“Cosa siamo diventati” (Carosello Records) è il titolo del nuovo album di DIODATO, pubblicato a tre anni di distanza dal cd d’esordio “E forse sono pazzo”. Un disco di grande impatto emotivo, in cui l’artista ha scelto di esporsi in maniera intima e personale senza mai tralasciare una particolare attenzione alla costruzione di arrangiamenti ricchi e strutturati. Un caldo abbraccio fatto di parole forti e brani evocativi con cui Diodato si conferma cantautore esperto, sincero e di larghe vedute.
Intervista
Come è arrivata l’esigenza di esporti con un disco così sentito e introspettivo?
In questo lavoro c’è tanto di me perché per poter parlare di certe cose bisogna viverle. Dato che mi sono rifatto a cose che ho visto e vissuto negli ultimi anni, mi sembrava giusto lasciarle confluire in questo album in cui la parola chiave è emotività.
Quanto è doloroso mettersi così a nudo? Esporsi in modo così intimo rappresenta quasi un atto di coraggio da parte tua in un’epoca dove invece si tende a mascherarsi…
Non è stato semplice perché quando scrivi, tendi a tutelarti per evitare di mostrare troppo della tua intimità. In questo caso però desideravo essere sincero, volevo che le canzoni fossero uno specchio delle sensazioni che ho provato, non volevo cadere nelle trappole della scrittura né compiacermi troppo e quindi ho lavorato duramente. Naturalmente è stato un processo doloroso però sono molto contento di averlo fatto.
Che tipo di feedback stai ricevendo da parte del pubblico?
Mi sorprende vedere quanta gente mi stia scrivendo in questi giorni per dirmi non solo che ama l’album ma che lo sente vicino. Nel momento in cui scrivi cose molto personali non ti aspetti che possano ritrovarvisi anche delle persone praticamente sconosciute. Questa è la cosa che forse ha avvicinato anche me alla musica; anche io mi sento ispirato dalle canzoni che mi piacciono e le faccio mie perchè sento un legame con le parole del testo.
Un altro aspetto importante che salta subito all’occhio di questo lavoro è quello legato agli arrangiamenti particolarmente curati. Il suono è ricco, strutturato, ben costruito. Come ci hai lavorato, con chi e con quali strumenti?
Ci tengo molto a questo aspetto, lo curo da sempre nei miei lavori. Secondo me la musica è importante tanto quanto il testo. Lavoro da sempre con un gruppo di musicisti e amici che mi conoscono molto bene, che sanno dove voglio andare e che mi ci sanno portare. Si tratta di Daniele Fiaschi alla chitarra, Duilio Galioto al pianoforte e alle tastiere, Alessandro Pizzonia alla batteria. In alcuni brani c’è stato anche Fabio Rondanini batterista dei Calibro 35 e degli Afterhours poi abbiamo Danilo Bigioni al basso e gli archi dello Gnu Quartet, con cui avevo già lavorato nel disco “A ritrovar bellezza”. Il tutto è stato prodotto anche stavolta da Daniele “Il Mafio” Tortora con cui lavoro fin dal primo disco “E forse sono pazzo”. Curiamo molto gli arrangiamenti usando spesso strumenti vintage, organi di un certo tipo, cercando di ottenere un sound da band. Un tratto importate di questo disco è che l’abbiamo registrato con una serie di sessioni in cui suonavamo tutti insieme. Alcuni brani sono rimasti così come li abbiamo registrati con una take unica come “Paralisi” e “Cosa siamo diventati”. Ci tenevo ad imprimere quella tensione emotiva derivante dalle sensazioni provate mentre suonavamo dal vivo tutti insieme.
Decontestualizzando la titletrack “Cosa siamo diventati” dalla trama che racchiude la presa di coscienza della fine di un rapporto, ti chiedo: “Cosa siamo diventati noi oggi”?
Ovviamente quando ho scelto questo titolo volevo che avesse diversi significati. All’interno del brano racconto il vissuto di un rapporto a due mentre usando la stessa domanda come titolo dell’album volevo rivolgere un quesito sia a chi mi conosce, sia a chi si avvicinerà a questo album e troverà le mie risposte nei brani. Non è possibile definire l’umanità contemporanea ma di sicuro viviamo un periodo molto complesso. In alcuni brani sfioro questi argomenti ma lo faccio sempre con il filtro della mia coscienza. Questo è un periodo particolare perché ci hanno fornito dei mezzi, come ad esempio i social network, che hanno raffreddato i rapporti umani. In questo senso volevo che questo album fosse in controtendenza, volevo che fosse un abbraccio caldo per chi lo ascolterà. Ci troviamo di fronte a quesiti importanti a cui dobbiamo dare risposte serie e impegnative, credo che anche gli artisti possano farlo con la propria musica senza dover per forza avere un tipo di scrittura politica, si può essere interessati al sociale anche parlando di noi stessi e delle sensazioni che proviamo in rapporto a certe tematiche.
Come spiegheresti questa tua capacità di rendere cinematograficamente i racconti che scrivi?
La mia è una scrittura per immagini. Quando scrivo una canzone mi piace vederla e mi piacerebbe la vedesse chi poi la ascolterà; la cosa deriva dal mio enorme amore per il cinema: mi sono appassionato, ho studiato e mi sono laureato in cinema. Anche musicalmente immagino la musica come una colonna sonora, tutti gli album che amo sono delle vere e proprie colonne sonore della mia vita e non mi dispiacerebbe se qualche mio album diventasse la colonna sonora della vita di qualcun altro o molto più semplicemente di un film vero e proprio. La scrittura comunque deve essere evocativa, sia dal punto di vista testuale che musicale.
Video: Mi si scioglie la bocca
Hai diversi rapporti di collaborazione e amicizia con tanti artisti della scena musicale italiana, come vivi questa cosa e che prospettive ti dà?
Mi piace tantissimo questa cosa. Nel nostro paese c’è un limite dovuto proprio al fatto che gli artisti spesso sono molto isolati tra loro, altre volte capita che ci siano delle invidie. Mi rendo conto che collaboriamo un po’ poco tra noi, ci sono poche collaborazioni interessanti. A me, per indole naturale, piace condividere il lavoro degli altri, mi piace conoscere gli artisti. Forse la cosa deriva da alcune cose che ho fatto nella mia vita. Già il fatto di essere il direttore artistico del 1 Maggio di Taranto, ad esempio, mi ha portato a interagire con tantissimi artisti che non conoscevo cercando di portare la loro proposta musicale all’interno di una manifestazione musicale importante. Anche quando ho fatto il Festival di Sanremo sono subito diventato amico di tutti i concorrenti perchè è giusto così; non mi piacciono le gare e le competizioni sterili in quella che alla fine è una guerra tra poveri. Vado ai concerti di tanti colleghi e loro vengono ai miei, dall’incontro tra anime artistiche diverse nascono tante cose belle. A me è successo: quando ho conosciuto Daniele Silvestri è cambiato anche il mio modo di pensare alla musica, grazie ad un’amicizia nata tra noi, stessa cosa con Manuel Agnelli che mi ha sorpreso dal punto di vista umano visto che artisticamente lo amavo già profondamente. Quando l’ho conosciuto sono rimato sorpreso non dalla sua evidente intelligenza ma dall’umiltà e dalla voglia di migliorarsi costantemente innalzando la propria personale asticella.
Come avete lavorato tu e Boosta nel brano “Quello che vuoi” incluso nel suo album solista “La stanza intelligente”?
Di solito entro nei progetti altrui quasi in punta di piedi perché sono fatto così, basti sentire anche i lavori fatti con Daniele Silvestri. A parte il brano con Manuel Agnelli contenuto nel mio primo album, che era praticamente un duetto, negli altri mi piace cercare di portare una mia particolarità nel brano senza diventarne protagonista. Questo è quanto accaduto con Boosta: Davide mi ha scritto per chiedermi di collaborare in un brano contenuto nel suo album, conoscendo il suo valore artistico, ho ovviamente accettato. Successivamente mi ha mandato questo brano molto distante dal mio mondo musicale ed è stato proprio questo a stimolarmi, ho pensato che i due mondi potevano incontrarsi senza mischiarsi troppo quindi ho creato un tappeto di voci molto etereo che andasse a sposarsi ma anche a scontarsi con la sua vocalità.
Nel brano “La verità” c’è un tipo di sporcizia sonora di tipo aggressivo e sensuale al contempo. Prenderai spunto da questo brano per nuove idee?
Non amo limitarmi, adoro lasciar confluire la mia schizofrenia nella scrittura. Mi piacciono i brani con un forte impatto rock e che spingono ad una scrittura più cinica e fredda ma comunque passionale. Visto che la mia band è in grado di toccare certe corde, adoro spingermi oltre i limiti. Questo brano è nato durante alcuni concerti che abbiamo fatto tempo fa e quindi nasce con una propensione al live. A questo aggiungo che se si sceglie di essere sinceri bisogna accettare il fatto che siamo coabitati da più anime diverse tra loro. Mi piace che i miei lavori mi rappresentino in tutto e per tutto per cui preferisco non ripulirli troppo.
Raffaella Sbrescia
Questa la tracklist del disco: “Uomo fragile”, “Colpevoli”, “Paralisi”, “Fiori immaginari”, “Guai”, “Cosa siamo diventati”, “Mi si scioglie la bocca”, “La verità”, “Un po’ più facile”, “Di questa felicità”, “Per la prima volta”, “La luce di questa stanza”.
Le date del tour:
MERCOLEDÌ 8 FEBBRAIO – ROMA – MONK (NUOVA LOCATION)
GIOVEDÌ 16 FEBBRAIO – FIRENZE – SPAZIO ALFIERI
VENERDÌ 24 FEBBRAIO – NAPOLI – LANIFICIO 25
SABATO 25 FEBBRAIO – PULSANO (TA) – VILLANOVA