Dopo anni di tour e pubblicazioni in Italia con Giuliano Palma & The Bluebeaters e negli Stati Uniti con la New York Ska Jazz Ensamble, Peter Truffa si mette in gioco con “Art School”, l’Ep che segna il suo debutto da solista sulla scena internazionale. Il cantante e pianista newyorkese ha registrato il lavoro tra il Buffalo Stack Studio e il Mamma’s Place Studio a Woodstock, area settentrionale di New York. Le tracce che compongono la tracklist hanno come filo conduttore un autentico rocksteady corretto dal gusto tipicamente rock ‘n roll all’ americana. L’Ep offre, perciò, degli spunti indie reggae, con accenni di piano boogie e ska tradizionale. Il risultato è un viaggio a tappe all’interno delle varie evoluzioni che la musica giamaicana ha incontrato durante il suo lungo pellegrinaggio fra le diverse culture musicali occidentali. Abbiamo incontrato Peter Truffa per farci accompagnare per mano al centro di questo coinvolgente percorso musicale e umano.
Dopo un lungo ed articolato percorso artistico, ti stai avventurando in un’avventura in veste di solista. Perchè? Cosa ti ha fatto scoccare la scintilla?
La scintilla c’e’ sempre stata dentro di me. Io ho avuto la fortuna di lavorare con Andy Stack, chitarrista dello NY ska jazz ensemble. Lui mi ha influenzato molto artisticamente e ha prodotto il disco con me. Andy è un musicista molto noto e influente, infatti a NY tutti conoscono il suo progetto Buffalo Stack.
Parlaci di “Art School”: perchè hai scelto questo titolo? Quali idee, prospettive, influenze, storie, persone, ispirazioni racchiude questo album?
Art School racconta di come voglio vivere. Voglio sentirmi libero nel fare delle scelte per non avere in futuro rancori o rimpianti. “Arte” per me significa essenzialmente la libertà assoluta nel creare qualcosa che ti piace e che ti fa stare bene, senza costrizioni imposte da altri. Se non ti piace, perché devi farlo ?
Nella bio c’è scritto che questo progetto nasce esattamente nel luogo in cui hai conosciuto la musica quando eri soltanto un bambino. Potresti approfondire questo discorso, magari facendo un parallelo con allora?
In realtà penso che NY sia una città come tante altre. Sono le persone che rendono il luogo unico. Personalmente ho avuto la fortuna di essere fin da piccolo circondato da persone che mi hanno sempre stimolato molto. Lo scorso anno è morto mio nonno, si chiamava Pietro Truffa, ed era della provincia di Asti. Per me era il migliore. Una certezza e un importante punto di riferimento. Nel 1938 si è trasferito a NY e li ha vissuto il resto della sua vita. Lui credeva che i sogni potessero diventare realtà e, grazie ai suoi racconti, ci credo anche io.
“So Natural” è la traccia che si distanzia di più dalle altre, grazie al suono degli archi il risultato è veramente particolare. Qual è il tuo commento a questo brano?
“So Natural” è nata in modo molto naturale. Molte delle mie canzoni sono influenzate dal mio stato d’animo che determina il mio gusto in un determinato momento e fa si che una cosa mi piaccia e che l’altra no, non saprei spiegarlo in maniera razionale.
Potremmo definire il sound di “The limit to your love” un “epic reggae”?
Sì direi proprio di sì, anche se mi auguro che il brano venga ricordato non tanto per una fantomatica definizione stilistica quanto per le emozioni che è capace di trasmettere.
Come sintetizzeresti la tua decennale collaborazione con Giuliano Palma & Bluebeaters?
E’ stata una bellissima esperienza dal punto di vista umano e professionale.
Che rapporto hai con Alberto Bianco?
Alberto è un mio amico e sono contentissimo del suo successo. Considero la sua musica molto speciale, il suo talento va al di là di ogni categorizzazione o definizione.
Come presenteresti la musica di “The Sweet life society” a chi non la conosce?
I Fratelli Sweet Life (Gabri, Matteo e Theo Melody) hanno saputo ricreare un suono che li distingue da tutto il resto. Io ho collaborato con loro nel 2009 quando il progetto stava nascendo ed ho capito che la musica è al secondo posto, prima viene il cuore.
In cosa consiste il progetto ska-boogie italiano?
Sappiamo che lo Ska in Giamaica arriva prima del reggae e del rock steady. Boogie è quando balli per sfogarti. Boogie boogie invece è un particolare modo di suonare il pianoforte legato all’immaginario Blues di New Orlenas. Lo ska – boogie è quindi un miscuglio di queste cose.
Che tipo di concerto offri al tuo pubblico?
Mi auguro di riuscire a trasmettere tantissima energia ma soprattutto cuore. Il pubblico è ovviamente sempre il ben venuto soprattutto se si lascia trasportare dalla musica. E come dico sempre: “se mi vedessi morire sul palco prendi il mio corpo e fammi ballare”…
Raffaella Sbrescia
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