Intervista a Kìmel: Scrivere è un’esigenza che mi consente di “scavare dentro”

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La cantautrice-chitarrista cremonese Kìmel presenta “Distanti”, un brano autobiografico dalle sonorità pop rock, scritto e arrangiato da lei stessa e che anticipa l’uscita del disco, prevista per l’inizio del prossimo anno. Autrice e compositrice inquieta e particolarmente attenta al dettaglio, Kìmel propone un rock intimista, dal piglio immediato. In questa intervista la giovane artista ci accompagna alla scoperta del suo mondo fatto di note imprevedibili ed appassionate.

Kìmel, sei cantautrice e musicista diplomata in Conservatorio in Chitarra e Pianoforte. Quali caratteristiche di questi due strumenti rispecchiano maggiormente la tua personalità?

Entrambi influenzano notevolmente la mia personalità artistica. La chitarra elettrica rappresenta ‘l’alternativo” ovvero la mia inspirazione rock mentre il pianoforte rappresenta la classicità musicale che mi ha formata e continua ad essere fortemente presente.

In che modo la città di Cremona influenza i tuoi ascolti e i tuoi riferimenti musicali?

Cremona mi ha cresciuta per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Ha influenzato i miei studi, ho respirato la sua tradizione musicale, che ho amato e da cui ho attinto molto . Si tratta di un’ impronta dominante.

Il tuo rock è molto personale, teso e viscerale… cosa intendi comunicare attraverso le tue composizioni?

Le mie composizioni raccontano ciò che vivo, ho vissuto e sento. Scrivere è un’esigenza che mi consente di “scavare dentro” … Ancora oggi mi aiuta a conoscermi, ad esplorare ciò che ancora è inesplorato.

Cosa ti dà e cosa ti toglie l’esibizione live?

Il live a mio avviso aggiunge sempre, difficilmente toglie. Personalmente è il mezzo più immediato che conosca per emozionare ed emozionarsi.

“Distanti” è il tuo nuovo singolo, in cui il niente pare essere il protagonista assoluto, è davvero così o c’è dell’altro?

Il “niente” è il vero protagonista del brano. Ho cercato di descrivere la sofferenza che causa l’incomunicabilità, quel sapore amore in cui tutto è vano ed ogni sforzo risulta “contro corrente”.

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La tua voce potente travolge l’ascoltatore con intensità. Nel caso specifico di questa canzone, il tuo canto lascia trasparire una sensazione di drammatica disperazione…Ci racconti da dove nasce questo testo e quali suggestioni intende ispirare nell’animo altrui?

Sono una visionaria, mi avvalgo di immagini quando compongo. In “Distanti” l’immagine del “niente” ha preso il sopravvento. La consapevolezza che tutto è andato perso, è una sofferenza molto più dolorosa del non aver mai avuto nulla. Ho cercato di esprimere la profonda amarezza con il testo mentre ho volutamente discostato l’arrangiamento verso tinte molto più morbide,  “cautamente” solari e serene.  Questo per sottolineare ancora maggiormente quanto sia destabilizzante e in disequilibrio l’immagine contraddittoria del “niente”.

Questo brano anticipa il nuovo album in uscita il prossimo anno… cosa puoi anticiparci di questo lavoro? Come e con chi ci stai lavorando su?

Sarà un album in cui i veri protagonisti saranno i suoni, i silenzi ed il rock. I brani sono arrangiati da me, per cui mi avvalgo della mia collaborazione (ride ndr)

Quali sono le altre tue passioni e gli eventuali progetti paralleli?

Non ho altre passioni che non siano strettamente collegate alla musica, per cui i miei progetti restano totalmente indirizzati ad essa. Avrei un sogno più che un progetto: poter vivere di musica con la musica. Chiedo molto vero??!!

Raffaella Sbrescia

Acquista”Distanti” su iTunes

Intervista a Cucu Diamantes: ” La mia vita tra musica e cinema”

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Cantante e attrice versatile, capace di passare dal pop al rock alle sonorità caraibiche, Cucu Diamantes ha collaborato con grandi nomi del panorama musicale internazionale. Il prossimo 10 ottobre l’artista sarà ospite d’eccezione durante la serata conclusiva della terza edizione di “Scoprir, mostra del cinema iberoamericano di Roma”, organizzata dal Cervantes a cura di Gianfranco Zicatelli e Jose Cantos, per presentare il film di Jorge Perugorría, “Amor crónico”, di cui Cucu è protagonista. Il progetto è, in realtà, un docu-film che segue in tour per tutta Cuba una sgargiante ed eccentrica cantante ed intreccia riprese di spettacoli dal vivo con il racconto di una storia d’amore surreale, mostrando un ritratto unico di un’artista che viaggia alla ricerca delle sue radici.

In questa intervista Cucu ha raccontato se stessa, le sue emozioni e i tanti progetti che vedono coinvolta con ruoli di primo piano.

Che cosa racconta il brano “Amor Crónico” e in che modo si lega alla trama dell’omonimo film di Jorge Perugorrìa che presenterai alla III edizione della mostra del cinema iberoamericano?

Il brano in sè parla di un amore che non vuole finire e che, con il passare del tempo, diventa “cronico” quasi come una malattia. Il titolo del film riprende il tema dell’amore inteso come sentimento rivolto al proprio paese, alla propria cultura, alle proprie radici.

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Come hai lavorato alla realizzazione di questo docu-film e cosa ha significato per te dare voce a questo omaggio alla canzone d’amore cubana?

Questo film è nato dalla mia collaborazione con il regista Jorge Perugorria (aka Pichi) ed è un omaggio rivolto non solo agli immigranti che ritornano alle proprie radici ma anche al cinema d’autore cubano e al neorealismo italiano, fonte d’ispirazione del cinema cubano degli anni ‘60.

Cosa ami in particolare della cultura musicale cubana?

 Adoro il fatto che le sonorità e i ritmi non hanno frontiere.

Tu che sei passata dal pop al rock alle sonorità caraibiche, in quale dimensione sonora ti senti più a tuo agio?

La mia voce è irrimediabilmente molto cubana.  Sono influenzata da tutta la musica in generale e mi sento a mio agio con tutte le sonorità possibili.

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Hai tante prestigiose collaborazioni all’attivo… cosa ti hanno lasciato da un punto di vista artistico?

Una delle persone più aperte e disposta a rompere le regole quando collaboriamo insieme è Carlinhos Brown, la sua allegria e la sua vena creativa mi contagiano sempre tantissimo.

Come avete costruito tu e Andres Levin il collettivo YerbaBuena, uno dei collettivi più influenti del latin fusion di New York, e quali sono i tratti che contraddistinguono la cifra stilistica di questa realtà musicale?

Andres Levin ha portato la sua esperienza come produttore musicale (Tina Turner, Chaka Khan, Aterciopelados, David Byrne, Carlinhos Brown, ecc). Insieme abbiamo individuato sia i cantanti  che i musicisti per comporre la banda. Yerba Buena si è nutrita dall’ecletticismo musicale vivente nell’isola di Manhatan.

Cucu Diamantes in una scena tratta dal film Amor Crònico

Cucu Diamantes in una scena tratta dal film Amor Crónico

Sei stata testimonial per la campagna contro la violenza sulle donne organizzata da Amnesty International, come hai interpretato questo ruolo?

La filantropia è quello che mi fa scendere dalla mia torre d’avorio e che mi arricchisce spiritualmente. Di solito sostengo ogni campagna e movimento di non violenza contro gli esseri umani, non riesco a credere che  nel 2014 nella cosiddetta “società moderna” dobbiamo ancora lottare contro questo tipo di problemi.

Quali saranno i tuoi prossimi impegni in ambito musicale?

Ho appena finito di girare un altro film con la regia di Jorge Perugorria , la cui sceneggiatura è tratta dal racconto “Fatima o el Parque de la Fraternidad” di Miguel Barnet, vincitore del premio Juan Rulfo di letteratura.  Il mio personaggio  è quello di un transessuale della notte “habanera”. Per concludere, sto lavorando al mio nuovo album e sarò entusiasta di farvelo ascoltare molto presto!

Raffaella Sbrescia

Video: Amor crónico

Classifica FIMI: Fedez scalza Fabi-Silvestri-Gazzè e Subsonica

“Pop-Hoolista”, il nuovo album di Fedez.  La recensione

“Pop-Hoolista”, il nuovo album di Fedez. La recensione

Fedez conquista subito la vetta della classifica FIMI/GFK degli album più venduti della settimana in Italia con “Pop-Hoolista”. Al secondo posto troviamo il trio Fabi-Silvestri-Gazzè con “Il padrone della Festa” mentre i Subsonica scendono in terza posizione con “Una nave in una foresta”. Alle loro spalle c’è “Strut” di Lenny Kravitz mentre la prima new entry della settimana è Red Canzian (Pooh) con il nuovo album di inediti intitolato “L’istinto e le stelle”. Sesti i Modà con “Gioia. Non è mai abbastanza” mentre Francesco Renga è settimo con il suo “Tempo reale”. All’ottavo posto scopriamo Leonard Cohen con “Popular Problems” mentre la seconda new entry della settimana è Prince con “Art official Page”. Chiudono la top ten i Club Dogo con “Non siamo più quelli di Mi Fist”.

“Il Grande Abarasse”, la recensione del nuovo album di John De Leo

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“Tutto quello che pensiate significhi, è”. Con queste parole l’innovativo compositore e cantautore italiano John De Leo ha presentato, lo scorso 7 ottobre, “Il Grande Abarasse”, il nuovo ed ambizioso album di inediti giunto a sei anni di distanza dall’ultimo progetto discografico dell’artista, su etichetta Carosello Records. In questo concept album, ambientato in un ipotetico condominio, ogni brano descrive un’esplosione improvvisa, corrispondente ad una deflagrazione interiore la cui miccia era già accesa in ognuno dei condomini. Dotato di una personalità vocale duttile e di un’attitudine sperimentale, John De Leo usa la voce come uno strumento innestandola all’interno di composizioni eterogenee, spaziando dal folk popolare, al jazz, al rock, alla musica contemporanea. Nel suo universo sonoro convivono particolari combinazioni: la sua voce dialoga con un ensemble di archi, con chitarre e una sezione fiati di legni. Originale anche la ricerca del suono: spesso gli strumenti o la voce stessa vengono filtrati, manipolati attraverso strumentazioni analogiche, dispositivi per chitarra, live looping sampler, modificati con distorsori giocattolo.

John De Leo

John De Leo

La ricerca di possibili rapporti tra suono e parola si esprime nei versi dei brani, scritti dallo stesso De Leo: allitterazioni, assonanze, dissonanze sconfinano nel neologismo o nell’onomatopea. Testi immaginifici, spesso ironici, esplorano la sfera umana e gli consentono di  raccogliere l’eredità di artisti come Demetrio Stratos, Cathy Berberian e Leon Thomas. L’originalità della ricerca vocale-musicale di De Leo e l’alchimia con cui egli combina musica, arte e letteratura lo rendono un artista unico e riconoscibile, un vero e proprio uomo-orchestra. Ne “Il  Grande Abarasse” si va dalle divagazioni sonore e pensierose di “Io non ha senso”, alle fusa in chiave jazz de “Il gatto persiano”, alle parole impossibili di “Muto (come un pesce rosso), passando per le unioni e i grovigli di corpi “Di noi uno”, la spettrale malinconia di “Primo moto ventoso”, in cui si cerca di combinare il gusto e le sonorità di due compositori come Nino Rota ed Ennio Morricone o brani come “Apocalissi Mantra Blues”, vicino al gospel eppure dotato di una propria identità.

John De Leo

John De Leo

Canzoni come armi di una battaglia ludica e creativa come “La mazurka del Misantropo”, “è già finita/Il cantante Muto” o “50 euro”, intriso di elettronica,  rendono “Il grande Abarasse” una fonte di nutrimento per menti libere e curiose. Uno dei componimenti più particolari del disco è “The Other Side of a Shadow” . Il brano vede la partecipazione del pianista e compositore Uri Caine  e contiene un interessante testo recitato, tratto da “La linea d’ombra” di Conrad, finalizzato alla creazione di un geniale sottotesto tutto da interpretare. Sono tantissimi i riferimenti musicali, letterari, cinematografici che potremmo individuare in questo disco che è ulteriormente arricchito da un ghost album, realizzato con l’Orchestra Filarmonica del Comunale di Bologna. Si tratta di sei tracce che, pur muovendosi in un territorio neutro, completano il mastodontico lavoro di John De Leo delineando ulteriori linee guida, in grado di stimolare un ascolto mai uguale a se stesso.

Raffaella Sbrescia

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Tosca appassionata e cosmopolita in “Il suono della voce”. La recensione dell’album

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Tiziana Tosca Donati, in arte Tosca, torna in sala di incisione per “Il suono della voce”, l’album di inediti pubblicato lo scorso 30 settembre per Sony Classical. Prodotto dalla stessa Tosca e dalla violoncellista Giovanna Famulari, in collaborazione con la Bubbez Orchestra, questo lavoro racchiude molto più di un pugno di canzoni. Si tratta, infatti, di un’opera pensata, ragionata, nata dal  continuo sedimentarsi di idee, emozioni, sentimenti, pensieri, suggestioni che, nel corso di un lungo trentennio, hanno forgiato l’anima, umana ed artistica di Tosca. Musiche, suoni, lingue, ritmi si fondono nei percorsi creati dalle 22 tracce che compongono l’album nel nome dell’arte. “Il suono della voce” è il suggestivo titolo di questo album che prende il nome dal brano che il maestro Ivano Fossati ha appositamente composto per l’artista romana. Un biglietto da visita seducente, appassionato, dall’essenzialità ricercata.

Con la chiara intenzione di omaggiare la forma canzone utilizzando il maggior numero delle declinazioni possibili, Tosca ci accompagna, mano nella mano tra le tappe di un viaggio finalizzato alla ricerca di noi stessi nelle altre culture. Attraverso l’uso dell’ Yiddish, del portoghese, del francese, del rumeno, del giapponese, del libanese, Tosca rilegge antiche e nuove melodie con grazia e leggerezza conferendo loro un’innata bellezza, avulsa dallo scorrere del tempo. La cura per il dettaglio, la valorizzazione di ogni singolo strumento si evince dagli spazi e dalla scelta di musicisti eccellenti tra cui ricordiamo il compositore brasiliano Guinga, Gabriele Mirabassi, Germano Mazzocchetti e il duo Anedda.

La suadente delicatezza di “Gelosamente mia voce” apre l’album, i cui toni si fanno subito intensi e veraci sulle note di “Marzo/Mars”. Un saliscendi emotivo destinato a confluire nei colori e nelle melodie africane di “Nongqongqo (To those we love)”. Suggestivo e toccante l’incontro tra il dialetto romano e la lingua portoghese in “Nina / Nina, se você dorme”, brano in cui Tosca duetta con il chitarrista Guinga narrando i sogni, gli amori e le paure di Nina. Di tanto in tanto, il tempo si ferma sui rintocchi degli intermezzi strumentali tutti intitolati “Il suono della voce”, voce, che, in questi piccoli rivoli di emozioni, è esclusivamente quella di uno strumento, pronto ad emozionarci forse meglio di mille parole. In “Via Etnea” la protagonista è Mimì, una donna mediterranea che, grazie al potere dell’immaginazione, ritroviamo in “Shtel”, il canto della tradizione Yiddish che Tosca interpreta con voce vibrante e pathos tangibile. La gemma più luminosa del forziere è “L’annunciazione”. Il brano scritto da Ivano Fossati su melodia di Guinga tira le fila di una preziosa texture di note e parole lasciando che l’ascoltatore possa contemplarne, non senza stupore, il risultato.

Sogni, paure, desideri e sentimenti si differenziano nella modalità espressiva ma non nel contenuto. “Cicale e chimere”, realizzato in collaborazione con Joe Barbieri, immerge le corde vocali di Tosca in fresco contesto Jazz mentre “Succar ya banat” valorizza la sintonia umana e artistica tra due donne: Giovanna Famulari col suo vibrafono e Tosca con le sue vibranti parole immergono la mente in una dimensione immaginifica ma non è ancora tempo di tornare alla realtà; Tosca si congeda con “Miao”, un canto felino sospeso tra il reale e l’onirico che, unendo il mondo degli umani a quelli degli animali, sancisce e sigilla la valenza ancestrale di un prezioso microcosmo da cui attingere bellezza e poesia.

Raffaella Sbrescia

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Classifica FIMI: “Una nave in una foresta” dei Subsonica è l’album più venduto

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Nel gran calderone delle nuove uscite di settembre, il settimo album dei Subsonica “Una nave in una foresta” conquista il primo posto della classifica FIMI/GFK degli album più venduti in Italia. Alle loro spalle c’è il super trio Fabi-Silvestri-Gazzè con “Il padrone della festa” mentre Lenny Kravitz chiude il podio con “Strut”. Quarti i Club Dogo ed il loro “Non siamo più quelli di Mi Fist”, seguiti da “Popular Problems” di Leonard Cohen. Ancora una new entry al sesto posto: si tratta di Lady Gaga e Tony Bennett con “Cheek to Cheek”. In settima posizione ritroviamo Francesco Renga con “Tempo Reale” mentre i Modà sono ottavi con “Gioia. Non è mai abbastanza”. Chiudono la top ten altre due novità: al nono posto c’è Jamil con “Il Nirvana”, a seguire scopriamo “Mano nella mano” di Sergio Cammariere.

Karel Music Expo: al via l’ottava edizione

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La città di Cagliari conferma sempre più la propria vocazione musicale. Si terrà dal 2 al 4 ottobre  2014 l’ottava edizione del Karel Music Expo, la rassegna porterà in scena alcune meritevoli proposte della musica italiana e internazionale ma offrirà al pubblico una vasta scelta di eventi culturali, enogastronomia ed arte seguendo un obiettivo preciso: valorizzare appieno la bellezza del territorio coinvolto. Il Ghetto Ebraico, il Teatro Civico, il Bastione S.Remy ed il Teatro S.Croce  saranno le location coinvolte nel ricco programma dell’evento che, nell’arco di tre giorni, spazierà dal cantautorato all’elettronica, dal folk al blues. L’Italia sarà rappresentata dai Bud Spencer Bud Explosion, dal progetto parallelo di Andy dei Bluvertigo Fluon e dalla pesarese Maria Antonietta. Ci sarà anche il progetto Bologna Violenta, capitanato da Nicola Manzan, insieme a Giovanni Truppi, Jack Jaselli, Jules Not Jude e The Traveller. A fare gli onori di casa saranno, invece, i sardi Saffronkeira, Trees Of Mint, Stefano Cerchi e Fabio Canu. Gli ospiti internazionali saranno, infine, gli headliner The Orb, i tedeschi Mouse on Mars con le loro miscele di ambient, kraut-rock, techno e pop. Dall’Australia arriveranno gli Oh Me My e Damen Samuel, dal Portogallo la cantautrice Rita Redshoes e dall’Inghilterra i Lilies on Mars e Duke Garwood.

Prevendite
Teatro Civico di Castello | Tel: 070 6777660
www.vivaticket.it | Tel: 89 24 24
www.boxofficesardegna.it | Tel: 070 657428

Info
www.voxday.com | Tel: 070 840345 | voxdaycagliari@hotmail.com

“Pop-Hoolista”, il nuovo album di Fedez. La recensione

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Fedez, all’anagrafe Federico Leonardo Lucia, classe 1989, presenta “Pop-Hoolista”, il suo atteso quarto disco, prodotto da Newtopia (l’etichetta discografica indipendente fondata da lui stesso e da J-Ax. Con questo concept album, infarcito di taglienti giochi di parole e di brillante ironia, Fedez si esprime senza filtri e lo fa attraverso 20 canzoni che offrono uno spaccato fedele e limpido della nostra Italia. Incuriosisce vedere come un giovane riesca ad attirare l’ interesse e l’attenzione non solo dei coetanei ma anche degli adulti, sarà forse perché Fedez ha voluto staccarsi dalle vincolanti rime del rap, per aprirsi ai monologhi scritti insieme a Matteo Grandi. Maggiore consapevolezza, maggiore applicazione, maggiore responsabilità per Fedez che “In un paese dove i punti interrogativi sono più dei punti di riferimento”, racconta “lo stato” dello Stato italiano senza peli sulla lingua.

Sono davvero tanti giochi i giochi di parole e le verità scomode che salgono a galla in “Pop-Hoolista”, un lavoro che dà spazio a concetti ai quali non è stata trovata né una metrica, né un genere. Fedez ci spiega come va l’Italia e cosa pensa lui della gente partendo da “Generazione bho”, un limpido flash sulla realtà contemporanea: “Un vecchio è pericoloso se guida una Mercedes figuriamoci quand’è alla guida di un paese”, accusa Federico, mentre gli irriverenti accostamenti proposti in “Vivere in campagna pubblicitaria” ci disegnano un nitido ritratto di una società in cui comandano i product placement. “Siamo passati dal baciare rospi ad ingoiarli”, scrive Federico in “La bella addormentata nel Bronx”, il brano in cui le principesse Disney si trasformano in donnine da quattro soldi. Le massacranti invettive di “Veleno per topic” non lasciano scampo, la Fedezvisione prevede una parola cattiva per tutto e tutti. La mitragliatrice è carica e Fedez non risparmia neanche un solo colpo in canna. Notevoli anche i tappeti musicali costruiti ad hoc, che lasciano intuire una tendenza punk, figlia diretta delle influenze adolescenziali di Federico. L’ascolto riprende con gli amori da tastiera raccontati nella realistica “Voglio averti account”. Proprietà di linguaggio e concreta conoscenza delle epopee giovanili rendono Fedez un credibile canta storie metropolitano.

Fedez

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Sospesi tra Facebook, selfie e sindrome da social, siamo circondati da una superficialità latente eppure i sentimenti non mancano. In “Magnifico”, il brano che rinnova il sodalizio artistico con Francesca Michielin, Fedez parla dell’amore come un punto d’arrivo, una conquista; una rivelazione che sorprende in un contesto asettico e dissacrante. La divertente irriverenza contenuta in “Non c’è due senza trash” coinvolge la conduttrice televisiva Barbara D’Urso in un brano d’accusa contro la tv spazzatura. La peculiare liquidità della dimensione creata da “Sirene” trova un sostanziale equilibrio nella voce di Malika Ayane mentre “L’hai voluto tu” è un brano che richiama da vicino lo stile di Max Pezzali. Ritroviamo un fedele spaccato dell’amore ai tempi della crisi in “Love cost” mentre la perla del disco è la title-track “Pop-hoolista”, ulteriormente arricchita dal duetto con Elisa, che ha personalmente scritto la propria parte: “ Tu cosa hai da perdere se hai già toccato il fondo”, canta la Toffoli, senza consentire alcun diritto di replica.

Potente e diretto è il je accuse in cui Fedez punta il dito contro lo sfarzo indecoroso del clero in “Cardinal Chic”. Travolgente e grintoso il contributo di Noemi in “L’amore eternit”, un brano che si scaglia contro i pregiudizi e le apparenze in nome dell’amore autentico. Fedez è incontenibile e srotola fiumi di parole a velocità sostenuta anche nel brillante testo di “Stereo- tipi” e “Viva l’Iva”, in cui duetta con il socio J Ax. L’album si chiude con l’inaspettato featuring dei BoomDaBash in “M.I.A”. Un’ultima chicca in un disco che di paraculo ha veramente molto poco. Bravo, dunque, a Fedez, un hooligan del rap che ha saputo sdoganarsi da limiti e barriere.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Generazione Bho”

Od Fulmine, la recensione dell’omonimo album

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Gli Od Fulmine, il gruppo composto da  Riccardo Armeni, Fabrizio Gelli, Mattia Cominotto, Stefano Piccardo, Saverio Malaspina, presentano l’omonimo album. Un progetto discografico che racchiude e lascia confluire in sé le diverse esperienze dei singoli membri che hanno militato chi nei Numero 6, chi tra gli Esmen, chi tra i Meganoidi. Sono 10 le dieci le tracce che compongono questo saliscendi pop-rock cantautorale e che, in modo semplice ed immediato, parlano del nostro mondo in maniera squisitamente disincantata. Muovendosi tra rock e tradizione, gli Od Fulmine scelgono atmosfere notturne e crepuscolari per raccontare sentimenti urticanti e storie immaginifiche. Si parte dalle convulse chitarre di “Altrove 2” per poi continuare a cercare il senso delle cose in “Ma ah”. Decisamente più onirico è il ritmo di “40 giorni”, una ballata mistica che riprende il celeberrimo poemetto del poeta Samuel  Taylor Coleridge “ The Rime of the Ancient Mariner” su un tappeto di note elettriche, equilibrate da misurate pause meditative.   Il ricordo e la malinconia sono gli elementi chiave di “5 cose”, il brano in cui ci imbattiamo esattamente a metà dell’ascolto e che offre ulteriori spunti di riflessione intima ed individuale. La struttura classica di “Nel Disastro” lascia, tuttavia, trasparire l’epicità del naufragio sentimentale narrato nel testo che, in ogni caso, apre uno spiraglio di speranza: “Ma nel disastro mi vedrai sorridere/Sotto un diluvio ritornare in me/Di notte ho visto quello che mi manca e tu mi vieni incontro anche se non lo fai più”. Le dure chitarre inserite in “I preti dormono” conferiscono ritmo e dinamicità all’ascolto che si fa vorticoso sulle note della rabbiosa  “Ghiaccio 9” e della nostalgica allure di “Da quel giorno”. I toni si ammorbidiscono nell’enigmatica ballata voce e chitarra, intitolata “Poveri noi” per poi confluire nei ricordi lontani e sbiaditi raccontati in “Fine dei desideri”, il brano conclusivo di un album in grado di mettere insieme storie ed umori contrastanti su un unico binario interpretativo.

Raffaella Sbrescia

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Video: “40 Giorni”

“Il tramonto dell’Occidente”, l’album di Mario Venuti ci offre nuove possibili vie d’uscita. La recensione

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L’ottavo album solista di Mario Venuti è “Il tramonto dell’Occidente”, un lavoro discografico di grande qualità, sia dal punto di vista testuale che musicale. Nel ventennale della sua carriera, senza considerare la lunga parentesi con i redivivi Denovo, Mario Venuti ci offre la possibilità di fare il punto sulla nostra condizione con classe, eleganza e raziocinio. Bando agli allarmismi, alle ruberie e alla volgarità, al catastrofismo spicciolo, Venuti chiama a raccolta artisti del calibro di Francesco Bianconi, frontman dei Baustelle, e Kaballà, entrambi nella veste di autori, per mettere i puntini sulle i.

Il titolo del disco evoca l’opera di Spengler Oswald, un mastodontico tentativo di elaborare un compendio di una morfologia della storia universale. Sviluppo, fioritura e decadenza individuale assumono una valenza collettiva all’interno di un percorso cantautorale insolitamente ottimista e fiducioso. Il disco si apre con il testo riflessivo, dolente e rabbioso de “Il tramonto”, un brano che fotografa con lucidità il nostro presente: “Dal balcone l’altro giorno ho visto uno studente rovistare nella spazzatura. Nelle liste elettorali leggo nomi di maiali. Gli svantaggi della libertà, mio Signore, per favore, non aver pietà”, canta Mario Venuti, auspicando il ritrovamento della luce. Le voci di Francesco Bianconi e Giusy Ferreri s’incastrano nel refrain di “Ite missa est”, la formula latina del congedo della messa sancisce la fusione tra sacro e profano in questo brano a metà strada tra la presa in giro e l’accusa seria contro i postulanti del no future, che popolano i principali mezzi di comunicazione. Il coro polifonico Doulce Memoire colora e riempie i tratti di quella che rappresenta a tutti  gli effetti una presa di coscienza: “Io esco solo di domenica, osservo bene quest’umanità, mi sembra come una parabola biblica. La fine della nostra civiltà”.

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

Dolce e delicata è invece la trama de “I capolavori di Beethoven”, una preziosa ballad in cui Venuti duetta con Franco Battiato omaggiando il grande compositore che, nonostante la sordità, fu in grado di scrivere le più importanti pagine della storia musicale mondiale. La ricerca della forza nel disagio traspare a più riprese mentre “ Il ritorno inatteso della povertà ci insegna, finalmente, l’idea dell’abbondanza”. La prescrizione indicata in questo frangente è trasformare una mancanza o un handicap fisico in un punto di forza, un modo del tutto innovativo di rivoluzionare se stessi ed il proprio modo di pensare. Curioso l’intermezzo strumentale di “Perché”: violini, archi e violoncello accompagnano un insolito collage di sample tratti dalla discografia di Venuti mentre frammenti musicali orchestrali del “Concerto all’aperto di Giorgio Federico Ghedini” richiudono il vortice autocitazionista.

Bellissima e particolarmente azzeccata è la lucida analisi che Mario Venuti fa delle periferie italiane in “Ventre della città”. Cattive coscienze convivono con cuori vergini in posti troppo spesso dimenticati dagli uomini e in storie conficcate come pugnali nel ventre della città. Anche in “Passau a Cannalora”, il brano in dialetto siculo, cantato insieme a Bianconi e Kaballà, Venuti lascia trasparire un forte legame con la terra e con le radici. Sant’Agata, patrona della città di Catania, è la destinataria di un’accorata preghiera in cui il cantautore auspica il ritorno dell’antica bellezza di posti incantevoli distrutti dalle mani dell’uomo. Echi rivoluzionari riempiono le note di “Arabian boys”, un racconto ispirato agli episodi avvenuti durante la Primavera Araba: “Né cariche, né bombe, né dannati canti di sirene fermarono l’amore che accendeva la rivoluzione”, canta Venuti, dando spazio ad uno slancio inaspettatamente positivo.

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

“Niente esiste, tutto appare e nulla è come è”, scrive il cantautore in “Tutto appare”, duettando con Alice. Il brano si chiude con la massima di ispirazione ungarettiana “Solo quello che non siamo, solo questo so” mentre la periferia italiana cerca e trova contatti con quella americana in “Ciao american dream”, il riuscito adattamento di “Ashes of American Flags” dei Wilco. Che sia il dio dollaro o l’antica lira, la sete di denaro rimane il peggiore di tutti i mali anche in “Il Banco di Disisa”, un’antica leggenda che, attraverso poche profonde parole, rappresenta la metafora dell’avidità umana.  In antitesi con la traccia di apertura, l’ultimo brano del disco è “L’alba”. Il brano vede la partecipazione del giovane cantautore palermitano Nicolò Carnesi, una collaborazione voluta dallo stesso Venuti, come segno di incoraggiamento e fiducia verso le nuove generazioni: “Io sto camminando verso l’alba che per sua natura nasce ad est e sto recitando un altro mantra. Prendo più coscienza, cerco me”. Questo doloroso viaggio musicale si conclude, dunque, con una nuova, inaspettata consapevolezza, un nuovo stimolo per cominciare a ripensare il nostro modo di vivere e per cercare nuove possibili vie d’uscita.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Ventre della  città”

IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE IN TOUR” toccherà i club e i teatri di tutta Italia.

Queste le prime date confermate:

12 novembre  Roma (Orion Club)

13 novembre  Milano (Magazzini Generali)

14 novembre  Firenze (Viper Theatre)

26 novembre  Padova (Geoxino)

27 novembre a Bologna (Bravo Caffè, con un set elettro-acustico)

4 dicembre a Palermo (I Candelai)

18 dicembre a Catania (ZO Centro Culture Contemporanee).

I biglietti per i concerti sono disponibili in prevendita

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