A distanza di tanti anni Enrico Ruggeri è ancora capace di rinnovarsi e rinnovare quello che gli sta intorno. Lo scorso 18 marzo è uscito, infatti, “Frankenstein 2.0″, che non è affatto una versione rimaneggiata e corretta del primo “Frankenstein”, pubblicato lo scorso anno dall’artista, si tratta, bensì, di un lavoro con un vestito sonoro realizzato ad arte in maniera del tutto artigianale, corredato da ben 4 inediti di pregevole manifattura. L’album è stato anticipato dal fortunatissimo singolo intitolato “L’onda”, un brano assolutamente geniale che, dal punto di vista musicale, strizza l’occhio alla new wave e alla disco music anni Settanta e Ottanta. Il brano è destinato a rimanere a lungo in vetta in virtù di un testo pieno zeppo di riferimenti al sistema sociale, politico e culturale in cui ci ritroviamo a vivere. “Parlano di pace, politiche future mettono in campo congetture e poi seguono l’onda, l’onda. Indignazione, la contaminazione
immigrazione, religione e poi seguono l’onda, l’onda”; Enrico sa pungere e lo fa senza sconti, alla sua maniera, certo, elegante e puntuale, l’artista condanna la falsità e l’ipocrisia di una politica pronta a millantare promesse e a saltare sul carro del vincitore.
“Ecco l’onda che ti dice tutto quello che ti piace la colomba della pace che ti guida con la voce purchè si nuoti sull’onda… Poeti,santi, naviganti portati dall’onda, l’onda; europeisti tanto comunisti innovatori perbenisti plasmati dall’onda, l’onda”: il testo presenta parole forti, chiare, dirette, trasparenti ed eloquenti quanto basta per capire che Ruggeri ha inteso molto bene come stanno i fatti: l’onda ti dice quello che ti piace, decreta poeti e santi, stabilisce quali sono le idee vincenti e quali non lo sono, plasma modi di fare, atteggiamenti e modi di essere, il tutto mentre “fragili e smarriti senza direzione” viviamo “addomesticati dal miraggio della partecipazione”. Enrico Ruggeri critica l’omologazione e il buonismo, il tutto portando in risalto il suono a presa diretta. All’interno di “Frankenstein 2.0″ sono presenti anche due collaborazioni: quella con Pico Rama (all’anagrafe Pier Enrico Ruggeri, primogenito del cantautore con cui Enrico duetta sulle note di “Insegnami l’amore”), e quella con Dargen D’Amico (con il quale Ruggeri ha riarrangiato “Per costruire un uomo”, già presente in “Frankenstein”).
Enrico Ruggeri
Enrico Ruggeri fa dell’elettro-rock un punto di forza ed un tratto distintivo: “Non avrò paura di cercare ali dentro di me, canta l’artista in “La voce della Nave”, mentre “seguiamo la nostra ambizione e l’anima resta in prigione”. Frankenstein è un un simbolo di ribellione, una voce che segna i confini della condizione reale, un campanello d’allarme per un’umanità che ha oltrepassato il segno, un richiamo ispirato che, dietro il divertissement di un arrangiamento trascinante e ballereccio, nasconde messaggi forti, chiari, onesti. Autore e inventore di se stesso e delle proprie scelte Enrico Ruggeri non fa sconti e non fa calcoli; conoscenza, amore e voglia di cambiare sono i suoi assi nella manica, l’artista si muove fuori dalle consuetudini perché “chi sa stare solo è padrone della vita”, canta in “Aspettiamo i superuomini”. C’è tanta rabbia in “In un paese normale”: “C’è chi dovrebbe pagare il conto… di chi ha venduto le città non dovrebbe restare traccia”, scrive e denuncia Ruggeri, in una dichiarazione d’amore per un paese che non riesce a smettere di accumulare errori. Per concludere e completare il discorso l’artista sta portando “Frakestein 2.0” anche nei teatri con uno spettacolo ricco di sorprese ed una seconda parte dedicata all’interazione col pubblico attraverso i social networks.
È on line il videoclip di “Dannate nuvole”. Il super singolo di Vasco Rossi anticipa il nuovo album di inediti previsto per il prossimo 4 novembre e ha già riscontrato numerosi consensi grazie ad un testo potente e ad un’indovinata ritmica a metà strada tra ballad e rock. Il videoclip della canzone, ispirata alla lettura di “Zarathustra” di Nietzsche, porta la firma di Swan e propone la figura del Blasco mentre fluttua in un non luogo e cammina sui pezzi di un ghiacciaio disciolto, metafora di quel “niente dura” cantato a più riprese nel brano. Immagini molecolari, granulari, fantascientifiche s’insediano in un paesaggio onirico e assai nebuloso mentre Vasco Rossi, nel ruolo di un demiurgo del dolore, provoca con i suoi mille interrogativi sospesi tra malinconia e disincanto. “Quando cammino su queste dannate nuvole, vedo le cose che sfuggono dalla mia mente. Niente dura niente, niente dura e questo lo sai però non ti ci abitui mai”, canta il rocker di Zocca, mentre gocce d’acqua e pezzi di Bonsai si frantumano in uno spazio asettico. Quasi profetico è l’intervento di Stef Burns che, attraverso le rockeggianti note un travolgente guitar solo, colora di energia testo e musica; sottili filigrane multicolor irradiano l’aria circostante rilasciando positività e ottimismo: “Quando mi sento di dire la verità sono confuso, non sono sicuro, quando mi viene in mente che non esiste niente, solo del fumo, niente di vero. E forse lo sai. Però tu continuerai”, canta Vasco, andando davvero oltre le nuvole, oltre la realtà contingente, oltre il pensiero legato all’hic et nunc. Scene di vita quotidiana, estratte dal tran tran di gente comune, occupano lo spazio di alcune scene finali del videoclip che, seguendo una struttura ciclica, si richiude con lo stesso scenario d’apertura ma con un piglio diverso: “Niente dura – è la chiusura dell’ultima strofa – però tu non ti arrenderai” chiosa, sornione, il Komandante, seguendo la sua proverbiale indole imprevedibile ma soprattutto incitando a vivere.
Zibba, all’anagrafe Sergio Vallarino, rappresenta una delle più valide e interessanti realtà del nuovo cantautorato italiano. Sulle scene dal 1998 con gli Almalibre, Zibba ha raggiunto una maturità artistica dettata da una consapevolezza importante: uno sconfinato amore per la scrittura e per la musica. “Senza pensare all’estate” è l’ultimo lavoro, in ordine di tempo, del cantautore che pur avendo già riscontrato importanti e prestigiosi riconoscimenti come il Premio Bindi e la Targa Tenco, ha avuto la voglia e il coraggio di rimettersi in gioco sul palco del Festival di Sanremo nella categoria giovani. Con il brano intitolato “Senza di te” Zibba si è aggiudicato il Premio della Critica “Mia Martini” e il Premio della sala stampa radio-tv-web “Lucio Dalla” nella Sezione Nuove Proposte e, ad oggi, è l’ artista indipendente più trasmesso dalle radio. In questa intervista il cantautore apre le porte del suo mondo fatto di parole calde e messaggi diretti al cuore.
“Senza pensare all’estate” raccoglie una serie di fotografie musicali del suo percorso artistico, tra disegni di sogni e intime confessioni… ci racconta la genesi di questo lavoro approfondendo, in particolare, la cura per la ricerca analogica del suono e aggiungendo qualche pensiero che risale alla fase di scrittura di testi così intimi?
Questo è un lavoro importante sia per il modo in cui è stato affrontato da noi come band sia per le sue canzoni. Alcune fanno parte della nostra storia, altre appartengono al nostro presente e in qualche modo anche al futuro. La ricerca è partita dalla scelta dei brani, accurata e piuttosto difficile, seguita da una serie di prove. Abbiamo scelto di registrare in diretta, utilizzando tecniche e modi che ricordassero il concerto. Registrato e mixato in analogico per mantenere questo spirito live, il tutto è stato processato come fosse un disco di quarant’anni fa. Le canzoni seguono un filo conduttore ed è per questo che non è stato facile sceglierle. La direzione artistica di Andrea Pesce ci ha aiutato molto sia nella fase post che in quella creativa in sala prove. Si tratta di un disco che ci è piaciuto nella sua idea e che ci piace per come è venuto. I testi racchiudono simbolicamente uno sguardo alla totalità del mio modo di scrivere, rappresentando fasi temporali diverse, che vanno dalla quasi adolescenza fino al mio domani.
“Senza di te” ha ottenuto un grande riscontro mediatico, anche grazie al successo legato al Festival di Sanremo, eppure è sempre opportuno sottolineare l’importanza della frase “ti chiedo perdono per le cose che do scontate”… Secondo lei la forza emotiva del brano può risiedere nella facilità di identificazione, da parte dell’ascoltatore, nelle parole della canzone?
Credo di sì. Lavorare in questi anni sulla ricerca stilistica di alcuni grandi autori, come Giorgio Calabrese, al quale abbiamo dedicato un album nel 2013, mi ha aiutato a riscoprire una semplicità di scrittura che è propria di un modo ormai quasi inusuale di fare canzone. Le chiavi sono sempre la semplicità e la fantasia di chi ascolta che vuole il suo spazio per immedesimarsi e sentirsi parte della canzone.
Come descriverebbe la particolarissima struttura de “La Saga di Sant’Antonio?
Si tratta di un omaggio alle sonorità del Tom Waits dei primi anni ottanta. Quello dei dischi con i quali ho iniziato ad amare il suo modo di fare musica. La canzone parla di un uomo solo lasciato a pensare a se stesso e alla sua morte. Questa è una canzone che continuo ad amare, nonostante gli anni, perchè racconta qualcosa che, anche se non strettamente mio, forse parla di un me che potrebbe arrivare a tutti.
In “Nancy” canta “Amo la musica perché mi porta ovunque e da questo ovunque mi riporta via…” Quali sono le strade che riesce a percorrere grazie alle note?
Tutte. Senza aver mai voglia di smettere. Nancy racconta della mia esperienza teatrale e di un amore viscerale per la vita, di quanto la musica sia sposa del mio modo di vivere le giornate regalandomi sempre stupore e bellezza. Le strade non sono mai abbastanza quando si ha carburante in abbondanza e questo lavoro è un continuo rigenerarsi e ricaricarsi di nuova energia.
Zibba Ph Nicolò Puppo
Qual è, invece, l’idea da cui nasce “Bon Vojage”?
Una canzone estremamente autobiografica, che racconta di me in quei giorni del 2009. Anno strano, partivano amici e fidanzate e io rimanevo qui a sperare in un po’ di attenzione, che arrivò poco dopo grazie proprio a quel disco che nel duemiladieci ci portava sul palco del Tenco. Mi innamoravo di tutto perchè volevo amare a tutti i costi. Questa canzone è nata per le strade di Parigi nel mio vagabondare perso alla ricerca di nuove emozioni.
Molto delicata è la frase “oggi resto perché hai bisogno, domani vorrò farlo perché avremo un sogno… si tratta di un messaggio di speranza?
Si tratta di un messaggio chiaro che dice: “Oggi hai bisogno e mi sta bene stare qui anche se vorrei mandarti a fare in culo. Resto, ci provo. Perchè meriti cura e perchè io merito qualcuno come te ma troviamoci un motivo più grande, che non sia la debolezza, per stare insieme”. In qualche modo c’è anche speranza sì, intesa, però, nel modo meno romantico. Scegliersi per la vita è una cosa difficile ma poi quando ti scegli e ne sei consapevole è grandioso in tutti i suoi aspetti.
Come si è evoluto negli anni il rapporto artistico con gli Almalibre e come riuscite a trovare l’equilibrio necessario per creare gli arrangiamenti su misura per queste bellissime poesie?
La serenità è alla base di tutto. Per arrivare ad essere in armonia tra noi siamo dovuti passare dal peggio. Come diciamo nella canzone del festival è importante saper riconoscere i propri errori per ripartire proprio da quelli e costruire qualcosa di importante. Siamo diventati il gruppo di persone che volevamo essere. Amici, famiglia. Una super squadra che si conosce molto bene.
Zibba e Almalibre Ph Nicolò Puppo
Qual è la sua forma mentis musicale, alla luce del fatto che è ormai giunto al suo sesto lavoro discografico?
Sempre e comunque in evoluzione come tutto. Fondamentale. Non smettere di aver voglia di crescere e imparare è l’unico modo che conosco per affrontare qualunque cosa nella vita e nella musica.
Uno dei suoi commenti più recenti, relativi al tour in corso, è stato “La musica è di tutti, le canzoni lo sono”… sarà ancora questo il suo mantra per le prossime canzoni che scriverà?
Assolutamente sì. La musica è un fatto collettivo: parte da un singolo per diventare di tutti e tornare di nuovo indietro in altra forma. La mia intima visione delle cose sta vivendo dei nuovi input e trova forza in un nuovo metodo creativo che mi sta divertendo e affascinando. Adesso ho proprio voglia di scrivere e ho scoperto che mi piace ancora farlo perchè lo faccio in modo diverso. La voglia di scrivere non si esaurisce, a volte si perde la strada ma basta fermarsi e osservare l’orizzonte o le stelle per capire dove siamo.
Come sta vivendo la dimensione live e che prospettive ha per il futuro?
Nel futuro ci sono concerti fino alla morte e dischi fino a che avrò voce. Inoltre sto prendendo le misure con l’essere padre, la sfida più grande che ci sia. Voglio continuare a stare bene, trovare sempre nuove cose per far vibrare il tutto. Un percorso meraviglioso che non ha mai fine.
Raffaella Sbrescia
Si ringraziano Zibba e Tatiana Lo Faro di Parole e Dintorni per la disponibilità
Il prossimo 22 aprile Claudio Domestico, in arte Gnut, pubblicherà “Prenditi Quello Che Meriti”, il suo terzo album di inediti, edito dall’etichetta torinese INRI. Undici tracce delicate ed intimiste raccontano le avventure e le emozioni di Claudio che, nel corso degli anni, si è dedicato anima e corpo alla musica. Lunghi viaggi, notti insonni, mille progetti e mille sogni hanno dato vita ad un lavoro che intende seguire una direzione diversa dal passato. “Prenditi quello che meriti” racchiude un messaggio preciso, diretto, semplice ma efficace, un invito alla costruzione di se stessi e del proprio destino. A poco meno di un mese dall’uscita del disco, abbiamo sentito Claudio per lasciarci conquistare dal fascino dei segreti e degli aneddoti che hanno dato vita ad un piccolo grande capolavoro.
Perchè ti definiscono uno chansonnier errante?
Più che adun motivo musicale, questo appellativo è forse dovuto alla vita che faccio, ho vissuto Milano dal 2007 al 2011 e sono due tre anni che mi sposto così velocemente da non avere fissa dimora. Sono napoletano ma quando mi chiedono dove vivo, la mia risposta è “non lo so”.
“Prenditi quello che meriti è, non solo il titolo dell’album, ma anche un monito importante…come lo motivi?
Mi piaceva molto l’idea di un usare un titolo del genere perché ha una valenza sia positiva che negativa: se non sei stato abbastanza bravo da costruirti un futuro che ti piace è anche giusto che tu non riesca a raggiungerlo. D’altro canto, però, se semini bene, raccogli bene altrimenti no. Inoltre penso che quando una persona si costruisce piano piano un suo obiettivo, a prescindere da quale esso sia, il raggiungimento di quest’ultimo rappresenta la più grande soddisfazione che si possa avere. In sintesi si tratta di un consiglio che do sia a me stesso che a tutti coloro che ascolteranno le mie canzoni.
Claudio Domestico Ph Alessandra Finelli
Questo terzo disco nasce dopo una lunga gestazione. Quali sono i retroscena, i pensieri, le intuizioni che si nascondono tra le note di questo lavoro?
Sono canzoni che ho iniziato a scrivere nel 2008, quando ancora stavo registrando l’altro disco. Ho girato tantissimo e ho fatto tante altre cose, colonne sonore, produzioni artistiche, progetti paralleli… si tratta di testi che ho scritto di notte o quando avevo un po’ di tempo per stare da solo, quelle poche volte che non mi trovavo a condividere casa con qualcuno. Terminata la fase della scrittura, ho deciso di registrare andando in giro dai miei amici musicisti: ho registrato i violoncelli e le chitarre acustiche con Mattia Boschi, la sezione fiati nel soggiorno di un altro amico poi sono sceso di nuovo a Roma e ho registrato i pianoforti a casa di Fish, altre chitarre a casa di Roberto Angelini. Poi ho raccolto il tutto e sono andato a Sorrento per rifinire il lavoro. In quell’ occasione riaffiorarono gli incontri, i ricordi, le emozioni, i viaggi… e, ancora oggi, mi emoziona molto riascoltare l’album.
Il tema portante dell’album è il viaggio. Rifacendoci alle parole del singolo “Non è tardi”, si tratta di un viaggio “contro un mondo che non ci risponde”?
I viaggi sintetizzano un po’ tutti gli aspetti della vita: ci sono momenti in cui ti senti capito, altri in cui ti senti solo, momenti in cui il tuo vicino di posto in treno diventa il tuo migliore amico… Si tratta di una sintesi della vita, una buona valvola di sfogo per raccontare il proprio percorso.
Come nascono i featuring presenti nel disco e, in particolare, quello con Giovanni Gulino dei Marta sui Tubi in “Fiume lento”?
Io e Giovanni ci conosciamo da un po’ di anni perché anche lui si è trasferito a Milano intorno al 2005-2006, ci incontravamo alla Casa 139 e sono andato a sentire tante volte i Marta dal vivo. Spesso parlavamo di come sarebbe stato bello fare qualcosa insieme, qualche volta ho aperto qualche loro concerto, Mattia Boschi ha suonato nel mio disco e, anche se a distanza, Giovanni ha seguito l’ evoluzione di questo lavoro. Poi c’era questa canzone” Fiume lento” e una sera ho detto a Giovanni che, secondo me, questo brano poteva essere quello giusto per cantare insieme e lui ha accettato. A Milano, durante un pomeriggio, abbiamo provato il pezzo, ci siamo emozionati perché ci è piaciuto un sacco. L’intuizione era stata giusta, mi ero immaginato dei cori che lui poteva fare nel secondo ritornello e alla fine è andata più che bene! Dopo le prove ci siamo abbracciati, siamo contenti e adesso non vediamo l’ora di cantarla insieme dal vivo.
“Prenditi quello che meriti e dona a chi merita quello che puoi, dona a chi merita la tua poesia… sono parole forti e dirette…
Per stare in pace con sé stessi , l’unica cosa che si può fare è cercare di realizzare i propri obiettivi guadagnandoseli, con questo brano vorrei cercare di spingere me stesso e chi ascolta ad essere migliore. Non ci sono doppi fini, se hai qualcosa da dare, dallo a chi lo merita… è un meccanismo simile al karma “prendi e dai”.
Gnut Ph Alessandra Finelli
“Nun saccio se è amore o guerra ma ‘o segno resta, ‘o segno resta”, canti nella drammatica “Solo una carezza”, come sei riuscito a rendere per iscritto il dramma di una storia vera?
In realtà si tratta di un brano che ho scritto dopo che mio padre mi raccontò la storia di sua nonna, una storia di fine 800. Questa donna fu costretta sposare un uomo che le aveva fatto violenza per costringerla a sposarlo e, quando mio padre mi raccontò questa storia, un paio di anni fa, rimasi completamente scioccato perché ero cresciuto inconsapevole di una cosa così allucinante. Fortunatamente c’è stato un lieto fine perché quel personaggio cattivo dopo un po’ è morto e lei, in seguito, è riuscita a trovare un altro giovane uomo che l’ha sposata e, insieme, hanno dato vita a mia nonna. La forza di questa donna che ha combattuto per la vita che meritava, il suo percorso, la sua reazione sono un esempio da seguire. Ecco perché dopo il racconto mi sono messo subito a scrivere per poter raccontare la storia nella maniera più lineare possibile. Il risultato è una piccola magia, tutti i parenti si commuovono quando la sentono…
“Foglie di Dagdad” ed “Estate in Dagdad” hanno un segreto in comune… qual è?
Sono sempre stato affascinato dalle accordature aperte ma sono molto pigro e, ogni volta che in passato ho cercato di usare un nuovo tipo di accordatura, dopo un po’ mi annoiavo e non riuscivo a trovare le soluzioni che cercavo. Due estati fa mi è capitato di fare un incidente in macchina e ho avuto dei problemi alla mano per cui non riuscivo a suonare con tutte le dita, potevo usarne solo due, avevo voglia di suonare ma non sapevo cosa suonare e quindi ho accordato la chitarra in questo modo strano. Grazie all’uso di due dita sono riuscito a comporre “Estate in Dagdad”, me la sono suonata 20-30 volte al giorno perché era l’unica cosa che riuscivo a suonare, la volevo intitolare in un altro modo ma, memore del fatto che sono smemorato, ho scelto di intitolarla “Estate in Dagdad” così, tra dieci anni, se la dovrò risuonare, mi ricorderò dell’accordatura e non avrò problemi dal vivo (ride ndr). Dopo un po’ ho scritto anche “Foglie di Dagdad” e ho scelto di creare questo gioco di parole, guardando la lista dei titoli delle canzoni, mi sono reso conto che Dagdad faceva pensare sia un posto che ad una pianta e quindi ho sorriso pensando alle eventuali interpretazioni delle pubblico. Adesso, però, sto suonando “Estate in Dagdad” con accordatura normale e la chiamo “Estate in accordatura normale”…
“In dimmi cosa resta” ti esponi davvero molto in frasi come ”Guardami negli occhi e dimmi cosa vedi” cosa intendi comunicare in questo brano?
In realtà questa canzone è nata dopo un litigio con una persona a cui tengo molto, cioè mio padre. Ci sono un po’ tutte le cose che ciascuno di noi si sente dire o dice quando ci si scontra con una persona che si ama in un momento di forte rabbia. Si tratta di uno sfogo in cui, nel ritornello in particolare, si evince che quando due persone si vogliono bene e ci sono dei legami d’affetto profondi, guardarsi negli occhi diventa ancora più importante, soprattutto nei momenti di rabbia. Questa canzone vuole quindi creare proprio un contrasto tra una musica allegra e solare e questo rinfacciarsi cose cattive…
“Per ogni vittoria, ci sono cento sconfitte”?
Questa è una frase che ho scritto per “Torno”, un brano che ho composto dopo che ero tornato da 14 concerti e 200-300 km percorsi ogni volta… Gli ultimi live erano stati particolarmente avvilenti perché si erano tenuti in contesti poco carini come pizzerie dove parlavano tutti, una cosa allucinante. Dopo tutto questo giro incredibile, ero tornato a casa alle 5 e mezza del mattino, era quasi l’alba, quel momento del giorno in cui ritorna la luce e le notti che sono trascorse ti attraversano gli occhi e il viso, mi sono guardato allo specchio e sentivo l’esigenza di dovermi sfogare, non stavo bene in quel momento e, mentre scrivevo le parole del testo, mi sono reso conto che stavo raccontando un milione di ritorni a casa in cui torni deluso o soltanto stanchissimo per tutto quello che stai cercando di dare e non ti è tornato abbastanza. Ho scritto le parole in maniera molto veloce, ho registrato il brano su un piccolo registratore che avevo, si erano ormai fatte le 6.30, non riuscivo più a tenere gli occhi aperti, sono andato a dormire e l’ho messa nello scatolone con le altre canzoni che stavo raccogliendo. Ritrovandola mi ha colpito il fatto che, leggendo il testo, non ho rivisto solo quella notte, ne ho riviste davvero tante altre e quindi mi sono fatto un pò tenerezza nel constatare il tentativo di combattere tutte queste notti e di portare a casa un sorriso e di accettare tutte le sconfitte godendo delle piccole soddisfazioni. Scoprire che le nostre vite si somigliano e che, dopo essermi raccontato, possa trovare delle persone che si ritrovano in quello che ho scritto è una sensazione che mi fa sentire meno solo, si tratta di uno scambio magico e meraviglioso che mi fa alzare la mattina sentendomi felice.
Gnut Ph Alessandra Finelli
Facendo un gioco di parole con il testo di “Universi”: Cosa prendi? Come spenderai il tuo tempo? Come ti senti?
Prendo tutto quello che posso e che penso di meritarmi, spenderò il mio tempo come ho fatto fino ad adesso, cercando di esprimere quello che sento quello che vedo, vivendo come ho fatto finora. Oggi mi sento molto bene, ogni tanto stanco, però mi stanco a fare cose che mi piacciono.
In “Passione”, la bellissima reinterpretazione dell’intensa canzone di Libero Bovio, hai creato un particolare passaggio dal temporale al canto degli uccellini…come mai questa scelta?
Si tratta di un discorso molto semplice: quando ho iniziato a registrare non sapevo quanto sarebbe durato il disco e, nel momento in cui ho realizzato che chiesto in tutto durava 30 minuti, mi sono accorto che era troppo poco tempo e che mi serviva un altro pezzo, quindi ho deciso di fare una cover. Avevo scoperto “Passione” da 3-4 mesi , ero in una fase emotivamente sensibile a quelle parole, a quell’atmosfera, a quella melodia, inoltre era la canzone che suonavo ogni volta che mi trovavo da solo, alle 4-5 di notte mi chiudevo in una stanza e la suonavo, era diventata morbosamente mia. Dunque serviva un altro pezzo per il disco e decisi di inciderla; il fonico, dall’altra stanza, mi disse di chiudere la finestra perché in quel momento stava piovendo, io, invece, gli dissi di posizionare un microfono proprio vicino alla finestra per registrare la pioggia e ho realizzato questa versione chitarra e voce del pezzo. Il problema si presentò, quando, alla fine della canzone, c’era ancora questo temporale in corso e, considerando che volevo sceglierla come finale del disco, stavolta il mio intento era quello di lasciar emergere un mio lato più solare per cui ho inserito il cinguettìo finale sfumando il temporale.
A che punto è il progetto legato alla realizzazione di un libro per bambini, che vedrà anche la collaborazione di Alessandro Rak?
Un paio di anni fa regalai a mio nipote un tamburo e, mentre eravamo ad un cenone di Natale, lui arrivo da mE e mi disse che aveva scritto una canzone intitolata “Il Pupazzo strapazzato”, poi tornò e mi elenco altri titoli meravigliosi, li segnai tutti sul cellulare e li ho tenuti in bozze per mesi. Dopo un pò mi sono ricordato di avere questi 8 titoli sul cellulare, sono tornato a casa e mi sono messo a scrivere queste canzoncine durante un’estate di due anni fa. Ho iniziato a registrarle piano piano e infatti non ho ancora finito perché, nel frattempo, ho fatto tante altre cose. Intanto è uscita “L’arte della felicità”, il film di Rak e lo staff del film ha lavorato pomeriggi interi a queste canzoncine durante la lavorazione del film. Ci siamo organizzati per curare il progetto insieme con delle illustrazioni da abbinare a queste canzoni e piccoli corti animati… vorrei realizzare un libro con tutte le illustrazioni, come quelli con le copertine morbide, organizzare dei concerti per bambini, ma ci vorrà un po’ di tempo perché Rak è impegnatissimo tra vari lavori e anche io…
Che rapporto hai con i Foja?
Sono molto amico di Dario Sansone da 3-4 anni. Ci siamo conosciuti meglio grazie a Gino Fastidio, che è un amico comune, poi ci siamo inventati il progetto Tarall &Wine con dei pezzi in napoletano, su tutti “L’importante è ca staje buono” e, verso la fine di quel periodo, c’erano anche i Foja che dovevano registrare il loro secondo disco. Io venivo da un altro paio di produzioni che avevo fatto tempo prima, si era creato un ottimo rapporto di amicizia, conoscevo bene tutti i membri del gruppo e, in virtù di una stima reciproca molto forte, mi hanno chiesto di rimanere in famiglia e io ho accettato. Ci siamo messi a lavorare per quattro mesi alle loro bellissime canzoni ed è una bella esperienza sia dal punto di vista umano che artistico. Sono molto soddisfatto del risultato e, quando posso, sono ospite ai loro concerti.
Cosa ci anticipi del progetto “Nevermind” in napoletano con Gino Fastidio e Jonathan Maurano?
E’ nato tutto per caso anche questa volta. non vedo l’ora che esca questo progetto perchè è la cosa più divertente che abbia mai fatto in vita mia! In realtà è nato tutto all’Angelo Mai a Roma, che in questo momento sta vivendo un momento molto difficile, l’ si tenevano delle serate a tema intitolate “Long Play”: diversi artisti si esibivano interpretando un disco intero con la scaletta originale e mi hanno chiesto di partecipare al progetto. Il fatto è che io sono molto pigro nello studio dei pezzi degli altri: o mi viene come passione o diventa solo studio. Da ragazzino suonavo i Nirvana con Gino Fastidio e gli ho chiesto di rifare “Nevermind”. Lui è stato molto contento e, durante le prove, ci siamo molto divertiti perché lui si inventava delle cose che facevano davvero ridere e mi è venuto in mente che a Napoli, durante gli anni 70 /80, c’erano gli Shampoo, un gruppo che interpretava i pezzi dei Beatles in napoletano, per cui e ho pensato che, in omaggio a questo gruppo, potevamo chiamarci i Balsamo… ognuno di noi ha un alter ego, io, per esempio, suono il basso…
In conclusione, tra Tarall &Wine, le mie serate, i Balsamo e i pezzi per bambini la mia vita è molto piena. Il percorso per sentirsi arrivati è ancora lungo ma, forse, è meglio non sentirsi mai arrivati perché altrimenti ti spegni e non hai più voglia di fare le cose.
Raffaella Sbrescia
Si ringraziano Claudio Domestico e Stefano Di Mario di Metratron per la disponibilità
I Baustelle firmano la colonna sonora de “I corpi estranei”, il film di Mirko Locatelli che racconta la drammatica storia di Antonio (Filippo Timi), un padre che si ritrova ad affrontare, in completa solitudine, la terribile malattia del suo piccolo bimbo Pietro. Antonio è solo, non riesce a comunicare con nessuno, le sua tragica esistenza si perpetua attraverso i suoi occhi e i suoi gesti. I suoi lunghi silenzi gridano più di mille parole.
Baustelle
A scandire questi momenti di indicibile sofferenza è la poesia delle parole e la maestosità delle note de “Il Futuro”, uno dei brani più intimi e più profondi dei Baustelle, incluso nell’album “Fantasma”. Il videoclip del brano, girato proprio dal regista Mirko Locatelli, è ambientato tra le mura di un ospedale specializzato in oncologia pediatrica. Sguardi e silenzi lasciano che le immagini colpiscano direttamente al cuore e allo stomaco. Il dolore è straziante: Rachele Bastreghi, Francesco Bianconi e Claudio Brasini condividono la scena del video con Filippo Timi e Jaouher Brahim (coprotagonista del film); corpi estranei, per l’appunto, sfiorano porte, muri e finestre tra i corridoi della vita: “E potremo anche avere altre donne da amare e sconfiggere l’ansia e la fragilità, e magari tornare a sbronzarci sul serio nella stessa taverna di vent’anni fa. Ma diversa arriverà la potenza di un addio o la storia di un amico entrato in chemioterapia; e la vita che verrà ci risorprenderà ma saremo noi ad essere più stanchi. Il futuro cementifica la vita possibile. Qui la vista era incredibile, da oggi è probabile che ciò che siamo stati non saremo più. Il passato adesso è piccolo ma so ricordarmelo”, i Baustelle affondano il coltello del dolore fino alla radice della piaga, l’effetto è talmente insopportabile da rubare letteralmente il respiro.
Ecco spalancarsi le finestre, una boccata d’aria a pieni polmoni ricaccia la vita dentro un corpo estraneo persino a se stesso, il duello con l’ossigeno è magistralmente espresso attraverso un epico arrangiamento profumato di rimandi western. I Baustelle fanno i conti col tempo mentre i rintocchi finali del brano scandiscono e definiscono un futuro più che mai ipotetico.
Si terrà da martedì 8 aprile a mercoledì 16 aprile l’annuale appuntamento con “Milano per Gaber”, la rassegna promossa dalla Fondazione Giorgio Gaber, con il sostegno del Comune di Milano, della Regione Lombardia, della Provincia di Milano, in collaborazione con il Piccolo Teatro.
Divulgare l’opera e il messaggio di Gaber, come si sa, è l’obiettivo principale della Fondazione che, anno dopo anno, mira al coinvolgimento delle giovani generazioni in attività culturali di approfondimento. Ad introdurci agli eventi di “Milano per Gaber” è il Presidente della Fondazione Paolo Dal Bon.
Presidente, quale sarà lo spirito della nuova edizione di “Milano per Gaber”?
La manifestazione appartiene ad una sana tradizione iniziata nel 2007 e che non si è mai interrotta. Purtroppo, con gli anni, l’entità della programmazione è un po’ diminuita parallelamente al calo dei contributi da parte del Comune e delle istituzioni. In ogni caso quest’anno siamo riusciti a mettere insieme un bel progetto, la caratteristica principale di questa edizione sarà un netto orientamento verso il binomio delle figure di Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci e, d’altro canto, non poteva che essere così. Jannacci è stata una persona molto importante per Gaber, è stato l’amico di una vita ma anche l’artista che ha condiviso, più di altri, un pezzo del suo percorso. Ad un anno dalla scomparsa di Enzo ci sembrava veramente doveroso far coincidere l’edizione di Milano per Gaber con l’anno di ricorrenza della morte di Enzo e dedicare almeno tre eventi al binomio Gaber- Iannacci che, è evidente, sarà il traino di questa edizione.
Nell’ordine cominceremo con un’iniziativa all’Università Cattolica di Milano dove, come di consueto, approfondiremo alcuni aspetti dedicati a Gaber, sia dal punto di vista teatrale che culturale. In questo caso saremo con il professore Fausto Colombo e approfondiremo alcune tematiche legate alle attività di Gaber negli anni ‘70. L’11 aprile, presso l’Auditorium Testori della regione Lombardia, ci sarà un appuntamento con il Coro de I Piccoli Cantori di Milano, che quest’anno festeggia 50 anni di attività, con cui abbiamo già collaborato in passato. Visto che ci rivolgiamo soprattutto ai giovani, ci fa molto piacere che questo coro si sia occupato negli anni di Gaber. Abbiamo già fatto un concerto di Capodanno nel 2011, abbiamo rappresentato lo spettacolo anche al Teatro Strehler e, in quest’occasione, presenteremo un concerto dedicato a Gaber e a Jannacci: i bambini canteranno naturalmente i brani più popolari del duo, quello più vicini alle loro corde. Ci saranno anche contributi filmati e l’intervento di disegnatori e fumettisti professionisti che parleranno della dimensione ludica legata ai due artisti.
In seguito passeremo al Piccolo Teatro di Milano, che è l’istituzione con cui abbiamo maggiormente collaborato da quando la manifestazione esiste, e che quest’anno ci ospiterà in occasione di 3 eventi: il primo è previsto per il 14 aprile al Teatro Paolo Grassi dove ci sarà un incontro di approfondimento su Gaber- Jannacci con Massimo Bernardini, Paolo Rossi, Paolo Iannacci e Ricky Gianco. Faremo vedere molti contributi audiovisivi, comprensivi di moltissimi inediti, raccolti negli archivi della Rai. Questi contributi saranno assolutamente originali e molto interessanti. Tra i tanti, annuncio le immagini di “Aspettando Godot”, lo spettacolo che nel 1991 Gaber e Jannacci fecero insieme quando Gaber era direttore artistico del Teatro di Venezia. Il giorno dopo, il 15 aprile, ci sarà un’edizione particolare di “Milanin Milanon”, uno spettacolo storico, incentrato sulla tradizione milanese, che ha visto protagonista Enzo Jannacci, fin dalla sua prima edizione. Fu proprio Gaber, che non potà partecipare al progetto, a suggerire il nome di Jannacci. L’edizione viene riproposta da Filippo Crivelli e dall’organico artistico che ha realizzato le ultime rappresentazioni artistiche di “Milanin Milanon”, con un’attenzione particolare ai due indimenticabili artisti milanesi.
Chiuderà la manifestazione il concerto di Rossana Casale, previsto per il 16 aprile, sempre al Paolo Grassi. Lo spettacolo s’intitola “Il Signor G e l’Amore”, uno spettacolo che ha debuttato lo scorso anno al Festival Gaber, che abbiamo organizzato in Versilia, e che, dopo la serata di aprile, verrà proposto durante una tournèe teatrale, in una versione rivisitata in chiave jazz. Ad accompagnare Rossana Casale saranno Emiliano Begni (pianoforte), Francesco Consaga (sassofono), Ermanno Dodaro (contrabbasso).
E il Premio Giorgio Gaber per le nuove generazioni?
A maggio ci sarà la nuova edizione dell’evento che speravamo di portare già da quest’anno a Viareggio. Il Premio Gaber per le nuove generazioni è aperto alle scuole ma ci sono state troppe iscrizioni, a fronte di una disponibilità alberghiera in Versilia non altrettanto certa. Per questa ragione abbiamo preferito rimanere nella sede naturale del premio che è ad Arcidosso. L’anno prossimo vedremo se riusciremo ad organizzarci in maniera tale da ospitare i nuovi ragazzi in Versilia per allargare gli orizzonti, anche in termini di visibilità del Premio.
Qualche anticipazione circa il Festival Gaber?
Certo, quest’anno ci sarà anche il Festival Gaber che, mentre lo scorso anno si articolava su 7 comuni della Versilia, quest’anno ne coinvolgerà quantomeno il doppio! Evidentemente l’edizione passata ha fatto sì che si creasse un volano virtuoso di aggregazione anche da parte di altri comuni… vi assicuriamo tante bellissime sorprese!
Raffaella Sbrescia
Si ringraziano Paolo Dal Bon e Goigest per la disponibilità
Programma Milano per Gaber
Università Cattolica del Sacro Cuore
8 aprile 2014, ore 17.30
Giorgio Gaber
tra libertà e appartenenza
a cura di Fausto Colombo
con la partecipazione di Claudio Bernardi
Auditorium Testori – Palazzo Lombardia
11 aprile 2014, ore 18.00
I Piccoli Cantori di Milano
direzione musicale di Laura Marcora
Piccolo Teatro Grassi
14 aprile 2014, ore 20.30
Gaber e Jannacci
Incontro-Spettacolo
intervengono, tra gli altri, Massimo Bernardini, Ricky Gianco, Paolo Jannacci e Paolo Rossi
Piccolo Teatro Grassi
15 aprile 2014, ore 20.30
Milanin Milanon
a cura di Filippo Crivelli
con Cino Bottelli, Lorenzo Castelluccio, Mario Cei, Valentina
Ferrari, Rosalina Neri, Riccardo Peroni, Anna Priori, Luca Sandri
Piccolo Teatro Grassi
16 aprile 2014, ore 20.30
Il Signor G e l’amore
con Rossana Casale
Emiliano Begni (pianoforte), Francesco Consaga (Sax Alto e Soprano),
Alessandro Errico è un cantautore comparso sulle scene della musica italiana a metà degli anni ’90. Dopo uno sfolgorante inizio di carriera, Alessandro decise improvvisamente di lasciare il palcoscenico per ritrovare una dimensione di equilibrio, necessario per assimilare e comprendere se stesso e le proprie necessità personali e artistiche. Nel corso del tempo Alessandro si è dedicato a svariati progetti e, a distanza di tanti anni, ha deciso di tornare sulle scene a modo suo e con i suoi tempi. Scopriamo come, in questa intervista che l’artista ci ha gentilmente concesso.
Alessandro, il tuo percorso artistico nasce nel 1995 e ha attraversato una serie di fasi molto diverse tra loro… come si è evoluta la tua ricerca musicale nel tempo?
Proverò a raccontare 15 anni della mia storia facendolo a grandi linee. Ho pubblicato due dischi nel 1996 e nel 1997 ottenendo un discreto successo. A quei tempi avevo 19 anni e, probabilmente, ad un certo punto ho spezzato un po’ la corda; ho sentito l’esigenza di prendermi il mio tempo e fare un percorso diverso per ricominciare a crescere. Il successo a volte ti toglie la possibilità di seguire i tuoi tempi, io ero un ragazzino iscritto al primo anno dell’università, volevo capire quello che mi succedeva intorno. Ho fatto una serie di , anche non lontane dalla musica, ho realizzato un progetto discografico prodotto da Gianni Maroccolo, ho lavorato con Edoardo Sanguineti dedicandomi ad un genere più di nicchia. Questo disco rappresenta, quindi, una sintesi tra quello che facevo un tempo e quello che ho fatto in tempi più recenti. Con il singolo “Il mio paese mi fa mobbing” sono partito da una musica molto popolare per arrivare ad un tipo di ricerca avanguardistica.
Alessandro Errico
Quali sono la storia, la genesi e gli obiettivi del brano “Il mio paese mi fa mobbing?
Si tratta di una lettera. Ho pescato nella tradizione epistolare, il mio referente è un presidente a cui racconto come vivo il mio paese e quello che il mio paese mi fa. Questa è l’unica canzone che ho scritto di getto in vita mia ed è effettivamente uno sfogo rielaborato perché, in fin dei conti, la forza di una canzone è riuscire ad essere il più possibile universale. Ho cercato di raccontare non solo quello che ho vissuto durante la mia esperienza di 15 anni da precario ma ho anche voluto raccontare cosa significa vivere in un paese come il nostro, in chiave ironica. Odio la polemica sterile del muro contro muro, dell’uno contro uno. Credo che un artista vada valutato non solo per le sue canzoni ma anche per la sua coerenza, nonché per la capacità di raccontare qualcosa senza entrare nei meccanismi della polemica sterile.
“La guerra si combatte tutti i giorni e tutti i giorni si muore un po’”?
Il riferimento principale di questa frase è “Le Déserteur”, una canzone pacifista di Boris Vian, cantata anche da Fossati con una traduzione bellissima. Il personaggio principale del brano non vuole andare in guerra, è un disertore che non ha armi e non sa sparare. Io ho riletto questa canzone in maniera tagliente, il mio paese mi ha portato a dire “Maledizione, io armi non ne ho”. Questo paese è quello che ti porta a dire che sei in guerra, una guerra diversa dal disertore di Vian, una guerra non convenzionale come può essere quella del mobbing, qualcosa che in molti hanno sperimentato sulla propria pelle sottoforma di un continuo e lento disgregarsi dell’anima e della mente, a causa di fattori esterni che non sono ben identificabili.
Ci racconti la tua esperienza di #sanremoperforza?
Il retroscena è molto situazionista. L’idea era quella di fare riferimento alle scelte dei selezionatori del Festival con canzoni che parlavano solo di sentimenti. In un periodo così drammatico per il paese, fare un festival in chiave intimista non è il massimo della coerenza ma, onde evitare la solita polemica pre-sanremese, mi sono chiesto come avrei potuto fare per raccontare un’altra realtà e mi sono inserito subdolamente con finti scoop e finte pagine di giornale ed è stato un divertente corto circuito tra finzione e realtà …Tutti mi chiamavano per chiedermi perché non mi fossi esibito sul palco ed è stato stranissimo! Alla fine, attraverso questo gioco, io ed il mio staff siamo riusciti a parlare di lavoro e di crisi in un contesto che non dovrebbe essere una zona franca.
A cosa stai lavorando adesso? Ci sono nuovo brani pronti per l’album? Che prospettive hai?
In realtà non sono convinto che l’album implichi il fine di un progetto. Sento che quello sia un po’ uno schema, un paradigma che nasceva qualche anno fa, quando ancora esistevano i cd. Per quanto mi riguarda è già uscita una canzone qualche mese fa, molto diversa da “Il mio paese mi fa mobbing”, s’intitola “Mai e poi mai”. Dopo 15 anni di assenza vorrei portare avanti un discorso un po’ più a lungo termine ed entrare in un circuito diverso da quello classico.
E per quanto riguarda la dimensione live?
Sto preparando qualcosa di molto speciale che annuncerò sui miei canali… sto cercando di capire come fare per portare questa lettera al suo legittimo destinatario!
Raffaella Sbrescia
Si ringraziano Alessandro Errico e Alessandra Placidi per la disponibilità
Valeria Vaglio è una cantautrice pugliese. Il suo percorso si avvicina alla musica fin dalla più tenera età. Attiva sostenitrice di Amnesty International e delle campagne contro l’omofobia, Valeria è anche direttrice dell’etichetta discografica Bobo Records. Da oggi, venerdì 28 marzo, è in rotazione radiofonica “Il mio vizio migliore”, il primo singolo estratto dal terzo omonimo album di inediti, disponibile in digital download e su tutte le piattaforme streaming.
Abbiamo raggiunto Valeria al telefono per raccogliere le sue impressioni su questo disco ma anche per imparare a conoscere la sua personalità forte e decisa.
“Il mio vizio migliore” è il titolo del tuo terzo album. In queste 10 tracce c’è tanta emotività e tanto spazio ai sentimenti. Quali sono i fatti a cui ti sei ispirata e con quale spirito hai lavorato a questo disco?
Questo non è nato come un disco completo, ho scritto man mano delle cose senza pensare che sarebbero finite in un album. I contenuti sono abbastanza eterogenei: si parla di tante cose che mi sono successe ma anche di fatti che non ho vissuto in prima persona. Per me scrivere è soprattutto il frutto di una necessità. Dopo 4 anni ho sentito che il momento di scrivere qualcosa di nuovo era arrivato senza pensare alla situazione attuale della discografia italiana. Nelle mie canzoni parlo non solo di me ma anche degli altri e questa cosa l’ho riscontrata anche negli altri due dischi precedenti. Per quanto differenti possano essere le vite che viviamo, le problematiche da affrontare sono le stesse e non c’è niente di più bello che ritrovarsi nelle parole di un’altra persona.
“Torna presto” è uno dei brani più toccanti del disco. Come mai hai scelto di dedicare spazio ai pensieri di un soldato?
Si tratta di un tema che mi tocca molto, non ho parenti in esercito ma c’è stato un periodo in cui questo era un argomento molto trattato, e anche se oggi non fa più notizia, lo stato delle cose è rimasto inalterato e il dramma della guerra continua a coinvolgere migliaia di famiglie.
Valeria Vaglio
Qual è il tuo “vizio” migliore?
Il mio vizio migliore è non parlare dei miei vizi ma fare in modo che si scoprano, elencarli diventerebbe una cosa triste! In ogni caso attraverso la mia musica e i mezzi di comunicazione, che utilizzo per essere sempre molto vicina alle persone che mi seguono, si può scoprire facilmente qualcosa della mia persona.
“Distesa” è una canzone di rinascita individuale?
Venivo fuori da un periodo buio poi, ad un certo punto, ho preso coscienza di quello che ero stata in grado di affrontare e, seppur con qualche graffio, ho ripreso in mano la mia vita…La frase più importante è “Nessuno è importante più di me”, sento tante volte dire “tu sei la persona più importante della mia vita”, secondo me, invece, se non ci vogliamo bene noi per primi, non possiamo amare nessun’altro.
Cos’è per te il viaggio?
Per me il viaggio rappresenta un momento di arricchimento, anche senza pensare necessariamente ad un viaggio lungo. Il viaggio sono soprattutto le persone che si incontrano! Ogni giorno, quando giro per Roma, mi guardo molto intorno, mi piace tanto vedere la gente cosa fa, cosa guarda… il confronto con il resto del mondo è importante quindi che un viaggio duri 10 minuti o un anno, per me ha lo stesso identico valore.
Che rapporto hai con la musica? C’è qualcosa di autobiografico ne “L’ultima canzone”?
Sì, sicuramente! Io e la musica siamo legate da un legame che non si è riuscito a spezzare neanche quando ci ho provato …è successo già un paio di volte ma, nonostante sia la cosa più bella che ho, per me la musica è una specie di condanna, questo mi fa sorridere perchè alla fine, forse, non riuscirei a vivere senza. Non ho mai avuto la frustrazione del foglio bianco, anzi, se non scrivo, pace. Tuttavia ci sono momenti in cui questa instabilità lavorativa ti mette davanti alla condizione di pensare ad altro ed ogni volta ci si trova davanti a qualche evento che riesce a farti continuare. “L’ultima canzone” è un brano che ho scritto un po’ pensando che fosse veramente l’ultimo, poi, però, mentre lo scrivevo, mi sono resa conto che quello era proprio un modo per ripartire.
Il sound di “ Sand like snow” si differenzia un bel po’ dagli altri brani…come mai?
Il brano è la colonna sonora di un’opera prima, cioè del film “Wax”. Suonavo questa canzone in acustico nel film poi ho deciso di farne una versione molto aggressiva ed è venuta fuori così.
Valeria Vaglio in uno scatto tratto dalla fanpage di Facebook
Come hai vissuto la collaborazione con il regista Lorenzo Corvino per la colonna sonora di “Wax”?
Insieme abbiamo dapprima realizzato il videoclip del brano “Dio quanto sto bene senza te”, tratto dal mio secondo album, girandolo interamente con un Iphone 4. Da questo rapporto lavorativo è venuta fuori una bellissima amicizia. Sono stata una delle primissime persone che ha letto la sceneggiatura del film e ne sono rimasta così incantata da riuscire a scrivere un pezzo immaginandomi il film, quasi come avessi letto un libro. A Lorenzo questa cosa è piaciuta a tal punto da decidere non solo di inserire il pezzo dentro il film, ma anche di renderlo il punto cardine intorno a cui ruotano una serie di eventi. Sono molto onorata di questa cosa anche perchè il film è davvero molto bello.
Tra le tante cose di cui ti occupi, sei anche direttrice dell’etichetta Bobo Records. Come gestisci questa tua doppia veste?
Ho creato questa etichetta con degli amici per fare qualcosa che rispecchiasse per davvero i gusti miei e di quelli di molte altre persone che non trovano riscontro in quello che, invece, la discografia in questo momento propone. Stiamo lavorando a progetti non troppo difficili, la musica per me non deve essere di nicchia, deve essere qualcosa di fruibile subito e in qualsiasi momento. Il mio disco è quello a cui ho lavorato personalmente ma mi piace interagire con gruppi giovani di ragazzi, che magari hanno delle bellissime idee, ma hanno altrettanto bisogno di essere diretti. Quello della musica è un mare magnum e, se non si sa a chi rivolgersi, cosa fare e cosa dire, si rischia di essere inglobati in un sistema che finisce per buttarti via. Questo è proprio quello che voglio evitare cercando innanzitutto di valorizzare le risorse del territorio (Puglia). L’etichetta ha, infatti, sede a Bari e intende aiutare tanti artisti pugliesi che meritano di lavorare con tranquillità senza dover andar via come ho dovuto fare io.
Dove e quando potremo ascoltarti dal vivo?
Stiamo ancora definendo le date! Il 4 aprile sarò a Pila ( Valle D’Aosta), il 13 aprile a Bari il 26 aprile a Milano e il 18 maggio sarò a Genova in occasione della Fiera Internazionale della Musica. Ovviamente le date sono in continuo aggiornamento sia sul mio sito che sui canali social. Per quanto riguarda il concerto che intendo proporre, ho preferito pensare ad un acustico un po’ particolare: mi esibisco con una loop station con cui riesco a riprodurre grande parte del sound di una band. Questo perché muoversi con tante persone è molto più difficile sotto tanti aspetti ma anche perché mi piace esibirmi in posti intimi, dove la gente non è tantissima ed è attenta. Questa è la mia dimensione ideale, ho bisogno di sentire il contatto con le persone e di ascoltare il respiro della gente in platea.
Raffaella Sbrescia
Si ringraziano Valeria Vaglio e Roberta Ruggiero dell’Ufficio Stampa Parole e Dintorni per la disponibilità
Nel giorno del suo 34º compleanno Cesare Cremonini presenta “Logico #1”, il primo singolo estratto dal nuovo album di inediti che l’artista bolognese pubblicherà il prossimo 6 maggio, a due anni di distanza da “La Teoria dei colori”, il lavoro discografico che ha contribuito in maniera essenziale alla consacrazione cantautorale di Cremonini. Sulla scia di questa felice e fortunata fase artistica, Cesare si è concentrato anima e corpo, lasciandosi coinvolgere dalla ricerca musicale e contenutistica che, negli ultimi tempi, ha scandito la lavorazione del suo nuovo album. Il primo entusiasmante risultato è già tangibile nella straripante energia di “Logico #1”: la sognante intro al pianoforte lascia subito spazio all’immaginazione, synth movimentati conferiscono un tocco british al sound della canzone che offre quasi la sensazione di essere nel bel mezzo di un viaggio. Frame dopo frame domande e risposte, autovalutazioni e speranze si susseguono tra rimandi ai The Kooks e ai Coldplay, senza tralasciare la spessa impronta de Le Strisce di Davide Petrella. “Per ogni domanda componi un verso, non siamo soli in questo universo”, canta Cremonini, e poi, ancora, “non succede quasi mai di credere che sia possibile trovare un complice in questo disordine” e, nell’ammettere che “la logica non è sincera”, il poeta delle note si chiede se “l’amore sia una cosa vera”. Mentre proviamo a scoprirlo le sue parole ci aiuteranno senza dubbio a barcamenarci tra tentativi, incontri e scoperte.
Tra le scorie di sogni e sentimenti infranti di “Complimenti”, Samuele Bersani ha dato il suo inconfondibile benvenuto al pubblico del Teatro Augusteo di Napoli in occasione della data partenopea del “Nuvola numero Nove tour”. Impeccabile nella voce e nella mise, Samuele inizia il concerto dietro un velo che, subito dopo il primo brano, cade giù sia fisicamente che metaforicamente. Sì, perché l’artista romagnolo, pur non proferendo parola fino al quarto brano in scaletta, ha tutta l’intenzione di abbattere le barriere per una serata all’insegna della condivisione incondizionata.
E così, “Cattiva” e “Psycho” scorrono via fino alle prime emozionate parole di Samuele: «Chi mi conosce sa che ho spesso la tentazione di parlare di cose che esulano dalla mia musica ma stasera non accadrà, il repertorio si è allargato e non ho intenzione di tenervi in ostaggio del mio ego», spiega con la sua solita verve, aggiungendo: «Sono figlio unico e scrivo in solitudine ma non avrebbe senso vivere le emozioni da solo su un palco» e così, primus inter pares, Samuele scende in platea fermandosi all’altezza delle prime file per consentire una minima visuale anche al pubblico della galleria, regalando una struggente versione di “Ex e Sanax”, eseguita solo con l’accompagnamento del pianoforte e di una chitarra, proprio «così com’è nata, spiega, nuda e cruda». Già, nuda e cruda come il sentimento d’amore che ha avvolto la vena creativa di Samuele, quello in cui due persone lottano come giganti di fronte al dolore e che, dopo aver litigato, sovrappongono i reciproci battiti cardiaci.
La penna di Bersani si sa, è tra le più versatili e, a conferma di ciò, si passa dai nobili sentimenti di “Ex e Sanax” alla sottile ed intelligentissima ironia di “Chiamami Napoleone”: non c’è niente da conquistare in questo stivale ridotto a pantofola, canta Samuele, mentre il “Pescatore di asterischi” si perde in un gioco di pensieri sporchi. Il pubblico è davvero coinvolto al punto da esplodere nell’immancabile coro sulle note di “Spaccacuore”. «Il teatro è bello per due motivi, racconta Samuele, il primo è relativo proprio ad un fatto di acustica, in teatro il suono si asciuga, ed è bello avere quest’atmosfera che tante volte noi artisti cerchiamo e non troviamo. Il secondo è legato a Napoli, in particolare, ci sono posti in cui ci metto tre turbo per cantare e Napoli è uno di questi». A proposito di umanità, Samuele introduce “Reazione Umana” divertendo il pubblico senza mai lasciare le parole al caso. Nel raccontare la divertente storia della sua fida tastierina Casio che, dopo essere stata riposta per anni, si è riaccesa ed è tornata a funzionare, nonostante le pile ossidate, a colpi di on-off. Proprio questo aneddoto offre il là a Samuele che rivela: «La tastiera mi ha insegnato che se si insiste, si riprende a reagire. Come essere umano mi sono abituato ad essere un semplice spettatore e a non dire la mia. Ogni volta rimango perplesso di come ormai non si riescano a vivere le proprie emozioni senza doverle filtrarle ogni volta attraverso uno schermo. Come se senza quello schermo fosse impossibile conoscere la realtà o mantenere il ricordo». Vivere in emergenza anestetizza l’anima, prima legge e poi canta Samuele, tanto per essere ancora più incisivo di quanto non lo fosse stato fino a pochi secondi prima.
Le emozioni continuano sulle note di “Replay”, “Ferragosto”, “Le mie parole” raggiungendo il massimo picco con “Il mostro”, eseguita al pianoforte, in un angolo del palco:« Ci sono canzoni che sanno spiegare cose meglio di altre cinque», racconta Samuele, spiegando che «A volte ho fatto il grosso sbaglio di eliminare questa canzone dalla scaletta, ma più cantavo e più mi chiedevo perché non l’avessi inserita». Ed eccolo il mostro che “riapre gli occhi sul mondo, questo mondo di mostri che hanno solo due zampe ma sono molto più mostri”. Subito dopo, un piccolo incidente di percorso rivela che Samuele e la sua band stanno registrando il cd live del concerto e questo diventa improvvisamente un incentivo in più sia per l’artista che per il pubblico. La scaletta procede spedita, attraverso le parole, le emozioni e gli anni di una vita spesa a cercare note e parole: “Settimo cielo”, l’implacabile “Ultima chance” e una coinvolgente versione folk di “Occhiali rotti” lasciano piccoli segmenti di spazio a “Un pallone”, “Freak” e “Coccodrilli” fino al grande classico del cantautore romagnolo: “Giudizi universali”. Completato il preavviso di rito di non scambiare la frase del ritornello “potrei ma non voglio” con “vorrei ma non posso”, Samuele ritorna in platea ed è un tripudio di voci che cantano all’unisono. “Chiedimi se sono felice”, “Il re muore”, “Chicco e spillo” sono i bis che chiudono una serata perfetta. “Servono soldi musica e strada da fare” ma almeno con Samuele Bersani la bisaccia delle emozioni è ancora al suo posto.
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