Definita la nuova rivelazione del rap, la 23enne australiana Iggy Azalea è già da qualche tempo al centro dell’attenzione mediatica. “The New Classic” è il presuntuoso titolo del suo album, pubblicato in Italia lo scorso 29 aprile. Aldilà dei paragoni e delle supposizioni, entriamo nel dettaglio di questo album per capirne i testi e le intenzioni. Attraverso la fusione tra elettronica ed hip hop, Amethyst Amelia Kelly rappa con grinta, sicurezza e padronanza delle parole. Veloce, diretta ed immediata, la Azalea scrive testi espliciti, spesso incentrati su se stessa e sul proprio tortuoso percorso che sì, non è quello di una ragazza tormentata del ghetto, ma è reduce da una serie di percorsi ad ostacoli, prontamente aggirati, in nome di un sogno chiamato rap. Nel passaggio da mixtape a mainstream, Iggy si è, forse, allontanata dalle intenzioni iniziali, lasciando che questo progetto slittasse un po’ oltre i confini, avvicinandosi ad una realtà musicale più addomesticata e piaciona. “No money, no family/ 16 in the middle of Miami” è stato uno dei versi hip hop più azzeccati dell’anno scorso e “Work”, primo singolo estratto dal debutto di Iggy Azalea, featuring di T.I., ha subito impressionato critica e pubblico. Quello che, però, non ci ha convinto è l’eccessiva faciloneria dei ritornelli che rompono, irrimediabilmente, la tensione costruita dalle strofe e dalle rime interessanti costruite dalla stessa Azalea.
Ad aprire il disco è “Walk The Line”: un brano midtempo vibrante, autoreferenziale e pretenzioso, tuttavia incoraggiante. A seguire “Don’t Need Y’All”: forte e sicura di sé, Iggy sconfessa tutti aggiungendo un graffiante tassello autobiografico a questo debut album. “100” feat. Watch The Duck è il terzo brano del disco, uno string di chitarra acustica mandato in loop e la voce folk country dell’artista in featuring ci proiettano al centro di un sentiero diverso, fuorviante. “Change Your Life” feat. T:I. rappresenta la testimonianza diretta di un forte feeling artistico tra i due anche se è “Fancy” il brano più apprezzato dal pubblico. Accompagnata dalla vocalist Charli XCX, Iggy si è lanciata alla conquista del mercato con questo brano dal ritornello contagioso e catchy: il compromesso che ci voleva per sfondare la barriera della diffidenza. La contaminazione tra rap, pop e dance è, però, una delle formule più rischiose e i risultati non sempre si rivelano innovativi, un chiaro esempio di questa verità è riscontrabile in “New Bitch”. “Nothing is impossible” è, invece, l’emblematico titolo di un brano suggestivo e coinvolgente, ancora una volta incentrato sulla vita di Iggy. Tanta, troppa autoreferenzialità in questo album che prosegue con “Goddess” e “Black widow”, cantata in duetto con Rita Ora, e “Fuck Love”: se non si era capito Iggy è da sola al centro del suo universo. Arriviamo alle bonus tracks: la commercialissima “Bounce”, la più rilassata “Rolex, e “Just Askin’” non aggiungono e non tolgono nulla ad un disco che, inserendosi in un ampia fetta di mercato, è riuscito a stabilizzare la credibilità artistica di una ragazza dal forte temperamento e con le carte in regola per costruire un percorso sicuramente interessante. Le quote rosa del rap sono in espansione. Stay tuned.
Energica e spontanea, Romina Falconi è una cantautrice romana che, all’amore per la forma canzone tradizionale, associa una vena sperimentale fresca ed innovativa. Dopo le prestigiose esperienze, vissute anche in qualità di corista, nell’ “Ali e Radici World Tour” di Eros Ramazzotti e al fianco di altri importanti personaggi del mondo musicale italiano, Romina ha scelto di mettersi in gioco con una trilogia di ep davvero molto promettente, insieme al produttore Filippo Fornaciari alias The Long Tomorrow, nuovo interessante nome della scena dubstep-elettronica italiana. Abbiamo raggiunto Romina al telefono per lasciarci conquistare dalla sua personalità forte e schietta al contempo; imprenditrice di se stessa, Romina Falconi ha le idee molto chiare sul da farsi e si è già rimboccata le maniche per raggiungere gli obiettivi che si è prefissata.
“Attraverso” è il secondo capitolo della trilogia intitolata “Certi sogni si fanno attraverso un filo d’odio”… Ci spieghi il significato del titolo di questa trilogia…il perché della suddivisione in 3 capitoli e i temi che affronti nei 5 brani di questo secondo ep?
Avevo tantissimo da scrivere e, pur avendo la possibilità di far uscire un disco, ero consapevole di quali fossero le operazioni discografiche che mi aspettavano perciò mi è venuta in mente questa cosa un pochino rivoluzionaria. L’idea è quella di provare a fare tre mini album e spalmarli nel tempo, facendo lo stesso anche con la successiva promozione: fare bene i videoclip, farne uscire più di uno. Visto che non sono un artista famosa, ho deciso entrare in questo mondo in punta di piedi e soprattutto a modo mio. Pur non avendo un budget stellare e senza una produzione holliwoodiana, siamo riusciti a raggiungere degli ottimi risultati, questo testimonia che l’importante è fare un lavoro dignitoso con i mezzi che si hanno a disposizione. Un pò di rivoluzione ci vuole, mi sono detta facciamo il nostro e troviamo un modo originale per farlo. In base a questo ragionamento ho suddiviso anche i brani che avevo scritto. In “Certi sogni si fanno” descrivo quello che sono, senza mezze misure, ho scelto le produzioni più estreme per far vedere come io mi approccio al mondo in generale. “Attraverso”, invece, è l’ep dei segreti, in cui si va più a fondo per far vedere quello che provo, quello che desidero. Infine in “Un filo d’odio” ci sarà il rischio vero perchè, dopo essermi presentata, dopo aver fatto vedere quello che ho dentro, ci saranno i pensieri taciuti e cose politicamente scorrette… ci saranno un po’ di sorprese a riguardo.
Il testo di “Circe” è particolarmente tosto ed immediato… queste caratteristiche rispecchiano anche la tua scrittura e la tua personalità?
Sì assolutamente! Partendo dal presupposto che adoro la musica italiana, ho molto da ridire sul pensiero comune che la donna debba sempre lanciare dei messaggi molto puliti, semplici. Io voglio raccontare anche la parte scomoda di noi donne, mi piace dire delle cose, che di solito non si dicono, ma che sono assolutamente reali.
Sei un artista piuttosto poliedrica, hai prestato la tua voce a diversi generi musicali… quale senti quello più vicino a te?
Mi piacciono gli ibridi, se dovessi cantare un lentone con lo stesso vestito che conosciamo, con gli arrangiamenti di sempre, non riuscirei a rendere al meglio, come invece faccio, quando, per esempio, faccio un pezzo soul e ci metto su un arrangiamento new wave. Ho notato che sto bene con l’elettronica perché possiede una miriade di colori e sfumature.
Come hai lavorato con Filippo Fornaciari?
Filippo Fornaciari è un pazzo visionario, amico fraterno, ormai. Ci conoscevamo da tempo ma non abbiamo mai lavorato insieme, ci siamo incontrati in studio per mettere delle voci su un suo progetto. Filippo non ascolta musica italiana ed è predisposto a fare cose estreme, io che, invece, adoro la musica tradizionale, ho pensato che sarebbe stato molto bello scrivere dei pezzi con lui che mi proponeva di stravolgerli: due mondi avulsi che si incontrano. Avevo paura di una cultura musicale diversa dalla mia, siamo stati 6 mesi a cercare soluzioni, sembravamo dei pazzi ma poi, nata la prima canzone, ogni giorno abbiamo fatto qualcosa che è poi diventato definitivo. In sintesi, trovare la formula giusta è stato molto difficile poi però, una volta capito il senso di quello che volevamo, non ci siamo più abbandonati.
Romina Falconi
Ci parli del forte legame di amicizia che ti lega ad Immanuel Casto e della collaborazione nel brano intitolato “Eyeliner”?
“Eyeliner” è nata perché io sono cresciuta con una vicina di casa trasgender, si chiama Gio e mi ha aperto un mondo facendomi capire le difficoltà del suo di mondo. Quando ho scritto questo brano ho pensato a questo tema così delicato, il testo parla di tutte quelle persone che ne hanno passate di ogni ma che, nonostante tutto, non hanno perso quello che hanno dentro. Quando ho scritto “Eyeliner” ci tenevo moltissimo, non volevo solo descrivere il mondo dei trans, l’ho dedicata a Gio ma mi son detta: “chi vuol capire, capisce… chi ha provato certe cose, può capire.. .” In seguito mi sono rivolta ad Immanuel Csto, che adora i pezzi loschi, anche quelli più ambigui, in cui non è necessario spiegare tutto per bene. Il risultato, con l’inserimento della sua voce, mi è piaciuto tantissimo; lui è il mio Albano. Immanuel è la persona con cui sto crescendo artisticamente, è l’artista che amo di più, ha un coraggio invidiabile, che è quello di mostrarsi per come è, senza tornare indietro. Crescere insieme a lui è bellissimo poi stiamo diventando sempre più amici, questo è il terzo featuring che facciamo, ormai è un sodalizio, lui è un mio compagno artistico. Sono fiera di avere accanto lui come maestro, complice, compagno di viaggio anche se tante volte mi fa sentire una piccola Bridget Jones.
A proposito di questo brano, com’è stato partecipare alla Giornata Internazionale contro l’omofobia?
Essendo cresciuta con Gio che, oltre a mia madre, ha rappresentato una figura molto importante nella mia crescita, ci tengo tanto a far capire che non se ne può più. Bisogna far qualcosa, ho pensato di postare una foto su instagram con su scritto: “Si scrive omofobia, si legge basta”. Questo è un argomento che mi sta a cuore soprattutto per colei che ero solita chiamare “la mia mamma col distintivo”. Non riesco a capire perché ci siano ancora episodi omofobi, se ci pensiamo basterebbe così poco per vivere tranquilli e andare d’accordo. Purtroppo invece no, sembra quasi che quello che per noi è diverso ci fa talmente paura da essere aggredito. Adesso, con la vittoria di Conchita Wurst all’ Euro Song Contest 2014, bisognerà trovare il modo per farne parlare ancora di più. Sono convinta che ce la faremo, così come le donne sono riuscite a fare delle rivoluzioni immense, si riuscirà a debellare l’omofobia una volta per tutte. Chiedo anche agli altri di esprimere solidarietà e fare qualcosa, secondo me se ci fosse un uomo, etero, uno forte, famoso, che si schierasse contro l’omofobia sarebbe un fatto mediatico di notevole risonanza.
Come ti sei trovata durante le riprese del video di “Attraverso”?
Io adoro il regista Luca Tartaglia, anche lui è una persona che considero amica e che mi accompagnerà ancora per tutto questo percorso. Luca parte ogni volta da una mia idea, perché avendo scritto io i testi delle canzoni, partiamo da quello che è venuto in mente a me e magari costruiamo il video su quello. Per il video di “Attraverso” mi sono fatta cucire da mia madre questo vestito per avere un look senza tempo, non volevo appartenere a qualche sponsor o avere i soliti vestiti addosso, mi immaginavo uno scenario piuttosto apocalittico. Stavolta interpretavo il ricordo, lo staff è stato bravissimo a realizzare ogni volta i miei pensieri. La cosa più divertente del video è stata rompere tutto, piatti, bicchieri. Mi piace molto essere teatrale, questa cosa all’inizio non la sopportavo, poi ho cominciato a farmela piacere e a mettere questa teatralità anche in musica. Se non lo faccio adesso che sono imprenditrice di me stessa, non lo farò mai più. Per me ora è come stare dentro un sogno e, avere delle persone accanto che mi permettono di sperimentare, è davvero bellissimo.
Come hai vissuto l’esperienza da corista con Eros Ramazzotti e quali sono gli insegnamenti che ne hai tratto?
Dal tour di Ramazzotti ho imparato che la famosa frase “The show must go on” è vera, l’importante è fare bene sul palco e dare il massimo. Questo mi ha insegnato molto, anche il fatto di avere ogni sera un pubblico diverso, di paesi diversi, mi ha fatto mettere in gioco anche in questo senso. Eros stesso, all’epoca mi diceva che non vedeva l’ora che io smettessi di fare la corista per seguire il mio sogno. Ora, finalmente, è giunto il momento: stiamo cercando di studiare la soluzione live più adatta a me e alle mie canzoni… Vorrei creare lo stesso palco in ogni posto e, quando comincerà il tour, che stiamo organizzando, anche insieme a Barley, vorremmo fare in modo che ovunque ci sia sempre lo stesso palco, come se noi ci teletrasportassimo tutti. In ogni caso vedo l’ora di far ascoltare le mie cose al pubblico.
Si ringraziano Romina Falconi e Marta Falcon per Parole e dintorni
Nella prima settimana di vendita “Ghost Stories”, il nuovissimo album dei Coldplay ha già stabilito un nuovo record, con il maggior numero di album, fisici e digitali, venduti, debuttando direttamente al numero 1 della classifica FIMI/GFK degli album più venduti della settimana in Italia e ottenendo da subito la certificazione di Disco d’Oro. Al secondo posto i Dear Jack, vincitori del premio della critica durante l’ultima edizione di “Amici”, con l’album “Domani è un altro film”. Al terzo posto l’album postumo di Michael Jackson“Xscape”, seguito dall’ep omonimo di Deborah Iurato, neo vincitrice del talent show targato Mediaset “Amici”. Al quinto posto c’è “Logico”, l’apprezzato album di inediti di Cesare Cremonini, seguito dall’unica new entry della settimana; si tratta di “Curriculum”, il nuovo disco di Denny Lahome. All’ottavo posto troviamo “L’amore comporta” di Biagio Antonacci, alle sue spalle c’è Caparezza ed il suo “Museica”. Soltanto nono è “Al Monte”, l’originale lavoro del cantautore romano Alessandro Mannarino. Chiude la top ten Laura Pausini con “20 The Greatest Hits”.
Silvia Tancredi è una cantante e autrice torinese, diplomata in canto presso il CPM di Milano e laureata in D.A.M.S. presso l’Università degli Studi di Torino. Innamorata da sempre del gospel, Silvia vanta una nutrita carriera come vocalist al fianco di artisti come Neja, Arthur Miles & The Allstars Gospel, Lee Brown, Fred jr. Buscaglione, Fabrizio Consoli, Anthony Morgan’s Inspirational Gospel Choir Of Harlem. Sempre pronta a sperimentare ed a mettersi in gioco, Silvia Tancredi sta lavorando al suo nuovo album di inediti e nel frattempo ci ha parlato di “The Cage”, il brano scelto dalla regista Mirca Viola per la colonna sonora del suo film “Cam Girl” (al cinema dal 22 maggio) e disponibile anche in versione remix a cura di Jeffrey Jey (Eiffel 65).
Silvia, il tuo percorso musicale è per lo più incentrato sullo studio e la pratica del contemporary gospel…cosa rappresenta per te questo universo musicale e cosa ti ha dato fino ad oggi in termini sia umani che artistici?
Il gospel è stato il mio primo amore e, in quanto tale, questo genere è stato una continua fonte di spunti per andare alla ricerca di aspetti musicali sempre nuovi. Il gospel è una musica che ha radici molto antiche, è nata nell’800 e ha preso forme sempre nuove fino ad arrivare al contemporary, una musica un po’ più difficile da inquadrare per noi italiani. In realtà si tratta di un genere che viene suonato su tutti i palchi in continuazione, uno stile musicale assolutamente vivo, che mi sono portata in tutti i miei progetti.
Quanto sono importanti per te lo studio e la ricerca quotidiana?
Beh, lo studio è fondamentale. Credo che la cultura possa darci delle chiavi per aprire le porte della nostra vita. L’approfondimento dell’aspetto musicale e la ricerca per la tesi della laurea specialistica per me sono stati importanti perché ho avuto modo di attuare un percorso di studio approfondito su un argomento molto attuale ovvero il mondo legato ai talent show. Il mio punto di vista non è stato solo quello di una studiosa, di una ricercatrice, si tratta, piuttosto, di un punto di vista etnoantropologico; in questo modo ho ottenuto dei riscontri e dei risultati molto più completi.
Silvia Tancredi Ph Roberto Borgo
“The Cage” è il tuo nuovo singolo che, insieme a “Sing your love”, brano tratto dal tuo primo album intitolato “L’importante è crederci”, fa parte della colonna sonora di “Cam Girl”, il nuovo film della regista Mirca Viola. Di cosa parlano questi brani e in che modo si ricollegano alla trama del film?
Sono convinta che Mirca abbia scelto queste due canzoni innanzitutto per la loro musicalità ma anche per il loro contenuto testuale. “Sing your love”è una canzone in cui compaiono pianoforte, archi e voci e nel film è stata messa, infatti, come musica di sottofondo in un momento più tranquillo della narrazione cinematografica. “The Cage”, invece, è una canzone che non ho scritto per il cinema quindi l’incontro con Mirca è stato molto fortunato. La mia canzone parla dell’illusione di trovarsi all’interno di una gabbia dorata, dell’impossibilità di riuscire a volare. Per queste ed altre ragioni, il contenuto del film si identifica con i concetti contenuti nel mio brano: quattro ragazze si troveranno, senza rendersene conto, intrappolate nella scelta di aprire un sito di Cam Girl. La mia canzone comunque lascia una porta aperta alla possibilità di realizzazione.
Che ne pensi della versione remix di “The Cage” curata da Jeffrey Jey degli Eiffel 65?
Conosco Jeffrey da tempo e, quando lui mi ha proposto il remix, ho temuto che il risultato si discostasse dalla canzone invece devo dire che ha fatto un lavoro veramente entusiasmante!L’ultima volta che ho ascoltato il remix ballavo da sola per casa come una pazza perché Jeffrey ha messo nel brano tutta la sua energia.
Stai lavorando ad un nuovo album? Se sì, in che direzione ti stai muovendo?
“The Cage” è in effetti, il singolo che precede il mio nuovo album che è praticamente finito… A breve seguiranno dei nuovi singoli e poi uscirà l’album intero! In estate ci saranno delle belle novità in questo senso…
Si ringraziano Silvia Tancredi e Tatiana Corvaglia per Parole e Dintorni
Deborah Iurato è una cantante siciliana di 22 anni, nota al pubblico televisivo per essere stata una degli allievi più apprezzati dell’ultima edizione di Amici 13. Prescindendo dal legame della ragazza con il talent show, in questa sede ci concentreremo sull’approfondimento del suo ep d’esordio, intitolato, per l’appunto “Deborah Iurato”. Il lavoro discografico è stato prodotto da Mario Lavezzi e si compone di 7 tracce in cui spicca la fresca e potente vocalità della giovane interprete. Anticipato dal singolo profumato di spunti folk, intitolato “Danzeremo a luci spente”, questo breve lavoro contiene due o tre testi particolarmente azzeccati, sia per quanto riguarda il contenuto sia per la modalità con cui Deborah si è appropriata delle parole per dare loro una nuova prospettiva interpretativa. Tra questi c’è “Piccole cose”, il bellissimo brano scritto da Lorenzo Vizzini e che rappresenta un vero e proprio inno alla positività: “Se cadrai tante volte, ti alzerai più forte” e poi, ancora, “sono le piccole cose a cambiarci la vita”, una riflessione profonda e delicata, qualcosa che si discosta dal grigiore emotivo a cui ci siamo ormai abituati. “Anche se fuori è inverno” è il singolone firmato da Fiorella Mannoia e Bungaro. Il testo parla di una donna che riacquista sicurezza e fiducia in se stessa, la consapevolezza dei propri mezzi e delle proprie misure.
L’altro brano che vale la pena citare è “Ogni minimo dettaglio” : anche in questo caso la protagonista è una donna che prende coscienza di quello che vuole e che non è disposta a scendere a compromessi. “L’oro di cui siamo fatti” pare cucito su misura per la Iurato mentre molto meno riuscito è, invece, il brano intitolato “A volte capita”: i vocalizzi di Deborah finiscono per risultare banali e a tratti fastidiosi. La versatilità della voce della giovane cantante rappresenta un punto di partenza importante e, in un momento cruciale per la sua carriera, per lei sarà fondamentale evitare passi falsi e concentrarsi sulla cifra stilistica che possa esaltare al meglio le evidenti risorse di cui dispone.
Si è tenuto lo scorso 25 maggio “Musica per Gatta: concerto in una stanza”, l’evento organizzato per sostenere un nuovo progetto della Mad Enternaiment, la factory fondata a Napoli da Luciano Stella, Antonio Fresa e Luigi Scialdone, che ha prodotto l’apprezzatissimo film d’ animazione di Alessandro Rak, “l’Arte della Felicità”. L’idea alla base del miniconcerto nasce dalla ricerca di fondi per la realizzazione di una nuova Gatta Cenerentola, una fiaba emotiva, visionaria, romantica, musicata dallo struggente e malinconico sound della canzone napoletana. Dopo aver lanciato su www.kisskissbankbank.com/it una campagna di raccolta fondi, l’iniziativa ha trovato il sostegno di alcuni dei più validi musicisti della città di Napoli, i quali hanno accettato di esibirsi presso gli studi di registrazione della Mad Enternainment in Piazza del Gesù.
L’intreccio tra musica e immagini, a cavallo tra tradizione e innovazione, ha trovato spazio nelle voci e negli strumenti di giovani talenti in grado di rileggere con classe ed eleganza le grandi pagine del prestigioso passato musicale partenopeo. Ad accogliere il pubblico durante le quattro sessions (ore 17.00 – 18.00 – 19.00 – 20.00) i produttori Mad Entertainment, il regista Ivan Cappiello e l’Art director Marco Galli, che ha realizzato per la campagna un’esclusiva illustrazione donata ai partecipanti.
Ad inaugurare la godibilissima scaletta, Giovanni Block, accompagnato dal mandolino di Luigi Scialdone, sulle note di “Palomma e notte” seguita dalla tormentata ballad, scritta proprio dal giovane cantautore, intitolata “La neve che accadrà”. Il secondo artista ad esibirsi di fronte ai 20 fortunati spettatori della prima session, è Luca Di Maio. Il cantautore ha cantato la struggente “Buonanotte Irene” e “Scetate”, un brano risalente al lontano 1887 che rappresenta un prezioso ricamo musicale della tradizione partenopea. La scaletta è davvero molto serrata, ed è il turno del terzo artista in programma. Si tratta di Claudio Domestico, in arte Gnut. L’artista canta subito “Solo una carezza”, uno dei brani più drammatici del suo ultimo album di inediti, intitolato “Prenditi quello che meriti”. Il secondo brano è, invece, “Passione”, un pezzo a cui Gnut è particolarmente affezionato e che rappresenta, ormai, un vero e proprio cavallo di battaglia del giovane cantautore. Tommaso Primo ed Enzo Foniciello alla chitarra si esibiscono, invece, sulle note di “Addore”, tratta dall’ep di Tommaso “Posillipo Interno 3” e “Reginella”. La parentesi più movimentata è ad opera di Dario Sansone, voce e frontman dei Foja che, insieme a Scialdone , ha eseguito “A Malìa”, brano tratto dall’ultimo disco “Dimane Torna ‘o sole” in concorso per il Premio David di Donatello 2014 e “Carmela”, tanto per ribadire che “Nun è acqua ‘o sangue dint’ ‘ vvene”. A chiudere il live sono Antonio Fresa e Luigi Scialdone con due brani strumentali: il primo è “Vurria Addeventare”, tratto da “La Gatta Cenerentola” di De Simone mentre il secondo è il “Tema dei due fratelli”, tratto dalla colonna sonora del film “L’Arte della Felicità”.
Emozioni preziose come piccole gemme racchiuse in uno scrigno da tramandare di generazione in generazione, quelle offerte da Mad Enternaiment, che si pone come obiettivo principale quello di salvaguardare l’arte della tradizione per lasciarla germogliare seguendo l’onda della creatività.
I Park Avenue sono un gruppo rock italiano, nato nel novarese, composto da Federico Marchetti (voce e chitarra), Marcello Cravini (chitarre), Alberto “Spillo” Piccolini (basso) e Vinicio Vinago (batteria). La versatilità del gruppo rappresenta, a pieno titolo, uno dei punti di forza di questa compagine musicale che ha avuto l’opportunità di girare l’Europa e toccare con mano i più disparati contesti artistici. Dopo l’esordio anglofono con “Time To”, i Park Avenue presentano “Alibi”, un album composto quasi interamente da canzoni in lingua italiana. Abbiamo raggiunto Federico Marchetti, frontman della band, per conoscere più a fondo il percorso del gruppo e i contenuti del loro ultimo disco.
“Alibi” arriva a 4 anni di distanza dall’esordio di “Time to”… cosa hanno fatto e quali passi hanno compiuto i Park Avenue durante questo tempo?
In questi 4 anni abbiamo ovviamente promosso il primo disco, abbiamo girato molto per l’Italia e abbiamo tenuto molti concerti… quello che ci piace di più è proporre la nostra musica dal vivo, siamo stati in giro 2 anni e nel frattempo abbiamo cominciato a scrivere il nuovo disco. Alla fine di questo percorso ci siamo accorti che stavamo un pochino cambiando la nostra direzione…A livello macroscopico la grande differenza sta nel fatto che, mentre il primo disco era in inglese, il secondo è per l’80 per cento cantato in italiano; questo è stato un grosso passo per noi e probabilmente è frutto del rapporto che abbiamo col pubblico.
A cosa si deve la scelta di questo titolo per il disco?
Il ragionamento che ho fatto nello scrivere i testi è il seguente: viviamo un momento in cui si parla tanto di crisi, è sempre colpa del mondo esterno, non c’è lavoro, non c’è prospettiva, siamo tutti un po’ tristi e avviliti e questo, per carità, è un dato di fatto però il messaggio è questo: dobbiamo cercare di avere meno alibi possibili. Partendo da noi stessi possiamo cercare di cambiare la nostra situazione, il nostro è un invito a tenere duro.
Qual è la cifra stilistica musicale che sentite più vostra?
Siamo più o meno sempre gli stessi… Scriviamo le nostre canzoni sempre prima in inglese per cercare di dare un’immediatezza all’ascolto delle canzoni. L’italiano è più cantautorale mentre l’inglese è un po’ più commerciale, forse grazie alla presenza di frasi molto più corte, il nostro obiettivo è, in ogni caso, quello di essere incisivi…
Come avete lavorato alla scrittura e all’arrangiamento dei brani e quali sono i temi cardine attorno a cui ruota questo progetto?
Creiamo tutto in sala prove, suoniamo molto, improvvisiamo, cerchiamo di lasciarci trasportare dal nostro umore nel suonare tentando di non creare canzoni molto lunghe a livello di minutaggio e cercando di essere immediati nel messaggio testuale ma non scontati a livello musicale. Per quanto riguarda gli arrangiamenti, i nostri brani sono costruiti su intrecci di chitarre, abbiamo una formazione base con due chitarre, un basso e una batteria, anche se ogni tanto una chitarra viene sostituita da un pianoforte. Anche la musica è testo e noi cerchiamo di essere riconoscibili anche dal punto di vista sonoro, non bisogna sottovalutare nessuno dei due aspetti.
Chi è, secondo voi, il “social lover”?
In questo brano prendiamo un po’ in giro quelle persone che, all’interno della sfera social, sembra abbiano un alter ego molto diverso da come sono in realtà… anche tra le nostre amicizie, ci sono quei tipici amici che quando ti scrivono un messaggio sono dei leoni, poi magari li vedi in giro e neanche ti salutano, proprio come se fossero due persone diverse…quando noto questa discrepanza mi faccio delle domande e questa canzone è a metà strada tra critica e presa in giro…
“Le cose parlano, straparlano, complottano, si alleano con lei” è uno dei titoli più enigmatici dell’album…qual è la chiave interpretativa di questo brano?
Si tratta di un brano leggero, proprio per questo è a metà della track list. Questa canzone rappresenta un volta pagina all’interno del disco e ho pensato di darle un titolo che spiccasse tanto rispetto agli altri per fare in modo che potesse subito colpire chi legge i titoli delle canzoni. Per questo ho preso quasi tutta la frase del ritornello e l’ho messa nel titolo. In parte è stata anche una scelta un po’ provocatoria…
Qual è, invece, il testo a cui siete più legati?
Le preferenze del gruppo ricadono tutte su “Alibi”, la canzone che ci rappresenta di più nel disco e che ne tira fuori il messaggio principale.
La dimensione live è indubbiamente quella in cui riuscite ad esprimervi al meglio… che tipo di concerto è il vostro?
Quello che noi facciamo dal vivo rappresenta l’amplificazione di quello che accade nella nostra sala prove, ci divertiamo veramente tanto a suonare, tutto è molto poco studiato, i nostri concerti non prevedono una scaletta fissa, decidiamo al momento, a seconda di come stiamo, di come ci sentiamo, di dove ci troviamo. Siamo liberi di divertirci e cercare di essere sempre al 100 %, questa cosa viene apprezzata anche da chi si segue. A volte ci sono persone che vengono ad ascoltarci più volte e ci dicono sempre che ogni nostro concerto è diverso. Il fatto che ci divertiamo nel suonare per noi è fondamentale, fare le cose come dei robot dopo un po’ potrebbe annoiarci quindi cerchiamo di tenere viva la nostra voglia di stare insieme suonando.
Che riscontri avere ricevuto durante i concerti all’estero e gli opening act di artisti italiani come Ligabue, Antonacci, Baustelle…? Quali differenze avete notato in contesti così diversi tra loro?
All’estero il pubblico ci ascolta di più, le persone hanno meno preconcetti, c’è una cultura di base più propensa all’ascolto della musica dal vivo e a dare un’opportunità anche a un gruppo che magari viene ascoltato per la prima volta. In Italia, invece, il pubblico è tendenzialmente più diffidente anche se se devo dire che, in occasione delle nostre operture, ci è andata piuttosto bene! Abbiamo aperto due concerti di Ligabue negli stadi ed è stata un’esperienza veramente molto bella. La prima volta avevamo un po’ paura invece il pubblico è stato molto corretto e ci ha davvero ascoltati. So di altri gruppi, in altri contesti, che invece si sono trovati di fronte ad un pubblico che non ha voluto ascoltarli, pur trattandosi di realtà musicali molto valide… Questo accade perché il pubblico italiano richiede molto più tempo per essere educato all’ascolto di qualcosa di nuovo e di diverso… Noi abbiamo assaggiato un po’ tutto però ci siamo trovati molto bene in tutte le situazioni perché se la musica è buona la gente ascolta sempre con piacere… Dal vivo riusciamo a mettere in evidenza le nostre sfaccettature in base al contesto in cui ci troviamo e sappiamo adattarci in maniera naturale al contesto.
In quale direzione vi state muovendo adesso e che prospettive ci sono sia per il vostro percorso artistico che per il vostro disco?
Adesso siamo molto concentrarti nella promozione del disco, siamo pronti a fare dei concerti estivi, a farci sentire, a incontrare il pubblico tra piazze e Festival, finalmente si suona tanto e si registra meno. Stiamo a cominciando a comporre anche nuove cose, abbiamo la nostra linea e il nostro sound rock anche siamo comunque aperti a tutto, senza nessun preconcetto.
Si ringraziano Federico Marchetti e Alessandra Placidi
Nel cuore di Piazza Bellini, uno dei più rinomati ritrovi culturali del centro storico di Napoli, sono ritornate le serate musicali del Caffè Lettarario Intra Moenia, organizzate all’interno della rassegna di concerti estivi, intitolata “Mercoledì Note”. Dalle 21.00 a mezzanotte di ogni mercoledì, si terranno, infatti, degli appuntamenti musicali di elevata caratura qualitativa e ad ingresso gratuito.
Ph Luigi Maffettone
L’ultimo seguitissimo evento, in ordine di tempo, si è tenuto lo scorso 21 maggio e ha visto la partecipazione del compositore e sassofonista Daniele Sepe, accompagnato dalla vellutata e preziosa voce di Floriana Cangiano e da Tommy De Paola (tastiere), Davide Costagliola (basso), Paolo Forlini (batteria).
Ph Luigi Maffettone
La serata ha rappresentato il culmine di una serie di laboratori iniziati proprio all’Intra Moenia e proseguiti all’Ex Asilo Filangieri di Napoli e allo Jarmusch Club. Gli artisti hanno ripercorso insieme le tappe musicali di questo viaggio artistico proponendo al pubblico un’eterogenea miscellanea: Mingus, Monk, Coltrane, Rollins, Hancock, Corea, Evans, Jarrett, Zawinul, Shorter, Pascoal, Barbieri, Zappa, Davis, Gershwin, Cole Porter sono alcuni dei grandi nomi al centro di una performance che ha racchiuso la summa di un processo di studio, analisi e ricerca, mirato al completo coinvolgimento del pubblico.
Ph Luigi Maffettone
L’appuntamento con i “Mercoledì Note” continuerà sino a metà ottobre: mercoledì 28 maggio toccherà agli Slivovitz con il “PS3″, (Pietro Santangelo trio); mercoledì 4 giugno sarà la volta degli Speak Easy con la loro musica jazz; mercoledì 11 giugno suoneranno gli Anima Nova la formazione che offre una coinvolgente bossa nova; mercoledì 18 giugno sarà all’insegna della musica popolare con il gruppo vesuviano dei Rareca Antica.
Ph Luigi Maffettone
Una lunga serie di serate in compagnia della buona musica che vedranno una naturale continuazione nei mesi successivi e che avranno la medesima finalità: coinvolgere i cittadini in un percorso formativo in grado di intrattenerli in maniera colta e raffinata senza per questo recare disturbo e ledere le legittime esigenze di tranquillità dei residenti della piazza.
“Me. I Am Mariah…The Elusive Chanteuse” è il discusso e controverso titolo del nuovo album di inediti di Mariah Carey, in uscita il prossimo 27 maggio in tutto il mondo. Alle prese con svariate collaborazioni artistiche tra cui spiccano quelle con R.Kelly, Mary J.Blige, Nas, Fabolous, Wale e Miguel, la cantante americana ha cercato di rimanere fedele e sé stessa. I testi, piuttosto omogenei nella tematica, soprattutto di natura amorosa, sono stati confezionati con cura ma, salvo poche eccezioni, il risultato non è poi così innovativo e convincente come si sperava. Il disco, versione standard, è già di per sé lungo e anche per questo motivo l’ascolto può essere soggetto a distrazione e noia. Elementi letali per un lavoro pensato per rilanciare l’immagine di un’artista dotata di una voce unica e speciale come Mariah. Tra le canzoni più riuscite del disco c’è la traccia d’apertura “Cry” che mette subito in evidenza la profondità e la bellezza della voce della “Elusive Chanteuse”, senza ulteriori ricami e ghirigori. Anche “#Beautiful” è tra le tracce da evidenziare per il gusto e la coinvolgente ritmica dell’arrangiamento proposto. Fresca e catchy, la canzone potrebbe rappresentare un filone da continuare a sviluppare in futuro. Molto meno riuscita è, invece, “Thirsty”, così come “Supernatural”, in cui risulta francamente incomprensibile il campionamento della voce di un neonato. La collaborazione con Wale regala un certo movimento piacevole a “You don’t want what to do”, il brano che, dall’apertura classica iniziale si apre ad una coinvolgente ambientazione disco dance che non dispiace. La delicatezza e l’eleganza gospel di “Camouflage”, insieme al sound by New Orleans di “Money” Feat. Fabolous e al sorprendente assolo all’armonica di Stevie Wonder sulle note di “Make it look good”sono i tratti più interessanti dell’ ultima parte del disco che, nella versione standard, si chiude con ‘‘Heavenly (No Ways Tired/Can’t Give Up Now)”, il brano che ospita l’intero coro gospel del reverendo James Cleveland, in cui Mariah finisce per strafare con delle urla decisamente inappropriate ed eccessive. In sintesi, questo disco non aggiunge e non toglie nulla a quanto Mariah ha costruito nella sua carriera. Nel tentativo di aggiornarsi alle nuove produzioni, la cantante si è dispersa nel marasma delle possibilità sonore che aveva a disposizione, forse dimenticando che il più bel suono è proprio quello autentico della sua stessa voce.
“Evviva la deriva” è l’emblematico titolo dell’album d’esordio dei Dagomago, un progetto giovane nato alla fine del 2012 e che vive attraverso le intuizioni artistiche di Matteo Buranello, Andrea Pizzato e Luca Buranello. Il disco, di chiara ispirazione anglosassone, è prodotto dall’etichetta indipendente Vina Records e, partendo da uno sgangheratissimo quadro dell’attualità che ci circonda, costruisce un’originale cornice testuale che, invece di sporgere denuncia, cammina sul marcio, realizzando un irriverente elogio all’instabilità e all’indeterminatezza del nostro vivere quotidiano.
Dagomago
I Dagomago escono dalla rabbia dei racconti del giornali in “Male” per immergersi nei tempi di delirio e populismo di “Cucinami se vuoi”. L’innata attitudine punk del trio si sposa con sonorità elettriche ed elettroniche creando volume e movimento. L’ironia dissacrante de “La fuga del cervello”, accompagnata da un esilarante videoclip, racconta il disagio esistenziale senza cadere nei clichè a cui ci siamo ormai abituati. “Che tristezza i profeti di provincia”, cantano i Dagomago, in “La vita acida” salvo poi descrivere, con lucida disillusione, lo status de l’ “Apprendista a tempo interminato”: una condizione esistenziale avvilente, deturpante, ingiusta, indecorosa, inaccettabile. Tra vizi privati e virtù pubbliche, proviamo a riprenderci quello che ci hanno rubato, scrivono e cantano i Dagomago in “Maninalto”. Inserimenti elettronici di bassi sintetici e tastiere che pescano dalla new wave impregnano il testo di “10CNR” , l’ode ad un fantomatico commercialista a cui il gruppo racconta di come abbiamo imparato a vivere senza grosse pretese senza nessun rimorso in ogni caso. Atmosfere oniriche e sognanti, caratterizzano, invece, il mood di ”Tenera è la notte”, la traccia che anticipa la chiusura del disco, affidata a “Non fa male”: l’intro da tipica ballad malinconica sorprende con un’apertura strumentale centrale, perfetta per descrivere il terrore, il tremolio ed il lucido ma impotente delirio di una folla di burattini in marcia verso la fine di un lunghissimo tunnel. Nichilismo tutto da godere.
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