non solo fruisce di uno show divertente con musiche molto commoventi che toccano l’animo, ma si avvicina ad una serie di vicende che hanno segnato la storia del mondo occidentale.
Moni Ovadia
Come e quando ha deciso di dare il via ai reading degli Scritti Corsari di Pier Paolo Pasolini? Qual è il suo rapporto con lo scrittore e poeta e in che modo ne ha interpretato l’opera?
Anche se non ho mai avuto il privilegio di incontrare Pasolini, per me è stato maestro di pensiero, di sapere, di arte. Nessuno ha saputo capire il mondo popolare, le sue immense ricchezze come Pasolini. Oggi non abbiamo nessuno che sia in grado di essere altrettanto lucido; Pasolini non è stato profeta, ha semplicemente capito quello che vedeva e che noi non vedevamo ancora ed io, quando leggo questi gli scritti Corsari, ci trovo sempre un nutrimento e penso che essi vadano letti nelle scuole per capire. Sono testi ricchi di coraggio, lucidità e pathos come difficilmente è stato riscontrato altrove nella nostra storia nazionale.
Il prossimo 18/10 sarà a Napoli con lo spettacolo intitolato “Senza Confini. Ebrei e Zingari”, un contributo alla battaglia contro ogni razzismo. Ci descriverebbe questo spettacolo e cosa intende trasmettere al pubblico?
Anche questo spettacolo avrà una formula semplice. Ad accompagnarmi ci saranno 4 musicisti rom e 3 italiani, ci sarà una parte ebraica molto breve mentre tuto il resto dello spazio sarà dedicato alla cultura musicale rom e alla tragica e continua discriminazione a cui questo popolo è soggetto. I rom che collaborano con me sono miei amici, fratelli e collaboratori, sono in gran parte rumeni ed incarnano il senso più profondo di questo spettacolo. Il repertorio è vasto quanto le terre che i rom hanno attraversato, non c’è terra d’Europa che non abbiano calcato e trovo giusto parlare di loro per spiegare e condannare le vessazioni di ogni sorta che essi abitualmente subiscono per dimostrare anche che la nostra società non è guarita dalla bestia del razzismo.
Cosa pensa di iniziative come quella del Forum Universale delle Culture?
Iniziative come questa sono di estrema importanza perché o noi riusciremo a costruire l’accoglienza delle alterità, o ci saranno sempre guerre e violenze. Le differenze possono convivere e scambiarsi reciprocamente le rispettive ricchezze. Nel mio paese natìo in Bulgaria tre religioni hanno convissuto ed in 400 anni di convivenza non si è registrata una sola violenza; non è un caso che gli ebrei di Bulgaria sono stati salvati dal popolo bulgaro. L’accoglienza dell’altro rappresenta, dunque, la benedizione per il futuro.
Secondo lei esiste una dimensione artistica in grado di coniugare web-musica-social network e poesia?
Certo, dipende dalle capacità dell’artista…Uno dei più grandi cantori della storia italiana era Enzo Del Re, ascoltare lui cantare era come entrare nel tempo, quasi come se avesse vissuto per 2000 anni. Enzo si accompagnava soltanto con una sedia e questo testimonia che, fin quando la tecnologia non sarà in grado di superare la mente umana, l’arta sarà sempre una prerogativa legata alle singole capacità dell’artista in questione.
Raffaella Sbrescia