Il Brasile, la bossa e tutti i ritmi che ne derivano, continuano a farla da padrona, in questa terza giornata di festa. L’Arena Santa Giuliana, gremitissima, attende un appuntamento oramai consueto: quello con l’eclettico Stefano Bollani ed il suo progetto filobrasiliano “Que Bom”.
Già nel 2007 il pianista compositore, milanese di nascita, figlio del mondo per adozione, aveva approcciato al panorama musicale sudamericano con “Carioca”. Oggi, a più di dieci anni di distanza, torna con “Que Bom”, un album che contamina la bossa, la samba, e note jazz , sostenute dalla collaborazione di Jorge Heilder al contrabbasso, Jurim Moeiera alla batteria, e Armando Marcal e Thiago da Serrinha alla batteria.
Un’ora e mezza di jazz brasiliano. Ma Jazz, senza nessuna deroga, come è proprio nello stile di questo raffinato pianista.
Importante la presenza ritmica, ad affiancare un pianoforte, il migliore che vantiamo in Italia, in ambito di musica jazz, proprio perché spesso dimentichiamo che il pianoforte è uno strumento a percussione.
Un legame profondo che unisce un gruppo “a maggioranza brasiliana, che si è votato alla musica di un compositore italiano”. Così ama definirlo Bollani.
Nell’intercalare di uno swing composto ed equilibrato si alternano i titoli. Titoli di cui Bollani spiega al pubblico l’origine e l’originalità. Perché se Debussy componeva musiche senza titolo che poi venivano “titolate” su suggerimento degli amici (e vantava amici come Mallarmé), Bollani fa lo stesso. Ma, dai suoi amici, escono titoli come “ho perduto il mio pappagallino”, o “uomini e polli”. Soprattutto, però, da lui esce ottima musica, musica che Bollani sa “spalmare” con empatia sul pubblico dell’Arena, fino a strappare applausi a scena aperta (il solo finora), e a mantenere sempre alta l’attenzione, nonostante la sua non sia certo una musica “facile”.
Il disco è stato interamente registrato a Rio, autoprodotto, e rappresenta l’apice dell’intenso legame dell’artista milanese con il Brasile, di durata oramai ventennale.
Forte è anche il legame con Napoli. E, nel dedicare alla Moglie “La nebbia a Napoli”, si lancia in una performance canora, che nel disco è affidata a Caetano Veloso.
Caetano Veloso che, a seguire, porta sul palco il suo progetto “familiare”, insieme ai figli Moreno Zeca e Tom. Un repertorio acustico, casalingo, inedito. Sicuramente le doti canore ed interpretative di Veloso sono indiscutibili, ma questo progetto un po’ troppo intimo e privato, e forse un poco “forzato”. Almeno questa è l’impressione che se ne ricava in termini critici. La fedele Arena però non cede, resta presente, ed applaude, probabilmente più col cuore e l’affetto nei confronti di questo artista che da 15 anni calca i palcoscenici dell’Umbria Jazz, che non con una convinta partecipazione.
JR