“Sottovuoto” è il nuovo singolo di Renzo Rubino. Il brano è tratto dall’album di inediti del cantautore pugliese, intitolato “Secondo Rubino”. Accompagnato da un video frizzante ed originale, realizzato da Duccio Forzano, il brano racchiude i brandelli di una storia d’amore, raccontati quasi sottoforma di filastrocca magica. Un incantesimo, più simile ad un maleficio, colpirà la malcapitata di turno: “fingevi amore/senza amore rimarrai”, “Riveli vuoto e un sottovuoto diventerai”, canta Renzo Rubino che, con la consueta attenzione ai dettagli, necessari per fare ancora una volta la differenza, associa al testo un arrangiamento veloce e travolgente; pianoforte ed archi si congiungono in un mix irresistibile e giocoso. Come preannunciato in apertura, il brano è accompagnato da un videoclip ispirato al surrealismo metafisico di artisti eterni come De Chirico e Dalì.
Nelle sequenze di questa storia narrata per immagini, Renzo veste i panni di se stesso inserendo nel video tutte le sue passioni: pianoforte, ciliegie e barattoli sono i compagni di viaggio di un piccolo genio vestito di tutto punto ma con dei calzini che rivelano una percentuale di follia, sufficiente quanto basta, per stravolgere la routine quotidiana. Una piccola coreografia, eseguita dallo stesso Renzo, moltiplicato a decine, rende appieno la versatilità di un cantamusicattore che, saltellando sui tasti di un pianoforte, riesce sempre a coinvolgerci nel suo magico mondo di note e a lasciarci il sorriso sulle labbra.
“Un fedele ritratto” è il titolo del quinto album da solista del cantautore Giorgio Barbarotta. Scrittore di raccolte di poesie e racconti, vincitore di svariati riconoscimenti in ambito musicale e letterario, Giorgio presenta un lavoro artigianale, costituito da 12 brani, che rappresentano il frutto di un’accurata ricerca lirica, testuale e strumentale. Un disco personale che, attraverso l’energia del rock elettrico, la pacatezza del cantautorato folk, la poesia di un surrealismo enigmatico intende realizzare una panoramica elegante ed esaustiva del nostro oggi.
L’album si apre con “Sbotta”, un brano incentrato sui grandi mali della nostra società: indifferenza, arroganza, ignoranza. A seguire c’è “Camerino al neon”, un romantico elogio del quotidiano: “Le cose semplici ci portano sempre conforto e ci riallacciano all’essenza stessa della vita”, canta Barbarotta, mentre oggetti presi da un quotidiano passato riemergono nelle immagini descritte in “Roba da buttare” un riuscito ritratto d’ambiente, realizzato fotogramma per fotogramma. Inquietante è, invece, il testo di “Portami a casa”, ansia e disagio si destreggiano tra solitudine e desolazione, in contrapposizione all’incalzante batteria scelta per l’arrangiamento del brano. “Tra oracoli divini e le rotte delle stelle, che da secoli, preziose, tracciano le civiltà, “L’eclissi di sole” mette in risalto la raffinata padronanza linguistica che contraddistingue i testi di Giorgio. L’inno sacro, intitolato “Gratia Dei” ispira i cuori e infonde la speranza mentre “L’ancora e la deriva” racchiude una brillante allegoria sul connubio tra noto e ignoto. “Tutti giù per terra” gioca sulla valenza semantica di verbi dal significato simile: cadere, cascare, crollare, calare sono le azioni si rincorrono e che si susseguono in una spirale distruttiva che non lascia scampo. Il sarcasmo pessimista di Barbarotta si acuisce in “Nuovamente liberi”: noi, puro capriccio del caso nel moto perpetuo, ci lasciamo sfibrare, schiacciare, aggirare dalle effimere sfide del quotidiano perdendo di vista le cose realmente importanti. Una parentesi avulsa dal contesto circostante è il brano “Stelle e strisce”: un piano sequenza di tutte le contraddizioni e le incoerenze 100%Made in Usa. Il disco si chiude con “Echi di Tokio”, un brano onirico e d’altri tempi: “ è sorprendente saperti in equilibrio a spasso tra i continenti”…ecco, uno dei meriti di Barbarotta è pensare e scrivere cose a cui non si pensa più e che, invece, potrebbero addolcire la nostra esistenza.
Peppe Servillo e Fausto Mesolella Ph Luigi Maffettone
“Riscrivere il paese” è lo slogan e l’obiettivo dell’edizione 2014 de la “Repubblica delle Idee” la manifestazione che, dal 5 all’8 giugno, ha riunito esponenti della cultura, della politica, della letteratura e della musica italiana nella città di Napoli, scelta come paradigma di territorio da riorganizzare secondo nuove esigenze e punti di vista. Un ampio dispiegamento di mezzi e risorse, logistiche e umane, ha fatto sì che location di prestigio, tra tutte Palazzo Reale e il Teatro San Carlo, diventassero indispensabili punti di riferimento e luoghi di ritrovo per approfondimenti, incontri, ragionamenti trasversali e illuminanti. La cosa colpisce e non poco. Sarebbe davvero fin troppo bello se questo appuntamento acquisisse una cadenza periodica, frequente, stabile. Invece no, ci tocca fare il punto, prendere spunto e ritornare alla lotta quotidiana, come piccole gocce in un mare di indifferenza.
E allora, vista la vocazione strettamente musicale di questo spazio digitale, ci concentreremo su un evento che, seppur finalizzato all’intrattenimento, ha rappresentato il culmine di un’iniziativa dotata di tutti i presupposti per essere elogiata e portata avanti nel tempo. Si tratta di Webnotte, la trasmissione ideata e condotta da Ernesto Assante e Gino Castaldo. I due giornalisti di Repubblica, coadiuvati in tutto e per tutto dai loro colleghi, hanno avuto il merito di ridare spazio alla musica a 360 gradi, dapprima sul web e su Capital tv, ogni martedì sera per 35 puntate, poi anche dal vivo restituendo la musica al popolo.
L’appuntamento conclusivo di questa piacevole, interessante e coinvolgente avventura si è svolto nella storica e significativa location di Piazza Del Gesù a Napoli ed è stato introdotto da una lunga e approfondita intervista all’attore, scrittore e speaker radiofonico Fabio Volo, il quale si è messo a nudo parlando della sua vita di provincia, dei suoi inizi, della vita da scrittore, delle fasi che hanno scandito il proprio cammino artistico multitasking.
Avion Travel Ph Luigi Maffettone
Alle 22.00 in punto è iniziato il vero e proprio show: sul palco di Webnotte si è celebrata la reunion degli Avion Travel che, dopo 10 anni, si sono ritrovati l’uno accanto all’altro per tornare a fare musica e farla davvero bene, aggiungiamo noi. Nonostante l’assenza forzata di Ferruccio Spinetti, per un forte mal di schiena, Peppe Servillo, Fausto Mesolella e compagni, in formazione originale, si sono esibiti sulle note di “Dormi e sogna”, “Aria di te” e “Canzone Appassiunata” di E.A. Mario emozionandosi ed emozionando il pubblico, grato di questa ritrovata risorsa artistica del panorama musicale italiano.
Nino Buonocore Ph Luigi Maffettone
A seguire gli sketch e le incursioni musicali della resident band di Mark Hanna, le rivisitazioni di grandi classici di Max Paiella e gli interventi al mixer del dj Massimo Voci. Poesia allo stato puro quella offerta da Nino Buonocore che, in procinto di realizzare un nuovo album in studio, ieri ha incantato l’affollatissima piazza con l’intramontabile “Scrivimi” e “Un giorno qualunque”.
Stefano di Battista ed Enzo Avitabile Ph Luigi Maffettone
Spettacolare l’ingresso del celebre sassofonista Stefano Di Battista, unanimemente riconosciuto come uno dei più importanti musicisti nel panorama internazionale. Accompagnato da giovanissimi e talentuosi musicisti del Conservatorio di Salerno, Di Battista ha conquistato la piazza coinvolgendo anche Enzo Avitabile, meritatamente definito “maestro del ritmo”. Da Vivaldi a James Brown, si è celebrato il bicentenario del sax, scandito dallo slogan “messaggiamm ‘o ritmo e abballamm ‘o messaggio”.
Ph Luigi Maffettone
Una vera e propria festa della musica, dunque, arricchita dalle rubriche dei giornalisti di Repubblica, dalle irriverenti note degli Economisti e dal tangibile entusiasmo del pubblico che, fino all’ultimo ha atteso il giovane e amatissimo rapper Rocco Hunt, il quale subito dopo aver tenuto un concerto ad Ercolano, seppur in notevole ritardo, è riuscito a raggiungere comunque la piazza per cantare e ricordarci che può ancora esserci “Nu juorno buono”.
Raffaella Sbrescia
Fotogallery a cura di: Luigi Maffettone
Ph Luigi Maffettone
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Stefano Di Battista, Enzo Avitabile e i musicisti del Conservatorio di Salerno Ph Luigi Maffettone
Pierpaolo Capovilla lascia da parte, per un attimo, i rumorismi de Il Teatro degli Orrori e si spinge verso nuovi intimi suoni ispirati a Scott Walker e Tom Waits in “Obtorto Collo”, il disco da solista, pubblicato lo scorso 27 maggio su etichetta Virgin / La Tempesta per Universal Music e prodotto da Taketo Gohara, ad eccezione dei brani “Irene” e “Dove Vai”, co-prodotte da Giulio Ragno Favero. L’album racchiude una serie di riflessioni mirate ad un autobiografismo nazionale. Quello di cui Pierpaolo scrive, servendosi di parole semplici che nascondono, tuttavia, una profonda complessità narrativa, serve per fare il punto su chi siamo, su cosa siamo diventati e in che direzione ci stiamo dirigendo. La forma canzone utilizzata dal cantante-letterato si inserisce in una dimensione intima, privata, risultando scomoda per la valenza contemporaneamente pubblica e politica.
Pierpaolo Capovilla
Atmosfere scure, notturne, crepuscolari, perturbanti accompagnano la voce profonda di Capovilla che, scandendo le undici storie narrate nel disco, acquisisce, di volta in volta, una diversa caratterizzazione. Anche il titolo “Obtorto collo” ha una doppia valenza: il nostro vivere malvolentieri, nella più totale indifferenza, si oppone ad una condizione esistenziale mirata al riscatto e al cambiamento di una serie di circostanze che non ci stanno bene. Nel tentativo di rappresentare un piccolo e dettagliato affresco musicale dell’Italia ai giorni nostri, Pierpaolo Capovilla, e i 20 bravissimi musicisti che l’hanno accompagnato in questa avventura, iniziano da “Invitami”, la premessa perfetta per introdurre tutto il disco: “Invitami/invitami da te/nel tuo spazio/nella tua vita. Io vorrei dirti cose che non dico mai ma che vorrei tanto dire, pensare, sperare, ogni giorno”. E ancora: Io non ho paura/me ne frego della gente, di ciò che crede o pensa di sapere dello schifo che hanno nell’anima, nei loro cuori di cane abbaiano/abbaiano e basta. Il sound sinistro, poetico, doloroso lascia che l’ascolto si soffermi sulla voce, sulle parole, sullo stile parlato, spiegato, raccontato di Capovilla. Nuvole scappano vie come profughi ne “Il cielo blu”, una canzone in cui l’amore, perso ormai anni fa, è ancora il pensiero fisso di una notte vedova. “Che cosa sono diventato, cosa mai diventerò? E poi perché, perché, perché?”, si chiede il cantautore in “Dove vai”, il singolo che ha anticipato il disco e che, attraverso la commerciabilità di un ritornello che si stampa impresso nella mente, impone degli interrogativi che pretendono risposte: “Dove vai, cosa fai, con chi esci, con chi ti confidi e quando ti confidi che cosa pensi, che cosa senti, che cosa provi?”. Ancora il cielo, imbarazzato per la vergogna, apre lo scenario di “Come ti vorrei”, la descrizione di un desiderio forte, implacabile, indomabile nei risvegli dell’estate,
nelle sere tristi d’autunno, negli inverni del cuore, nelle primavere : “Per quanto io cerchi fra milioni di parole vorrei dirti cose così semplici che… che quasi preferisco stare zitto”. “Irene” è, invece, una canzone dedicata al popolo romanì, ultimo tra gli ultimi in Italia, denigrato a tal punto che questa ragazzina, realmente esistente, dal nome di fantasia, cerca di nascondersi per sembrare uguale agli altri mentre “i pregiudizi sono cosi grandi che li vedi camminare per le strade della città”.
Pierpaolo ha voglia di parlare e soprattutto di dare spazio a fatti e vicende che, nonostante la loro abominevole atrocità, si ripetono con tale frequenza da lasciare che la gente ci si possa addirittura abituare. Stiamo parlando del femminicidio e delle terribili vessazioni che le donne subiscono giorno dopo giorno. In “Quando”, Capovilla s’impersonifica, dunque, in una donna omaggiando musicalmente Tom Waits e soprattutto dando voce all’incubo quotidiano delle donne: “Ma quando un uomo è come te le speranze diventano incubi giornalieri/i sogni si infrangono in questi quartieri e, alla mestezza e al chiarore del giorno, subentrano notti cupe e piovose ti viene voglia di morire. Perché no? Morire”. Magica è l’atmosfera di “Bucharest”, tra i brani più stranianti del disco, un esercizio letterario che nasconde suggestioni narrative versatili e libere da approcci individualistici. Il brano più drammatico in assoluto è “Ottantadueore”, ispirato all’atroce vicenda di Francesco Mastrogiovanni, un uomo inerme e innocente, morto dopo essere stato sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio: “Francesco non aveva niente di male, non aveva alcun male ma è morto lo stesso. Francesco ma in che paese viviamo?” Viviamo del paese del “finchè non capita a me, tutto bene”, viviamo nel paese del “che scendo a fare in piazza”, del “chi me lo fa fare”. Non si sa come siamo arrivati a diventare complici compiacenti di questi assassini, il fatto è che dobbiamo imparare a far valere i nostri diritti, soprattutto quello alla vita, in nome di Francesco Mastrogiovanni e di tutti gli uomini, che come lui, sono morti a causa dell’indifferenza omicida.
“La gente che esiste intorno a noi e che intorno a noi sembra essere felice ma se la guardi attentamente scopri che dietro ai sorrisi e ai convenevoli non vede l’ora di morire ma che intanto vive obtorto collo”, questo è la gente ritratta nella title track “Obtorto collo”.“La luce delle stelle” non è che un’illusione, canta Capovilla, “non c’è più tempo per le idee come ce n’era una volta, ognuno per se – tutti contro tutti, domani in fondo è un altro giorno” fino ad arrivare alla conclusiva “Arrivederci”: “Accetto tutto, anche la tua assenza. Che m’importa di queste moltitudini che sciamano nei bar e nei centri commerciali, nei cinema e negli ospedali, negli uffici postali, ogni giorno più nervosi, ogni giorno più stanchi ed ogni giorno più infelici/ma lasciamelo dire ogni giorno più brutti, avvelenano anche te, anche me, anche noi che gli diamo retta. Arrivederci amico mio oppure addio”. Il brano racchiude la cifra narrativa dell’album: lo smarrimento culturale, la disgregazione sociale, l’incomunicabilità relazionale ed il radicato sentimento che non ci sia più niente da fare trova sbocco nelle parole di Capovilla che, con chirurgica attenzione, estrae i nostri mali dal cuore per provare ad esorcizzarli.
Arte, musica, costume e solidarietà si uniscono in occasione del decennale dalla scomparsa di Nino Manfredi. Dopo le numerose iniziative culturali dei giorni passati, avrà luogo questa sera, presso l’Auditorium Conciliazione di Roma, “Nino!”- Omaggio a Nino Manfredi, una manifestazione organizzata da Dalia Events, in collaborazione con Onni, che, nel corso di tutto l’anno, sia in Italia che all’estero, ripercorre e omaggia i momenti più significativi della vita privata ed artistica di uno degli attori più popolari ed emblematici del Cinema Italiano.
“Operazione San Gennaro” – Nino Manfredi
Con il concerto di beneficienza inedito “E nasce all’improvviso una canzone…”, il Maestro Roberto Gatto, batteria e arrangiamenti, insieme al suo ensemble composto da Francesco Lento (tromba e ficorno), Luca Velotti (sax e clarinetto), Luciano Biondini (fisarmonica), Silvia Manco (piano e voce), Luca Bulgarelli (contrabasso), arrangerà le musiche più celebri dei film di Manfredi, accompagnate da immagini tratte dalle stesse pellicole. Tra le tante, ricordiamo grandi classici come “Tanto pe’ cantà”, “Me pizzica… me mozzica”, “Tarzan lo fa” , “La pennichella”, La frittata, “Canzone pulita”, “Che bello sta’ con te”. È importante sottolineare, infine, che parte dei proventi della serata sarà devoluta all’associazione “Viva la Vita Onlus”, che aiuta e supporta i malati di SLA, di cui Erminia Manfredi è Presidente Onorario.
“Straziami ma di baci saziami” – Nino Manfredi
Questo il commento con cui Roberto Gatto ha presentato l’evento: “E’ stato molto emozionante lavorare sulle musiche di alcuni tra i film più belli e rappresentativi di Nino Manfredi, uno dei più grandi attori del nostro cinema. Un’occasione per rendere un omaggio musicale a lui e a tutti i compositori che hanno scritto partiture entrate ormai nella storia del nostro costume. Ho voluto, in questa occasione, assemblare un organico agile ed estremamente versatile, con sonorità vicine al jazz ma anche alla musica popolare. Un viaggio attraverso mondi musicali a volte lontani tra di loro, ma tutti connotati da melodie forti e dalla grande personalità.”
“Senza vele” è l’ep d’esordio di Paolo Adduce, in arte Maltese, disponibile in tutti i digital stores dal 16 giugno. Il cantautore torinese canta il nostro mondo scrivendo in maniera incisiva ed efficace. I suoi testi sono curati e offrono spunti di riflessione ad ampio raggio: si va dalla quotidianità, all’attualità politica, all’involuzione contenutistica dei mass media fino alla purezza dell’amore e dei sentimenti più intimi. Il primo brano è “Déjà vu”: tra ricordi nel lavandino, la sveglia del mattino ed il mantra “ tutto si fa, tutto si sa” s’insinua un orecchiabile ed originale arrangiamento che, senza strafare, convince e stimola all’ascolto. “Monsier Bardot” è il racconto di un uomo inibito dalla paura di amare: “io soldato e lei sabina, i suoi occhi rapirò”: scene, visioni e fotogrammi di un amore innescato da un buon bicchiere di vino. “Bacco, tabacco e un poco di pazienza”, quegli gli ingredienti clou per far fronte a “Il notiziario”:“Fermi tutti inizia il mio programma preferito/sangue,cucina, celebrità /lo capisci solo se lo guardi inebetito /qui la gente è matta./Dice che la guerra arriva prima della pace/che un ragazzo buono ha ucciso il padre in modo atroce/si ma avete visto i nuovi capi di Versace /Zitti canta Albano, che bella voce! E poi, ancora,“Rivoluzione! Grande fratello!/ma il mio stipendio finisce sempre sul più bello/Semplicemente, manipolando i desideri della gente/che da quel poco poi non gli rimane niente non è abbastanza, piangere, fino alla prossima vacanza. Il mondo brucia/Il mondo è stanco /Mi sono perso/E già mi manco /Vorrei parlarti/Nella speranza che tra me e te, si accorci la distanza”. Abbiamo scelto di riportare alcune delle strofe del testo per lasciarvi intendere che ogni singola parola scritta da Maltese è più sufficiente nel rendere il fedele ritratto di una società contorta, confusa e ripiegata su se stessa.
“Io non ti voto più”, già “Premio Radio Kiss Kiss” è un testo brillante e più che mai attuale: offese, promesse, attese, leggi, intese, tasse, guerre, crisi pilotate e falsi ideali trovano posto nella voce calda di Maltese e nella delicata ed elegante tromba accompagnata da un sound electro-western. Il ribaltamento del valori ci lascia allo sbaraglio tra i sentieri della vita ma non tutto può essere perduto. La poesia, il pudore, la delicatezza esistono ancora, sono piccole gemme che vanno accuratamente individuate, protette, valorizzate. Maltese ne è fortunatamente in possesso è se in “Senza Vele” l’amore sopravvive alla monotonia, grazie ad un ultimo giorno di magia, “Nel bosco delle more” una coltre di sogni ci traghetta via lontano in un altrove dove ogni giorno è da inventare.
“Duri come me” è il quarto singolo estratto da “Manuale Distruzione”, l’album che la cantautrice siciliana Claudia Lagona, in arte Levante, ha pubblicato lo scorso marzo per Inri, l’etichetta di Davide Pavanello, riscuotendo una notevole e meritata attenzione. Dotata di una personalità originale e allo stesso tempo mai troppo fuori gli schemi, Levante scrive con sottile ironia e pungente cinismo. La sua voce, pulita e raffinata, ha riscosso un particolare interessamento da parte del pubblico e degli addetti lavori, anche grazie alla grinta con cui Claudia è solita esibirsi dal vivo. A proposito del singolo “Duri come me”, il cui videoclip ufficiale è stato pubblicato in esclusiva su Vevo e girato da Marco Cremascoli, Levante accompagna un testo importante ad un arrangiamento minimal, in cui è la batteria a dettare i ritmi di una marcia simile ai passi da compiere nella vita.
Levante ph Corrado Murlo
Uno sfogo ed un mantra quotidiano, “Duri come me” è un brano sinceramente ispirato al detto “o bere o affogare”, una lotta per la sopravvivenza. “Capisco la difficoltà di viver di sogni/ Osservo con invidia chi realizza i sogni…Ma questa è la guerra e combatto/ E stringerò i denti finché ne avrò”, recita il testo della canzone. Chi, tra tutti noi, non si è rispecchiato in queste parole almeno una volta nella vita? Chi non si è guardato allo specchio e non ha cercato di infondere fiducia a se stesso? Di darsi la spinta per continuare la lotta del quotidiano vivere? Levante lo sa bene e lo mette nero su bianco “Duri come me, duri come me a morire/ Duri come me, duri come me a morire per vivere”: duri a morire, per vivere, un ossimoro intensamente espressivo. Poche parole per esprimere un concetto che racchiude tutto l’amore per la vita, il nostro bene più prezioso. E non importa quanto grandi saranno le avversità che abbiamo davanti, perché “questa è la terra e la mangio/Mi pulirò i denti quando potrò”.
Nella prima settimana di vendita “Ghost Stories”, il nuovissimo album dei Coldplay ha già stabilito un nuovo record, con il maggior numero di album, fisici e digitali, venduti, debuttando direttamente al numero 1 della classifica FIMI/GFK degli album più venduti della settimana in Italia e ottenendo da subito la certificazione di Disco d’Oro. Al secondo posto i Dear Jack, vincitori del premio della critica durante l’ultima edizione di “Amici”, con l’album “Domani è un altro film”. Al terzo posto l’album postumo di Michael Jackson“Xscape”, seguito dall’ep omonimo di Deborah Iurato, neo vincitrice del talent show targato Mediaset “Amici”. Al quinto posto c’è “Logico”, l’apprezzato album di inediti di Cesare Cremonini, seguito dall’unica new entry della settimana; si tratta di “Curriculum”, il nuovo disco di Denny Lahome. All’ottavo posto troviamo “L’amore comporta” di Biagio Antonacci, alle sue spalle c’è Caparezza ed il suo “Museica”. Soltanto nono è “Al Monte”, l’originale lavoro del cantautore romano Alessandro Mannarino. Chiude la top ten Laura Pausini con “20 The Greatest Hits”.
Daniele Ronda è un cantautore piacentino, noto all’interno del panorama musicale italiano, non solo per i propri originali progetti discografici, ma anche per aver messo la sue notevoli capacità compositive anche a disposizione di famosi cantanti nostrani come Nek, Massimo Di Cataldo, Mietta, dj Molella. Attento, curioso, appassionato, Daniele è riuscito a costruire, tassello dopo tassello, un percorso artistico davvero molto articolato. Il suo cantautorato profuma di terra, di storie, di vite, di ragionamenti. La dimensione live per lui rappresenta il raccolto delle emozioni, il bagaglio di gemme e pietre preziose da riversare nel calderone delle sue canzoni.
In attesa di ascoltarlo dal vivo, in una delle numerose date estive che lo vedranno anche protagonista delle aperture dei concerti di Ligabue allo stadio Olimpico a Roma il 31 Maggio e allo stadio di San Siro a Milano il 7 giugno, abbiamo raggiunto Daniele al telefono per farci raccontare “La Rivoluzione”, il suo ultimo album di inediti, e per lasciarci conquistare da un cervello acceso, curioso, rivoluzionario.
“La Rivoluzione” è il titolo del tuo ultimo album. Partiamo da questo singolo per entrare nei dettagli di questo lavoro… quali sono i temi e le chiavi interpretative di questo disco?
Il disco ha una caratteristica importante, si tratta di un lavoro nato in maniera quasi inconscia. Mentre lo stavo registrando, mi sono trovato ad ascoltarlo e mi sono reso conto che le 11 tracce erano diventate una sorta di concept album. Tra le canzoni c’è un legame forte, qualcosa che le unisce ed è la necessità di cambiare una serie di cose che a mio parere stanno minando la nostra serenità, l’unione della nostra società. Questa voglia, questa forza, questa rabbia nei confronti di questa situazione mi è sembrata una sorta di rivoluzione, non di quelle classiche, una rivoluzione interiore che, secondo me, bisogna fare ogni giorno senza accettare tutta una serie di compromessi. Tutte le volte che decidiamo di incuriosirci, di informarci, di amare la cultura, di guardarci intorno, tutte le volte in cui facciamo cose che racchiudono i nostri valori, mettendo le cose davvero importanti al primo posto, ci avviciniamo verso la nostra felicità. Ogni volta che facciamo questo facciamo l’unica vera rivoluzione efficace. Alla luce di questo pensiero, mi ci è voluto poco per chiamare il disco “La Rivoluzione”, il brano che dà il titolo al disco è, tra l’altro, uno dei pezzi nati dopo le altre canzoni che compongono l’album.
Nel corso della tua carriera hai avuto modo di misurarti con vari generi musicali, nella veste di autore, attraverso molteplici collaborazioni artistiche. Qual è il contesto compositivo in cui ti senti più a tuo agio e come cambia il tuo approccio alla scrittura di volta in volta?
Lavorare e scrivere per altri è diverso dal lavorare per se stessi, si tratta di due mestieri che hanno sì qualcosa in comune ma hanno due approcci differenti. Quando lavori per un altro artista dipendi dalle sue esigenze, bisogna capire qual è il suo linguaggio, quale cosa detta da lui sarà più efficace, credibile, cosa lo rappresenterà di più e questo è un lavoro molto stimolante perché ti spinge a toccare dei temi, degli stili, dei suoni, dei generi che magari non avresti mai affrontato… Questa cosa mi ha spinto ad aprirmi a tanti mondi musicali. Quando si lavora con se stessi, invece, il lavoro diventa più doloroso, più difficoltoso. Nonostante ci si conosca, spesso ci si trova a combattere di fronte a dei conflitti interiori. Questa cosa ti fa crescere e, allo stesso tempo, ti consente di raccontarti attraverso la musica ed è una cosa che a me dà tanto, questo è il mio modo di urlare quello che sono, quello che sento, il mio modo di raccontare quello che vedo e che mi tocca in modo particolare.
Come ti è venuta la voglia di legare la tua musica al territorio piacentino in particolare ed emiliano più in generale?
La musica è una parte fondamentale della mia vita, tutte le scelte del mio quotidiano si rispecchiano nel mio modo di fare musica. Sono stato per un periodo lontano da casa, lontano dalla mia terra perché consideravo la mia città quasi un luogo troppo piccolo, che mi stava stretto per i miei sogni e i miei progetti. Quando sono andato via, però, ho scoperto che mi mancava tremendamente, mi mancavano tutta una serie di cose che mi facevano sentire a casa. Allora ho cominciato a raccontare la mia città con l’intento di raccontarle tutte. Il legame con le proprie radici è qualcosa di universale, questo non significa che siamo ancorati al posto in cui siamo nati, significa che abbiamo un punto di riferimento, un posto che, guardandoci indietro, possiamo ritrovare sempre e comunque trasformandolo in una ricchezza, una nostra peculiarità. Nel mio caso è stato così, sono orgoglioso di raccontare le storie che sono nate nella mia terra.
Secondo te l’uso del dialetto nella canzoni può rappresentare un valore aggiunto?
Il dialetto è una forma di comunicazione, prima ancora che una lingua. Credo che certe cose dette in dialetto abbiano un’efficacia, una forza, una potenza particolare ed è per quello che ho scelto e sceglierò ancora di scrivere in dialetto. Non è una scelta commerciale e, anche se in questo mio ultimo disco non ci sono canzoni in dialetto, per me si tratta di una necessità, certe cose mi viene spontaneo dirle in dialetto perché dietro ogni parola, ogni modo di dire, c’è tutta una serie di incastri etimologici e questa è una cosa meravigliosa.
In “Ognuno di noi” parli della comune usanza di fare grandi progetti di notte e di ritrovarsi al mattino dopo con il ricordo appannato della sera prima….Si tratta di un racconto dalla valenza universale?
Ho parlato della notte perché a me è capitato di notte, ma credo anche a tanta altra gente capiti che in certi momenti del giorno ci si senta padroni del mondo e altri in cui ci si sente persi, distrutti, abbattuti… Questo ci destabilizza, ci aggrappiamo a una serie di cose che ci vengono propinate in maniera assillante, io invece credo che dobbiamo credere in noi stessi, non dobbiamo voler essere qualcun altro, dobbiamo credere in quello che siamo e, su questa base, dovremo costruire la nostra vita. Il brano ha anche un video che, con ironia, dice che cercare di vivere la vita di un altro significa frustrazione. Io sono uno che guarda, che si informa, che cerca la gente… poi, però, prendo quello che mi interessa, lo faccio mio, lo rielaboro, lo modifico, lo riutilizzo per quando mi servirà. In sintesi: vivo la mia vita con tutti i pregi ma anche con tutti i difetti che mi contraddistinguono.
“Le donne italiane” si riferisce ad una storia in particolare o intende parlare di una tematica più generale?
In Italia abbiamo tantissime diversità, tradizioni diverse, lingue diverse, storie diverse e queste differenze rappresentano una delle nostre ricchezze più grandi a livello culturale, storico e sociale. Spesso sembra che cantando in dialetto ci vogliamo chiudere e non voler scoprire quello che c’è intorno, invece è il contrario! Quello che racconto nelle mie storie è il frutto di un viaggio in cui mi piace scoprire il luogo in cui vado, la storia dei luoghi che mi circondano. Questa è una pizzica salentina che ho scritto in Emilia Romagna, un asse tra nord e sud, un’unione della diversità. Ho voluto valorizzare quello che è diverso come qualcosa da scoprire, la diversità deve unire le persone, deve unire i popoli…La vera maniera che abbiamo per uscire da questa crisi è valorizzare la nostra diversità perché siamo uno dei paesi che ne ha più di ogni altro; ogni 23 km cambiano i dialetti, le storie, le tradizioni e questa è una cosa davvero speciale.
Che ruolo ha la fisarmonica nella tua musica?
Nei dischi precedenti la fisarmonica rappresentava addirittura la colonna portante di alcuni arrangiamenti. In questo disco è ancora tanto presente ma lo è in particolar modo in una canzone intitolata “La Regina”. Questo strumento è stato messo in disparte per tanti anni, era considerato vecchio, sembrava che con la fisarmonica si potesse fare solo musica da ballo come il liscio. Io penso, invece, che questo strumento sia vivo: l’aria passa attraverso piccole lamelle ed il suono fuoriesce quasi come se fosse un canto. La versatilità del suono permette di interpretare col cuore le canzoni, ecco perché la fisarmonica è uno strumento magico.
Daniele Ronda Ph Alessio Pizzicannella
Ti esibisci spesso in contesti molto legati all’identità territoriale…che tipo di impressioni e riscontri ricevi ogni volta?
Per noi artisti il live è qualcosa di fondamentale, è la nostra forma di contatto con la gente. Io e i Folkclub siamo partiti da qualche settimana con il nuovo tour, questo è quel periodo dell’anno in cui diventiamo un po’ degli zingari, siamo in macchina e maciniamo chilometri incontrando gente. Anche sui palchi scopriamo cose che ci portiamo dietro. “La Rivoluzione” è, infatti, un disco che nasce molto in viaggio, incontrare le persone è fondamentale tanto quanto lo è vederle provare delle sensazioni insieme a te. Questa cosa mi arricchisce sempre tantissimo. Poi ovviamente ci sono dei periodi dell’anno in cui siamo in studio per lavorare il disco, ed è in quei momenti che a volte mi vengono crisi di astinenza da palco. Il live è veramente una di quelle cose che salva la musica. Mentre tutti parlano di crisi discografica, il live è qualcosa che è lì e che non si può scalfire perché è vero, è vivo, crea un contatto tra chi è sopra e chi è sotto il palco.
Come è andata al concerto del Primo Maggio a Roma?
Un conto è dire le cose, un conto è metterle in atto ed io l’ho fatto scegliendo di fare il mio set insieme ad un gruppo che fa musica popolare calabrese come i TaranProject. Addirittura una delle canzoni l’abbiamo cantata un po’ in dialetto piacentino, un po’ in dialetto calabrese per ricordare il concetto di asse nord-sud e di diversità che unisce. Questo è avvenuto perché sono sempre alla ricerca, scopro sempre cose nuove, tengo gli occhi aperti, non mi faccio influenzare da un meccanismo che fa comodo e che impone di non guardarci troppo intorno. Queste sono le cose che mi danno gioia, che mi arricchiscono, voglio capire perché si suona un determinato strumento e scoprire storie della terra. Tutte le volte riempio il mio bagaglio ed è una cosa che mi tiene su e mi dà sostegno.
Si ringraziano Daniele Ronda e Tatiana Corvaglia per Parole e Dintorni
Si è tenuto lo scorso 25 maggio “Musica per Gatta: concerto in una stanza”, l’evento organizzato per sostenere un nuovo progetto della Mad Enternaiment, la factory fondata a Napoli da Luciano Stella, Antonio Fresa e Luigi Scialdone, che ha prodotto l’apprezzatissimo film d’ animazione di Alessandro Rak, “l’Arte della Felicità”. L’idea alla base del miniconcerto nasce dalla ricerca di fondi per la realizzazione di una nuova Gatta Cenerentola, una fiaba emotiva, visionaria, romantica, musicata dallo struggente e malinconico sound della canzone napoletana. Dopo aver lanciato su www.kisskissbankbank.com/it una campagna di raccolta fondi, l’iniziativa ha trovato il sostegno di alcuni dei più validi musicisti della città di Napoli, i quali hanno accettato di esibirsi presso gli studi di registrazione della Mad Enternainment in Piazza del Gesù.
L’intreccio tra musica e immagini, a cavallo tra tradizione e innovazione, ha trovato spazio nelle voci e negli strumenti di giovani talenti in grado di rileggere con classe ed eleganza le grandi pagine del prestigioso passato musicale partenopeo. Ad accogliere il pubblico durante le quattro sessions (ore 17.00 – 18.00 – 19.00 – 20.00) i produttori Mad Entertainment, il regista Ivan Cappiello e l’Art director Marco Galli, che ha realizzato per la campagna un’esclusiva illustrazione donata ai partecipanti.
Ad inaugurare la godibilissima scaletta, Giovanni Block, accompagnato dal mandolino di Luigi Scialdone, sulle note di “Palomma e notte” seguita dalla tormentata ballad, scritta proprio dal giovane cantautore, intitolata “La neve che accadrà”. Il secondo artista ad esibirsi di fronte ai 20 fortunati spettatori della prima session, è Luca Di Maio. Il cantautore ha cantato la struggente “Buonanotte Irene” e “Scetate”, un brano risalente al lontano 1887 che rappresenta un prezioso ricamo musicale della tradizione partenopea. La scaletta è davvero molto serrata, ed è il turno del terzo artista in programma. Si tratta di Claudio Domestico, in arte Gnut. L’artista canta subito “Solo una carezza”, uno dei brani più drammatici del suo ultimo album di inediti, intitolato “Prenditi quello che meriti”. Il secondo brano è, invece, “Passione”, un pezzo a cui Gnut è particolarmente affezionato e che rappresenta, ormai, un vero e proprio cavallo di battaglia del giovane cantautore. Tommaso Primo ed Enzo Foniciello alla chitarra si esibiscono, invece, sulle note di “Addore”, tratta dall’ep di Tommaso “Posillipo Interno 3” e “Reginella”. La parentesi più movimentata è ad opera di Dario Sansone, voce e frontman dei Foja che, insieme a Scialdone , ha eseguito “A Malìa”, brano tratto dall’ultimo disco “Dimane Torna ‘o sole” in concorso per il Premio David di Donatello 2014 e “Carmela”, tanto per ribadire che “Nun è acqua ‘o sangue dint’ ‘ vvene”. A chiudere il live sono Antonio Fresa e Luigi Scialdone con due brani strumentali: il primo è “Vurria Addeventare”, tratto da “La Gatta Cenerentola” di De Simone mentre il secondo è il “Tema dei due fratelli”, tratto dalla colonna sonora del film “L’Arte della Felicità”.
Emozioni preziose come piccole gemme racchiuse in uno scrigno da tramandare di generazione in generazione, quelle offerte da Mad Enternaiment, che si pone come obiettivo principale quello di salvaguardare l’arte della tradizione per lasciarla germogliare seguendo l’onda della creatività.
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