Oggi esce “Cuore Cuore”, il nuovo album del cantautore Riccardo Sinigallia. Un lavoro che evoca, ispira, tratteggia emozioni, storie, sentimenti attraverso un accurato uso della parola e una altrettanto pregevole lavorazione in studio. La varietà sonora di questo disco vi porterà su più livelli di lettura. Abbiamo incontrato Riccardo per farci accompagnare per mano in questo viaggio.
Intervista
Riparti da questo nuovo disco, un lavoro che forse ti avrà richiesto tanto tempo tra lavori di produzione e scrittura intensa.
In verità sì, anche se tra un disco e l’altro mi permetto di fare sia cose che mi consentono di procurare sostentamento a me e alla mia famiglia, sia anche di aprire la finestra e guardare fuori da me. La vita del cantautore che pensa solo al suo prossimo disco mi sembra un po’ infelice. Mi piace quindi pensare di avere la possibilità di fare altre cose tra cui, quando ne vale veramente la pena, produrre altri artisti.
ll termine “Cuore” in un contesto socio-culturale come quello attuale appare forse desueto ma in qualche modo ci salva. Tu che importanza dai a questa parola, non solo per la scelta del titolo del disco, ma anche nella tua produzione e nella tua vita in generale?
Ho scelto questo titolo per svariate e numerose ragioni. In ogni caso era quello che sintetizzava meglio il percorso di musicista che fa un disco di canzoni e che al termine di questo percorso vi dice: quello che dovevo dire, l’ho detto e ciao core. Il cuore è il simbolo di quell’attitudine soul che mi piace tantissimo e che riesco a trovare in ogni genere musicale. Mi piace il soul dei Craftwerk, quello dei Nirvana, quello di Lucio Battisti, quello di Stewie Wonder. Ciò che intendo dire è che mi piace e ricerco il contatto tra le parti più intime di chi interpreta e il modo di rivelarlo.
Il citazionismo letterario gioca un ruolo chiave nella costruzione dei tuoi testi. Che rapporto hai con la letteratura e come riesci a renderla fruibile attraverso la tua musica?
Sono sempre stato appassionato di parole e, oserei dire, di poetica. Non sono un lettore fanatico, riesco a leggere due o tre libri l’anno, quando riesco, però la letteratura in senso lato penso di saperla affrontare navigandoci all’interno. Nel mio percorso artistico la parte letteraria è assolutamente centrale, la musica in se per sè è meravigliosa, mi porta ad un livello di profondità in cui la parola non riesce a portarmi però la parte testuale rimane fondamentale. Rappresenta tra l’altro la ragione per cui una canzone resta immortale oppure no. Non separerei mai le due cose perchè è proprio dalla loro relazione che nasce una canzone che può essere una droga.
Tornando al discorso legato alla produzione, c’è questa varietà sonora che regala valore aggiunto a tutto il disco dalla prima all’ultima traccia. In un contesto di sovraffollamento testuale, a quel punto la differenza la fa anche la scelta di lavorare in studio in modo più accurato e particolareggiato. Tu come hai lavorato stavolta?
Il lavoro in studio da un lato è sempre lo stesso perchè mi piace mescolare le fonti sonore con delle proporzioni di volta in volta diverse. Nel primo album c’era più elettronica proveniente da campionatori e analogici, il secondo era più acustico, nel terzo ho cominciato a giocare mescolando le carte e in questo nuovo progetto l’ho fatto ancora di più. La metodologia consiste sempre nel riprendere le fonti naturali acustiche, elettriche o synth analogici in maniera pura per poi divertirmi con l’editing selvaggio della computer music e della hard disk recording. La matrice antica, autentica vive e vibra con le più avanzate tecnologie disponibili che mi consentono di poter corromperla fino all’arresto (ride ndr).
Questo approccio artigianale ti contestualizza all’interno di una nicchia di persone che lavorano ancora manualmente alla loro musica. Come vivi questo tuo status all’interno di un mare magnun così diverso dal tuo modo di concepire l’arte?
A dire il vero in questo periodo sono molto soddisfatto, vedo che non c’ho quasi più niente da perdere, faccio i dischi che voglio fare, ho finalmente intorno a me delle persone che mi proteggono, che mi vogliono bene, ho una squadra che lavora in modo incredibile, poi ho Caterina Caselli che rappresenta un punto di riferimento molto più alto rispetto alla media. Avverto perciò la sensazione che tutte le scelte fatte in passato, anche i sacrifici, i rifiuti, le stratte più strette e tortuose, mi abbiano portato fino a qui. Sono molto contento quindi, poi se vengono in 600 o 60.000, ovvio che sarei più contento di accoglierne 60.000 a vedermi ma ora come ora, anche se 600 per me son da paura, anzi, magari.
A proposito di numeri, sono grandi quelli collezionati da artisti che hanno lavorato a stretto contatto con te. Ultimi in ordine di tempo Motta e Coez. Come vivi il fatto che tu abbia lasciato una traccia importante sul loro percorso e la possibilità di poter detenere un metro di giudizio e di esprimerti da un punto di vista più alto?
Che dire? Finalmente grazie a Francesco Motta e Silvano (Coez) questa roba è uscita fuori perchè prima non è che si sapesse poi molto. Da queste nuove generazioni è venuto fuori il mio lavoro da “backliner”. Mi hanno dato molta soddisfazione e io per primo ho imparato da loro molte cose, sono state due produzioni molto felici anche se alla fine ognuna ha avuto dei momenti di forte emozione.
Per tornare un attimo al disco, parliamo di un brano scomodo, ovvero “Le donne di destra”
Questo è il brano più esplicito di tutti, un testo in cui c’è una parte di ingenua confessione di una cosa che penso, che sento, e della quale mi sono liberato. Il problema estetico-ideologico sulla femminilità l’ho eliminato, mi piacciono tanto le donne di destra quanto quelle di sinistra, forse quelle di destra si vestono meglio. Ovviamente non si tratta in alcun modo di una generalizzazione. In genere gli amici che arrivano da una cultura di sinistra hanno dei riferimenti femminili che io non capisco, i nomi sono sempre gli stessi: o qualche attrice del passato o Laura Morante. Io invece ammetto che mi piacciono la Ferilli e la Lecciso.
Video: Ciao Cuore
Perchè hai scritto un inno per i backliner con l’omonima canzone?
Questa è una sorta di autoritratto ma anche un omaggio a quella figura che non si fa vedere, che presta e dona la propria opera per poi restare inesorabilmente nell’ombra. Si tratta di personaggi che, da quando suono dal vivo, mi hanno sempre colpito per la loro potenza subito riconoscibile. Potrei scrivere una canzone su ognuno di loro, alla fine ne ho scritta una per tutti, me compreso.
Per concludere questo incontro, raccontaci che valore dai alla parola “emozione” e come la contestualizzi all’interno dell’universo live.
L’emozione nel live è quel momento in cui riesci davvero a connetterti con te stesso, l’ambiente in cui ti trovi, il momento che stai vivendo e la canzone che stai cantando. Quando questo si verifica è una botta mostruosa.
Raffaella Sbrescia