Il “Mondo Matrioska” di Gae Campana

gae campana “Mondo Matrioska” è il riuscito titolo dell’album di Gae Campana, un cantautore polistrumentista di origine abruzzese. Il disco, prodotto su etichetta Music Force, si compone di undici tracce in cui l’artista riesce a convogliare il suo eterogeneo background musicale, grazie ad uno stile riconoscibile. L’album si avvale, inoltre, del prezioso contributo di validi musicisti come Carmine Ianieri, Vito Di Virgilio, Marco Salvatore, Alberto Biondi e Nicola Di Camillo. Si passa da dolci ballads piano e voce, a colorati intervalli jazz, fino a chiassose parentesi più dichiaratamente folk. Melodia, ironia e leggerezza convivono in un progetto originale e fruibile. Ritmi e linguaggi non gravitano mai in un solo contesto, “Mondo Matrioska” presenta, infatti, due volti: quello più scanzonato e spensierato dei primi pezzi, immediati ed orecchiabili come “Quintino ha perso il treno” e la title track “Mondo Matrioska”, l’altro, che fa della bossanova, samba, jazz e blues, il suo cuore pulsante, attraverso brani come “Non Cadrai”, un’intensa dichiarazione d’amore, e “Solo adesso”: una disperata presa di coscienza esistenziale. “Trivella più che puoi” è, invece, una scarica blues che condanna l’accanimento dell’uomo contro la natura. L’amore non corrisposto di “Quanta strada”, il fanciullino di “Non dimenticare”, le storie coperte di polvere di “Un po’” e la tenerezza di “Un mondo nuovo” tracciano un percorso elegante in cui Gae Campana si muove con scioltezza e classe fino al sabbah notturno della reprise di “Non dimenticare”, che chiude il disco tra stelle, pensieri e ricordi.

Raffaella Sbrescia

Andrea Tarquini canta Stefano Rosso e lavora ad un nuovo disco

Andrea Tarquini

Andrea Tarquini

Andrea Tarquini è un cantante e chitarrista acustico. Intorno ai vent’anni esordisce sui palchi di tutta Italia, grazie alla collaborazione con il suo maestro e amico Stefano Rosso, che lo avvia allo studio della chitarra Fingerpicking. Poco più tardi, ormai trentenne, Andrea Tarquini comincia a focalizzare l’ attenzione verso i generi musicali più acustici: dal cantautorato alla musica tradizionale USA. Sono anni nei quali l’artista frequenta la scena musicale acustica e bluegrass romana ed è proprio grazie al gruppo di “bluegrassari” romani che inizia la collaborazione con Luigi “Grechi” De Gregori, fratello maggiore di Francesco. Grazie all’amicizia e a lunghi scambi di idee con Luigi e con Paolo Giovenchi prende forma il progetto di realizzazione del disco – tributo a Stefano Rosso con brani cantati e suonati da Andrea Tarquini che, intanto, sta scrivendo un pugno di canzoni proprie, tutte rigorosamente “unplugged”, che saranno all’interno di nuovo lavoro discografico.

Andrea, quanta America c’è nella sua musica e quanta Trastevere?

Nella mia musica c’è sicuramente tanta America, la mia ricerca artistica si concentra, infatti, sulle sonorità tipicamente nord-americane.

 Qual è la differenza tra fingerpicking e flatpicking?

Il flatpicking consiste nel suonare la chitarra acustica col plettro nella mano destra, si tratta di una tecnica legata alla musica tradizionale ma non solo. Il fingerpicking consiste, invece, nel suonare  la chitarra acustica suonata senza plettro nella mano destra e prevede l’indipendenza del pollice, che suona i bassi alternati mentre le altre dita fanno la melodia.

AT_REDS Canzoni di Stefano Rosso_cover“Reds! Canzoni di Stefano Rosso” è il tuo lavoro discografico più recente. Da dove nasce l’idea di questo album e che ricordo umano e professionale hai di Stefano?

Il disco nasce principalmente grazie allo stimolo di Luigi (Grechi) De Gregori, che mi ha sempre detto le seguenti parole: «Sei un ottimo chitarrista, canti bene e suonavi con Stefano Rosso. Chi meglio di te può fare un disco con i suoi brani? Sbrigati a realizzare questo progetto prima che qualcun’altro metta in pratica l’idea, magari in malo modo». Questo è stato, quindi, uno dei primi motori, a cui si è aggiunto Enrico Campanelli che, con la sua società, ha finanziato e sostenuto la produzione del disco, e Paolo Giovenchi, che ha curato la produzione con un supporto artistico e creativo. Di Stefano Rosso potrei dire tante cose: quando suonavo con lui ero molto più giovane, avevo una ventina d’anni e, in qualche modo, è stata una fase formativa e molto significativa della mia vita. Lui era un uomo semplice, un uomo naturale, non c’era nulla di costruito. Stefano era esattamente quello che si vedeva dall’esterno, comprese le fragilità e i limiti che lo hanno allontanato dal grande pubblico negli ultimi anni della sua carriera. Questa sorta di isolamento lo ha portato, infine, a far diventare sempre più forte la sua peculiarità di folk singer.

Come si svolge la tua vita di “romano a Milano”, innamorato del sound americano?

La musica non è l’unica cosa che ho fatto in questi anni anche se il mio percorso è molto legato allo strumento e alle musiche strumentali, in particolare. Non  penso che esista musica vecchia e nuova, esiste, bensì, musica buona e musica cattiva. La cosa importante sono i contenuti e, per quanto mi riguarda, quello che mi contraddistingue è il fatto di credere fortemente in una musica di tipo cantautorale, acustica, intima.

Andrea Tarquini

Andrea Tarquini

“Ho capito come” è un brano strumentale scritto da lei e dedicato a Stefano Rosso. Il titolo è una risposta al ricorrente intercalare dell’artista o  è anche una dichiarazione di intenti?

Chissà, forse avrei dovuto mettere un punto interrogativo alla fine del titolo perché, in verità, non si capisce mai qualcosa del tutto. “Ho capito come” potrebbe far pensare che uno abbia raggiunto qualche traguardo mentre, invece, ogni cosa che fai sposta in avanti il traguardo. L’importante è essere su un cammino che ti rappresenti, che senti sia tuo.

 “C’è un vecchio bar” è un inedito, una canzone mai registrata in studio da Stefano Rosso. Come ha potuto riproporla esattamente come l’artista la suonava?

Possedevo una cassetta con una registrazione amatoriale che Stefano Rosso non ha mai inciso. Purtroppo la cassetta è andata distrutta ma, attraverso la mia memoria, è stato possibile effettuare un vero e proprio recupero storico del brano.

Prossimamente presenterà, a Milano, la nuova OMS Custom dello storico marchio “Burgeosis”, ci anticipa qualcosa?

“Orchestra Model Slotted” è il modello dello strumento, realizzato apposta per me, e che non ho mai suonato prima. Si tratterà di un concerto di presentazione e, se da una parte festeggeremo la mia collaborazione, in qualità di endorser con lo storico marchio, dall’altra presenteremo lo strumento al pubblico.

Che progetti ci sono per il futuro?

Sto scrivendo un nuovo disco e mi sto concentrando su questo. Per il resto vorrei fare un buon numero di concerti: in Italia la musica acustica fatica il doppio degli altri generi a trovare spazio. Si tratta di un genere apparentemente di nicchia ma molto più popolare di quanto si creda. Mi piacerebbe, dunque, fare un buon disco e suonarlo bene in giro, senza problemi di fruizione.Vorrei, inoltre, che il nostro paese fosse un pò più attrezzato e rispettoso nei confronti della musica.

Raffaella Sbrescia

“Made in London”: la svolta di Noemi

noemi“Made in London” è il quarto album in studio di Noemi. Frutto di un anno trascorso proprio a Londra, per una totale immersione nei suoni, nei colori e nelle atmosfere che hanno forgiato alcuni tra i più grandi successi della musica mondiale, questo nuovo lavoro rappresenta una totale apertura della cantautrice che ha saputo lasciarsi cullare da questa proficua esperienza artistica. Il risultato è un’evoluzione sonora e ritmica di notevole impatto, senza tralasciare, tuttavia, l’ormai nota forza espressiva di una voce graffiata e graffiante. Pubblicato lo scorso 20 febbraio, su etichetta Sony Music, “Made in London” ha visto la collaborazione di autori come Paul Statham, Poul O’duffy, e Shelly Poole, Steve Brown. Tra gli italiani ci sono Diego Mancino e Luca Chiaravalli, che hanno collaborato alla stesura di due brani, e Daniele Magro. Il produttore esecutivo del disco è, invece, Charlie Rapino. Un disco che batte e combatte è quello di Noemi, che ha accettato di mettersi in gioco, in nome di un obiettivo che la portasse ad un gradino superiore, senza mai rinnegare il passato. Il primo brano s’intitola “Acciaio”, il sound è potente e peculiare mentre l’uomo, come un fiore di marzo, si lascerà piegare dal freddo e dai problemi senza, tuttavia, spezzarsi. Segue “Sempre in viaggio”, uno spirito errante è in balìa del sacro fuoco della ricerca mentre una travolgente ritmica black rende il brano particolarmente attraente. L’unico brano scritto e cantato interamente in inglese è “Passenger”, l’intro piano e voce è di chiara ispirazione cantautorale poi, con l’inserimento strumentale degli altri elementi, le parole fluttuano veloci come dardi: “I’m gonna let you drive me”, canta Noemi, mentre la poesia di “Se tu fossi qui” porta il climax emotivo ai punti più elevati. “Don’t get me wrong” è, forse,  il brano più movimentato del disco: la partitura elettro-rock gli conferisce una dinamicità  che non ritroviamo, invece, in “Bagnati dal sole”, la track che abbiamo imparato a conoscere durante il Festival di Sanremo. Il brano più intenso di “Made in London” è indubbiamente “Tutto l’oro del mondo”: “Di errori fanne e fanne pure, e sorridi a chi ti vuole male. Possa darti bellezza ogni tuo nuovo giorno, la tristezza adesso è in viaggio senza più ritorno, senza più ritorno” e poi, ancora, “Passerà pure questa fine del mondo e vedrai allora sarà tutto l’opposto di ciò che ti hanno detto”. A seguire ci sono “Per cosa vivere” e “Un fiore in una scatola”: due brani che imparano a destreggiarsi tra stagioni, regole e incertezze esistenziali. “Un uomo è un albero” è la seconda delle due canzoni portate a Sanremo da Noemi: “un uomo è un’idea”, canta l’artista, e in effetti non si può certamente darle torto; ciascuno di noi corrisponde ad un’immagine che può essere reale o semplicemente frutto di una suggestione altrui ed è per questo che, in conclusione, non rimane che lasciarsi conquistare dalla natura, così come avviene in “Alba”, la dolce melodia che chiude l’album presentandoci come “nuvole cariche di pioggia” e “isole perse nella nebbia”.

Raffaella Sbrescia

Video: “Bagnati dal sole” 

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“Secondo Rubino”: il nuovo disco di Renzo Rubino emoziona e convince

untitled“Secondo Rubino”è il titolo del nuovo album di Renzo Rubino, il cantautore, classe 1988, che ha conquistato il pubblico dell’Ariston durante la 64ma edizione del Festival di Sanremo. Edito da Atlantic/Warner Music, il disco è composto da 11 tracce, scritte interamente da Rubino, insieme al produttore del disco Andrea Rodini mentre l’arrangiamento dell’album ha visto anche la partecipazione di Andrea Libero Cito in “Piccola” e del direttore d’orchestra Marcello Faneschi in “Colazione”. “Secondo Rubino” è uno scrigno colmo di storie, ricordi e sentimenti da comunicare, lo si evince anche dalla copertina del disco in cui Renzo ha due facce: una romantica, idealista, sognante, dichiaratamente vecchio stampo, l’altra è schizofrenica, insofferente, pronta ad esplodere. Se la spina dorsale di tutto il lavoro sono degli archi delicati ed eterei, non è da sottovalutare il grande ruolo del pianoforte che, come un compagno fedele, prende il cantautore per mano lasciandogli, tuttavia, la libertà di evadere dalla realtà contingente per spingersi tra i grovigli dei pensieri. Ha tante cose da raccontare Renzo Rubino che, reduce da una lunga e tortuosa gavetta, è riuscito ad imprimere un segno tangibile nello scenario musicale italiano grazie alla sua grande energia comunicativa. Canto, suono, espressione sono tutti elementi che lo hanno aiutato a far sì che, pian piano, le sue carte artistiche venissero scoperte con piacevole stupore.

Il disco si apre con “Ora”, il brano che abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare proprio grazie al palco dell’Ariston: con un testo che si concentra sul comune stato di infelicità generale, Renzo canta le emozioni di un uomo che si sente oppresso, che dà il massimo e che, tuttavia, non vede i risultati dei suoi sforzi. Costretto ad indossare una maschera quotidiana per sopravvivere, alla fine il protagonista riuscirà a trovare la forza per fermarsi e ritrovare la propria identità. La seconda traccia s’intitola “Monotono” e narra una storia che, a sua volta, si dirama in due direzioni opposte: l’una narra di un uomo che butta al vento il suo amore, l’altra di un suicida che finisce con il ferire, non solo sé stesso, ma soprattutto chi resta. A seguire c’è “Sete”, il racconto di un amore vissuto nello spazio di una notte: “qui non c’è nessun domani ma soltanto le nostre mani”, sono soprattutto gli archi a mettere in risalto l’essenza di un sentimento che avrebbe potuto durate una vita intera. Davvero invitante è il mix di elettronica e archi di “Sottovuoto”: un ritmo trascinante ed un testo irriverente costituiscono un gradito stacco sonoro. “Per sempre e poi basta” è, invece, l’altra traccia sanremese, che si è aggiudicata il premio assegnato dall’Orchestra per il miglior arrangiamento. Al centro del testo, davvero intenso, c’è una nostalgica sofferenza d’ amore: “ti sto riservando un posto nei miei pensieri, reparto ricordi”, canta Rubino, conferendo alla memoria un ruolo essenziale. Giochi di parole e sonorità anni ’80 tracciano i tratti di “Mio”: “ L’unica cosa che possiamo fare è condividere momenti insieme, perché “se non sono mio, come sarò mai tuo?“, niente di più importante che lasciare a sé stessi la propria patria potestà. Ricerca sonora e tradizione classica continuano, intanto, ad intrecciarsi trovano equilibri sempre nuovi, che ben si predispongono ad un molteplice riascolto. Nel brano intitolato “La fine del mondo”, la tenerezza s’insinua tra le aride fibre di una forza distruttrice, emozione e commozione ammorbidiscono gli intenti nichilisti di una filastrocca che finisce per narrare la bellezza delle cose semplici. Il sentimento dell’amore diventa, invece, qualcosa di spaventoso in “Piccola”: un’intensa e breve ballad, la cui forza sta nella potenza evocativa delle immagini. Su tutte, quella di un uomo che, nell’accarezzare i lunghi capelli di una donna, si sente come affondare in mare. “Passeggia con me non fare domande dove poco è davvero utile e tanto una conseguenza“, canta Rubino in “Amico”, brano dedicato al fondamentale e fraterno valore dell’amicizia. Schizofrenico e spassoso è, invece, il ritmo electro di “Non mi sopporto”: le manie e le fissazioni del cantautore emergono in un flusso di coscienza veloce e travolgente. Chiude l’album la delicata poesia di “Colazione”: “La nostra storia è come la colazione perché, anche se è uguale, è essenziale: la riprova che l’amore eterno esiste.

Raffaella Sbrescia

Video: “Ora”

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Classifica FIMI/FFK: Luciano Ligabue torna in cima alla top ten con “Mondovisione”

Ligabue2013 © Jarno Iotti

Ligabue2013 © Jarno Iotti

Con la partecipazione al 64mo Festival di Sanremo e l’uscita di “Per sempre”, terzo singolo,estratto dall’album “Mondovisione”, Luciano Ligabue risale al comando della classifica Fimi/ GfK degli album più venduti della settimana in Italia. Alle sue spalle c’è Bruce Springsteen con “High Hopes”, seguito, al terzo posto, da Laura Pausini con “20 The Greatest Hits”. Stabile, in quarta posizione, è Mika con “Song Book vol.1”, seguito da Elisa con “L’anima vola” e da Giorgia con l’album “Senza Paura”. Scivolano al settimo posto i Two Fingerz con “Two Fingerz V” mentre rientrano in top ten Emma Marrone con l’album “Schiena vs Schiena”, Marco Mengoni con “#Prontoacorrereilviaggio” e i Modà con “Gioia non è mai abbastanza”.

La compilation dell’etichetta “La Fame dischi” in free download

la fame dischiGrazie al concorso“Le Canzoni Migliori Le Aiuta La Fame seconda edizione”, organizzato, come ogni anno, dall’etichetta indipendente La Fame Dischi,  i migliori brani scelti fra tutti i partecipanti al concorso, oltre 130 band appartenenti allo scenario musicale indipendente italiano, entreranno a far parte della compilation intitolata “Le Canzoni Migliori Le Aiuta La Fame VOL.2”. I brani  si possono  ascoltare e scaricare gratuitamente al seguente link: www.lafamedischi.bandcamp.com

Tracklist:

  •  Il Rondine - “Morto” (vince ingresso Fame Dischi + produzione, promozione, distribuzione digitale di un disco + servizio fotografico + brano in compilation)
  •  The Fucking Shalalalas – “Tiramisu” (vince un tour in Italia con 101booking + brano in compilation)
  •  Zeman - “Fermo” (vince promozione per una anno di 1 album o 1 ep + brano in compilation)
  • Venus in Furs – “Io odio il mercoledì”
  • Liprando – “Nell’ambra”
  • Rigolò – “Hellas”
  • DON’T ASK ME – “Oggi mi sento bene”
  • Bonomo – “Insonnia”
  • SIR RICK BOWMAN – “Over Borders’ Ground”
  • JARRED THE CAVEMAN – “Back into the sinkin’ ship”
  • ZIO VANIA – “Strawfire” (brano in compilation)
  •  Portfolio – “Sion” (brano in compilation)
  •  ETRUSCHI FROM LAKOTA -“I nipoti di Pablo”
  •  IRMA NON ESISTE – “Fiume di Notte”
  •  Borderline Symphony – “Il camaleonte”
  • Granada Circus – “Il Musicone”
  •  La Monarchia – “Ti vedo”
  •  Eugenio in via di Gioia – “All you can eat”
  •  Robespierre Revolutionary Party – “Atlante”
  •  Enrico Botti – “Un bicchiere di vino”
  •  Il Magnetofono – “Baby doll”
  •  Esquelito – “Eternit Love”
  •  Younger Son – “Out of tune”
  • La Madonna Di Mezzastrada – “Tunisia”
  •  John Mario – “No VR”
  •  Coniugi Orsini – “FERLAINO”
  •  3chevedonoilrE – “Karmelita”
  •  Visioni di Cody – “Il Manifesto”
  • Assassini del Pop – “Quando mi dimentichi”
  • Vuoto Apparente – “L’atleta”

Intervista ai Fluon. Andy: “Futura resistenza racchiude la forza di un’idea”

Fluon © Sergione Infuso

Fluon © Sergione Infuso

“Futura resistenza” è il disco d’esordio dei Fluon, la band nata dall’incontro del talento creativo di Andy, ex Bluvertigo, con la chitarra elettrica di Fabio Mittino, il sound electro di Faber e quello rock elettronico di Luca Urbani. Grazie al sostegno dei fan e alla piattaforma di crowdfunding Musicraiser, il gruppo ha realizzato un lavoro discografico in grado di rispecchiare il proprio stile personale e creativo. A raccontarci i segreti del disco è proprio Andy, il frontman della band, che incarna l’estetica, il suono e lo spirito dell’omonimo laboratorio d’arte, fabbrica di idee, dipinti e musica.

Come intendono i Fluon la parola resistenza e in che modo essa può racchiudere l’essenza del disco?

L’essenza del disco è racchiusa nel concetto di  “forza di un’idea”. Visto che ci troviamo in un clima sociale abbastanza estremo e che la discografia non esiste più, c’è bisogno di creare qualcosa in maniera completamente indipendente, attraverso delle idee brillanti.

Fluon © Sergione Infuso

Fluon © Sergione Infuso

La vostra musica è molto eterogenea. Quali sono i punti cardine delle vostre composizioni e come nascono gli arrangiamenti?

La produzione del disco è stata curata da Fabio Mittino, un chitarrista proveniente da una disciplina e scuola di pensiero molto particolare, secondo la quale l’obiettivo finale è mirare all’essenza delle cose. Per questo motivo, a differenza del passato, in cui tendevo a farcire le tracce di infinite possibilità sonore, lui ha preferito togliere piuttosto che mettere. A completare il lavoro sono stati Luca Urbani, con dei testi molto lontani dal sovraccarico di parole, e Faber che ha mixato il disco. Per quanto riguarda me, ho semplicemente fatto il cantante e ho scritto il pezzo di un brano.

Futura Resistenza_cover album (2)Nel vostro disco suono, spirito ed estetica vanno di pari passo? Ci sono dei progetti legati anche ad una dimensione più specificamente visiva?

Sì, Fluon è anche un luogo fisico, un capannone industriale adibito alla creatività. Al suo interno vedranno la luce servizi fotografici, album,  videoclip e tutte le altre attività che potranno venire fuori da questo progetto. Per quanto riguarda il live, che muoverà i primi passi a maggio, tutti i brani conterranno una proiezione visiva; suono e immagine saranno compresenti in quello che sarà un concerto visuale.

“Non c’è gloria ma solo partecipazione”?

Partecipare implica la consapevolezza della propria esistenza

Qual è il “nuovo che avanza”?

La forza di un’idea, per noi, sta nel creare un’operazione di crowfunding in cui il nostro pubblico ci ha dato dei soldi a scatola chiusa, investendo su di noi perché crede in quello che facciamo. Questo è il nuovo pubblico, questo è quindi un nuovo che avanza , un nuovo interlocutore partecipe delle nostre idee.

“Tutto torna”?

Si tratta di una constatazione. La sofferenza degli anni passati, le tante battaglie perse, il denaro rubato da persone disoneste, ma anche le tante soddisfazioni, mi hanno portato a pensare che tutto torna. Ho creduto nella mia essenza e, nonostante la  povertà di tasca, la ricchezza di impulso mi ha comunque regalato dei feedback positivi.

Nei vostri testi la notte gioca spesso un ruolo chiave. Come mai? Vi va di approfondire questo discorso?

La notte raccontata nel disco è quella di Luca Urbani che ha scritto i testi. In generale, comunque, la notte è un convogliatore di pensieri creativi: mentre tutti gli altri dormono, noi possiamo attingerne energia.

“Ti puoi permettere” e “Buio” sono due brani che sembrano avere una consistenza diversa rispetto agli altri brani… siete d’accordo?

Beh, sì…In ”Buio”, in particolare, tutto diventa acustico, tutto si svuota, si toglie la corrente e ci si dà la buonanotte.

Che rapporto avete con i vostri fan?

Siamo in contatto diretto e loro possono venire nel mio studio quando vogliono, per me è un piacere riceverli. Quando ne abbiamo invitati alcuni, per le riprese del videoclip de “Il nuovo che avanza”, ho cucinato tantissimo pollo al masala, ho cercato di fare cibo per tutti è stato molto divertente.

Raffaella Sbrescia

Video: “Il nuovo che avanza”

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“PineAppleMan”: 10 minuti di benessere

pineapple manDieci minuti di catartico benessere psicofisico racchiudono l’essenza di “PineAppleMan” il piccolo, soffice e leggiadro ep di Pineappleman (vocals, little guitar big sound), accompagnato da LaPAM  (viola), AlanFord (electric guitar, effects, chorus), Annanas (synth, piano, keyboards, chorus), Paul Rain (bass, drums, effects ).  Silenzi ad effetto, colorazioni sonore dal tocco vintage ed una lieve profumazione melanconica impreziosiscono il ritmo irresistibilmente folk delle trame sonore delle 3 tracce che compongono l’ep. La title track “PineAppleMan” lascia che il suono penetri, con un’equilibrata dose di vivacità, nel cuore morbido e caldo di “Love in Japan”: una dolce e accorata armonia melodica alla ricerca dell’amore. Conclude il tutto “Extraordinary world”, un’ avvolgente ballad per pianoforte e viola, in cui il sussurro della speranza  culla la vita verso un nuovo giorno.

Raffaella Sbrescia

The Zen Circus: “Canzoni contro la natura”

The-Zen-Circus-canzoni-contro-natura-cd-coverAndrea Appino, Karim Qqru e Massimiliano “Ufo” Schiavelli sono i The Zen Circus e “Canzoni contro la natura” è il loro ottavo disco, giunto dopo quasi quindici anni di carriera e più di mille concerti. “Zero pose, zero hype ma solo tanto, tanto sudore” è il manifesto dei folk punk rockers pisani che, grazie a questa naturale attitudine, sono stati in grado di conquistare il consenso di un pubblico transgenerazionale.

Le dieci canzoni che compongono il nuovo album del gruppo, realizzato dopo un periodo di pausa, sono farcite di storie e sentimenti dei nostri giorni, non ci sono facili slogan e frasi fatte, c’è, invece, una grossa percentuale di musica suonata. Brandelli di polpastrelli e gocce di sudore sono, quindi, gli ingredienti segreti di una ricetta dal sapore agro-dolce.  Ad aprire l’album è il folk-rock di “Viva”, il manifesto per eccellenza della rabbia e della frustrazione di un popolo che, fra offese gratuite ed effimere esultanze, ha smarrito la propria ragione di esistere: «Di cosa ridete? Di cosa urlate? (…) Tutti viva qualcosa, sempre viva qualcosa. Evviva l’Italia, viva la fica, viva il duce (…) evviva i tifosi (…) Tanto vivi si muore», cantano i The Zen Circus mentre sogni, incubi e perversioni generazionali invadono le trame di “Postumia”. Le travolgenti percussioni di “Canzone contro la natura” danno voce alla ribellione animale e vegetale contro l’essere umano mentre le parole del poeta Giuseppe Ungaretti non lasciano scampo all’indelebile contrasto tra essere umano e natura. La disillusione regna sovrana anche in “Vai vai, vai!” e “L’anarchico e il generale”, seguite da “Albero di tiglio”, considerato, a ragione, il pezzo chiave del disco: 7 minuti e una manciata di secondi in cui Dio è un albero: “Davvero avete creduto che potevo esservi amico, nessuno con questo potere vorrebbe mai fare il bene”, questo è il triste e veritiero verdetto prima che un potente finale strumentale ci dia il colpo di grazia. Nonsense e sarcasmo la fanno da padrone anche in “Mi son ritrovato vivo”. Parole cupe e decadenti sono quelle di “Dalì “, un dissidente destinato alla persecuzione e desideroso di vendetta. “La merda viene sempre a galla” è il monito di “No Way” prima che il sound a strelle e strisce di “Sestri Levante” ci culli, infine, verso l’oblìo.

Raffaella Sbrescia

Le date del tour:

07 Marzo – Bologna – Zona Roveri
08 Marzo – Livorno – The Cage Theatre
13 Marzo – Milano – Alcatraz
14 Marzo – Cesena – Vidia
15 Marzo – Roncade (TV) – New Age
21 Marzo – Pescara – Tipografia
22 Marzo – Perugia – Urban
28 Marzo – Torino – Hiroshima
04 Aprile – T. di Gattatico (RE) – Fuori Orario
11 Aprile – Roma – Blackout
18 Aprile – Napoli – Casa della musica
19 Aprile – Lecce – Livello 11/8
25 Aprile – Genova – Viva 25 Aprile
26 Aprile – Firenze – Flog

Video: “Viva”

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=ZCAK8OsXIco]

Impülse: la recensione di “Let Freedom Rock!”

impulse cover“Let Freedom Rock!” è il titolo del primo full length degli Impülse, il gruppo hard’n’ heavy nato a Chieti nel 2006 per volontà di Ayrton Glieca (basso) e Fabio “Cat” Magrone (chitarra) che, insieme a Luca Ienni (voce), Daniele Di Caro (chitarra) e Federico Kramer Di Santo (batteria), hanno realizzato dieci tracce, dalla corteccia spessa ed impenetrabile, in cui i richiami ai connotati tipici del metal proprio del periodo a cavallo tra fine anni settanta e inizio ottanta vengono prontamente reinterpretati con grinta, e conseguente credibilità, dal gruppo. Energia e sostanza sono le parole chiave di un suono noto, eppure sempre pregno di significato. Apre il disco “Rockrider”, un brano che ci introduce subito ad un ascolto veloce, diretto, travolgente. “Worth Fighting For, Worth Dying For” è una furiosa e fiera scarica di colpi di mitragliatrice, i quali confluiscono nello strumentalismo nudo e crudo di “Raise Up The Flags”. Atmosfere cupe e tempestose annebbiano il sound di “Let the sound begin” mentre l’inderogabile monito di “Rock Never Dies” non lascia scampo a spasmi. I ritmi ancora taglienti e ruvidi di  “Whisky ‘N’ Roll” si addolciscono in maniera struggente nella ballad “I Had A Dream” per poi scurirsi in maniera, a tratti inquietante, in “Awake” e in “Along a Nightmare”. Chiude l’album la brillante titletrack “Let freedom Rock”: 7 minuti di energia fluviale, gli impulsi delle ritmiche alternate si legano a spietati riff di chitarra che rubano il respiro.

Raffaella Sbrescia

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