Klangphonics live alla Santeria di Milano: l’esordio italiano del trio tedesco è un successo.

I Klangphonics sono un trio tedesco che produce ed esegue musica elettronica dal vivo utilizzando una combinazione di elementi elettronici, strumenti acustici ed elettrodomestici. Ieri 13 ottobre 2023 alla Santeria di Viale Toscana a Milano, il gruppo ha portato per la prima volta in Italia le sue peculiari sonorità house dal vivo con un concerto sold out. Preceduti da un energico dj set del tastierista Markus Zunic, i Klangphonics si sono cimentati in un saliscendi sonoro che ha virato dalla deep house alla techno melodica. La miscela perfetta del trio è data dall’insieme di batteria, chitarra e percussioni fusi con sintetizzatori e sequencer.

kggJPG

La performance è molto dinamica e variegata, l’atmosfera è quella di un club e l’energia è di tipo deflagrante. Il piglio è ondulatorio ma costante. Dalla pubblicazione dell’ep di debutto, ‘Songs To Try’, alla fine del 2021, i Klangphonics hanno creato un rapporto virtuale con una fanbase sempre più ampia utilizzando i social media in modo creativo e originale. I loro caratteristici video che combinano la musica techno-house con strumenti acustici hanno infatti guadagnato milioni di visualizzazioni e ottenuto l’approvazione di produttori famosi come Boris Brejcha o Victor Ruiz. Dal vivo piglio, carisma e sudore fluttuano tra una traccia e l’altra, senza soluzione di continuità, il pubblico è entusiasta e partecipe in un fluido scambio di energie primordiali.

L’esordio italiano dei Klangphonics è un successo, ora non gli resta che portare la loro musica techno dal vivo nei locali di tutta Europa.

Raffaella Sbrescia

Muse allo Stadio San Siro di Milano: il live report del concerto

La notte dei Muse allo Stadio San Siro di Milano inizia con il riscaldamento rock dei Royal Blood. Un’ora di set ispirato all’hard rock inglese anni ’70 che mette subito in chiaro le premesse: stasera si fa sul serio.

Alle 21.23 ecco i protagonisti dello show comparire sul palco: i Muse ci proiettano subito in uno spazio temporale ambientato nelle atmosfere del loro ultimo album Will of the people in cui la resilienza dei ribelli diventa emblema di tutto il concept del concerto. La triade britannica composta Matt Bellamy, Chris Wolstenholme  Dominic Howard aggiunge il polistrumentista Dan Lancaster alle tastiere per un live tiratissimo con pochi interventi extra e costellato di luci piazzate su tutti gli elementi strategici: dagli strumenti, alle maschere indossate, agli outfit, a quelle piazzate sotto e sopra il pavimento, molto più simile a una graticola su cui bruciare nel fulgore della notte.

Muse ph Henry Ruggeri

Muse ph Henry Ruggeri

La scaletta inizia con la title track “Will Of The People“ mentre l’acronimo del titolo prende letteralmente fuoco a tempo di riff sulle teste dei Muse. A seguire il ritmo rimane sostenuto con  “Hysteria” prima e con “Psycho” poi. La ormai nota cura per i dettagli è un marchio di fabbrica in casa Muse eppure l’audio a San Siro non è davvero all’altezza delle aspettative.

Un’altra evidenza palese è la risposta del pubblico rispetto all’esecuzione dei brani tratti dall’ultimo album di fronte ai grandi classici: la sequenza di “Compliance”, “Thought Contagion” e “Verona” scorre via senza particolari guizzi. La chiosa dei coriandoli rianima il parterre che esplode sulle note di  “Resistance”, tanto per ribadire quale sia la “Volontà del popolo”. Bisogna però sottolineare che le canzoni dei dischi precedenti sono state inglobate in un concept show organico che segue una trama ben precisa. Il  rock distopico e antisistema  dei Muse viene declinato in uno show spettacolare, ricco di effetti speciali, con scenografie molto impattanti e a tratti perturbanti. I riff di chitarre elettriche e i cori di protesta rappresentano la metafora con cui incarnare il rancore dei rivoluzionari che animano i video e le canzoni dei Muse. In “You Make Me Feel Like It’s Halloween” prende vita mentre la maschera del personaggio animato alle sue spalle dei Muse. I volti di Jason Voorhees, Freddy Krueger, Ghostface, della bambola assassina Chucky, di Saw L’Enigmista e di altri serial killer dell’immaginario cinematografico si alternano colpendo allo stomaco.

Muse ph Henry Ruggeri

Muse ph Henry Ruggeri

A seguire “Madness” e poi la spettacolarità massima con “Time Is Running Out” e la potente “Plug In Baby”. Molto ricca anche l’esecuzione di “Won’t Stand Down” e  “Supermassive Black Hole”. A chiudere il concerto c’è “Knights Of Cydonia” con l’irrinunciabile tema de L’uomo con l’armonica di Ennio Morricone a fare da intro. Le due ore di rock serrato dei Muse si concludono così: 27 canzoni (sette dall’ultimo disco) con il busto di un Satana rivoluzionario a sovrastare il palco. Il messaggio è come sempre passibile di plurima interpretazione. La certezza è che il rock dei Muse è vivo e splende in mezzo a noi.

Raffaella Sbrescia

Al via il tour estivo dei Santi Francesi. Il report del concerto al Castello Visconteo di Pavia

Il duo dei SANTI FRANCESI composto da Alessandro De Santis (voce, chitarra, ukulele) e Mario Francese (producer, tastiere, synthesizer e basso) ha iniziato il tour estivo partendo dal Castello Visconteo di Pavia. Accompagnati dal batterista Alessio Sanfilippo, i Santi Francesi hanno presentato al pubblico cavalli di battaglia, vecchie chicche e il nuovo singolo, senza dimenticare le ormai famose cover che li hanno valorizzati anche in TV durante l’ultima edizione di X Factor di cui sono stati i vincitori indiscussi.

I Santi Francesi veleggiano tra  cantautorato e pop moderno con un’ampia contaminazione beat/rock. Il loro approccio creativo convince e trascina un pubblico eterogeneo e trasversale. Nel corso di un concerto della durata di un’ora e mezza circa, i due hanno portato sul palco 15 brani di cui tre cover “Un ragazzo di strada” dei Corvi, “Ti voglio” di Ornella Vanoni e “Creep” dei Radiohead. Ogni brano è stato sapientemente rivestito sia da un punto di vista strumentale che interpretativo, mettendo in luce la personalità artistica dei due, che ripercorrono idealmente la loro storia e il sogno di vivere di musica.

Santi Francesi @ Castello Visconteo -Pavia

Santi Francesi @ Castello Visconteo -Pavia

 

Si parte da “Giovani favolosi”, il brano con il quale nel 2021 vinsero Musicultura  per proseguire con  “Buttami giù”, Bianca”, “Cartapesta”, “Elena”, “Vaniglia”, Medicine e il brano Spaccio

 Tra  brani più coinvolgenti,  “Il pagliaccio” che forse descrive al meglio il loro modo di fare musica parlando di quella fortissima, vorace paura di perdere qualcuno o qualcosa che abbiamo. Bella anche la parentesi strumentale di ”Interludio” riarrangiata con Alessandro alla batteria in un flow di synth elettronici e groove ruvido.

Immancabile il nuovo singolo “LA NOIA, un input, a dare valore positivo alla noia per non spaventarci davanti ai momenti di vuoto . In scaletta anche “Signorino” riarrangiato e uscito come singolo nel 2022, che indubbiamente mette in luce tutte le peculiarità del loro sound.

Santi Francesi @ Castello Visconteo -Pavia

Santi Francesi @ Castello Visconteo -Pavia

 

Non sono mancati momenti di ilarità e intrattenimento con il pubblico che è rimasto sempre partecipe ed entusiasta. La chiusura del concerto vede chiaramente  protagonista il brano Non E’ Così Male, il singolo entrato in rotazione radiofonica subito dopo la fine di X Factor. Una ipnotica intro e una vorticosa chiosa strumentale hanno incorniciato perfettamente il brano sancendo la fine del concerto. La sensazione è che saremmo volentieri rimasti di più a godere di un live intenso, autentico e genuino. La speranza è che il repertorio dei Santi Francesi possa presto rimpiguarsi per ritrovarsi quanto prima sottopalco.

Raffaella Sbrescia

Irene Grandi live al Teatro Olimpico di Roma. Il report del concerto

E’ un’Irene Grandi nel pieno della maturità artistica e vocale, quella che accoglie il numeroso pubblico confluito nella serata di lunedì 10 ottobre al Teatro Olimpico di Roma. Il progetto “Io in Blues” è una forte attrattiva anche per chi non è propriamente fan dell’artista toscana, ma resta incuriosito dal fascino che indiscutibilmente una sfida simile porta con se.
Reduce dalla collaborazione con Stewart Copeland che l’ha vista protagonista in “The Witches Seed” , con la grinta e l’energia che la caratterizzano nelle sue performances, la Grandi opta, nel suo nuovo tour, per un un tributo alle sue radici musicali, e alle radici musicali di tutta la musica popolare contemporanea: al Rythm&Blues.

Irene Grandi @Teatro Olimpico Roma - Ph Roberta Gioberti

Irene Grandi @Teatro Olimpico Roma – Ph Roberta Gioberti

La voglia di mettersi in gioco, di confrontarsi con l’interpretazione di tanti artisti che l’hanno preceduta, grandi nomi della musica internazionale e non, di recuperare un percorso intrapreso anni fa al fianco di Pino Daniele che la volle voce gemella nel brano “Se mi vuoi”, brano che oggi le appartiene a pieno titolo, è tanta; la platea lo sente e si lascia coinvolgere senza difese e scetticismi da questo ambizioso e riuscito progetto, sin dalle prime note di “Why can’t we live together.
Si capisce subito che dietro c’è studio, preparazione, attenzione a qualsiasi sfumatura, grazie a un supporto musicale eccezionale, dato dall’impegno di Max Frignani alla chitarra, Piero Spitilli al basso, Fabrizio Morganti alla batteria e Pippo Guarnera all’hammond. La band ci mette del suo, e restituisce, insieme alla voce rotonda e potente della Grandi, i brani blues di Etta James, Otis Redding, Willie Dixon, Tracy Chapman, Sade, Lucio Battisti, Mina, alcuni brani della stessa Irene, riarrangiati in chiave rock-blues, e ovviamente il già citato Pino Daniele. Ed è forse la sola smagliatura che è possibile trovare in un ordito così bel congegnato quella di inciampare in alcune difficoltà espressive, nell’interpretazione di Quanno Chiove: un piccolo appunto di carattere stilistico, come un’imperfezione su un incarnato perfetto, che mette in risalto il resto.

Irene Grandi @Teatro Olimpico Roma - Ph Roberta Gioberti

Irene Grandi @Teatro Olimpico Roma – Ph Roberta Gioberti

Il momento clou della serata, che vale applausi a scena aperta e una standing ovation è rappresentato dal confronto con Jim Morrison e la scelta di un brano difficile come Roadhouse Blues: resa perfetta tra grandi entusiasmi.
Concerto non lunghissimo ma sicuramente intenso che soddisfa le aspettative e va decisamente oltre: assolutamente da non perdere.

Roberta Gioberti

La scaletta:
Why can’t we live together (Timmy Thomas)
Something’s got a hold on me (Leroy Kirkland per Etta James)
For what it’s worth (Buffalo Springfield)
Little red rooster (Willie Dixon)
E poi (Lo Vecchio/Shapiro per Mina)
Il tempo di morire (Lucio Battisti)
Se mi vuoi (Pino Daniele)
Can I hold you (Tracy Chapman)
Quanno chiove (Pino Daniele)
I just wanto to make love to you (Willie Dixon)
La tua ragazza sempre
Prima di partire per un lungo viaggio – Roadhouse Blues (Doors)
Bruci la città
Finalmente io
Bum Bum
Lasciala andare

Jova Beach Party 2022: il report dell’ultima tappa all’aeroporto di Bresso

Si tirano le somme per Lorenzo Cherubini Jovanotti e il suo Jova Beach Party. Dopo aver girato in lungo e in largo solcando i mari della penisola italiana, il veliero del poliedrico artista conquista anche l’aeroporto di Milano Bresso con una grande festa finale degna di questo nome.

Sul palco dalle 14.30 del pomeriggio, Jovanotti non si è fermato praticamente mai. Amici, famiglia, ospiti e super ospiti si sono alternati nel backstage e onstage diventando parte integrante dello show. Tommaso Paradiso, Elisa, Gianni Morandi, Raf nel main show, Rkomi e Tananai in orario aperitivo. Tre-quattro generazioni tra i 55 mila spettatori accorsi per trascorrere un’ultima serata estiva all’insegna della spensieratezza.

Jovanotti PH. MICHELE LUGARESI MAIKID

Jovanotti PH. MICHELE LUGARESI MAIKID

Molto è stato scritto durante questi mesi in merito al Jova Beach Party, con un sentiment positivo del 95%, e con un engagement complessivo di 11mld di impression, l’avventura targata Trident è riuscita a vincere anche contro le critiche ambientaliste, grazie al coinvolgimento attivo del WWF: “Siamo qua perché crediamo che la transizione ecologica si faccia con le persone, spiega Gaetano Benedetto, presidente del Centro studi WWF Italia, e questa è una straordinaria occasione per fare arrivare, grazie a Lorenzo, il messaggio della sostenibilità a quante più persone possibili. La presenza del WWF è faticosa perché abbiamo preteso tanto dalla produzione in termini di lavoro preparatorio e di screening ambientale nel raggio di 3 km dai luoghi dei concerti, e un monitoraggio preventivo delle aree coinvolte”.

Con queste importanti premesse, ci si può distendere e concentrarsi sullo show. Alle 20.00 in punto, nelle sue piratesche e variopinte vesti, Jovanotti trasforma la pista di atterraggio in una discoteca a cielo aperto: è una tribù che balla. “Lo senti?” urla Jova dal palco, mescolando insieme gioia, emozione, stupore, incredulità. Fa strano stare in mezzo a migliaia di persone senza mascherina, sentirne gli umori e guardarne le più disparate espressioni facciali. Sembra quasi come riappropriarsi della propria umanità in tutte le sue sfaccettature e se da un lato è evento liberatorio, dall’altro ci si scopre ancora insicuri e diffidenti verso il prossimo. Ci si perde in un continuo protrarsi e contraersi, esattamente come in un viaggio in mare aperto in una tempesta emotiva ricca e conturbante.
Si susseguono in batteria: “I love you baby”, “Sensibile all’estate”, “W la libertà”, Tutto l’amore che ho”: il Jova interagisce a piè sospinto con il pubblico e non esita a toccare argomenti decisamente sentiti dal comune pensiero: “La libertà non sai mai cos’è fino a quando non viene messa in discussione. Quando ce ne si accorge? Quando manca”.
Sul palco si alternano storie di amicizia e stima reciproca. Con Tommaso Paradiso si canta “Non avere paura” e “Felicità puttana”: due figli del pop che non hanno paura di ritornelli leggeri per celebrare appieno la vita, l’estate, l’amore. Insieme a Elisa ci si diverte con “Palla al centro” e ci si incanta sul classico “Luce”.
On stage ovviamente la presenza fissa e ormai amico inseparabile di Jovanotti, parliamo di Gianni Morandi che, con una giacca super sbrilluccicante ha cantato “Apri tutte le porte”, “Fatti portare dalla mamma”, “C’era un ragazzo” e “Gli angeli fanno la ola” insieme a decine di coppie di ballerini a fare da coreografia.

Jovanotti PH. MICHELE LUGARESI MAIKID

Jovanotti PH. MICHELE LUGARESI MAIKID

“Coraggio, questo posto è selvaggio”, incita Jovanotti, diventando un tutt’uno con la sua consolle in veste di super Dj. A seguire “Il Boom”, “Una nuova era”, “La notte dei desideri”: “Vi auguro di essere voi il desiderio di qualcuno”, dice convinto l’artista.
Simpatico il mash up di “Serenata rap” con “Sei la più bella del mondo” insieme a Raf. “Battito di ciglia”, “Baciami ancora” dedicata ad Accorsi nel parterre vip, la cover di “Sapore di sale”, “Le tasche piene di sassi” cantata senza fronzoli e con occhi emozionati  in primo piano, “Tensione evolutiva” e “Penso positivo” per riprenderci la parola “positivo” e ballarla e cantarla tutti insieme senza paura.

Jovanotti PH. MICHELE LUGARESI MAIKID

Jovanotti PH. MICHELE LUGARESI MAIKID

Scenografia ricca, fuochi, tamburi, tutti in fila sul palco i Timbares di Milano accompagnano e arricchiscono una scatenatissima “L’ombelico del mondo”. “Raggio di sole” rapisce tutti, “Gli immortali”, “Il più grande spettacolo dopo il big bang”, Ti porto via con me”, “Ragazzo fortunato” per poi concludere con “A te”: Jovanotti spara le pietre miliari della sua storia artistica una dopo l’altra ma finisce sempre con il focalizzarsi su quanto è a lui di più caro: la famiglia, gli amici, la band, la grande squadra che lo ha accompagnato in questa lunga e imponente avventura. Il suo trascinante entusiasmo finisce per incontrare e coinvolgere un po’ tutti lungo il cammino, d’altronde è così il Jova Beach Party è energia, aggregazione, contaminazione, allegria. Non ci sono schemi, semplicemente ci si immerge nell’essenza della musica e se ne si fa scorta a piene mani. Alla prossima!

Raffaella Sbrescia

La trasversalità poliedrica di Stromae incanta Milano. Il report del concerto

Stromae si è esibito sul palco dell’Ippodromo SNAI San Siro, nell’ambito del Milano Summer Festival, per l’unica data in Italia del 2022. On stage alle 21.30, con mezz’ora di ritardo, due opening acts di Rhove e Margherita Vicario, una area vip ricca di colleghi musicisti e cantanti, l’artista belga catalizza l’attenzione del pubblico con la sua consueta eleganza. Lo show è curato nei minimi dettagli sia da un punto vista tecnico che coreografico. Una serie di bracci robotici cambia gli schermi ai led creando scenari sempre diversi, un avatar formato cartoon dello stesso Stromae ricostruisce la storia di Stromae fornendo la possibilità all’artista di rivivere ciò che ha scritto e al pubblico di conoscerne la più intima essenza.

 

stromae

In un’ora e mezza di concerto, Stromae parla spesso con il pubblico, prova a cimentarsi con qualche parola di italiano, chiede spesso al pubblico come sta, si lascia andare a cantare su una poltrona mostrandosi a completo agio. L’artista alterna le super hit FormidableTout Les Memes e Papaoutai a brani che toccano corde molto delicate; su tutte L’enfer, testimonianza di una “sindrome da burnout”. Si va dagli ultimissimi brani di Multitude, a quelli del celeberrimo Racine Carrée. Sulle note di Santè, l’artista si concentra sugli addetti ai lavori ringraziandoli, a memoria, uno ad uno, così come accadrà anche nei titoli di coda. Il gran finale arriva con Alors on Dance ma prima di congedarsi, Stromae regala al pubblico una versione di Mon Amour cantata a cappella con i suoi musicisti testimoniando una volta di più un animo gentile e una trasversalità poliedrica che abbraccia l’arte a tutto tondo.

 Raffaella Sbrescia

 

 

Setlist

Invaincu

Fils de joie

Tous les mêmes

Mon amour

La solassitude

Quand c’est ?

Mauvaise journée

Bonne journée

Papaoutai

Ta fête

Pas vraiment

Formidable

Riez

L’enfer

C’est que du bonheur
Play Video

Santé
Bis:

Alors on danse
18. Mon Amour

“I concerti nel Parco – Summer Time”: le suggestioni di Suzanne Vega

Gli anni ‘80 hanno rappresentato un momento particolare nel panorama musicale mondiale. Sono stati sicuramente anni in cui proporsi alla maniera cantautoriale, raccontando storie malinconiche con l’aiuto di una chitarra e poco altro richiedeva coraggio. Un coraggio che Suzanne Vega ebbe, e vide giustamente premiato.
Nata in California, ma cresciuta nei sobborghi portoricani di New York, sarebbe stato forse più facile per lei restare suggestionata e influenzata da un sound di rottura. Punk, Rock, Rap. Invece questo non accadde, e quella esile e diafana ragazzina riuscì ad imporre all’attenzione del mercato il suo modo di fare musica, essenziale, da folksinger un po’ in ritardo sui tempi.

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Sicuramente molto influì nelle sonorità la prima Joni Mitchell, mentre per quello che riguarda la poetica, prevalse una visione abbastanza descrittiva degli aspetti della vita di tutti i giorni. Il racconto di quello che ci circonda, dei momenti più ordinari e apparentemente insignificanti del quotidiano, trasformato in poesia, attraverso versi essenziali e minimalisti. Gli sguardi di Tom’s Diner, la storia nascosta e dolorosa di Luka, gli oggetti che riflettono le anime delle persone in Night Vision. La solitudine, una specie di spettro, un’ombra sulla porta, pronta a voltarsi se qualcuno arriva, in Solitude Standing.
Qualcosa di fuori moda, piatto, privo di fronzoli, essenziale, molto lontano dai luccichii, dal glam, dal divismo, dal pompaggio spesso voluto dalle case discografiche in quegli anni, eppure qualcosa che seppe farsi apprezzare al punto da arrivare a ottenere una visibilità internazionale di considerevole impatto: un’oasi di pace in mezzo a tanto rumore.

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

E’ un poco questa la Suzanne Vega che ritroviamo sul palco della Casa del Jazz, ospite della rassegna “I concerti nel Parco – Summer Time”: 63 anni meravigliosamente portati, in versione acustica, voce e chitarra, accompagnata da un ottimo Gerry Leonard (già collaboratore di David Bowie), intrattiene incantevolmente una platea accaldata ma attenta, con il timbro di voce magnetico che da sempre la caratterizza.
Poca coreografia, molta empatia, una lieve brezza emotiva che va a toccare i cuori, e in qualche maniera porta serenità.
A Ottobre del 2020, per dare il suo contributo al mondo della musica, messo così duramente alla prova dalla pandemia, la cantautrice Statunitense si è esibita in streaming dal Blue Note Jazz Club di New York. Un evento importante, simbolico, durante il quale è riuscita a riunire circa un centinaio tra musicisti, operatori, e organizzatori mondiali, ed ha presentato il suo album più recente, An Evening of New York Songs and Stories che ripropone i suoi grandi successi. E’ da questo album che è tratta la scaletta proposta al pubblico romano, con una piccola sorpresa sul bis: una Walk on the Wild Side, che commuove tutti.
Mentre Ultimo al Circo Massimo richiama circa 70.000 persone, in un piccolo spazio sonoro, si fa musica in delicatezza. E mai suggestione fu più evocativa di un incipit di carriera su cui avrebbero scommesso in pochi.

Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

Suzane Vega @ Casa del Jazz ph Roberta Gioberti

 

Simple Minds live all’Auditorium Parco della musica di Roma: il report del concerto

Un tour attesissimo, quello dei Simple Minds in Italia. E attesissimo il concerto di Roma, penultimo del tour.
A distanza di quattro anni, uno dei gruppi che hanno segnato la storia musicale degli anni ’80 torna a esibirsi in Italia. Un tour purtroppo in ritardo sui tempi a causa delle ben note vicende sanitarie che hanno coinvolto il mondo intero, causandone il rallentamento in termini di attività, e anche parecchi cambiamenti epocali. Ma di questi cambiamenti epocali, ieri sera il pubblico romano per un paio d’ore ha perso memoria.
Fa caldo e nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica, almeno tre generazioni attendono impazienti di scoprire cosa accadrà su quel palco. E, alle prime note di Act of Love risulta immediatamente chiaro: un salto di 40 anni indietro nel tempo.

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Il gruppo, formato in Scozia a Glasgow da Jim Kerr e dal chitarrista Charlie Burchill, ha una caratteristica non comune: non ha mai ceduto al trasformismo. Nel corso di una lunga carriera fatta di successi internazionali, ha sempre mantenuto tanto in termini di contenuti quanto di sonorità, una linea coerente che non delude e non stanca: un evergreen. Quando si affacciarono alle soglie del successo internazionale, i Simple Minds rappresentarono per un’intera generazione una sorta di punto di svolta sotto il profilo dell’interpretazione musicale: poter portare sulla scena contenuti importanti, alleggerendoli grazie a un sound decisamente pop, ma altrettanto sofisticato.

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Un sound caratterizzato dalla valenza compositiva di Burchill, e dall’estro interpretativo di Jim Kerr, che a distanza di tanto tempo è rimasto intatto. Generoso, empatico, Kerr entra immediatamente in contatto con il pubblico, scendendo dal palco e cantando tra la folla in delirio: un concedersi preannunciato dalla frase “Roma, è da tanto che manchiamo, non ci risparmieremo”.
Prende così vita uno spettacolo coinvolgente e intenso che ripercorre buona parte dei brani di successo della band: Colours Fly and Catherine Wheel, Waterfront , Book of Brilliant Things , Mandela Day, First You Jump, She’s a River, Let There Be Love, si susseguono a ritmo incalzante, incoraggiando cori e danze sottopalco, in origine non previste, ma assolutamente inevitabili.
Ne è passato di tempo da quel 15 marzo del 1983, quando, al teatro Lido di Roma, che li ha visti spesso protagonisti, proposero un nuovo sogno dorato a un pubblico che, in buona parte, era presente anche ieri sera: tuttavia sembra proprio di essere tornati a quel concerto a quella dimensione, a quegli anni, così diversi da quelli che stiamo vivendo oggi.
Il momento di maggiore intensità si ha sui nove minuti di Don’t You (Forget About Me), con un coro ininterrotto del pubblico di ben quattro minuti, durante il quale Kerr gigioneggia, gioca, dirige, fa scemare le voci, per riportarle ad un’esplosione finale che è una sferzata di energia incontenibile.

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Quasi due ore di entusiasmo euforico, nessuna retorica verbale, nessun accenno o presa di posizione politica relativa alle attuali vicende, solo musica, come è nel loro stile. Un sentito Mandela Day, considerato anche il fatto che il giorno successivo, 18 luglio, è il compleanno di Nelson Mandela, e un finale Sanctify yourself, sanctify, che sintetizza tutto: liberati, è l’amore ciò di cui hai bisogno.
E mai come in questo momento questo vecchio brano conosciuto in tutto il mondo ci indica la strada per ritrovare un equilibrio e una serenità che vacillano.
Se la musica ha un potere catartico, sicuramente il concerto dei Simple Minds di ieri sera lo ha dimostrato.

Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma - ph Roberta Gioberti

Simple Minds @ Auditorium Roma – ph Roberta Gioberti

 

 

 

 

 

 

 

Venditti & De Gregori live allo Stadio Olimpico di Roma: 50 anni di emozioni. Il report del concerto

Certi amori non finiscono, e sicuramente dopo cinquant’anni è rimasto intatto l’amore verso Venditti e De Gregori, da parte di un pubblico che, seppure a volte diviso nel dichiararsi più a favore della scrittura dell’uno o dell’altro, ieri sera si è trovato ad applaudirli, cantarli, ringraziarli, in totale sintonia.
L’attesa per l’evento, annunciato già da tempo e poi sospeso a causa del lockdown, è molta. I due artisti cominciarono a suonare insieme e condividere note e versi, cinquant’anni fa al Folk Studio, in una situazione all’epoca di grande fermento per il cantautorato in Italia.
Insieme, cinquant’anni fa, incisero un LP che, pur senza un grande riscontro di vendite, ha rappresentato un punto di svolta nel mondo della canzone d’autore: Theorius Campus.
Un lavoro dai contenuti importanti, ricercato, decisamente di altissima qualità, in cui i brani delle due giovani promesse del mondo musicale si alternavano, dando vita a una proposta innovativa e ambiziosa.
Dopo di allora le strade dei due artisti si divisero. Tuttavia, nel pubblico, è sempre rimasto vivo il ricordo del sodalizio iniziale, e forse per questo trovarli insieme sul palco dell’Olimpico ha acceso l’entusiasmo di ben 44.000 persone. Un concerto di dimensioni sicuramente importanti.
Venditti & D Gregori ph  Canitano

Venditti & D Gregori ph Canitano

Una trentina di canzoni, 32 per l’esattezza, scritte nell’arco di un cinquantennio, e restituite con sonorità ricche ed attuali, rese da una band che, composta dai musicisti che fanno solitamente da accompagnamento ai due artisti, ha suonato in perfetta sintonia.
L’esordio del concerto è musicalmente ambizioso: Richard Strauss – Also Sprach Zarathustra, il tema di Odissea nello Spazio, introduce il brano di Venditti che, in qualche modo, racconta gli inizi della loro storia, ossia “Bomba o non Bomba”. E a Roma ci sono arrivati, ci sono in questo preciso istante, di fronte a un pubblico in delirio.
Nel seguito del concerto, Venditti e De Gregori continueranno ad incrociarsi per cantare, scambiandosi spesso le voci, brani che sono nel cuore di tutti noi: “La leva calcistica della classe ’68”, “Modena” “Generale”, “Che fantastica storia è la Vita”, “La Donna Cannone”, “Unica”, “Sempre e per sempre” (che resa dalla voce di Venditti, va detto, acquista un fascino ancora più intenso), “Pablo”, introdotta dall’incipit di Shine on You Crazy Diamond, con De Gregori alla chitarra, “Ricordati di me”, cui sempre De Gregori regala un sentito assolo di armonica, e poi ancora “La Storia”. Unico accenno all’ esordio discografico di cinquant’anni or sono, “Dolce Signora che Bruci”, eseguita a due voci.
Un sentito omaggio a Lucio Dalla, che, va ricordato, ha a lungo collaborato con De Gregori, con l’esecuzione di “Canzone”.
Circa i riferimenti all’attuale situazione internazionale e all’interpretazione e al peso che ritenevano di dare a determinati brani, è proprio De Gregori, in conferenza stampa, a chiarire che ogni canzone assume un significato aderente alla realtà in cui si vive, e che il loro repertorio sarebbe stato eseguito al riguardo senza enfasi particolari, lasciando ai sentimenti di ognuno la personale interpretazione. Certo, “Generale” è un brano contro la guerra, ma lo è da quando fu scritto, ed è da sempre presente nel repertorio live del cantautore romano. Il fatto che in questo momento storico possa risultare ancora più significativo non lo contestualizza necessariamente; resta un brano contro la guerra, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, senza demagogia.
Venditti esegue al pianoforte “Buonanotte Fiorellino”, che diventa un valzer molto elaborato e dalle sfumature lievemente gitane.
Nello scambiarsi versi e note, è particolarmente sentita la partecipazione di Venditti ai brani dell’amico, e De Gregori, che notoriamente dà del suo repertorio un’interpretazione sempre diversa e personale durante i live, rispetta questa volta senza muovere una nota, le scritture di Antonello.
Pochi brani (“Sara”, “Ci vorrebbe un amico”, “Notte prima degli esami”, “Rimmel”, “Titanic”) i due artisti li riservano a un’esecuzione individuale, personale e classica, ciascuno con la propria peculiare e riconoscibile espressione.
Sul finale un brivido. Sì, perché è universalmente conosciuta la dedizione ai colori della maglia giallorossa di Venditti, come lo è pure quella di De Gregori. Pertanto intonare “Grazie Roma” in uno stadio, l’Olimpico, stracolmo sicuramente non solo di Romanisti, ma anche di cugini Laziali, di parecchi Juventini e via dicendo, potrebbe voler dire rischiarsela. Ma “questa notte è ancora nostra”, è di tutti, proprio come Roma è di tutti. La partecipazione è commovente, e, personalmente, ritengo che questo sia stato un vero e indicativo segnale di pace e distensione, oltre ogni demagogia.
Roberta Gioberti

30 anni in un (nuovo) giorno: il report del concerto di Ligabue alla nuova RCF Arena di Campovolo

“Permettetemi di dire: cazzo era ora! Dopo due anni abbiamo finalmente tolto il tappo, abbiamo vinto noi”. Ligabue saluta così i 103.009 spettatori della nuova RCF ARENA di Campovolo, accorsi dalle prime ore del mattino per il concerto-evento “30 anni in un (nuovo) giorno. La serata inizia sulle note dell’ultimo singolo “Non cambierei questa vita con un’ altra” poi il nastro viene minuziosamente riavvolto per ripercorrere un lungo viaggio fatto di parole, note, emozioni, ricordi (quelli che contano, certo). Gilet di pelle e piglio da duro, il “mediano” Luciano celebra il rituale amarcord lasciandosi affiancare dai musicisti che nel tempo lo hanno scortato sulle onde dei cuori di molti che, anno dopo anno, lo hanno accolto e seguito “Ballando sul mondo”.

Ligabue live @ RCF Arena

Ligabue live @ RCF Arena

E via andare: “L’odore del sesso”, “Niente paura”, “Il sale della terra” e poi la prima grande “botta” emotiva della serata: il duetto con l’inossidabile Loredana Bertè sulle note di “Ho smesso di tacere”, una canzone contro la violenza sulle donne cantata, appunto, con Loredana che la violenza l’ha vissuta sulla propria pelle a 16 anni e che l’ha forgiata per sempre. Un grido di dolore e di verità che squarcia il petto.

Sfilano i chitarristi in passerella in “Marlon Brando è sempre lui” con tanto di un assolo a testa, il proprio stile, il marchio di fabbrica di cui poter fare bella mostra in punta di palcoscenico.

La tornata amarcord con i Clandestino inizia con “Bar Mario” con tanto di incursione del manager Claudio Maioli, in memoria di un approccio autentico e legato alle origini di una volta che non si dimenticano mai. “Non è tempo per noi” e forse non lo sarà mai:attimi di nostalgica consapevolezza dei tempi andati e che, paradossalmente rappresentano ancora la linfa vitale a cui appigliarsi per abbracciare il futuro.

A seguire un altro prestigioso ospite: si tratta di Eugenio Finardi con cui Ligabue canta “Musica Ribelle”; un brano che nei difficili anni ’70 aveva avuto un significato importante per il giovane Luciano che, oggi, con il senno di poi, ne riconosce l’importanza a fronte della constatazione del fatto che spesso si è come assuefatti a tutto e purtroppo anche al peggio.

Sempre emozionante e poetica “Piccola stella senza cielo”, surreale vedere ballare il pubblico su un concetto che, decontestualizzato dal live, mette irrimediabilmente terrore nelle vene “A che ora è la fine del mondo”.

Curioso e originale il duetto con Gazzelle sulle note de “L’amore conta”: l’apertura di Luciano ai giovani è un incrocio tra grunge e rock frutto di una cover che Flavio aveva eseguito piano e voce su Instagram qualche tempo fa.

Ligabue live @ RCF Arena

Ligabue live @ RCF Arena

“Luci d’America” e poi la celebrazione del primo Campovolo di 17 anni fa con “Il giorno dei giorni”. Molto intenso il duetto con Francesco De Gregori in “Buonanotte all’Italia”, accompagnato da una carrellata di immagini di personaggi che hanno senza dubbio segnato la storia del nostro paese e il relativo tessuto culturale.

Un altro momento di grande impatto è sicuramente l’esecuzione de “Il mio nome è mai più”: Federico Poggipollini fa le veci di Piero Pelù, ancora convalescente dopo la caduta sul palco di qualche giorno fa e poi il leggendario Mauro Pagani e la sua immancabile armonica a colorare un brano quanto mai attuale e centrato contro la guerra.

“I ragazzi sono in giro”, “Ti sento”, “Eri bellissima” ma soprattutto “Il giorno di dolore che uno ha” e “Quella che non sei” tengono il filo del percorso storico di Ligabue fino all’iconica “Certe notti”; l’atmosfera è quella di un non luogo proprio perchè certe notti possono accadere a chiunque in un qualunque momento della propria vita.

Il concerto si avvia alla fine sulle note di “Una vita da mediano” ma soprattutto con “Il meglio deve ancora venire” e l’iconico ed emozionante duetto con Elisa in “A modo tuo”.  L’atmosfera è onirica, simile a quella di una foresta disegnata: il momento è molto toccante. Il finale è tutto all’insegna del rock: “Questa è la mia vita”, poi si salta tutti insieme “Tra palco e realtà”. Tutti i musicisti raggiungono Ligabue sul palco “Urlando contro il cielo” con tanto di spettacolari fuori di artifico che illuminano Campovolo a festa. “Sogni di rock and roll” tutti insieme in passerella diventano ancora una volta realtà. C’è da crederci se il Liga non cambierebbe questa vita con nessun’altra, anche questo Campovolo ce lo ricorderemo, eccome.

 Raffaella Sbrescia

Previous Posts Next Posts