Apertura, ricerca, emotività sono i tre concetti chiave che potremmo usare per parlare di “Atlantico”, il nuovo album di Marco Mengoni in uscita il 30 novembre 2018 per Sony Music.
L’artista ha presentato questo nuovo progetto alla stampa questa mattina alla Torre Velasca di Milano e per l’occasione ha voluto creare un percorso di attraversamento e di avvicinamento alla sua nuova musica con un Festival patrocinato dal Comune di Milano. Tutte le forme di arte sono state ingaggiate all’interno di una serie di happening, mostre e installazioni ricche di contenuti ispirati ai testi e alle musiche di “Atlantico”.
“Dopo aver investito energie in un progetto molto lungo, ero scarico, avevo necessità e voglia di ricrearmi, fare le cose con lentezza per poterle capire sino in fondo. Ho fatto tanti viaggi, sia mentali che pragmatici, mi sono staccato dalla quotidianità e mi sono ritagliato degli spazi da solo. Sono entrato in contatto con tante culture diverse, ho assorbito influenze diverse, mi sono ritrovato a sorvolare spesso l’Oceano Atlantico e, guardando quanti paesi ne sono bagnati, ho voluto che il titolo del disco riportasse proprio il nome del secondo oceano più grande del pianeta.
In questi due anni e mezzo sono cresciuto e sto crescendo, sono rimasto spesso da solo con i miei pensieri e ho avuto modo di vivere esperienze che non pensavo potessi vivere se non ascoltandole da altri.
Per prima cosa sono andato a Cuba, ho voluto scoprire un posto che volevo toccare con mano, mi sono fatto raccontare tanto di una storia difficile, sono andato alla scoperta delle origini della tradizione salsera e rumbera. Mi sono lasciato affascinare da testi pesanti come macigni vestiti di allegria e ho messo da parte quelle suggestioni per inserirle anche nelle mie canzoni. Non so se ci sono riuscito ma ho cercato di fare esattamente questo.
Una delle persone che più di tutte mi ha aiutato a decodificare le emozioni e gli appunti di questi viaggi è Fabio Ilacqua a cui ho cercato di trasmettere quello che di volta in volta vedevo. Così come quando sono stato per un periodo a New York, una città incredibile, piena di energia, in cui sono arrivato con la testa piena di domande a cui cercavo di dare delle risposte. Mi sono sentito solo in una città che offre tantissimo, ho seguito un percorso di autoanalisi dentro di me, ho analizzato cosa fossi riuscito a fare finora e cosa mi fossi perso. E così è venuto fuori il concetto di lentezza, inteso con accezione positiva. Mi sono anche arrabbiato con me stesso perché mi sono reso conto che quando mi succedevano delle cose importanti, nel lavoro e nella vita, ho sempre seguito l’istinto di mettere da parte le cose che fanno più male e i sentimenti più brutti. Da questo percorso molto duro sono quindi nati dei pezzi incentrati sul concetto di contrasto, un termine così distante dal mio imprinting educativo che, ripetuto così tante volte, viene svilito del suo stesso significato.
Video: Marco parla del brano “Hola”
A questo punto del percorso creativo, è sopraggiunto il concetto di condivisione: mi sono sbloccato nella mia intimità artistica, non è mai successo che collaborassi con altri artisti in un mio album, in questo caso non ho voluto ragionare tanto sulle cose, a 30 anni ho capito che è inutile l’individualismo, quindi ho scelto di condividere il brano con Tom Walker, gli ho dato massima libertà, l’ho spinto a fare quello che voleva. Ha scritto un inciso completamente diverso e il risultato è “Hola” (I say).
Sulla scia dei miei viaggi è nata anche “Amalia”, una canzone ispirata alla figura di Amalia Rodriguez, luminare del fado portoghese. Ho cercato le origini, le tradizioni, ho immaginato le donne che vedevano partire i propri mariti senza sapere se e quando sarebbero tornati. Ho quindi iniziato a scrivere il brano per poi vestirlo con il contrastante ritmo della cultura brasiliana facendomi supportare dai Selton e da Vanessa Da Mata.
Successivamente sono andato in studio dal Maestro Mauro Pagani con i miei musicisti di sempre e abbiamo cercato gli arrangiamenti più giusti per queste storie. Il disco si è praticamente prodotto da solo anche se dopo due mesi di suoni, sono andato a cercare dei produttori stranieri e i Rudimental hanno risposto alla mia chiamata per arrangiare il brano “Rivoluzione”; un pezzo che parla di me in prima persona e di come sono arrivato a oggi.
Tra i personaggi importanti di questo album c’è anche Adriano Celentano con un bel cammeo ne “La Casa Azul”, un brano che ho dedicato alla meravigliosa figura di Frida Kahlo. Adriano è stato subito entusiasta, naturalmente ha fatto quello che voleva e non a caso si inserisce nel brano subito tipo un shhhh di invito al silenzio. Credo che senza di lui non sarei stato in grado di omaggiare fino in fondo un’artista tanto incredibile quanto Frida.
L’ultima dedica del disco è a Muhammad Alì, nel mio percorso mi sono sentito tante volte debole e ho sentito l’esigenza di documentarmi su chi nella storia non ha mai avuto paura di salire sul ring. Muhammad rimane un punto di riferimento anche oggi e vorrei che lo conoscessero anche i ragazzi che non hanno avuto la fortuna di nascere quando lui incantava il mondo con le sue battaglie.
Il disco si chiude con “Dialogo tra due pazzi”: una relazione tra due persone che non sono normali che in realtà è l’occasione per chiedersi cosa sia in realtà la normalità. Un pezzo in cui si può ritrovare davvero chiunque.
Per quanto riguarda la lavorazione in studio, posso solo dire che il Maestro Pagani ha qualunque strumento, lavorare con lui è stato ancora più stimolante. Io e i miei musicisti di sempre stiamo crescendo insieme, abbiamo tutti e quattro la stessa età, mi accompagnano da 15 anni a questa parte, essere in studio con loro è stato fondamentale perché ho potuto esprimermi nella mia nudità più totale, sanno cosa voglio e siamo messi lì come ai vecchi tempi seduti in circolo. Ci siamo scontrati su tante cose, sulle ritmiche e sulle influenze sonore di mamma Africa, ci siamo misurati anche tempi ritmici molto complessi e siamo cresciuti professionalmente tutti insieme anche in questa occasione.
Video: Marco e il pubblico estero
A chi mi chiede se questo album nasce e si configura come progetto internazionale, rispondo che il disco esce in contemporanea in molti altri paesi con un’edizione incisa completamente in spagnolo oltre a quella italiano. A breve ci saranno 5 anticipazioni dal vivo per quello che ad aprile e maggio sarà il vero e proprio tour di cui ho disegnato il palco ben 3 anni fa ormai. Ho sentito vociferare di concerti negli stadi ma io e il mio team abbiamo deciso di fare un passo indietro. Il percorso continua nei palazzetti perché è più giusto, perché il disco si sposa meglio con quel tipo di intimità e perché per gli stadi c’è tempo. Studierò il modo per far arrivare questi miei nuovi messaggi al meglio, vorrei creare un percorso sensoriale che possa riportare le persone all’interno della musica e viverla come esperienza completa. Queste mie nuove idee hanno trovato terreno fertile anche in altri progetti: la partnership con National Geographic per la salvaguardia del pianeta contro l’abuso della plastica, con Casa Chiaravalle, un ex proprietà confiscata alla malavita, oggi luogo di accoglienza, a cui andranno i ricavati dell’Atlantico Fest.
Forse queste idee mi sono venute dopo essermi costretto a stare da solo, a pensare a quello che mi era accaduto, a dare il giusto peso alle sensazioni di quel periodo. Mi sono preso tempo per seguire delle cose e per prendermi cura delle persone che mi stanno vicino. La cosa che mi più mi fa arrabbiare è il concetto di c’è tempo. In alcune occasioni ho lasciato che il tempo scorresse piuttosto che fare qualcosa, la lentezza serve per ragionare, la velocità serve per rispondere e agire. Non so se ci sarà una vita dopo ma da oggi vorrei lavorare per non perdermi più niente”.
Raffaella Sbrescia
LA TRACKLIST