“Irrequieto” (The prisoner records/Believe digital), il nuovo album di inediti di Mezzala (nome d’arte del genovese Michele Bitossi), esce a quattro anni di distanza dall’esordio solista “Il problema di girarsi”, anni in cui il cantautore ha realizzato un album e un ep dei Numero 6, ha scritto molte canzoni per sé e per altri e ha lavorato a vari progetti musicali in diverse vesti. In “Irrequieto” Mezzala lavora alla “vecchia maniera”, s’ispira a certi album degli anni 70 alla Ivan Graziani, Eugenio Finardi, Lucio Dalla, Alberto Fortis, Lucio Battisti e pone al centro di tutto la musica. Lunghe e meticolose sessioni di pre produzione hanno scandito le fasi di realizzazione di un lavoro che coinvolge Ivan Rossi e Tristan Martinelli e che cerca di esprimere un amore incondizionato per la musica e per un certo modo di farla. «Sono irrequieto di natura e questo mi porta a fare delle belle cose spesso e a fare grandi errori altrettanto spesso. Odio annoiarmi, scrivo in continuazione», spiega Mezzala, raccontando un disco fatto prescindendo da calcoli e previsioni commerciali. All’interno della tracklist brani come “Le tue paure” e “Mi lascio trasportare” uniscono un’analisi profonda dei sentimenti di tutti i giorni alle possibili soluzioni. Menzione di merito a “Capitoli primi” con il testo di Matteo B. Bianchi e all’emblematica “Chissà” in cui sentiamo Zibba recitare: “Caro Mezzala hai del talento/scrivi in modo originale e profondo/il tuo è un pop intelligente/mi ricorda molto il mondo di quei cantautori romani/fai piacevoli canzoni ma non basta/si tratta purtroppo di musica molto difficile da collocare/le radio non ti passerebbero/(ora siam sui talent)/ma tienimi sempre e comunque aggiornato/ascolto molto volentieri: hai un bel mondo”. Parole che risuonano come macigni e che Mezzala affronta a cuor leggero e con ironia dimostrando tempra, sicurezza e incondizionata dedizione nei riguardi della musica.
Cristian Bugatti, in arte Bugo, torna in pista a 4 anni di distanza da “Nuovi rimedi per la miopia” con “Arrivano i nostri”, un ep che rilancia l’artista nelle nostre playlists con l’espressione di un messaggio che è frutto di un’esigenza comune: fare squadra nell’affrontare i tempi che corrono. Disponibile in versione digitale dal 23 ottobre 2015, il lavoro, prodotto su etichetta Carosello Records, rappresenta la prima parte di un progetto discografico che verrà completato nei prossimi mesi: «Ho tanti pezzi pronti ma mi andava di ripresentarmi nel modo più calmo e diretto possibile. Ho scelto di diversificare il mio rientro un po’ come si faceva negli anni ’60 quando si puntava molto sui singoli. Le canzoni le ho scritte nell’ultimo anno, quando ero in India, anche se non ci sono diretti riferimenti alla mia permanenza lì. Avevo queste canzoni, ho chiamato Carosello e ho detto: “Ragazzi, ho dei pezzi fortissimi”. Tutti i brani sono stati preprodotti da me, poi sono stati registrati a Milano», spiega Bugo alla stampa.
Tema ricorrente del disco è la corsa, metafora del buttarsi nel mondo e darsi da fare per sentirsi ogni giorno più vivi nel bel mezzo di un viaggio in progressione. Si parte dal movimentato singolo “Vado ma non so”: «Questo brano è il manifesto di come sono e di come sarò. C’è dentro un desiderio di libertà, anche se la libertà è sempre una chimera. Questa canzone è molto seria per me perché la fuga, quando non hai una meta, contiene anche tanta solitudine. “Vado ma non so” è un brano che avrei potuto scrivere anche 15 anni fa. Forse adesso l’ho focalizzata meglio», continua. Il pezzo più significativo dell’ep è proprio la title-track: “Arrivano i nostri”: «Si tratta di un messaggio di attesa del momento in cui le cose miglioreranno. Come? Non lo so, ma già desiderarlo è qualcosa. La musica per me è sempre attesa e porta un messaggio positivo anche se le canzoni non cambiano il mondo. Questa è una frase che mi ricorda i film americani, quando l’esercito amico sta per intervenire. Esprimo il desiderio di far parte di una comunità che la vede un po’ come me. Il mio è un messaggio diretto a chi detiene le redini del potere, è il desiderio di farcela, di cambiare».
Bugo ph Mattia Zoppellaro
Lo sguardo sul mondo circostante si fa ancora più attento in “Tempi acidi”: «Il brano racconta il lato assurdo del vivere contemporaneo. Non ho inventato le cose che canto, le ho lette sul giornale e in rete! Questo è il lato acido dell’uomo. In questa canzone il basso di Enea Bardi tiene il ritmo e dà una cadenza acida che trasmette la frenesia che racconto nel testo». Sorprendente la visione onirica dell’amore ne “Nei tuoi sogni”: «Ragazzi, c’è poco da fare, mi emoziono sempre a parlare dell’amore! –continua- “Nei tuoi sogni” racconto di un amore a distanza. La prima versione di questo brano era molto più onirica, lenta, quasi una ninnananna, ma sentivo il bisogno di dare una ritmica che tenesse vivo tutto». “Sei la donna” è il brano più distante dagli altri, un pezzo in cui vediamo un Bugo diverso da quello che conosciamo: «Questa è una canzone d’amore inedita per come sono abituato a cantare. Mi sono immaginato una scena cinematografica in cui guardo una donna che si cambia. Le dico ‘stai lì, voglio guardarti perché sei bella’. Il senso del brano è più “maschio”, il mio modo di cantare doveva essere diverso ma non mi veniva! Musicalmente il pezzo esplode con l’assolo, su cui ho lavorato veramente a lungo. Sono molto fiero del risultato finale». Chiude il disco “Cosa ne pensi Sergio” in versione live: «Ho voluto fare un regalo a chi mi segue dal vivo riproponendo questo che è stato il primo singolo del disco. Mi piaceva dare qualcosa in più, in questo caso la versione live del brano. Credo molto nei live, datemi un palco e vedrete che ogni volta faccio le mie cose al massimo. Ho un rapporto pacifico col mio passato – specifica Bugo – Ogni canzone per me è importante, era vera quando l’ho scritta e lo rimane ancora oggi. Alcune sono venute meglio, altre meno ma certamente non sono nostalgico. La mia vita non mi ha mai permesso di sedermi. Non riesco a star tranquillo. Devo buttarmi, correre, darmi da fare. A proposito – conclude – Adesso c’è il tour! Con sette album alle spalle la scaletta sarà corposa. Sarà un live molto energetico ma non mancheranno degli intimi momenti voce e pianoforte».
Conosciamo Fabio Curto come il vincitore di “The Voice of Italy 2015” ma il suo percorso artistico va avanti ormai da svariati anni e l’ep che ha appena pubblicato per Universal Music, dal titolo omonimo, è soltanto un capitolo di un libro ancora tutto da scrivere. Anticipato in radio dal singolo “Non mi assolvo”, scritto da Stefano D’Orazio e composto da Roby Facchinetti , il nuovo lavoro pubblicato lo scorso 16 ottobre contiene altri due inediti “Tu mi fai impazzire” e “L’Ultimo Esame” nonchè quattro famose cover eseguite nel corso del programma Rai: “Take Me To Church”, la hit di Hozier, “Emozioni”, cover di Lucio Battisti, “The Scientist” dei Coldplay e “Hallelujah” di Leonard Cohen. «Questo lavoro racchiude tutte le emozioni dalle quali sono stato letteralmente travolto negli ultimi mesi – spiega Fabio alla stampa durante la presentazione del disco – E’ stato un lavoro meraviglioso, mi ha dato tanto a livello professionale. Avremmo potuto far uscire anche altro, ma abbiamo usato questi brani come esperimenti». Fabio, 27 anni, originario di Acri ha studiato scienze politiche a Bologna, sua città d’adozione. E’ un artista di strada, polistrumentista, autore di testi e musiche, suona da quando aveva 5 anni e compone da quando ne aveva dodici a dimostrazione di un percorso artistico che parte da lontano. Avulso da qualsiasi etichettatura, questo giovane artista ha imparato a misurarsi con le più disparate realtà musicali e lo ribadisce a più riprese: «Non mi interessa fare adesso il disco della mia vita – spiega – Parlando di generi musicali, non mi pongo limiti: faccio semplicemente quello che mi piace. Se penso a un ideale di carriera, mi piacerebbe averne una come quella di Ben Harper che alterna musica diversa senza compromettersi».
Parlando di “Non mi assolvo”, l’inedito che apre il suo debut album racconta: «Quando Roby ci ha inviato la base di “Non mi assolvo”, scritta pensando alla mia voce, io e Simone Bertolotti abbiamo iniziato a lavorarci su ed è venuta fuori una bozza in inglese. Visto che il tempo per decidere era poco e la linea degli altri pezzi era in italiano, abbiamo optato per il testo in italiano scritto da Stefano D’Orazio. Se il pezzo otterrà un buon riscontro, probabilmente lo faremo uscire anche in inglese -spiega Fabio. «Questi sono stati mesi frettolosi – continua- è stato tutto molto frenetico. Ricordo ancora “L’ultimo esame”. Questo brano l’abbiamo masterizzato a Milano in uno studio di fiducia di Roby che ha messo sempre a disposizione tutte le sue conoscenze. Si lavora molto bene con lui, difatti ci sentiamo ancora molto spesso. Un merito particolare va dato anche a Simone Bertolotti. Sono sempre stato a stretto contatto con lui, mi è stato davvero molto vicino. Lavorare con questi professionisti mi ha aperto un mondo». Parla con autentico entusiasmo Fabio che, nello scegliere un brano a cui è particolarmente legato risponde: «Credo che “L’ultimo esame” sia il brano che più si adatti a rappresentare quel che ho vissuto. Il brano è frutto del lavoro fatto insieme a L’aura Abela, Simone Bertolotti ed Emiliano Bassi e racchiude una serie di stati d’animo che mi hanno accompagnato negli ultimi mesi». In attesa di scoprire quale sarà la risposta del pubblico nei riguardi di questo primo lavoro, Fabio non rimarrà di certo con le mani in mano: «Scrivo tanto e ho anche altre canzoni che non ho mai fatto uscire. Al momento sto sistemando una serie di pezzi che avevo già e vi assicuro che sono davvero tanti! Inoltre ci sono i live a cui pensare- continua- mi piacerebbe portare con me un quartetto d’archi, un batterista e un basso, una band di dieci elementi in tutto , senza dimenticare qualche suono elettronico. In realtà sul palco starei bene anche da solo, seduto su una sedia con una chitarra in grembo. Credo però che per il pubblico un’ora e mezza di me non sarebbe sopportabile. Le sue orecchie finirebbero per chiedere pietà (ride ndr)». L’ultima battuta è inevitabilmente rivolta al Festival di Sanremo: «Cercherò di guadagnarmi il palco dell’Ariston con tutte le mie forze. Farò di tutto per esserci!».
Le Scimmie Astronauta, trio catanese formato da Michele Giustolisi (produttore, compositore e bassista), Giorgio Falsaperna (cantante, cantautore e chitarrista) e Luca Bajardi (batterista) presentano il primo album full lenght della loro carriera. Il disco s’intitola “Tieniti Forte”,racchiude dodici brani ed è stato registrato al Panic Button Studio di Londra, nonchè prodotto e mixato da Steve Lyon, già al fianco di Depeche Mode, The Cure e Paul Mc Cartney. Lyon ha curato la produzione artistica, la registrazione e il mixaggio del disco, il cui punto di forza è il giocoso compromesso cromatico ed estetico tra suoni, generi ed influenze. “Tieniti forte” è un disco prevalentemente rock con evidenti venature elettroniche attinte direttamente dal mondo dei club. Il sound della band catanese traspare nelle chitarre distorte e nei groove di basso e batteria anche se l’uso dell’elettronica soddisfa la necessità di intercettare una chiave comunicativa innovativa e spiritosa nell’arrangiamento dei brani. Le Scimmie Astronauta suonavano già insieme negli anni ’90 in una rock band che durò qualche anno. Solo nel 2011 si sono ritrovati per mettere a confronto i relativi percorsi e testare la voglia di creare qualcosa che potesse unire il passato con il presente. Dopo aver pubblicato un Ep e aver solcato palchi piccoli e grandi in giro per l’Italia, il trio ha concentrato la propria visione della musica in un lavoro pregno di messaggi e possibili spunti.
I tre riflettono sulla crisi economica, sulla condizione alienata dell’essere umano, sul senso di vuoto che pervade il modus vivendi dei figli dell’era digitale racchiudendo la propria essenza nella frase “Non capisco cosa sia la normalità”, lo special della titletrack “Tieniti Forte”. Tra i brani più intensi dell’album segnaliamo “Dio”, testimonianza tangibile del comune passato artistico dei componenti del gruppo e “Stalker” una canzone che ribalta i punti di vista convenzionali raccontando una storia d’amore dalla prospettiva di uno stalker. Proprio questo approccio alla scrittura e la dirompente energia degli arrangiamenti rappresentano i principali punti di forza de Le Scimmie Astronauta; siamo curiosi di ascoltarli anche dal vivo.
A due anni e mezzo di distanza da “Pazienza”, Vacca ritorna in pista con “L’Ultimo Tango”, dal 18 settembre nei negozi per Produzioni Oblio/Sony Music. L’album è stato registrato a Kingston, in Giamaica, dove l’artista si è trasferito in pianta stabile. In questo lavoro, il quinto ufficiale, Vacca fonde tutte le sue passioni musicali utilizzando un linguaggio particolarmente ruvido e senza filtri, decisamente in linea con lo scenario socio-politico contemporaneo. In “Trust No One”, l’ultima traccia del disco, l’artista si cimenta, inoltre, per la prima volta, col “Patois” (la lingua creola giamaicana) e si propone al pubblico in una nuova chiave alludendo all’inizio di un nuovo percorso professionale che si prospetta all’orizzonte. Ecco tutto quello che l’artista ci ha raccontato qualche giorno negli uffici di Ma9Promotion a Milano.
In che senso questo album rappresenta l’inizio di una nuova era?
Non penso che all’interno della durata del ciclo della vita una persona possa riuscire a raggiungere la perfezione in termini musicali o artistici. Può esistere la perfezione in un certo periodo ma, arrivati ad un certo punto, bisogna accettare il fatto che la ricerca debba essere continua. La mia perfezione deve ancora arrivare.
Come valuti l’attuale situazione della scena rap italiana?
Apro una piccola parentesi: in Italia ci sono stati tanti rapper, nomi anche molto importanti che hanno fatto la storia di questo genere. Quello che è cambiato oggi è che tutte le regole e le strutture che si erano venute a creare, oggi non ci sono più. Adesso tutto è cambiato, sono arrivati artisti che se ne fregano di determinate regole, hanno fatto sì che il pubblico si abituasse ad un suono più vero, meno finto. Adesso il web è in grado a dare la giusta visibilità a determinati artisti; io sono uno di quelli nati e cresciuti con il web. Ho regalato davvero tanta musica attraverso la rete e questo mi è servito tanto a diventare quello che sono oggi. Il rapper è un tipo di artista che ha sicuramente più dignità di altri. Certo, a tutti e capitato di scrivere la hit per la radio ma, ad oggi, nessuno ti può dare la certezza che un singolo popolare possa facilitarti l’ingresso in determinati canali. Alla luce di quanto detto, la mia filosofia è: io faccio questo tipo di musica, se non ti piace, bene, se ti piace mi ascolti, non ho bisogno di scendere a compromessi.
Vacca ph Paifo
Come hai lavorato alla costruzione dei suoni di questo album insieme a Big Fish e Mastermind?
Con Fish lavoro ormai da un po’ di tempo, l’ultimo lavoro che abbiamo fatto insieme era “Sporco” nel 2010. Con Mastermind mi aveva prodotto “Faccio tutto quello che voglio” nel 2008. Per quanto riguarda le basi, tutto nasce da una richiesta mia in termini di genere. Solitamente fornisco una direzione in cui andare, poi è tutta farina del produttore. A quel punto posso scegliere il tipo di struttura, dire se voglio partire con la strofa invece che con il ritornello, posso apportare determinate modifiche sulla traccia dopo che ho registrato. Una volta mandata la voce in Italia, dato che io registro in Giamaica, i produttori hanno tutto il tempo per fare le modifiche, trovare i suoni più adatti alla mia voce.
Per quanto riguarda le tematiche che affronti in questo lavoro, quanto ha influito il fatto che tu l’abbia scritto in Giamaica?
Scrivo i miei dischi in Giamaica dal 2009. Il posto in cui vivo, le problematiche dell’isola, la gente, la lingua, il vivere in maniera diversa mi aiuta, mi dà ispirazione, mi fa vedere cose che non avrei modo di vedere altrove. Per quanto riguarda gli argomenti, in ogni lavoro cerco di essere diverso. Questo è l’ album più rap di tutta la mia storia. Di solito mischiavo il rap con il raggae, la dancehall, inserivo canzoni d’amore, robe che magari gli altri rapper non facevano. Qui ho trovato altri topic, diversi argomenti. C’è un pezzo che ho dedicato a tutti quanti i miei amici, uno che parla dei sogni in un modo diverso da quanto fatto in passato, un brano leggero, come “Il Ragazzo coi dread”, che parla di quello che sono io fisicamente. C’è un brano dedicato a mia figlia, una canzone dedicata all’amore in modo ironico e un pezzo semplice m molto tecnico come “Abc”.
Per “L’Ultimo Tango” ti sei avvalso di collaborazioni importanti…
Sì. Ho scelto un artista nuovo, il cui nome è Paskaman, perché non mi piace dar spazio solo ed esclusivamente ai nomi che tutti quanti conoscono. In ogni mio disco c’è sempre qualche nuova realtà. C’è Jake La Furia, membro storico dei Club Dogo, con cui non collaboravo dal 2004. Undici anni dopo abbiamo deciso di omaggiare i nostri fan con questa collaborazione, poi c’è un pezzo con Jamil, il mio figlioccio artistico, e uno con Egreen , anche lui presente nella mia crew Vooodo Cod. Con Danti dei Two Fingerz abbiamo raccontato la situazione italiana in un modo più attuale. Poi c’è un altro ragazzo che si chiama Cali, un emergente veramente talentuoso. C’è Enrico dei Los Fastidios, il cui genere è lo ska. Il brano realizzato con lui parla dello stadio perché Enrico è uno dei responsabili della curva della squadra di calcio Virtus Verona, una squadra che milita in serie D la cui curva è molto impegnata contro il razzismo, contro l’omofobia. Si lotta contro duemila cose a favore dei diritti della gente. Quando sono in Italia spesso vado a seguire le partite della squadra. In curva ci sono punk, rappers, insomma un po’ di tutto; più che una curva, si tratta di un piccolo centro sociale da dove partono tante iniziative.
Come è stato cantare utilizzando il Patois, la lingua creola giamaicana?
Questo è il primo brano che ho registrato in Patois. Per questo motivo ci sono particolarmente affezionato e ho voluto che fosse in questo disco. Non è tecnicamente perfetto, si sente tanto l’accento italiano ma mi fa piacere che, pur avendo cambiato lingua, sono riuscito a mantenere intatta la mia tecnica.
Si tratta del primo passo verso qualcosa di nuovo?
In effetti abbiamo un album pronto, mancano due/ tre pezzi da registrare ancora. Sto lavorando affinchè il prossimo anno si provi ad andare in Europa. Cambierò tutto, si tratterà di un altro Vacca, quello che faccio ora non c’entra niente, sarà musica super leggera, con tanto reggae. C’è un team che sta lavorando su una serie di singoli, che mi aiuta a scrivere, a pronunciare perfettamente, che mi fa le basi e che mi obbliga ad andare in studio in determinate situazioni. Si tratta di un progetto pensato per uscire dall’isola, tutti i pezzi sono fatti uno alla volta, ognuno ha la propria storia e potrebbero anche non fare parte di un unico album. Il fatto di cantare in patois mi ha fatto venire la voglia di ricominciare, sto ritornando a 12 anni fa. Nessuno mi ha mai messo limiti o paletti. Non c’è stato mai nessuno che abbia potuto dirmi cosa dire, cosa fare, come dovermi presentare; ho sempre fatto tutto di testa mia ma sempre insieme al mio team. Ovviamente c’è gente che investe su di me mi hanno sempre lasciato libero.
Vacca ph Paifo
Qual è il legame tra questa cover così aggressiva con il titolo dell’album?
Guardando la forma del coltello, si evince la somiglianza con il cinque romano, ovvero il mio quinto disco. La forma simboleggia anche la V di Vacca. “Arancia meccanica” è stata una delle più grosse ispirazioni. Il coltello simboleggia anche un taglio: è finita un’ era, è finito un periodo. Tutto quello che volevo fare, l’ho fatto. Con questo non significa che non voglia fare altro, voglio fare molto di più ma a un certo punto bisogna anche essere capaci di rimettersi in gioco. Questa, per ora, è la mia ultima danza italiana.
Come porterai tutto questo dal vivo?
A questo giro voglio creare uno show come non ho mai fatto prima. Voglio riuscire a portare ad un ottimo livello tutta la produzione e mi piacerebbe coinvolgere tutti coloro che hanno fatto parte di questo progetto e della mia storia negli ultimi 10 anni. In scaletta ci sarà tanto di questo disco ma darò spazio anche al rap del mio passato, cercherò di accontentare tutti con due ore e mezza di super show.
27/09 Agrigento – Mondadori c/o C.C. Le Vigne ore 19.00
28/09 Bari – Feltrinelli ore 17.00
La tracklist del disco:
“INTRO (NON UN PASSO INDIETRO)”, Prodotta da Zef; “L’ULTIMO TANGO”, Prodotta da Rik Rox ; “ABC”, Prodotta da Mastermaind e Kermit; “IL RAGAZZO COI DREAD”, Prodotta da Mastermaind; “MANCHI SOLO TU FEAT Enrico Los Fastidios”, Prodotta da Kermit; “NOI VS TUTTI”, Prodotta da David Hoover; “TRENDSETTER FEAT JAKE LA FURIA”, Prodotta da Rik Rox; “FINE DI UN SOGNO” Prodotta da Kermit; “ANCORA QUA FEAT JAMIL”, Prodotta da A&R; “MONA LISA”, Prodotta da A&R; “LEAD NEVA FOLLOW FEAT PASKAMAN”, Prodotta da Zef e David Hoover, “REVOLUTION” feat DANTI, Prodotta da David Hoover; “SANGUE DEL MIO SANGUE” , Prodotta da Mastermaind; “JORDAN” feat Cali, Prodotta da Kermit; “AKA” feat EGREEN, Prodotta da David Hoover; “TRUST NO ONE”Prodotta da BigFish.
Una lunga gestazione, un meticoloso lavoro di ricerca sonora e musicale e messaggi pregni di significato caratterizzano “Le stelle non tremano”, il sesto album in studio di Dolcenera pubblicato l’11 settembre. L’album arriva a distanza di tre anni dal precedente “Evoluzione della specie” ed è interamente scritto, arrangiato e prodotto dall’artista. Gli undici inediti presenti nella tracklist trovano ispirazione in Kant, Platone, Gandhi, così come a Pasolini e Monicelli e si muovono tra suoni elettronici, canzone d’autore e contaminazioni orientali e africane confermando la natura eclettica di Dolcenera, sempre più cantautrice del nostro tempo. Tra filosofia, sentimenti e ricerca, Emanuela Trane disegna il percorso di un cammino che offre diverse piste da seguire. Il risultato è un’accattivante alchimia di generi che va dal pop più classico alla dance più esaltante, dal rock più graffiante al sound dell’estremo oriente. Con le sue debolezze, i suoi punti di forza e tutta la passione che la contraddistingue, Dolcenera è tornata con un progetto ambizioso, completo, innovativo che esorcizza il nostro demone comune: la paura del futuro.
Ecco quello che l’artista ci ha raccontato:
“Le stelle non tremano” è un album che non lascia niente al caso, a partire dalla data di uscita…
Tutti tendono a ricordare più facilmente la dichiarazione di guerra al mondo con il tragico attentato che ha coinvolto le Torri Gemelle di New York, invece della dichiarazione di pace nel mondo che fece Gandhi nel 1906 con la ‘Satyagraha’. Verso i tre quarti del processo di scrittura dei testi di questo album mi sono resa conto del fatto che parlavo sempre della stessa cosa, temevo che mi stessi ripetendo e mi chiedevo dove volessi arrivare. Alla fine ho capito che il filo conduttore era uno solo: combattere la paura del futuro. Mi sono resa conto che questa tematica era presente in tutti i pezzi, ognuno chiaramente prendeva un’accezione diversa però partiva sempre da una constatazione della realtà e del nostro periodo storico. Siccome l’11 settembre è il giorno in cui hanno voluto metterci paura, ho scelto questo giorno proprio per esorcizzare la paura. In “Niente al mondo”, ad esempio, ho scritto: “Abbiamo vinto/abbiamo perso ma/è il nostro tempo/per quello che ne so/ è tutto quello che ho”; c’è stata una fase in cui siamo stati bene e adesso siamo in crisi ma questo è il nostro tempo ed è tutto quello che abbiamo.
Perché contrapponi il sogno alla speranza?
Volevo scrivere una canzone sulla speranza per innescare un tipo di atteggiamento positivo. Dopo la rabbia di “Ci vediamo a casa”, un pezzo che non dava speranze in cui cantavo “La chiamano realtà questo caos legale di dubbia opportunità”, ho voluto trasformare questo sentimento in speranza contro precarietà e disgregazione. Mi sono ritrovata per caso a leggere qualcosa di Pasolini e guardare su Youtube un video di Monicelli, entrambi avevano detto in momenti diversi la stessa cosa: avevano contrapposto la speranza al sogno. La speranza è qualcosa di negativo e di passivo che ti porta a credere che ci sia qualcuno che ti possa regalare una via d’uscita; il sogno invece è attivo, porta a muoversi, ad agire. Ho capito che bisogna combattere la passività della speranza, non serve aspettarsi qualcosa se questo non viene cercato e conquistato.
Il testo di “Credo” gioca su alcuni atti di fede smontandoli subito dopo. Tu in cosa credi?
Credo nella passionalità, nella trasparenza , nella sincerità, nell’equilibrio dei sentimenti e delle forze della natura, nell’amore e nella capacità di raggrupparsi. Alla fine credo che tutto sia collegato dalle fogne fino al cielo stellato. Siamo tutti inscindibilmente collegati.
Come sei arrivata al titolo dell’album?
Il titolo nasce da una frase che è all’interno di “Fantastica”, una canzone dedicata a un amico che non c’è più e che mi ha insegnato a vivere con un sorriso, con ironia. “Le stelle non tremano” è arrivato anche perché lui studiava ingegneria aerospaziale e anche perché quando si pensa ad una persona che non c’è si tende a guardare il cielo. Un’altra motivazione è che questa frase è anche metafora di non avere paura, provare a guardare le cose da una diversa prospettiva.
Cos’è che ti fa sognare?
Mi appiglio ogni volta a qualcosa di diverso: all’amore, alla passione, allo sport (sono sempre stata una sportiva sin da bambina), alla musica. Le passioni possono essere cangianti ma ogni volta devo andare fino in fondo. Mi piace conoscere, sapere, scavare e la musica è qualcosa che ti consente di continuare ad imparare e conoscere per tutta la vita.
Dolcenera ph Paolo Cecchin
Quanto tempo ci voluto per realizzare questo progetto?
Ho scritto l’album in due anni e mezzo, quasi tre. Si tratta di un lavoro portato avanti a fasi, con tempi di pausa. Ho sempre cercato di mantenere una certa indipendenza artistica, lasciando alla persona il tempo di vivere per poter raccontare. Un lusso che mi sono concessa e che si paga in tanti modi. Ad esempio in famiglia non fanno altro che ripetermi che non mi si vede in tv. Che devo farci? Sto facendo quello per cui forse dopo andrò in tv (ride ndr).
A proposito di presenza in tv, l’esperienza del reality l’hai definita devastante…
Sì, quella sì. Sono stata la madrina di questo disastro (ride, ndr). Music Farm uno strano reality musicale con dei cantanti che avevano anni di carriera alle spalle. Fu una rivelazione il fatto che per ben due edizioni vinse ‘il giovane’ del gruppo. Quando ho fatto quell’esperienza, non avevo consapevolezza dell’età che avevo , ero più chiusa, più bambina. Anche da ragazzina non parlavo spesso, per me è stato molto difficile. In seguito ho dovuto cambiare approccio ma questo cambiamento è avvenuto solo recentemente. La cosa bella di quell’esperienza è stato il mio scoprirmi arrangiatrice. Per esempio quando c’era da fare una cover, potevo studiarla e farla mia. Mi ricordo soprattutto la mia versione di “I will survive”.
Ti capita di guardare i reality show?
Io non guardo assolutamente reality, guardo solo Super Tennis, DMax e Focus.
Parlando della minuziosa ricerca sonora che caratterizza il disco, ci racconti le tappe che hanno scandito la scelta degli arrangiamenti, in particolare quello di “Immenso”?
“Immenso” è una delle mie preferite del nuovo album. L’arrangiamento è molto particolare, moderno ma al contempo fedele alla tradizione della musica italiana. E’ un pezzo che ruota attorno a diversi punti di vista, c’è lo spazio che riempie il cuore, ma anche un vuoto che crea un abisso nell’anima. Ho lavorato veramente molto alla realizzazione di questo brano, circa due mesi. La grande scoperta è il synth suonato a reverse, una figata cosmica. Ho usato anche una tromba solista e, dato che mi è piaciuta molto, l’ho inserita in diversi pezzi. Anche il basso di questo pezzo è uno dei più belli dell’album; l’ ho programmato nota per nota al pianoforte ed è difficilissimo da suonare.
Dolcenera ph Paolo Cecchin
Come porterai tutto questo in tour?
Sono due anni che non faccio tour, non posso portare una trentina di elementi sul palco per cui dovrò capire come riarrangiare tutto con 4-5 elementi . C’è un uomo che renderà speciale la scenografia dello spettacolo, lui è Joe Campana, un super professionista che lavora con i più importanti nomi della musica italiana ma soprattutto un uomo concettuale. A dicembre ci sarà un tour teatrale e, sebbene, non si tratterà di un concerto acustico, non rinuncerò ad una parte piano e voce in cui potrò sbizzarrirmi e divertirmi di più.
Ci racconti come è nato il concept della cover e del booklet dell’album?
Conosco da anni Guido Daniele, un artista di fama internazionale, un uomo che fa parte di una generazione folle, che noi non possiamo capire. Guido mi proponeva da tempo un progetto artistico e, in quest’occasione, ha voluto coinvolgere anche il noto fotografo Paolo Cecchin lasciandomi comunque la libertà di scegliere cosa farmi dipingere sul mio corpo. Dato che per questo disco ho pensato all’elettronica contaminata da strumenti primordiali, ho pensato a circuiti e neuroni; sono un’aliena con tratti umani.
Come affronti la paura?
Riesco a superare la paura dei cambiamenti soltanto con la voglia di sorprendermi. Non posso pensare di poter fare una cosa uguale all’altra, devo poter crescere, questa è l’unica cosa che mi salva.
Il brano “L’anima in una lacrima” racchiude in sé una metafora che esprime un concetto molto intenso. A cosa o chi ti sei ispirata?
Avevo in testa questa frase a cui pian piano volevo dare un senso. Quando ho scoperto le parole di Herman Herman Hesse ho capito: “Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell’anima”. Parole diverse per esprimere un concetto simile e che possono raccontare sentimenti e situazioni differenti.
Ne “Il Viaggio” dici: “Cos’è che vedi in me tra miliardi di vite”. Un maestoso interrogativo…
Questa canzone ha una doppia dedica: in primis al mio compagno e poi ai ragazzi del mio Fanclub. Ho tradotto il tutto in forma musicale con le claps da stadio, i cori e la condivisione dei suoni che arrivano dal pubblico.
Quanto amore c’è in questo lavoro?
L’amore in questo disco è presente in tante forme: l’amore verso un progetto, verso un sogno condiviso, per la persona che ti sta accanto, colui che ti dà l’equilibrio e che ti tira fuori dalla depressione.
Dolcenera ph Paolo Cecchin
Perché hai definito il brano “Universale” come una sorta di testamento?
Questo è il mio pezzo preferito, oltre a “Immenso”. Chiaramente anche gli altri brani hanno una particolarità sia sonora che contenutistica. Questo, però, è un po’ più complicato. “Effimero è il destino di vivere sospesi” è l’intro ed è già chiaro che siamo su un altro livello. Adoro questo pezzo perché è complicato quanto lo sono io, è la sintesi totale di me. Nella terza strofa scrivo: “Determina le sorti/non è virtù dei fessi/ avere più fiducia/per credere in se stessi/ ma è come avere in mano un libro senza le parole”. Il senso è: va bene essere caparbi ma bisogna avere un contenuto, bisogna sforzarsi di riflettere, di avere un’opinione sul mondo, di studiare, di approfondire, avere la voglia di scrivere ogni giorno una frase nuova sul libro della vita.
Ogni giorno è un giudizio?
La capacità di autoanalisi è la nostra prova quotidiana. “Cerco di fare qualcosa di nuovo ogni giorno, senza paura”, così mi disse un miliardario che incrociai una volta in Sardegna. Alla fine è vero, l’attitudine a fare una cosa diversa al giorno può fare la differenza nel nostro piccolo.
Stai anche producendo dei lavori per altri?
Sì sto seguendo un ragazzo ma è ancora top secret.
Com’è lavorare con te?
Siccome io ho fatto tutto da sola, sono convinta che anche gli altri debbano fare da soli. L’ideale è scoprire qual è la caratteristica di suono più adatta alla propria scrittura. Insieme facciamo un percorso mentale e di scrittura poi chiaramente ci metto un po’ del mio per quanto riguarda gli arrangiamenti…
Quali sono i tuoi ascolti?
Non ho un gusto musicale preciso, a me piace tutto e cerco di prendere il meglio di ogni genere. Mi piace usare diverse applicazioni che mi consentono di spaziare. Non parlo solo di iTunes e Spotify, c’è anche Discover Music che mi permette di scoprire gruppi e cantautori che non hanno mai pubblicato.
Abbiamo imparato a conoscerla grazie al grande successo ottenuto negli ultimi 18 mesi. Lei è Jess Glynne, una cantautrice britannica che, dopo aver esordito al n°1 con ‘Rather Be’ (coi Clean Bandit nel febbraio 2014), è riuscita a piazzare al vertice delle classifiche anche ‘My Love’ (coi Route 94 a Marzo 2014), ‘Hold My Hand’ (Aprile 2015) e ‘Not Letting Go’ (con Tinie Tempah a Luglio 2015). Con il quinto singolo consecutivo intitolato ‘Don’t Be So Hard On Yourself’ per la Glynne arriva anche “I cry when I laugh”, l’album full lenght, pubblicato lo scorso 21 Agosto in UK ed il 28 Agosto in Italia, su etichetta Atlantic Records. Un mix di soul, di tristezza, di lacrime ed euforia attraversa le 20 tracce della deluxe edition di questo album di debutto che Jess ha fortemente voluto lottando oltre il dolore, alla ricerca di una felicità tuttavia possibile. “Questo album parla di una ragazza che era spensierata, che ha avuto qualche problema, che si è trovata col cuore spezzato, e che ha trovato la sua strada attraverso questa esperienza, non con la tristezza ma con la speranza, e non lasciandosi mai scoraggiare”, spiega la cantante introducendo un lavoro veramente variegato, forse troppo. Se è vero che all’interno della tracklist manca un discorso omogeneo, è altrettanto vero che il vero filo conduttore risiede proprio nella vocalità della Glynne, tanto versatile, quanto comunicativa. Che sia sui ritmi dance delle super hit che ci hanno fatto ballare per mesi, o sulle più intime note delle ballads all’interno del disco, i tratti black della voce della cantante dalla chioma fiammante, riescono a trovare costantemente un solido appiglio nell’ animo dell’ascoltatore.
Jess Glynne
La leggerezza di ‘Don’t Be So Hard On Yourself’ “disegna” un sorriso mentre la si ascolta, ‘Gave Me Something’ racchiude una repentina presa di coscienza individuale mentre la delicata ‘Take Me Home’ rielabora il concetto di tristezza conferendogli una nuova e più rosea sfumatura. Una delle trace di chiusura dell’album è la super ballad ‘Saddest Vanilla’, brano intenso, introspettivo, cantato con una potente carica espressiva, in cui Jess duetta con la popstar inglese che ha venduto milioni di dischi Emeli Sande, un ottimo featuring in un album che, nella sua varietà, offre un’ampia panoramica delle influenze e delle radici musicali di Jess Glynne. Tracciando un bilancio finale, “I cry when I laugh” offre alla Glynne un buon punto di partenza per limare, valutare, sperimentare e scegliere le tappe di un percorso che possa garantirle una certa continuità di resa, sia in termini di vendite che di crescita artistica.
Classe, grinta, eleganza, forza d’animo ed invidiabile apertura mentale sono solo alcune delle caratteristiche che rendono Fiorella Mannoia una delle cantanti più amate della scena musicale italiana. Diversi sono i sold out che stanno scandendo il suo Fiorella live tour 2015 ma non è una sorpresa constatare quanto il pubblico le sia rimasto fedele nel corso degli anni. In attesa di scoprire quali sorprese ci riserverà il grande evento in programma il prossimo 7 settembre all’Arena di Verona, promosso dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, che vedrà sul palco con Fiorella Negrita, J-Ax, Enrico Ruggeri,Niccolò Fabi, Loredana Bertè, Emma, Noemi e Alessandra Amoroso, ecco la photogallery con gli scatti più belli del concerto che Fiorella ha tenuto al Teatro Templi di Paestum lo scorso 10 agosto.
I toscaniTelestar(Edoardo Bocini, Marco Tesi, Francesco Baiera, Remo Morchi) tornano sulla scena musicale italiana a tre anni di distanza dal precedente lavoro discografico con “Così Vicini Così Lontani”, un album intimo, morbido, profondo, godibile che testimonia un notevole impegno compositivo. I dieci brani a metà strada fra pop, indie rock e cantautorato si scoprono poco a poco, insinuandosi nei solchi più caldi e più reconditi dell’anima. Suono, identità, contenuto ed estetica vanno a braccetto in un percorso che, pur avvicinandosi al folk, rimane saldamente legato al contesto cantautorale ampliandone il raggio d’ascolto con ricercata raffinatezza. Le premesse sono subito chiare con la bellissima traccia d’apertura “Mi Lascio Vivere”, una dichiarazione d’intenti impreziosita da chitarre e fiati: “In ogni promessa infranta mi lascio vivere, in ogni nuova scoperta, in ogni errore passato che non va più via mi lascio vivere”, cantano i Telestar, alleggerendo il tutto con l’elegante fragranza country di “Katy”. Gli irrisolti quesiti di ”Ancora Noi” lasciano affiorare domande, ricordi, dubbi in un susseguirsi di immagini prese dal calderone del passato che ritorna. Leggiadra e coinvolgente è la trama melodica di “Via Dal Tempo” mentre i due volti di “Idra” scandiscono il passaggio dal passato al presente, sancito da “Diversi”, un brano in cui decisi colpi di batteria s’intrecciano con gli archi mentre le parole ci scavano dentro.
Telestar
“Insegnami a vedere un mondo diverso”, scrivono e cantano i Telestar in “Sulla Mia Pelle”, una canzone intensa, poetica, immaginifica da ascoltare e riascoltare più e più volte. Le derive folk introspettive e malinconiche di “Lontano” affrontano con decisione le fantasie che si trasformano in polvere mentre “Il Grano Nei Campi” è il monito con cui i Telestar ci invitano a resistere mantenendo ben saldo il nostro focus mentale. A chiudere l’album è “Un Padre”, un brano che lascia trasparire tutta la consistenza della sincera riflessione estetica sul nostro “io” più profondo, ulteriormente arricchito da melodie oniriche e sottili velature folk.
“La vita è come un aquilone, se non la tieni scapperebbe via e chiede vento come vele al sole, chiede aria, fino alla pazzia, perché la vita è anche uno sguardo in silenzio mentre intorno tutti fanno rumore”. Basterebbe anche solo questo stralcio di strofa di “Come un aquilone” per intuire immediatamente le intenzioni espressive de Il Perimetro Cubo, il duo romano che pochi mesi fa ha pubblicato “L’ultima ovvietà”, un debut album che, in otto brani, riesce a raccontare l’animo umano tra sensazioni e stati d’animo altalenanti. Identità, storie e atmosfere eterogenee si muovono lungo i cardini dei più disparati generi. Si va dal rock, al country, al folk, al pop cantautorale. Partendo da un percorso di scoperta individuale, i Perimetro Cubo allargano la prospettiva di viaggio, racconto, condivisione virando verso altri lidi. Il viaggio, intenso come religione è il caleidoscopio attraverso cui conosciamo le vicende, i pensieri e i sentimenti che emergono dalle strofe dei brani racchiusi nel disco.
Perimetro Cubo
“Si cambia come niente, inevitabilmente”, cantano i Perimetro Cubo nella title track, un pezzo rock dal sapore amaro, scandito da intermittenti riff di chitarra. La freschezza strumentale di “Bambole isteriche” veleggia tra poetiche richieste di carezze al vento. Incentrato sull’insensatezza della guerra “L’ora del tè” è un brano che offre flashback di forte impatto visivo mentre la leggerezza di “Dieci” stempera i toni attraverso un continuo e giocoso rincorrersi tra parole e violino. Curioso e brillante il “Puzzle” in cui uno stesso individuo è scisso in più parti che si incontrano, si scontrano, si incrociano, si conoscono. Litri di parole scorrono senza meta e senza sosta ne “Le Onde” mentre il desiderio di tenerezza si riaffaccia, prepotente, in “Sopravvissuti alla realtà”. Il disco si chiude tra i vizi e le virtù di “Come un aquilone”, la traccia più bella e più profonda del filotto proposto dai Perimetro Cubo in un questo primo progetto sicuramente degno di ascolto ed attenzione.
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