Intervista a Diodato: “Cosa siamo diventati” è un caldo abbraccio a chi lo ascolterà

Diodato-Cosa-siamo-diventati

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“Cosa siamo diventati” (Carosello Records) è il titolo del nuovo album di DIODATO, pubblicato a tre anni di distanza dal cd d’esordio “E forse sono pazzo”. Un disco di grande impatto emotivo, in cui l’artista ha scelto di esporsi in maniera intima e personale senza mai tralasciare una particolare attenzione alla costruzione di arrangiamenti ricchi e strutturati. Un caldo abbraccio fatto di parole forti e brani evocativi con cui Diodato si conferma cantautore esperto, sincero e di larghe vedute.

Intervista

Come è arrivata l’esigenza di esporti con un disco così sentito e introspettivo?

In questo lavoro c’è tanto di me perché per poter parlare di certe cose bisogna viverle. Dato che mi sono rifatto a cose che ho visto e vissuto negli ultimi anni, mi sembrava giusto lasciarle confluire in questo album in cui la parola chiave è emotività.

Quanto è doloroso mettersi così a nudo? Esporsi in modo così intimo rappresenta quasi un atto di coraggio da parte tua in un’epoca dove invece si tende a mascherarsi…

Non è stato semplice perché quando scrivi, tendi a tutelarti per evitare di mostrare troppo della tua intimità. In questo caso però desideravo essere sincero, volevo che le canzoni fossero uno specchio delle sensazioni che ho provato, non volevo cadere nelle trappole della scrittura né compiacermi troppo e quindi ho lavorato duramente. Naturalmente è stato un processo doloroso però sono molto contento di averlo fatto.

Che tipo di feedback stai ricevendo da parte del pubblico?

Mi sorprende vedere quanta gente mi stia scrivendo in questi giorni per dirmi non solo che ama l’album ma che lo sente vicino. Nel momento in cui scrivi cose molto personali non ti aspetti che possano ritrovarvisi anche delle persone praticamente sconosciute. Questa è la cosa che forse ha avvicinato anche me alla musica; anche io mi sento ispirato dalle canzoni che mi piacciono e le faccio mie perchè sento un legame con le parole del testo.

Un altro aspetto importante che salta subito all’occhio di questo lavoro è quello legato agli arrangiamenti particolarmente curati. Il suono è ricco, strutturato, ben costruito. Come ci hai lavorato, con chi e con quali strumenti?

Ci tengo molto a questo aspetto, lo curo da sempre nei miei lavori. Secondo me la musica è importante tanto quanto il testo. Lavoro da sempre con un gruppo di musicisti e amici che mi conoscono molto bene, che sanno dove voglio andare e che mi ci sanno portare. Si tratta di Daniele Fiaschi alla chitarra, Duilio Galioto al pianoforte e alle tastiere, Alessandro Pizzonia alla batteria. In alcuni brani c’è stato anche Fabio Rondanini batterista dei Calibro 35 e degli Afterhours poi abbiamo Danilo Bigioni al basso e gli archi dello Gnu Quartet, con cui avevo già lavorato nel disco “A ritrovar bellezza”. Il tutto è stato prodotto anche stavolta da Daniele “Il Mafio” Tortora con cui lavoro fin dal primo disco “E forse sono pazzo”. Curiamo molto gli arrangiamenti usando spesso strumenti vintage, organi di un certo tipo, cercando di ottenere un sound da band. Un tratto importate di questo disco è che l’abbiamo registrato con una serie di sessioni in cui suonavamo tutti insieme. Alcuni brani sono rimasti così come li abbiamo registrati con una take unica come “Paralisi” e “Cosa siamo diventati”. Ci tenevo ad imprimere quella tensione emotiva derivante dalle sensazioni provate mentre suonavamo dal vivo tutti insieme.

Decontestualizzando la titletrack “Cosa siamo diventati” dalla trama che racchiude la presa di coscienza della fine di un rapporto, ti chiedo: “Cosa siamo diventati noi oggi”?

Ovviamente quando ho scelto questo titolo volevo che avesse diversi significati. All’interno del brano racconto il vissuto di un rapporto  a due mentre usando la stessa domanda come titolo dell’album volevo rivolgere un quesito sia a chi mi conosce, sia a chi si avvicinerà a questo album e troverà le mie risposte nei brani. Non è possibile definire l’umanità contemporanea ma di sicuro viviamo un periodo molto complesso. In alcuni brani sfioro questi argomenti ma lo faccio sempre con il filtro della mia coscienza. Questo è un periodo particolare perché ci hanno fornito dei mezzi, come ad esempio i social network, che hanno raffreddato i rapporti umani. In questo senso volevo che questo album fosse in controtendenza, volevo che fosse un abbraccio caldo per chi lo ascolterà. Ci troviamo di fronte a quesiti importanti a cui dobbiamo dare risposte serie e impegnative, credo che anche gli artisti possano farlo con la propria musica senza dover per forza avere un tipo di scrittura politica, si può essere interessati al sociale anche parlando di noi stessi e delle sensazioni che proviamo in rapporto a certe tematiche.

Come spiegheresti questa tua capacità di rendere cinematograficamente i racconti che scrivi?

La mia è una scrittura per immagini. Quando scrivo una canzone mi piace vederla e mi piacerebbe la vedesse chi poi la ascolterà; la cosa deriva dal mio enorme amore per il cinema: mi sono appassionato, ho studiato e mi sono laureato in cinema. Anche musicalmente immagino la musica come una colonna sonora, tutti gli album che amo sono delle vere e proprie colonne sonore della mia vita e non mi dispiacerebbe se qualche mio album diventasse la colonna sonora della vita di qualcun altro o molto più semplicemente di un film vero e proprio. La scrittura comunque deve essere evocativa, sia dal punto di vista testuale che musicale.

Video: Mi si scioglie la bocca

Hai diversi rapporti di collaborazione e amicizia con tanti artisti della scena musicale italiana, come vivi questa cosa e che prospettive ti dà?

Mi piace tantissimo questa cosa. Nel nostro paese c’è un limite dovuto proprio al fatto che gli artisti spesso sono molto isolati tra loro, altre volte capita che ci siano delle invidie. Mi rendo conto che collaboriamo un po’ poco tra noi, ci sono poche collaborazioni interessanti. A me, per indole naturale, piace condividere il lavoro degli altri, mi piace conoscere gli artisti. Forse la cosa deriva da alcune cose che ho fatto nella mia vita. Già il fatto di essere il direttore artistico del 1 Maggio di Taranto, ad esempio, mi ha portato a interagire con tantissimi artisti che non conoscevo cercando di portare la loro proposta musicale all’interno di una manifestazione musicale importante. Anche quando ho fatto il Festival di Sanremo sono subito diventato amico di tutti i concorrenti perchè è giusto così; non mi piacciono le gare e le competizioni sterili in quella che alla fine è una guerra tra poveri. Vado ai concerti di tanti colleghi e loro vengono ai miei, dall’incontro tra anime artistiche diverse nascono tante cose belle. A me è successo: quando ho conosciuto Daniele Silvestri è cambiato anche il mio modo di pensare alla musica, grazie ad un’amicizia nata tra noi, stessa cosa con Manuel Agnelli che mi ha sorpreso dal punto di vista umano visto che artisticamente lo amavo già profondamente. Quando l’ho conosciuto sono rimato sorpreso non dalla sua evidente intelligenza ma dall’umiltà e dalla voglia di migliorarsi costantemente innalzando la propria personale asticella.

Come avete lavorato tu e Boosta nel brano “Quello che vuoi” incluso nel suo album solista “La stanza intelligente”?

Di solito entro nei progetti altrui quasi in punta di piedi perché sono fatto così, basti sentire anche i lavori fatti con Daniele Silvestri. A parte il brano con Manuel Agnelli  contenuto nel mio primo album, che era praticamente un duetto, negli altri mi piace cercare di portare una mia particolarità nel brano senza diventarne protagonista. Questo è quanto accaduto con Boosta: Davide mi ha scritto per chiedermi di collaborare in un brano contenuto nel suo album, conoscendo il suo valore artistico, ho ovviamente accettato. Successivamente mi ha mandato questo brano molto distante dal mio mondo musicale ed è stato proprio questo a stimolarmi, ho pensato che i due mondi potevano incontrarsi senza mischiarsi troppo quindi ho creato un tappeto di voci molto etereo che andasse a sposarsi ma anche a scontarsi con la sua vocalità.

Diodato ph Ilaria Magliocchetti Lombi

Diodato ph Ilaria Magliocchetti Lombi

Nel brano “La verità” c’è un tipo di sporcizia sonora di tipo aggressivo e sensuale al contempo. Prenderai spunto da questo brano per nuove idee?

Non amo limitarmi, adoro lasciar confluire la mia schizofrenia nella scrittura. Mi piacciono i brani con un forte impatto rock e che spingono ad una scrittura più cinica e fredda ma comunque passionale. Visto che la mia band è in grado di toccare certe corde, adoro spingermi oltre i limiti. Questo brano è nato durante alcuni concerti che abbiamo fatto tempo fa e quindi nasce con una propensione al live. A questo aggiungo che se si sceglie di essere sinceri bisogna accettare il fatto che siamo coabitati da più anime diverse tra loro. Mi piace che i miei lavori mi rappresentino in tutto e per tutto per cui preferisco non ripulirli troppo.

Raffaella Sbrescia

Questa la tracklist del disco: “Uomo fragile”, “Colpevoli”, “Paralisi”, “Fiori immaginari”, “Guai”, “Cosa siamo diventati”, “Mi si scioglie la bocca”, “La verità”, “Un po’ più facile”, “Di questa felicità”, “Per la prima volta”, “La luce di questa stanza”.

 

Le date del tour:

MERCOLEDÌ 8 FEBBRAIO – ROMA – MONK  (NUOVA LOCATION)

GIOVEDÌ 16 FEBBRAIO – FIRENZE – SPAZIO ALFIERI

VENERDÌ 24 FEBBRAIO – NAPOLI – LANIFICIO 25

SABATO 25 FEBBRAIO – PULSANO (TA) – VILLANOVA

Wrongonyou: lasciatevi conquistare da “The Mountain Man”

Wrongonyou

Wrongonyou

Prima di chiudere il 2016 non possiamo lasciarci sfuggire una delle novità musicali più interessanti dell’anno in chiusura. Stiamo parlando di Marco Zitelli, in arte Wrongonyou, cantautore romano classe 1990 che, con l’ep “The Mountain Man” (Carosello Records), è riuscito a fare breccia nel cuore degli addetti ai lavori e del pubblico più attento. Fiumi di parole sono già state spese per questo giovane artista dal talento innato, eppure potrebbe essere utile un parere spassionato in riferimento alle suggestioni che la sua musica è in grado di generare. Sapete, quando in genere ci si imbatte in musica di plastica, diventa difficile trovare un elemento su cui concentrarsi per poterne parlare, ecco perché c’è bisogno di sottolineare che l’impatto con questo artista è subito immediato; l’imprinting avviene in maniera quasi inconscia.

Wrongonyou

Wrongonyou

Aldilà dei riconoscimenti e delle tangibili attestazioni di stima in Italia e all’Estero, Wrongonyou detiene il grande merito di riuscire a dirci qualcosa di unico semplicemente attraverso la sua formula musicale in cui confluiscono folk, elettronica, pianoforte. La struggente delicatezza del suo intimismo mai sfrontato si fa largo tra le sei tracce dell’Ep. L’incantesimo ha inizio con “Killer” e prosegue con il soft pop di “Rodeo” puntando su arpeggi ben realizzati. “The Lake” e “Let Me Down” sono i singoli su cui il cantautore ha puntato per far conoscere il progetto in essere e la scelta si è rivelata più che mai azzeccata. Più energica la title track “The Mountain Man”, del tutto in crescendo il flusso vitale di “Oh Lord”; l’accompagnamento ideale per un momento di riflessione, proprio come quelli che scandiscono i nostri giorni in un periodo privo di riferimenti come quello che stiamo vivendo.

Raffaella Sbrescia

Video: The Lake

Ascolta qui l’album:

 

Emis Killa: “In Terza Stagione rimetto i piedi nel fango per mostrarvi chi sono veramente”. Intervista

Emis Killa - Terza Stagione

Emis Killa – Terza Stagione

Emis Killa torna in pista con “TERZA STAGIONE” (Carosello Records), il nuovo atteso album di inediti che riporta il rapper alle sue origini e che ci restituisce la sua essenza più autentica. L’album vede la partecipazione di diversi artisti della scena rap e non solo come Neffa, Maruego, Fabri Fibra, Jake La Furia, Coez e Giso e Jamil e tocca diversi temi: dall’abuso di alcool all’amore ossessivo, passando per la distanza sociale tra città e periferia. Puro rap senza censure per un giovane artista rimasto fedele a se stesso e ai propri valori.

Intervista

Ciao Emis, raccontaci subito come mai questo disco si chiama “Terza Stagione”

Il disco stava per chiamarsi Emis Killa 3, quasi come se si trattasse di una saga. Un altro ipotetico titolo era “Cult” ma, subito dopo l’uscita del singolo, l’idea sembrava ormai già desueta. Alla fine ho optato per “Terza Stagione”: tanti episodi rendono l’idea di una serie tutta da svelare.

E la scelta di questa copertina?

La scelta del rosa è stata casuale e non strategica. Come accennavo poco fa, all’inizio questo disco era stato concepito intorno al tema del cult, tante foto dentro il booklet testimoniano questo fatto. Nel momento in cui abbiamo cambiato il titolo, ho voluto optare per una cover molto d’impatto, un contrasto interessante che fa porre domande a chi lo osserva.

Finalmente ritroviamo sonorità più “cattive”…

A differenza de “L’erba cattiva” e “Mercurio”, in cui ho lavorato solo con Big Fish, questa volta ci sono stati diversi contributi di altri produttori. Questo ha fatto sì che il disco risultasse più vario e meno omogeneo, quasi come se si trattasse di una sorta di compilation con tante sonorità diverse. Le basi sono state scelte senza un criterio particolare, mi sono affidato molto all’ istinto. Sangirolami è stato molto bravo ad aggiustare le cose in corsa insieme a Big Fish, sono comunque soddisfatto del risultato. Non ho cercato di impacchettare un suono, ho cercato di fare tutto quello che mi piace, ci sono tracce che virano verso la trap, altre che riprendono il mondo di “Mercurio” ma in ogni caso mi astengo dallo sperimentare cose che non mi competono. Nel disco precedente avevo concentrato l’attenzione sui testi e le metriche stavolta mi sono dedicato molto di più ai suoni, soprattutto pensando ai live.

Come è nato il brano “3 messaggi in segreteria”?

Quando scrivo mi lascio trasportare, quando ascolto la base mi vengono in mente delle cose. “ 3 Messaggi in segreteria” all’inizio era solo un brano d’amore non era un brano di denuncia al femminicidio. Quando ho scritto la seconda frase mi sono reso conto della forza delle parole e con la terza strofa ha preso la direzione precisa. Il succo della questione è che per denunciare un fatto non devo mettermi a dire “il femminicidio è sbagliato”, l’affermazione risulterebbe banale e scontata; a volte fa più effetto scrivere una canzone con uno storytelling intenso e toccante, come ad esempio fece Eminem con “Stan”. Mi ritengo uno specchio della società in cui vivo per cui è giusto che io scriva ciò che vedo; sarebbe ipocrita fare solo fare canzoni autobiografiche, è il caso che io prenda ispirazione anche da storie che non sono le mie. Dare lo strattone è più utile che usare le buone maniere, questa modalità è utile soprattutto per le giovani generazioni, trovo giusto che qualcuno li metta al corrente delle cose, anche sbattendogliele in faccia.

Emis Killa ph Mattia Zoppellaro

Emis Killa ph Mattia Zoppellaro

La tua vita è cambiata, ma sei comunque quello che eri prima. Quali aspetti di questo tuo nuovo mondo non ti soddisfano?

Mi sento la stessa persona anche se la mia vita è cambiata soprattutto dal punto di vista materiale. Ovviamente sono contento di questo, non mi piacciono quelli che si lamentano, l’agiatezza mi fa sentire realizzato, fa parte di un sogno che avevo da ragazzino e che è andato ben oltre le mie aspettative. Inevitabilmente ci sono cose che non metti in conto a partire dalle responsabilità: ogni cosa che dici o che fai viene amplificata, questo ti obbliga ad essere buono e genuino anche quando avresti il diritto di non esserlo; è difficile mantenere l’autocontrollo ed essere pronto a passare dalla parte del torto anche quando hai ragione. Un’altra cosa che non mi piace sono le scadenze, imporsi di fare delle cose è l’esatto opposto dell’arte, spesso i numeri arrivano insieme alla costanza, forse per questo i geni del marketing prevalgono. In ogni caso non mi sento cambiato io come persona, vado in piazza, vado al bar, mi piace avere la vita di prima, non sono un sofisticato, non sono diventato la versione pulita di Emiliano, tanti lo fanno, questo non è il mio caso.

Nel brano “Vestiti sporchi” canti di una società in cui si sono persi i valori

Questa canzone è figlia di una necessità. Sono diventato molto più intollerante alle cose mentre prima mi scivolavano addosso. Sono spesso a contatto coi giovani per diversi motivi e mi sono ritrovato a chiedermi perché non hanno più rispetto delle cose e non hanno valori. Quando ero ragazzino non mi permettevo di rispondere male ad un adulto, mi sentivo un pirla solo con una risposta, il web ha avvicinato tutti, le generazioni sono diverse ma si rendono delle differenze. Avere la lingua lunga prima aveva delle conseguenze, oggi invece sono sempre di più quelli che si parano il culo avvalendosi del concetto di libertà di pensiero. In verità sei libero di far vedere quanto sei stupido a tutti. A prescindere da questi ragionamenti, i ragazzi sono demotivati, non hanno più la voglia di andarsi a cercare le cose e di andarsele a prendere con le loro mani. Mi chiedo spesso a cosa porterà tutto questo… Credo che questo sia il periodo storico peggiore per l’intelligenza umana, abbiamo evoluto tutto ma non stiamo inventando niente.

Cosa pensi che il pubblico sottovaluti del rap?

Più che sottovalutare il rap, il pubblico sottovaluta se stesso. Al pubblico piace il rap ma ha paura di dirlo. In questo il pubblico dei giovani è più sincero, non ha barriere e non gli importa di cosa gli dicono gli altri, va contro tutto e tutti. Il rap per ora è in una bolla e fa fatica ad uscirne, se vai ad un concerto rap ci sono tanti giovani mentre i genitori si vergognano. Il rap è un genere musicale che per certi versi è superiore dal punto di vista comunicativo, ha preso un po’ il posto di quello che facevano i cantautori. Oggi ci sono molti più interpreti, il cui successo dipende dalla macchina che li guida. Nel rap, invece, sei un autodidatta, le persone che ti ascoltano, possono arrivare a conoscerti sul serio.

Video: Parigi ft. Neffa

Cosa pensi della “trap”?

Ho fatto anche io un paio di cose trap nel mio disco, ho voluto dimostrare che sono al passo coi tempi e che riesco a fare le cose per bene, possibilmente anche meglio. Ai giovani piace tantissimo, sono tutti sotto con la trap.

Nel disco ci sono tante collaborazioni, c’è qualcuno con cui non sei riuscito a collaborare?

Ho provato a collaborare con delle cantanti donna ma non c’è stato mai modo di farlo. Per questa ragione un brano molto bello è rimasto fuori dal disco. Ho provato a contattare diverse colleghe ma una mi ha detto di no, un’altra non poteva perché stava uscendo con un disco, un’altra ancora non era in linea con il rap; insomma se la sono menata un po’ tutte e la cosa mi ha fatto riflettere. In alcuni casi ci avrebbero potuto guadagnare, anzi sarebbe stato un favore reciproco. Questa cosa mi ha fatto un po’ arrabbiare.

Cosa pensi delle critiche per il brano “Su di lei”?

So che si tratta di un pezzo molto forte ma chi mi ascolta e mi conosce sa che si tratta di un brano scritto in chiave ironica. Il pezzo in questione era già stato fatto su un’altra base ed un altro tape, si chiamava “Sexy Line” e aveva già sconvolto tante mamme dei miei fan. Sinceramente non mi piace mostrarmi come teen idol, non voglio che la gente mi confonda con Benji & Fede o con Violetta; io sono un’altra cosa, faccio il rap. Ho voluto dare una strigliata ai genitori, spingerli ad informarsi sulla mia musica. Questo strattone comunque è il frutto di una scelta precisa, a 17 anni dicevo le peggio cose con le gare di free style, forse la tv mi ha ripulito un po’ troppo, ho voluto rimettere i piedi nel fango per essere più onesto e far vedere chi sono veramente senza prendere in giro la gente.

 Raffaella Sbrescia

Questa la tracklist del disco “Terza Stagione”: “Dal basso”, “Non era vero”, “Prima che sia lunedì”, “Italian Dream”, “Quello di prima”, “Parigi feat. Neffa”, “Uno come me”, “Non è facile feat. Jake La Furia”, “Jack”, “All’alba delle 6:00 feat. Coez”, “Sopravvissuto feat. Fabri Fibra”, “Su di lei”, “CULT”, “3 Messaggi in segreteria”, “Buonanotte feat. Maruego”, “Vecchia maniera feat. Giso e Jamil”, “Vestiti sporchi”.

In questi giorni, Emis Killa sta girando l’Italia per incontrare i suoi fan e presentare il disco “Terza Stagione”, queste le prossime date dell’instore tour:

27 ottobre BOLOGNA (ore 15.00) @ La Feltrinelli (Piazza di Porta Ravegnana, 1)

28 ottobre SAVIGNANO SUL RUBICONE – Forlì Cesena (ore 17.00) @ Mediaworld c/o Romagna Shopping Valley (Piazza Colombo, 3)

29 ottobre LIVORNO (ore 15.00) @ Euronics c/o Parco Commerciale Levante (Via Gelati, 10)

30 ottobre CAGLIARI (ore 14.00) @ La Feltrinelli Point (Via Paoli, 19)

31 ottobre SONA – Verona (ore 14.00) @ Comet c/o La Grande Mela Shoppingland (Via Trentino, 1)

31 ottobre BASSANO DEL GRAPPA – Vicenza (ore 18.00) @ Mediaworld c/o Il Grifone Shopping Center (Via Capitelvecchio, 88)

Ascolta qui l’album:

A marzo, Emis Killa tornerà live per presentare i brani del nuovo disco con due date di anteprima speciali: il 20 marzo all’Alcatraz di Milano e il 27 marzo all’Atlantico di Roma. I biglietti sono disponibili su TicketOne e in tutti i circuiti di vendita autorizzati. Radio Italia è partner ufficiale del “Terza Stagione Tour”.

I concerti sono una produzione Massimo Levantini per Live Nation Italia (per info e prevendite: www.livenation.it - info@livenation.it, 02/53006501).

“Anarchytecture”, il nuovo album degli Skunk Anansie tra struttura e caos

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È uscito il 15 gennaio il nuovo atteso album degli Skunk Anansie “Anarchytecture” (in tutti i negozi e digital download su etichetta Carosello Records. Il sesto disco di inediti della band, formatasi nel 1994, racchiude una collezione di potenti inni dell’alternative rock e rappresenta l’apice di una ventennale carriera durante la quale il gruppo ha venduto oltre 5 milioni di album e ha registrato 7 tour sold out in tutta Europa. Il titolo del disco riguarda strutture intangibili e prende significati diversi per ogni membro della band. Per Skin, “Anarchytecture” indica il confine inquieto tra struttura e caos, tra costrizione e libertà. Il nuovo album è frutto del lavoro di tutti i componenti degli Skunk Anansie nella loro formazione storica, composta da Skin, il chitarrista Ace, il bassista Cass e il batterista Mark Richardson, è stato prodotto da Tom Dalgety (Royal Blood, Killing Joke) ai RAK Studios di Londra, mixato da Dalgety & Jeremy Wheatley e masterizzato da Ted Jensen agli Sterling Sound Studios di New York. Ritmi notturni, brani ricchi di brama, manipolazione, potere, senso di perdita  si lasciano guidare da desideri oscuri e intensi.

Skunk Anansie

Skunk Anansie

Attraverso un suono più asciutto e diretto, guidato dalla melodia e rafforzato da influenze elettroniche “Anarchytecture” è cadenzato da una massiccia dose di elettronica: «Già negli anni Novanta avevamo l’elettronica poi c’è stato un allontanamento ma ammettiamo che ci piace, siamo una band fresca, contemporanea, moderna e il fatto che siamo tutti anche deejay fa sì che la amiamo. Anche in Black Traffic c’era elettronica ma noi restiamo una rock band», spiegano gli Skunk Anansie e, in effetti,  “Anarchytecture” lascia emergere un groove profondo e pulsante a cui è impossibile resistere. La copertina dell’album è stata realizzata dall’italiano NO CURVES, artista contemporaneo, uno degli esponenti più in auge della urban art, famoso per le sue opere realizzate esclusivamente con il nastro adesivo.  «Il suo stile ci rappresenta alla perfezione, hanno spiegato i membri della band durante la conferenza stampa di presentazione a Milano. I nostri testi vanno dritti al punto e la sua arte si è sposata con le nostre parole». «Per quanto riguarda la scrittura della music, hanno aggiunto,  siamo più forti e maturi, abbiamo ridotto l’ego individuale, siamo meno pressati dal tempo, più rilassati e anche un po’ più stupidi, pensiamo meno al tempo.  L’impegno di Skin in televisione ci ha consentito di essere meno pigri, i tempi sono più compressi, lavoriamo meglio e più in fretta», hanno raccontato gli Skunk Anansie e, a proposito di X Factor, Skin si è lanciata in un’approfondita digressione:«Avendo lavorato a X Factor ho rilevato che servono belle parole, significati profondi e una storia da raccontare. Questo rende la musica pulita ma io vorrei vedere un po’ di sporcizia, di imperfezione. Alla radio c’è tanta poesia e lirica e un po’ troppa perfezione. Con Elio abbiamo rilevato che è difficile far cantare ai giovani in italiano».

Proprio ai giovani si rivolge, infine, Skin: «In Inghilterra oggi se vuoi avere una educazione base hai le scuole pubbliche ma se vuoi qualcosa di più, tipo scuole di musica o arte, devi affidarti a istituzioni private molto costose – spiega -. È sempre più difficile avere musicisti che arrivano dalla classe lavoratrice, che vivono sulla propria pelle certi temi e certe problematiche. Quelli che escono dalle scuole d’arte o di musica non sono arrabbiati con lo status quo. I giovani oggi sono forse cauti e anche un po’ superficiali. Inoltre la radio e la tv, che sono detenute da forze conservatrici, sono riluttanti a far passare determinati argomenti. Ci sono gruppi rock e hip hop sinceri e incazzati. Urlano molto forte, ma sono relegati in ambienti underground e li ascoltano davvero in pochi. Per il resto siamo circondati da pop music».

Raffaella Sbrescia

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Tracklist

Love Someone Else

Victim

Beauty Is Your Curse

Death to the Lovers

In the Back Room

Bullets

That Sinking Feeling

Without You

Suckers!

We Are the Flames

I’ll Let You Down

Video: Love Someone Else

Intervista a Matthew Lee. L’eclettico performer porta il suo “D’altri tempi” sul palco dell’Estathè Market Sound

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Lollipop 50s torna all’Estathé Market Sound in una domenica a tutto vintage per salutare quest’estate indimenticabile a suon di swing e rock and roll!
Sul palco del village ci sarà il travolgente Matthew Lee performer, pianista e cantante innamorato del rock’n'roll, che ha fatto propri gli insegnamenti dei grandi maestri del genere. Un vero talento, che, nonostante la giovane età, ha già sulle spalle circa 1000 concerti suonando in tutta Europa: Italia, Belgio, Inghilterra, Francia, Svizzera, Slovenia, Olanda, Germania, e si è inoltre esibito negli Stati Uniti ed in Africa. In quest’intervista Matthew Lee ci parla di “D’altri tempi” (Carosello Records). L’album, realizzato con l’intervento di autori e produttori sia italiani che internazionali come Luca Chiaravalli, Claudio Guidetti, Mousse T e Chris, racchiude 12 tracce (6 in italiano e 6 in inglese), tutte legate da un inconfondibile ritmo rock’n’roll rivisitato in chiave moderna.

Matthew, qual è il mood che attraversa  l’album?

Questo è il mio primo “vero” lavoro discografico.  Fin dal principio ho curato ogni canzone ed ogni dettaglio insieme ad alcuni dei più importanti produttori italiani ed internazionali. Il disco è stato registrato in tre paesi diversi (Italia, Inghilterra e Germania), ed è un lavoro in cui ho racchiuso tutti i lati della mia personalità: da quella rock’n’roll a quello più blues, fino al mio lato più romantico. Quello che mi ha dato maggiore soddisfazione è stato entrare in studi di registrazione veri e lavorare con eccezionali professionisti.

“E’ tempo d’altri tempi” è il tuo manifesto artistico?

Ho vissuto diversi anni suonando dal vivo il rock’n roll, il blues, lo swing, indie hop, boogie- woogie, tutti generi che son tornati in voga da poco tempo. Ho sempre guardato a questi ritmi con molto interesse per cui, quando mi hanno proposto di lavorare al disco, ho pensato di scrivere sulla base di quanto avevo fatto fino a quel momento. Tutto il disco è interamente pensato per il live, la cosa che mi interessa di più in assoluto.

Matthew Lee

Matthew Lee

Con più di 1000 concerti alle spalle, come affronti oggi il palco?

Con passione e spensieratezza. Nella mia vita ho girato davvero tanto. In tempi non sospetti caricavo video su Internet e sfruttavo  la visibilità del mio canale su Youtube. Mi hanno contattato spesso dall’Inghilterra, poi mi hanno chiamato in Olanda, in ,  fino ad arrivare in America (New York, Ohio) e persino in Africa (Tunisia e Capo Verde). Le cose sono andate sempre meglio anche se le mie idee vengono sviluppate dal mio ottimo management che lavora alacremente.

Come hai concepito l’arrangiamento de “L’isola che non c’è”, così distante da quello originale di Bennato?

Questo brano mi è sempre piaciuto molto; credo sia uno dei capolavori della musica italiana in generale. La prima cosa che ho fatto quando ho iniziato a lavorare a questo album è stato proprio riarrangiare questo brano con il mio stile ed è stato un processo davvero molto naturale.

Quale versione preferisci tra quella in italiano e quella in inglese?

Le due versioni hanno due storie. Quella italiana è quella che ho inventato, l’altra è giunta poco prima della chiusura del disco perché Bennato, dopo aver ascoltato la registrazione della versione in italiano, mi ha chiesto  di farne una in inglese con un testo fornito da lui stesso. L’ho realizzata subito, lui l’ha ascoltata, gli è piaciuta e l’abbiamo inserita. Visto che mi piacciono tutte e due, nei concerti ne faccio una ma la divido in due.

Cosa ci dici di “Così Celeste” di Zucchero?

In questo caso ci ho lavorato molto di più perché la canzone nasceva come un’autentica ballata. Ci ho dovuto ragionare molto ma per fortuna anche questa è piaciuta molto all’autore.

“Can I take a bit” è un pezzo molto energico.

In questo caso abbiamo fatto un lavorone. Siamo andati in Germania, ad Hannover, nello gigantesco studio di Mousse T, abbiamo ragionato pur senza avere un’idea ma alla fine è stata un’esperienza super.

Quanto c’è di te in “Place that I call home”?

Ho scritto questa canzone in Inghilterra durante una session prima delle registrazioni del disco. Di  solito vivo con la valigia già pronta ma, per quanto mi piaccia stare in giro, la vita vera è un’altra cosa. Quando sei in tour sei sempre di corsa, dormi in orari strani ed è sempre bello tornare nella mia Pesaro.

Come affronti questa vita così frenetica?

Non saprei, è talmente divertente che a volte non mi soffermo a pensare. Mi appaga fare  il musicista, si tratta di una passione che sono riuscito a trasformare miracolosamente in lavoro che non definirei neanche tale. Alla fine sono una persona abbastanza quadrata per cui cerco di bilanciare le cose.

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Che aspettative hai per questo album?

Sono contentissimo. Mi piace portarlo in giro perché ci abbiamo messo il cuore e tutta la passione possibile. Non ho paura, c’è tanto di me qui dentro ed è una bella sensazione.

Come ti rapporti con chi ti segue da tempo?

Cerco di parlarci, di essere partecipe e di tenermi in contatto il più possibile. Mi piacerebbe organizzare un bel raduno- incontro con tutti loro.

Raffaella Sbrescia

Abbi cura di te: il secondo album e la ritrovata felicità di Levante

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Dolce, appassionata, sensibile e romantica da un lato,  forte, determinata e tenace dall’altro. Claudia Lagona, in arte Levante, dall’alto dei suoi 27 anni conquista il pubblico con “Abbi cura di te”, un nuovo intenso lavoro discografico che porta la firma di INRI e Carosello Records, in cui le  dodici tracce che lo compongono lavano via le ferite e pagano per intero e senza mezzi termini il saldo con le sofferenze del passato. Ogni brano possiede una propria dimensione definita, una storia da raccontare, una ferita da rimarginare, uno scopo da raggiungere: la felicità.  Arrangiamenti raffinati e sonorità ricercate sono il frutto della produzione artistica di Alberto Bianco, già operativo per “Manuale Distruzione” e regalano una sfumatura unica a ciascun pezzo.

Levante

Levante

Si comincia con “Le lacrime non macchiano”, un brano  agrodolce profumato di pop-rock venato d’elettronica. Imbarazzo, disagio, incertezza, timore e rischio irrorano i versi di “Ciao per sempre” mentre la titletrack “Abbi cura di te” diventa un mantra da seguire, un focus su cui mantenersi concentrati: “Segui la parte sinistra, il battito lento, l’istinto che sia , segui le orme dorate, i cieli d’argento, non perderti via”, canta Levante, con semplicità e classe, con schietta malinconia dal gusto retrò. Più allegra e movimentata “Caruso Paskoski”, ispirata al film del 1988 di Francesco Nuti “Caruso Paskoski di padre polacco” che Levante vide in tv col papà. Romantica e sognante è, invece, “La rivincita dei buoni”, le cui sonorità strizzano l’occhio alle melodiche ballads anni ’50. Notevole il suadente groove della chitarra acustica folk di “Contare fino a dieci”. Commovente ed intensa “Finché morte non ci separi”, brano in cui Levante canta con la madre ripercorrendo le prime fasi della storia d’amore dei propri genitori. Amore, amore e ancora amore come in “Tutti i santi giorni” e soprattutto in  “Lasciami andare”, prodotta dal compagno di Levante, Simone Cogo alias The Bloody Beetroots ed irrorata di affascinanti tocchi di elettronica. Divertente, ironica e spassosa “Pose plastiche”, un brano che non le manda di certo a dire  e che demolisce  i “sorrisi indossati all’occorrenza”.  Forte e potente “Mi amo”: “mi amo e non importa se ridi di me, sì mi amo anche quando non so sopportarmi”, canta ferma e decisa Levante, salvo poi commuoversi intonando “Biglietto per viaggi illimitati”, il racconto poetico dell’addio al padre ferroviere, che chiude questo disco  così come si concluderebbe un sogno malinconico e gioioso al contempo  e che ci lascia sospesi in un limbo distante dal cinismo imperante del nostro tempo.

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 Ecco cosa ci ha raccontato Levante in occasione della presentazione alla stampa di questa mattina a Milano:

Qui parliamo di coraggio… tu ti rendi conto di essere coraggiosa, di aver intrapreso una strada che prescinde dai luoghi comuni della musica, che ti vede protagonista del palco insieme alla tua chitarra… come affronti questo tuo modo di essere?

Io non ho mai creduto di essere una persona coraggiosa perché in ogni cosa che faccio, ho sempre una paura incredibile però è anche vero che il coraggio senza paura non è coraggio per cui è anche giusto che ci sia una sensazione di debolezza, di fragilità. Credo di essere stata coraggiosa nello scegliere di essere felice e questo tipo di musica, insieme a questo tipo di percorso,  mi fa stare bene; non ce n’è un altro che mi farebbe stare meglio di quello che sto facendo adesso.

Ti sei presentata come artista indipendente , quanto ci tieni a mantenere questo status e quanto ti  preoccupa il passaggio in spazi più ampi sia televisivi che festivalieri?

Io non ho paura di questo. Spesso  si tende ad associare l’essere indipendenti all’essere qualcosa di molto opposto al pop e non è così! Io sono molto pop, non sono molto distante dalla tv e dalle cose più “commerciali”. Spero di essere indipendente nelle scelte, vorrei essere sempre in grado di poter essere l’ultima persona a dare l’ultima parola, quella decisiva. Vorrei sempre poter contare tanto rispetto magari ad una major che mi vorrebbe avviare verso percorsi che non amerei fare.

Il mainstream implica una serie di scelte comunicative diverse…

Sì, eppure il mainstream mi mi scarta perché sono considerata un po’ borderline. Nel mondo la mia musica è pop, in Italia, invece, sono borderline…. Il mio esempio Carosello Records, una realtà indipendente molto forte, salda, con dei principi fermi, eppure di successo, per cui credo si possa diventare grandi senza svendersi.

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Hai definito il tuo disco “l’Abbecedario della felicità”…come sei arrivata a questo percorso?

È stato tutto molto naturale. Ho scritto “Abbi cura di te” durante tutto il 2014, nell’ambito del “Manuale Distruzione tour” quindi avevo tantissime cose da dire proprio perché stavo facendo delle scelte molto forti, sia a livello personale che musicale. In queste 12 tracce parlo tanto di me poi ho stretto dei forti legami con tantissime persone che amo e che mi sono state molto vicine per cui ci sono anche dei racconti che non ho vissuto in prima persona ma che racchiudono una sorta di cammino verso la serenità, verso la voglia di essere felici.  Fino a qualche anno ha, ho avuto un atteggiamento adolescenziale, mi crogiolavo nella tristezza poi, ad un certo punto, ho sentito l’esigenza di essere felice e la svolta è stata il saper scegliere. La felicità non la trovi dietro l’angolo, la felicità  è dentro di te, nel momento in cui hai il coraggio di fare le scelte che ti portano ad esserlo, lo sei.

Continui ad avere esempi o punti di riferimento in ambito artistico –musicale oppure vai per la tua strada?

In questo periodo i miei lavori ricordano un po’ Leslie Feist poi c’è Carmen Consoli: tanti mi associano a lei e per me è un grandissimo onore poi mi rendo conto che siamo tanto diverse, sia nella scrittura che nel modo di vivere la musica e di farla, poi ci sono Cristina Donà, Janis Joplin, Alanis Morrissette e Mina.

Perché stai facendo fatica ad imparare i nuovi testi?

Da quando è esplosa “Alfonso” non mi sono mai fermata, sono sempre stata in giro con il tour, ho scritto il disco, siamo stati in Europa, in America, ho registrato il disco, ho iniziato subito la promozione e non ho avuto il tempo di studiare…giuro che mi preparerò meglio!

Parlaci del tuo rapporto con la Sicilia, della canzone in cui canti con tua madre nel disco e di quella che hai dedicato a tuo padre…

Ho una sorta di amore-odio con la Sicilia, l’ho lasciata all’età di 14 anni con mia mamma, valigia e chitarra, per sopravvivenza. Sono molto innamorata della mia terra, ci torno spesso, ho tutti i parenti paterni lì, la mia casa, i miei ricordi. Quando ci torno è sempre una sorta di capriola nel passato…

Ho sempre raccontato di mio padre, la sua scomparsa è stata la ferita più grande, la prima in assoluto per me. Anche in questo album c’è un brano che parla di lui ed è “Biglietto per viaggi illimitati”: sono figlia di un ferroviere e, quando lui è mancato, mi sono ritrovata con questa specie di scherzo del destino con questo biglietto per viaggi illimitati…La cosa amara è che quando lui mancò, l’unico posto in cui volevo raggiungerlo non era possibile da raggiungere per cui racconto di questo treno che non posso prendere. Per quanto riguarda mia madre, invece, finalmente ho raccontato una storia di cui mi vanto tantissimo fin da piccola: questa mamma sedicenne, un po’ pazza, che lega le lenzuola calandosi dal primo piano di casa, lasciando le finestre aperte a Torino, facendo ammalare la sorella con la febbre a 40. Il tutto per raggiungere il mio papà, che in quel periodo studiava ingegneria meccanica a Torino e che si era innamorato di questa ragazzina. L’idea più bella di questo disco è stata proprio quella di voler far cantare mia mamma. Inizialmente ero terrorizzata perchè non è facile ascoltare la propria voce in cuffia, in uno studio, essere intonati, precisi ed interpretare bene un brano. Lei però,  superato il primo scoglio per l’  inevitabile emozione , è stata davvero bravissima.

E per quanto riguarda gli arrangiamenti?

Lo scorso maggio ho preso Alberto Bianco da parte e gli chiesto se gli andava di arrangiare anche questo nuovo lavoro; lui si è chiaramente emozionato, mi ha stretto forte e da lì è ripartito tutto. Alberto è stato davvero bravo perché, se per “Manuale Distruzione” ero stata un po’ assente per cappuccini e caffè dalle 9 alle 17,  in “Abbi cura di te” sono stata, al contrario, molto presente e molto esigente. Insieme abbiamo comunque trovato un buon compromesso tra i suoni e tutto il resto ed il risultato mi soddisfa molto, soprattutto nel caso della  titletrack del disco. Per quanto riguarda “Ciao per sempre”, l’arrangiatore è Ale Bavo, produttore torinese che ha anche curato la produzione delle voci. Ci sono stati anche i contributi degli elementi della mia vecchia band, tutti cantautori, artisti con dei loro progetti in cantiere. “Lasciami andare”, invece, è stata prodotta da The Bloody Beetroots e, anche se non avrei mai voluto questa collaborazione,  perché sarebbe stato facile additarla, è nata in modo davvero molto naturale. Quando ha ascoltato questa canzone, Simone si è emozionato, ha insistito perché potesse farne una versione propria e, quando io e Alberto l’abbiamo sentita, abbiamo pensato che non esistesse una versione migliore di quella e quindi ce la siamo tenuta portando una ventata di elettronica nel disco, seguendo, tra l’altro, un mio antecedente avvicinamento al genere, senza perdere il legame con le origini.

Raffaella Sbrescia

A giugno  prende il via il tour di Levante. Organizzato da OTRLive Srl, queste le prime tappe confermate:

6 giugno – Milano – Miami Festival

16 giugno – Bologna – Biografilm Festival

20 giugno – Sassocorvaro (PU) – Indietiamo Festival

26 giugno – Foresto Sparso (BG) – Forest Summer Fest

27 giugno – Vicenza – Festambiente

Video: “Ciao per sempre”