“Il Grande Abarasse”, la recensione del nuovo album di John De Leo

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“Tutto quello che pensiate significhi, è”. Con queste parole l’innovativo compositore e cantautore italiano John De Leo ha presentato, lo scorso 7 ottobre, “Il Grande Abarasse”, il nuovo ed ambizioso album di inediti giunto a sei anni di distanza dall’ultimo progetto discografico dell’artista, su etichetta Carosello Records. In questo concept album, ambientato in un ipotetico condominio, ogni brano descrive un’esplosione improvvisa, corrispondente ad una deflagrazione interiore la cui miccia era già accesa in ognuno dei condomini. Dotato di una personalità vocale duttile e di un’attitudine sperimentale, John De Leo usa la voce come uno strumento innestandola all’interno di composizioni eterogenee, spaziando dal folk popolare, al jazz, al rock, alla musica contemporanea. Nel suo universo sonoro convivono particolari combinazioni: la sua voce dialoga con un ensemble di archi, con chitarre e una sezione fiati di legni. Originale anche la ricerca del suono: spesso gli strumenti o la voce stessa vengono filtrati, manipolati attraverso strumentazioni analogiche, dispositivi per chitarra, live looping sampler, modificati con distorsori giocattolo.

John De Leo

John De Leo

La ricerca di possibili rapporti tra suono e parola si esprime nei versi dei brani, scritti dallo stesso De Leo: allitterazioni, assonanze, dissonanze sconfinano nel neologismo o nell’onomatopea. Testi immaginifici, spesso ironici, esplorano la sfera umana e gli consentono di  raccogliere l’eredità di artisti come Demetrio Stratos, Cathy Berberian e Leon Thomas. L’originalità della ricerca vocale-musicale di De Leo e l’alchimia con cui egli combina musica, arte e letteratura lo rendono un artista unico e riconoscibile, un vero e proprio uomo-orchestra. Ne “Il  Grande Abarasse” si va dalle divagazioni sonore e pensierose di “Io non ha senso”, alle fusa in chiave jazz de “Il gatto persiano”, alle parole impossibili di “Muto (come un pesce rosso), passando per le unioni e i grovigli di corpi “Di noi uno”, la spettrale malinconia di “Primo moto ventoso”, in cui si cerca di combinare il gusto e le sonorità di due compositori come Nino Rota ed Ennio Morricone o brani come “Apocalissi Mantra Blues”, vicino al gospel eppure dotato di una propria identità.

John De Leo

John De Leo

Canzoni come armi di una battaglia ludica e creativa come “La mazurka del Misantropo”, “è già finita/Il cantante Muto” o “50 euro”, intriso di elettronica,  rendono “Il grande Abarasse” una fonte di nutrimento per menti libere e curiose. Uno dei componimenti più particolari del disco è “The Other Side of a Shadow” . Il brano vede la partecipazione del pianista e compositore Uri Caine  e contiene un interessante testo recitato, tratto da “La linea d’ombra” di Conrad, finalizzato alla creazione di un geniale sottotesto tutto da interpretare. Sono tantissimi i riferimenti musicali, letterari, cinematografici che potremmo individuare in questo disco che è ulteriormente arricchito da un ghost album, realizzato con l’Orchestra Filarmonica del Comunale di Bologna. Si tratta di sei tracce che, pur muovendosi in un territorio neutro, completano il mastodontico lavoro di John De Leo delineando ulteriori linee guida, in grado di stimolare un ascolto mai uguale a se stesso.

Raffaella Sbrescia

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Classifica FIMI: “Una nave in una foresta” dei Subsonica è l’album più venduto

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Nel gran calderone delle nuove uscite di settembre, il settimo album dei Subsonica “Una nave in una foresta” conquista il primo posto della classifica FIMI/GFK degli album più venduti in Italia. Alle loro spalle c’è il super trio Fabi-Silvestri-Gazzè con “Il padrone della festa” mentre Lenny Kravitz chiude il podio con “Strut”. Quarti i Club Dogo ed il loro “Non siamo più quelli di Mi Fist”, seguiti da “Popular Problems” di Leonard Cohen. Ancora una new entry al sesto posto: si tratta di Lady Gaga e Tony Bennett con “Cheek to Cheek”. In settima posizione ritroviamo Francesco Renga con “Tempo Reale” mentre i Modà sono ottavi con “Gioia. Non è mai abbastanza”. Chiudono la top ten altre due novità: al nono posto c’è Jamil con “Il Nirvana”, a seguire scopriamo “Mano nella mano” di Sergio Cammariere.

Od Fulmine, la recensione dell’omonimo album

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Gli Od Fulmine, il gruppo composto da  Riccardo Armeni, Fabrizio Gelli, Mattia Cominotto, Stefano Piccardo, Saverio Malaspina, presentano l’omonimo album. Un progetto discografico che racchiude e lascia confluire in sé le diverse esperienze dei singoli membri che hanno militato chi nei Numero 6, chi tra gli Esmen, chi tra i Meganoidi. Sono 10 le dieci le tracce che compongono questo saliscendi pop-rock cantautorale e che, in modo semplice ed immediato, parlano del nostro mondo in maniera squisitamente disincantata. Muovendosi tra rock e tradizione, gli Od Fulmine scelgono atmosfere notturne e crepuscolari per raccontare sentimenti urticanti e storie immaginifiche. Si parte dalle convulse chitarre di “Altrove 2” per poi continuare a cercare il senso delle cose in “Ma ah”. Decisamente più onirico è il ritmo di “40 giorni”, una ballata mistica che riprende il celeberrimo poemetto del poeta Samuel  Taylor Coleridge “ The Rime of the Ancient Mariner” su un tappeto di note elettriche, equilibrate da misurate pause meditative.   Il ricordo e la malinconia sono gli elementi chiave di “5 cose”, il brano in cui ci imbattiamo esattamente a metà dell’ascolto e che offre ulteriori spunti di riflessione intima ed individuale. La struttura classica di “Nel Disastro” lascia, tuttavia, trasparire l’epicità del naufragio sentimentale narrato nel testo che, in ogni caso, apre uno spiraglio di speranza: “Ma nel disastro mi vedrai sorridere/Sotto un diluvio ritornare in me/Di notte ho visto quello che mi manca e tu mi vieni incontro anche se non lo fai più”. Le dure chitarre inserite in “I preti dormono” conferiscono ritmo e dinamicità all’ascolto che si fa vorticoso sulle note della rabbiosa  “Ghiaccio 9” e della nostalgica allure di “Da quel giorno”. I toni si ammorbidiscono nell’enigmatica ballata voce e chitarra, intitolata “Poveri noi” per poi confluire nei ricordi lontani e sbiaditi raccontati in “Fine dei desideri”, il brano conclusivo di un album in grado di mettere insieme storie ed umori contrastanti su un unico binario interpretativo.

Raffaella Sbrescia

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Video: “40 Giorni”

“Il tramonto dell’Occidente”, l’album di Mario Venuti ci offre nuove possibili vie d’uscita. La recensione

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L’ottavo album solista di Mario Venuti è “Il tramonto dell’Occidente”, un lavoro discografico di grande qualità, sia dal punto di vista testuale che musicale. Nel ventennale della sua carriera, senza considerare la lunga parentesi con i redivivi Denovo, Mario Venuti ci offre la possibilità di fare il punto sulla nostra condizione con classe, eleganza e raziocinio. Bando agli allarmismi, alle ruberie e alla volgarità, al catastrofismo spicciolo, Venuti chiama a raccolta artisti del calibro di Francesco Bianconi, frontman dei Baustelle, e Kaballà, entrambi nella veste di autori, per mettere i puntini sulle i.

Il titolo del disco evoca l’opera di Spengler Oswald, un mastodontico tentativo di elaborare un compendio di una morfologia della storia universale. Sviluppo, fioritura e decadenza individuale assumono una valenza collettiva all’interno di un percorso cantautorale insolitamente ottimista e fiducioso. Il disco si apre con il testo riflessivo, dolente e rabbioso de “Il tramonto”, un brano che fotografa con lucidità il nostro presente: “Dal balcone l’altro giorno ho visto uno studente rovistare nella spazzatura. Nelle liste elettorali leggo nomi di maiali. Gli svantaggi della libertà, mio Signore, per favore, non aver pietà”, canta Mario Venuti, auspicando il ritrovamento della luce. Le voci di Francesco Bianconi e Giusy Ferreri s’incastrano nel refrain di “Ite missa est”, la formula latina del congedo della messa sancisce la fusione tra sacro e profano in questo brano a metà strada tra la presa in giro e l’accusa seria contro i postulanti del no future, che popolano i principali mezzi di comunicazione. Il coro polifonico Doulce Memoire colora e riempie i tratti di quella che rappresenta a tutti  gli effetti una presa di coscienza: “Io esco solo di domenica, osservo bene quest’umanità, mi sembra come una parabola biblica. La fine della nostra civiltà”.

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

Dolce e delicata è invece la trama de “I capolavori di Beethoven”, una preziosa ballad in cui Venuti duetta con Franco Battiato omaggiando il grande compositore che, nonostante la sordità, fu in grado di scrivere le più importanti pagine della storia musicale mondiale. La ricerca della forza nel disagio traspare a più riprese mentre “ Il ritorno inatteso della povertà ci insegna, finalmente, l’idea dell’abbondanza”. La prescrizione indicata in questo frangente è trasformare una mancanza o un handicap fisico in un punto di forza, un modo del tutto innovativo di rivoluzionare se stessi ed il proprio modo di pensare. Curioso l’intermezzo strumentale di “Perché”: violini, archi e violoncello accompagnano un insolito collage di sample tratti dalla discografia di Venuti mentre frammenti musicali orchestrali del “Concerto all’aperto di Giorgio Federico Ghedini” richiudono il vortice autocitazionista.

Bellissima e particolarmente azzeccata è la lucida analisi che Mario Venuti fa delle periferie italiane in “Ventre della città”. Cattive coscienze convivono con cuori vergini in posti troppo spesso dimenticati dagli uomini e in storie conficcate come pugnali nel ventre della città. Anche in “Passau a Cannalora”, il brano in dialetto siculo, cantato insieme a Bianconi e Kaballà, Venuti lascia trasparire un forte legame con la terra e con le radici. Sant’Agata, patrona della città di Catania, è la destinataria di un’accorata preghiera in cui il cantautore auspica il ritorno dell’antica bellezza di posti incantevoli distrutti dalle mani dell’uomo. Echi rivoluzionari riempiono le note di “Arabian boys”, un racconto ispirato agli episodi avvenuti durante la Primavera Araba: “Né cariche, né bombe, né dannati canti di sirene fermarono l’amore che accendeva la rivoluzione”, canta Venuti, dando spazio ad uno slancio inaspettatamente positivo.

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

Mario Venuti Ph Amleto Di Leo

“Niente esiste, tutto appare e nulla è come è”, scrive il cantautore in “Tutto appare”, duettando con Alice. Il brano si chiude con la massima di ispirazione ungarettiana “Solo quello che non siamo, solo questo so” mentre la periferia italiana cerca e trova contatti con quella americana in “Ciao american dream”, il riuscito adattamento di “Ashes of American Flags” dei Wilco. Che sia il dio dollaro o l’antica lira, la sete di denaro rimane il peggiore di tutti i mali anche in “Il Banco di Disisa”, un’antica leggenda che, attraverso poche profonde parole, rappresenta la metafora dell’avidità umana.  In antitesi con la traccia di apertura, l’ultimo brano del disco è “L’alba”. Il brano vede la partecipazione del giovane cantautore palermitano Nicolò Carnesi, una collaborazione voluta dallo stesso Venuti, come segno di incoraggiamento e fiducia verso le nuove generazioni: “Io sto camminando verso l’alba che per sua natura nasce ad est e sto recitando un altro mantra. Prendo più coscienza, cerco me”. Questo doloroso viaggio musicale si conclude, dunque, con una nuova, inaspettata consapevolezza, un nuovo stimolo per cominciare a ripensare il nostro modo di vivere e per cercare nuove possibili vie d’uscita.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Ventre della  città”

IL TRAMONTO DELL’OCCIDENTE IN TOUR” toccherà i club e i teatri di tutta Italia.

Queste le prime date confermate:

12 novembre  Roma (Orion Club)

13 novembre  Milano (Magazzini Generali)

14 novembre  Firenze (Viper Theatre)

26 novembre  Padova (Geoxino)

27 novembre a Bologna (Bravo Caffè, con un set elettro-acustico)

4 dicembre a Palermo (I Candelai)

18 dicembre a Catania (ZO Centro Culture Contemporanee).

I biglietti per i concerti sono disponibili in prevendita

Rockalvi Festival 2014: musica e solidarietà al Parco dei Camaldoli

Rockalvi Festival 2014 ph Luigi Maffettone

Rockalvi Festival 2014 ph Luigi Maffettone

La grinta, l’energia, l’entusiasmo, l’operatività e la solidarietà sono gli ingredienti chiave del Rockalvi Festival. La manifestazione musicale diretta Peppe Guarino, giunta alla VII edizione, si è svolta lo scorso 26 e 27 settembre 2014 nel bellissimo ed imponente Palco dei Camaldoli di Napoli. Dopo aver lasciato la consueta location di Calvizzano, anche grazie alla collaborazione con l’Associazione Sasquatch, il Rockalvi si è proposto al pubblico partenopeo con audacia e determinazione. L’intento principale della manifestazione indipendente è stato quello di lanciare un importante messaggio di solidarietà devolvendo tutti i proventi  all’Associazione Camilla la stella che brilla Onlus. L’ente che, ispirandosi alla storia della piccola Camilla (affetta dalla sindrome di West), si è trasformato in un solido punto di riferimento per tanti bimbi disabili che, giorno dopo giorno, si trovano a dover lottare, non solo contro la malattia, ma anche contro la mancanza di sostegno da parte delle strutture preposte, che dovrebbero garantire loro le necessarie sedute di fisioterapie riabilitative.

Rockalvi Festival 2014 ph Luigi Maffettone

Rockalvi Festival 2014 ph Luigi Maffettone

Sorretto dalle generose sottoscrizioni del pubblico entusiasta, il Festival ha invitato alcuni rappresentanti di spicco dello scenario musicale indipendente italiano, che hanno scelto di ridurre o annullare il proprio cachet, facendosi portavoce di una causa benefica che dal 2008 è stata protagonista di un’ininterrotta gara di solidarietà. Dopo aver riscaldato i motori con la prima serata del 26 settembre, durante la quale si sono esibiti i Bud Spencer Blues Explosion, definiti giocolieri del rock’n’roll, i talentuosi Plastic Made Sofa e gli scatenati partenopei de La Bestia Carenne, la serata di chiusura ha subito ospitato un’ anteprima assoluta: Francesco Di Bella (ex 24 Grana), Alfonso Bruno Fofò, Claudio Domestico (Gnut) e Dario Sansone (Foja) hanno emozionato il pubblico con una formazione inedita, battezzata per l’occasione con il nome di Ballads & Wine; penne, chitarre e sensibilità a confronto per un momento di autentica poesia.

Rockalvi Festival 2014 ph Luigi Maffettone

Rockalvi Festival 2014 ph Luigi Maffettone

L’altro attesissimo ospite della serata è stato il cantautore Riccardo Sinigallia che, ormai da svariati anni, gode del sostegno e dell’ apprezzamento di un pubblico amante delle sue canzoni delicate ed intimiste. In chiusura il giovane cantautore partenopeo Antonio Manco e l’atteso Alex Paterson (direttamente dai mitici The Orb, padrini dell’ambient house). Per i più resistenti spazio anche all’ elettronica con Elem ovvero Marco Messina (99 Posse), Emanuele Errante (Dakota Suite) e Fabrizio Elvetivo (Illàchime Quartet), accompagnati dalla videoartista Loredana Antonelli; una line up eterogenea e di qualità che completa un’iniziativa meritevole di sostegno e plauso, che ha saputo coinvolgere la cittadinanza, pur muovendosi in un contesto socio-politico certamente non facile.

Fotogallery a cura di: Luigi Maffettone

Rockalvi Festival 2014 ph Luigi Maffettone

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“Hanno paura di guardarci dentro”, la recensione del nuovo album de Le Strisce

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Con “Hanno paura di guardarci dentro” Le Strisce inaugurano una nuova importante fase del proprio percorso musicale intrapreso nel 2008. Insieme all’etichetta indipendente Suonivisioni, Davide Petrella (Voce – Testi); Francesco Zoid Caruso (Basso); Enrico Pizzuti (Chitarre); Andrea Pasqualini (Chitarre); Dario Longobardi (Batteria) hanno realizzato un album in grado di penetrare nelle dinamiche evolutive delle ultime generazioni. Già a partire dall’evocativo titolo, questo disco, composto da ben 14 tracce, racchiude un immediato messaggio di denuncia contro una società geriatrica del tutto indifferente nei riguardi delle esigenze, dei sogni e dei progetti dei più giovani. Sguardi d’insieme, taglienti e diretti, si lasciano cullare da ritmiche incalzanti, chitarre spinte, veloci giri di batteria attraverso parole arrabbiate ed affilate al punto giusto.

Le Strisce

Le Strisce

Forte dei 7 brani, più due hit, scritte insieme a Cesare Cremonini per “Logico”, Davide Petrella si è lasciato andare alla scrittura in maniera più sicura e disinvolta raccontando questi anni che ci hanno messo rabbia addosso.  La traccia di apertura è “Nel disagio”, un brano amaro ed evocativo che, attraverso una potente miscela di suoni e parole arriva dritto al cuore. Accompagnato dal particolare videoclip realizzato da Tiziano Russo, “Nel disagio” ci introduce subito al centro del nucleo semantico di questo album: “Avrebbero dovuto dircelo che non c’è via d’uscita da questa epoca noiosa che ci stringe a sé”, canta Davide, e poi, ancora, “E che non conosciamo il mondo abbastanza da andargli incontro. I giorni non sanno di niente,  i ragazzi bruciano per sempre. Le linee della mano si intrecciano e come corde si spezzano”.

I sogni cancellati e gli anni che non ritornano più indietro sono i demoni descritti in “Fantasmi” mentre la storia di “Andrea” racchiude i tratti essenziali di tante vite simili alla sua, a cavallo tra perdizione e annullamento. “Ci pensi mai” è, in assoluto, il brano in cui Petrella e soci sparano a zero sui grandi mali della nostra società, in cui corruzione e demagogia sono in piazza” e pongono interrogativi diretti e scomodi proprio ai giovani, grandi protagonisti di questo album: “Ci pensi mai se il nostro posto è sempre stato questo”, “hanno paura di guardarci dentro perché non ci troverebbero niente, solo un mare di cazzate e di luci spente, tanto non c’è più chi guarda e chi sente”. L’inno all’”hic et nunc” de “Gli artisti” ed il citazionismo insito in “Comete” cedono il passo all’emotività di “Dentro”, un brano intimo, struggente, immaginifico: “Ogni vita si intreccia con un’altra e si dice basti solo un momento”, una frase veritiera, diretta che, come un colpo al cuore, ci pone di fronte alle nostre egoistiche attitudini socio- culturali.

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Pugni in faccia ci arrivano anche da “Cosa deve fare un giovane d’oggi per poter ridere”. Noi, destinati a non avere certezze, a non avere paura, a non trovare nessuno con la risposta pronta, a non conoscere la verità, siamo una “Beat Generation” assuefatta ad un mondo di buffoni (2012). Un grande caos che, tuttavia, non ci slega dalla vita. Pur avendo speso “troppo tempo a correre ingoiando rabbia e polvere” sogniamo talmente forte da avere per sempre mal di testa.  Bellissimo anche il testo di “Persa”: anche se non c’è strada per correre, se non ci sono più certezze ma solamente dei forse, rimane l’autenticità dei sentimenti, l’ultima risorsa a cui l’uomo può fare riferimento per salvarsi. Le Strisce chiudono questo intenso lavoro discografico con un ultimo eloquente monito, racchiuso in “Non è destino”: “qualunque strada hai da prendere, tu non ti perdere”; parole che, proprio come l’intero album, ci invitano a riflettere sul significato più autentico di ciò che ci circonda e che, una volta in più, lasciano trasparire la naturalezza, l’entusiasmo e la voglia di esprimersi di un gruppo abituato ad usare la musica per dirci qualcosa di utile e sensato.

Raffaella Sbrescia

Video: “Nel disagio”

“Joe Patti’s Experimental Group”, un album elettronico e sperimentale per Franco Battiato

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Franco Battiato torna alle origini con “Joe Patti’s Experimental Group”, un album che prende il nome dallo zio materno del cantautore e che riprende da vicino le sonorità che l’artista aveva proposto al pubblico durante gli anni ’70, proponendosi, di fatto, come antesignano dell’avvento dell’elettronica all’interno dello scenario musicale mondiale. “Joe Patti’s Experimental Group” è un album sperimentale che ben si sposa con la linea visionaria che, da ormai svariati decenni, accompagna e caratterizza i contenuti proposti da Franco Battiato. Per un artista come lui, a cui non interessa rassicurare il pubblico né tantomeno le conferme e le osannazioni, lui che utilizzò il VCS3 sei mesi prima che andasse sul mercato, ancora prima che venisse utilizzato dai Pink Floyd, che utilizzava filtri e oscillatori a proprio piacimento, oggi si propone con questo nuovo lavoro elettronico, in cui Carlo Guaitoli suona pianoforte, tastiere e sintetizzatori, ora cantando, ora vocalizzando, ora declamando in svariate lingue.

Scritto e realizzato insieme a  Pino “Pinaxa” Pischetola, uno dei migliori ingegneri del suono in Italia, da tempi lontani collaboratore di Battiato, coautore del nuovo album, a cui sono affidate la programmazione e le ritmiche computerizzate, “Joe Patti’s Experimental Group” riprende brani registrati tra il 1970 ed il 1972 completandoli attraverso dimensioni arcaiche, assolutamente uniche e peculiari. L’album si apre con “Leoncavallo”, un brano che si ispira a quello che Battiato esegui per la prima volta al Centro Sociale Leoncavallo di Milano nel 1972. Una dimensione liquida, contaminata, innovativa in cui gli echi e riverberi diffusi danno spazio alla voce: “Le pareti del cervello non hanno più finestre”, canta l’artista, penetrando nella realtà delle cose come se avesse la capacità di avvertirne le asperità e le dolcezze. Grazie alla sua andatura controcorrente, lontano da abitudini e preconcetti, Battiato conserva uno sguardo fanciullesco con cui filtrare il senso delle cose. Il suo caleidoscopio di suoni, effetti e rumori lascia emergere in superficie le emozioni: commozione, stupore, godimento, meraviglia  smuovono proprio quelle asfittiche pareti di cervelli anestetizzati dall’omologazione latente.

Franco Battiato

Franco Battiato

Riverberi, echi, incursioni ritmiche, improvvise aperture ed inquietanti ilenzi, pianoforte rarefatto e percussioni violente, insieme a lontane e perturbanti voci liriche, sono gli ingredienti chiave di “Joe Patti’s Experimental Group”. Battiato analizza il fondo dell’ombra in “Le voci si fanno presenze” mentre l’atmosfera rarefatta dell’ “Omaggio a Giordano Bruno”  immerge l’ascolto in un contesto mistico. Il risucchio vorticoso di “Come un branco di lupi” stempera la propria drammaticità nell’aulico fascino di “The Implicate Order”. L’atmosfera è minimale e Battiato dirige il rumore come fosse un’orchestra, cantando in tedesco e poi in arabo con padronanza assoluta. L’ultimo brano è “Propiedad prohibida”, una delle tracce di “Clic” che, qui, viene ripresa con il titolo in italiano “Proprietà proibita” è anche il primo “singolo” estratto da questo lavoro di avanguardia che rappresenta, a tutti gli effetti, la summa del percorso artistico di Battiato.

Tutti gli appuntamenti live di Franco Battiato:

27.10 FOLLONICA Teatro Fonderia Leopolda

28.10 GENOVA Teatro Politeama

29.10 PIACENZA Teatro Politeama

31.10 CESENA Teatro Carisport

01.11 SENIGALLIA Nuovo Teatro La Fenice

03.11 MILANO Teatro Nazionale

04.11 LIVORNO Teatro Goldoni

07.11 TORINO Lingotto Alfa MiTo Club To Club

09.11 TRENTO Auditorium Santa Chiara

10.11 VERONA Teatro Filarmonico

11.11 ROMA Teatro Olimpico

13.11 UDINE Teatro Nuovo Giovanni da Udine

Per acquistare i biglietti su TicketOne, clicca sul banner in alto a destra!

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“Una nave in una foresta”, il nuovo album dei Subsonica. La recensione

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Nel corso di 18 lunghi anni, costellati di successi, i Subsonica ne hanno fatta di strada. Oggi, con l’uscita di “Una nave in una foresta”, il settimo album in carriera, la band piemontese approda ad un nuovo stadio di maturità che li pone faccia a faccia con la realtà di un decennio a cui approcciarsi diventa sempre più difficile ed alienante. La foresta in cui si destreggiano Samuel, Boosta, Max, Ninja, Vicio, è un groviglio di stati d’animo in subbuglio, una tempesta di sguardi ora smarriti, ora inquieti, ora euforici, ora sognanti. La fonte primaria delle storie raccontate in “Una nave in una foresta” sono gli uomini comuni e i loro tentativi di ordinaria sopravvivenza. La sottile trama che lega tra loro le dieci tracce comprese nell’album è la forza di volontà, la voglia di reagire, che fa a pugni e lotta a viso scoperto con feroci malinconie e con dinamiche politiche spesso finalizzate a privare l’uomo della propria dignità.

Ad occuparsi della stesura dei testi dei brani sono stati Samuel e Max mentre la ricerca e la costruzione strumentale dei brani ha visto tutti i Subsonica all’opera, al centro di una rinnovata alchimia creativa. Ad inaugurare il disco è la title track “Una nave in una foresta” in cui una serie di lucide e pregnanti allegorie dà forma ai più reconditi pensieri: “Ed a volte ti vedi unico, una nave in una foresta. Altre volte ti senti intrepido…come un fiore in una tempesta ed a volte ti vedi stupido, una lacrima ad una festa, altre volte ti credi libero, un cavallo sopra una giostra, ed a volte ti vedi limpido, il mattino in una finestra, altre volte ti senti arido, come un gesto che resta in tasca”. Versi di una vera e propria poesia che vale la pena di citare se non per intero, almeno in gran parte. Frasi che danno un senso ai nostri corsi e ricorsi mentali mentre il nostro mondo scivola, molto più che lentamente, verso un altro oblìo.

L’unicità della vocalità calda e sensuale di Samuel si sposa alla perfezione con l’incandescente nebulosa strumentale di “Tra le labbra”. Un ritmo coinvolgente, ipnotico riesce ad insinuarsi nella psiche, lanciando nervi e muscoli fuori dal torpore contemplativo delle ombre scure nell’alba di una città che non riconosce i propri figli. Lo stile jungle, ispirato al drum and bass dei Pendulum, racchiude l’essenza strumentale di “Lazzaro”, un brano che trae ispirazione dallo smarrimento generale per rilanciare un indispensabile ed incalzante messaggio di rivalsa e di rinascita sia individuale che collettiva. “Attacca il Panico” rappresenta, invece, un incontro ravvicinato con lo stato di apnea esistenziale, un tuffo in un vespaio di paure mentre il sangue si gela osservando giorni di tenebra assoluta. Il cantato sibilato velocemente da Samuel si allinea con una base line frenetica: “siamo stanchi delle illusioni appiccicate sotto i banchi”, l’amore è un’invenzione che lacera”, “qui nella mente ho il futuro che scivola”, si tratta, dunque, di una full immersion negli inferi più oscuri che trova nuova luce nella dimensione ovattata, a metà strada tra pop e new wave, di “Di Domenica” un focus sulle nostre esistenze che, anche grazie al videoclip girato da Luca Merli, ci consegna un’immagine matura e consapevole di una band in grado di commuoverci e di farci ballare senza soluzione di continuità.

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Il dub sound de “I Cerchi degli alberi” scandisce l’urgenza con cui i Subsonica parlano a più generazioni. Un ritmo ossessivo, a tratti perturbante, racconta un sogno d’amore, tenuto in vita da promesse sgualcite e che si barcamena tra scenari apocalittici.  Un’anima fuori servizio è, invece, la protagonista di “Specchio”, un brano musicalmente vicino al funk, che descrive il restringimento della gioia, del tempo, dello spazio, dei sentimenti e che ci invoglia a recuperare i tratti peculiari delle nostre esistenze sospese nel vuoto. Con un sottotesto legato al delicatissimo tema dell’anoressia, questo brano potrebbe rappresentare uno spunto per nuove inedite iniziative per i Subsonica, tutte ancora da progettare.

Ispirato alla Ritmo Abarth nera parcheggiata nei pressi dello studio di registrazione del gruppo, l’omonimo brano racchiude una sottile vena amarcord che fluisce nell’irrequietudine notturna di “Licantropia”. Un brano perfetto per un club notturno in cui i ricordi si azzannano, si squarciano, si annientano mentre i pensieri affogano in un marasma organico. Lo spiraglio di luce ci viene offerto da “Il Terzo Paradiso”, la traccia che chiude “Una nave in una foresta” e che vede la partecipazione di Michelangelo Pistoletto. Unico ospite di tutto il disco, l’artista, esponente di spicco dell’arte contemporanea in ambito internazionale,  ha raggiunto i Subsonica nella solitaria casa di campagna, ai margini del bosco, in cui l’album è stato scritto, pensato, cercato, costruito, ed ha prestato la sua voce ad una canzone che, ripercorrendo le fasi salienti dell’involuzione umana, ci restituisce ad ogni individuo un ruolo centrale e di grande responsabilità nella costruzione di un “Terzo Paradiso”,  l’opera planetaria di cui siamo tutti autori. Il finale in dissolvenza, dalla bellezza mistica, ci congeda da “Una nave in una foresta”, un lavoro innovativo, originale e assolutamente attuale che, anche dal vivo, saprà offrirci nuove attese suggestioni.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Di Domenica”

“Pareidolia”, il nuovo album di Marina Rei. La recensione

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Marina Rei torna con un nuovo disco intitolato “Pareidolia”, in uscita il prossimo 30 settembre su etichetta Perenne, con distribuzione Universal. Il fenomeno subcoscienziale, che esprime la tendenza istintiva ad individuare strutture ordinate e forme cognitive familiari in immagini disordinate, dà il titolo a questo nuovo lavoro discografico, il nono per Marina Rei, in cui l’artista rinnova le proprie vesti prestandosi ad una chiave strumentale tendente al rock. Attraverso la collaborazione con Giulio Ragno Favero (One Dimensional Man, Il Teatro degli Orrori), che dura ormai da due anni, il disco di Marina Rei lascia trasparire una particolare cura e ricerca del suono che, seppur prevalentemente rock, offre numerosi spunti sonori.  Si parte dal trittico iniziale composto da “Avessi artigli”, “Ho visto una stella cadere” e dal singolo “Lasciarsi andare”: l’intensa interpretazione di Marina Rei, si fonde e si miscela con vesti sonore dolci e coinvolgenti, lasciando alle parole spazio vitale e potenza immaginifica. Figure retoriche, metafore, struggimento e desiderio s’intrecciano lasciando trasparire una nuova maturità vocale e artistica di Marina che, suonando anche la batteria, riesce ad offrire al pubblico un’immagine completa del suo essere artista a 360 gradi. La dicotomica contrapposizione semantica tra la trama de “Il Sole”, in cui Marina canta di un disperato bisogno d’amore, e “Del tempo perso”, un possibilista messaggio di incoraggiamento è data dal netto contrasto di sonorità tra i due brani.  Struggente e mielosa è “Se solo potessi”, una ballad incentrata sul tema dell’amore incondizionato mentre di tutt’altra fattispecie è la title track “Pareidolia”, in cui Marina Rei duetta con Zona Mc e Off Muziek, inserendosi in un contesto sonoro a metà strada tra l’elettronico ed il rap. Speranza e disincanto si fronteggiano nella trama agrodolce di “Vorrei essere” mentre “Un semplice bacio” rappresenta un vero e proprio inno alla semplicità. La bellezza poetica di “Fragili” si sposa felicemente con un arrangiamento onirico con tendenza dissolvente sul finale mentre la chiusura del disco è affidata a “Annarella” una versione crepuscolare del brano dei CCCP, ulteriore testimonianza della versatilità interpretativa di Marina Rei che, con “Pareidolia”, torna ad emozionare il pubblico con grazia ed eleganza.

Raffaella Sbrescia

Video: “Lasciarsi andare”

Fabrizio Moro in concerto all’Arenile Reload, l’ultima data del tour è all’insegna delle emozioni

Fabrizio Moro @Arenile Reload

Fabrizio Moro @Arenile Reload

Lo scorso 19 settembre Fabrizio Moro ha concluso “L’inizio tour” con un concerto tenutosi presso l’Arenile Reload di Bagnoli. Un’atmosfera intima e raccolta ha accompagnato l’ultimo step di un percorso pieno di soddisfazioni per il cantautore che, nelle sue canzoni, riesce a dedicare spazio sia ai temi politici e alla denuncia sociale che ai sentimenti e all’amore, una scrittura versatile e attenta che, da anni, gli consente di interagire empaticamente anche con un pubblico molto giovane. Accompagnato dalla sua band, l’artista ha ripercorso le tappe salienti della propria discografia senza trascurare i brani tratti dal suo ultimo lavoro “L’inizio”.

Fabrizio Moro @Arenile Reload

Fabrizio Moro @Arenile Reload

Carico e grintoso, Fabrizio si è divertito a coinvolgere il fedelissimo pubblico accorso sottopalco con “L’indiano”, “Fermi con le mani”, “Soluzioni”, “Respiro”, “Io so tutto” dando risposte a domande che fanno paura e fornendo spunti per potersi porre nuovi urgenti interrogativi. “Banale spiegazione”, “L’eternità”, “Non è una canzone” è la triade di canzoni che ha preceduto la parentesi acustica del concerto, dedicata a “Il senso di ogni cosa”, “Eppure mi hai cambiato la vita”, “Sono solo parole”: cuori e voci si sono strette le une alle altre regalando una bella suggestione pacifica e romantica.

Fabrizio Moro @Arenile Reload

Fabrizio Moro @Arenile Reload

Per il rush finale Fabrizio ritorna a parlare alle problematiche sociali con “Sono come sono”, “Da una sola parte”, “Libero”, la celeberrima “Pensa” e  “Parole, rumori e giorni”, canzoni che, attraverso il piglio rock della carica interpretativa di Moro e gli arrangiamenti caratterizzati da lunghe e potenti scariche di chitarra, hanno lasciato una traccia tangibile  ed un importante messaggio di riscatto sia individuale che collettivo.

Raffaella Sbrescia

 

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