John De Leo ph Elisa Caldana
Unicità, talento, sperimentazione sono le parole in cui è racchiusa l’essenza di John De Leo, una delle voci più particolari della scena musicale italiana. Il poliedrico musicista-cantante-compositore-autore è da ascriversi a pieno titolo in quella scia di grandi pionieri della strumentazione e della sperimentazione della voce. L’artista sarà questa sera sul palco del CarroPonte (Sesto San Giovanni) per presentare “Il Grande Abarasse”, il disco che segna il ritorno di De Leo sulle scene a sette anni di distanza dal suo ultimo progetto discografico, un concept album ambientato in un ipotetico condominio all’interno del quale ogni brano corrisponde ad uno dei suoi appartamenti.
Intervista
Nel 2014 pubblicavi “Il Grande Abarasse”, un lavoro che ha richiesto molto impegno ed una lunga gestazione. Qual è il percorso che questo album ha compiuto fino ad oggi?
Se parliamo di viaggio, posso dire che “Il Grande Abarasse” ha percorso quanto meno l’Italia. Siamo inaspettatamente riusciti, io e i ragazzi della banda, piuttosto cospicua, a portarlo in giro in diversi concerti. Dico inaspettatamente perché questi ultimi tempi di crisi consigliano di ridurre sempre di più le formazioni e i relativi costi. Come antidoto a questa crisi, ho pensato di premere l’acceleratore in senso opposto, soprattutto riflettendo su esigenze musicali che implicavano un numero importante di musicisti.
Come è stato possibile portare avanti questo tipo di discorso live così complesso e chi ti accompagna in questa avventura?
In effetti sono tutti musicisti molto bravi, in tutto siamo nove e siamo anche affiatati aldilà delle scene. Ho sempre pensato che dovesse essere necessario poter condividere qualcos’altro aldilà del lavoro; forse sono invecchiato però ho bisogno anche di una certa tranquillità dal punto di vista umano.
La scelta di una band numerosa in qualche modo vuole rendere merito ad un lavoro che ha richiesto uno sforzo creativo importante?
Senz’altro. Questa formazione vorrebbe restituire il suono del cd, in cui ha collaborato un’orchestra vera e propria composta da una trentina di elementi. L’occasione è stata possibile grazie al contributo di Arci che ha supportato tutta l’operazione sia dal punto di vista economico che promozionale. Per restituire quella massa sonora, tutti gli arrangiamenti e tutti i contrappunti che sono stati pensati, ho scelto di portare più persone in tour, riducendo comunque il tutto all’osso con una piccola rappresentanza delle varie sezioni.
Per quanto riguarda il Ghost album, cosa hai pensato per valorizzarlo?
Sono lieto del riferimento a questo lavoro. Ai tempi della presentazione credetti che con questo album nascosto, che si può sentire dopo le tracce ufficiali, avrei potuto spaventare i giornalisti. Questo è il mio lato più sperimentale, limito la mia vocalità, che forse fino ad oggi è stata anche la mia fortuna, proprio per misurarmi con quella che forse è la mia passione parallela ed identica all’aspetto vocale che è, per l’appunto, la musica. Più che cantanti io ascolto soprattutto composizioni strumentali.
Quali?
Ascolto molti compositori di musica classica del ‘900. Di certo non mi metto minimamente a confronto però posso dire che rappresentano un grandissimo stimolo per me. Cito Musorgskij, un compositore che trovo ancora geniale perchè tende non spettacolarizzare una musica comunque densa di esplosione.
A proposito di questo, tempo fa hai dichiarato: “Non canto quello che la gente si aspetta, il rispetto per il pubblico non sta nell’accontentarlo”. Un punto di vista in netta controtendenza con l’attualità…
Questo non è solo il mio motto, è il mio credo. Credo di aver parafrasato il discorso del pittore Baziotes che in altri termini ha detto qualcosa di simile. Da ascoltatore, mi piace essere sorpreso da quello che ascolto ed essere traghettato dove non prevedevo sarei finito. La mia musica va verso questa direzione: evita approdi consolatori e telefonati.
Infatti uno degli obiettivi che si pone la tua musica è proprio quello di innescare domande…
Mi metto sempre nei panni dell’ascoltatore, essendo io stesso tale, nonché un grande appassionato di musica. Mi piace poter ricreare l’opera che sto ascoltando e fantasticare in modo arbitrario e personale rispetto alle volontà del compositore. Quando il compositore dà l’opportunità di fare questo esercizio in modo naturale per me la composizione è perfetta.
È vero che molte idee che dovevano confluire in questo album compiute o quasi?
Nonostante siano passati sette anni dall’ultima pubblicazione, di cui quattro sono stati necessari per il compimento di questo album, tante idee sono rimaste fuori mentre altre cose che ho pubblicato le vedo ancora come incompiute. Menomale che c’è qualcuno che dice basta ed evita che si esca direttamente con un disco postumo (ride ndr). Altre idee incompiute, o che non sono confluite qui, serviranno certamente per un prossimo album perché “Il mercato vuole che si sia sempre presenti con dei prodotti nuovi”.
John De Leo ph Elisa Caldana
Per quanto riguarda la dimensione live, come presenteresti un tuo concerto? Per esempio quello che terrai questa sera al CarroPonte di Sesto San Giovanni (Mi)?
Al CarroPonte si cercherà di portare a casa il concerto nel senso che non siamo in un teatro e lo dico anche felicemente. Sarà bello misurarci con un pubblico diverso da quello che ci si aspetta in teatro. Di contro la scaletta sarà più misurata verso l’impatto anche se non tradirò me stesso e cercherò di immettere tra i brani più facilmente ascoltabili, anche delle inserzioni astruse.
La tua è anche arte estemporanea…
Sì, ci sono diversi momenti di improvvisazione, cerco di condensare alcuni aspetti di due linguaggi come quello del jazz e della psichedelia nel rock. Apro delle parentesi improvvisate sempre nuove che cambiano in base alla location e al pubblico che, in questo senso, ha in mano le redini del concerto.
Tutto parte dell’amore per il dettaglio?
Senz’altro. Spesso l’idea narrativa nasce proprio da un dettaglio, altre volte la canzone stessa parla di un dettaglio. Quello che mi indigna è che la cultura è pregna dei linguaggi modificati dalla crisi del mercato. Per quel che mi riguarda cerco di non mortificarmi, non posso e non ci riesco, in virtù dell’amore delle cose che ascolto, aldilà delle mie. Non so posso suonare o raccontare qualcosa il cui fine sia semplicemente quello di accattivare qualcuno.
Raffaella Sbrescia