Intervista ai Flim: «Vi presentiamo “Time in a fish bowl”»

Flim

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I Flim sono un trio strumentale composto da Massimo Colagiovanni, Giovanni Pallotti e Davide Sollazzi, tre musicisti che, nel 2012, hanno creato un progetto musicale molto originale e ben strutturato fin nei minimi dettagli.  ”Time in a fish bowl” è il loro primo disco, frutto di un intenso anno di lavoro; una linea melodica, minimale, a tratti ipnotica, caratterizza la loro musica che, sfuggendo a qualsiasi classificazione di genere, si presta ad interpretazioni molto eterogenee. In questa intervista il gruppo ci racconta la genesi del disco lasciando, deliberatamente, molto spazio all’immaginazione per un’esperienza d’ascolto da affidare esclusivamente ai propri sensi.

Chi sono i Flim e con quali obiettivi artistici nasce questa compagine musicale?

I Flim sono un trio di musica strumentale, nato nel 2012 a Roma. Dopo un anno dedicato alla composizione abbiamo deciso di registrare un album “Time in a fish bowl”, che uscirà prossimamente.

flim cover albumOtto tracce compongono “Time in a fish bowl”, il vostro primo progetto discografico. Quali sono i temi che hanno influenzato la fase compositiva del disco, le sensazioni che avete provato durante la costruzione di ogni melodia e il riscontro che vi aspettereste da un ipotetico ascoltatore?

Il momento della composizione è stato molto bello, addirittura esaltante. Un lavoro lungo che nel tempo ha delineato l’identità musicale del gruppo.

La scelta di produrre un disco strumentale potrebbe costituire un motivo in più per candidare il vostro sound a musica per immagini (film, cortometraggi, visual art)?

Assolutamente sì. Dopo la composizione e la registrazione del disco c’è stata una fase di ascolto e di comprensione, in cui abbiamo capito quanto l’immagine visiva sia fortemente suggerita dalla nostra musica. Uno dei primi obiettivi che ci prefiggiamo quindi è proprio la sincronizzazione video, e al momento stiamo lavorando al nostro primo videoclip.

Anche se appare subito evidente l’impossibilità di associare la vostra musica a qualsiasi tipologia di genere, c’è qualche influenza esterna o qualcosa che avete attinto dal vostro background?

Nella scrittura dei brani sono naturalmente venute fuori le nostre influenze, i nostri ascolti. Su tutti, due nomi: The Bad Plus e Radiohead. Il risultato effettivamente è difficile da catalogare, ma tutto sommato di facile ascolto.

In alcune tracce del disco ci sono brevi momenti strumentali che sembrano ripetersi in maniera quasi ipnotica… cosa intendete trasmettere attraverso questa tipologia di performance?

Niente in particolare, non c’è un messaggio di cui la nostra musica si fa tramite. L’ossessività di alcune ripetizioni, così come tutte le scelte musicali che abbiamo preso, hanno motivazioni puramente estetiche. Per rendere l’idea, abbiamo trovato i titoli ai nostri brani solo una volta registrati; prima è arrivata la musica.

All’interno del vostro lavoro c’è anche la collaborazione con il Quartetto Sincronie, come è avvenuto questo incontro artistico?

Per l’arrangiamento degli archi ci siamo rivolti a Stefano Scatozza. La scelta del Quartetto Sincronie per l’esecuzione degli archi è stata sua.

Quello che colpisce del vostro lavoro è che ogni brano presenta una struttura completa: ogni strumento riesce a ritagliarsi un ruolo da protagonista senza, tuttavia, oscurare gli altri, creando un’alchimia in grado di trasmettere molteplici sensazioni. Come siete riusciti a bilanciare gli elementi che avevate a disposizione?

Buona parte della nostra musica è molto “scritta”. Le parti e i suoni di ogni strumento sono il frutto di scelte accurate, che ci hanno permesso di trovare ad ogni strumento il proprio “posto” all’interno di ogni brano.

Uno dei brani che si prestano meglio ad un’interpretazione eterogenea è “Release”: delicato, onirico, sognante, a tratti jazzato, fino al climax della jam session finale… come commentereste voi questa traccia?

“Release” è stato l’ultimo brano che abbiamo composto prima di registrare l’album. Nonostante non sia nato con questo intento, per noi è un brano che rappresenta il cambiamento: la fine e l’inizio, calma e il movimento, la tensione e il rilassamento.

Quali saranno i prossimi passi del vostro percorso? Ci saranno dei live?

A breve presenteremo “Time in a fish bowl” e inizieremo a fare live in tutta Italia. Stiamo organizzando anche alcuni live in Inghilterra, in collaborazione con l’artista che ha curato il nostro art work, Jakob Belbin

Raffaella Sbrescia

Stromae, asso piglia tutto con “Racine Carée”

Stromae © Danti Bento

Stromae © Danti Bento

Dopo aver conquistato le classifiche europee e aver raggiunto la prima posizione in Italia  su iTunes, Amazon e Spotify, Stromae agguanta anche la vetta della top ten della classifica FIMI/Gfk degli album più venduti della settimana Italia con l’album “Racine Carée”. Resiste al secondo posto “Mondovisione” di Luciano Ligabue, seguito da “Se Vedo te”, il nuovo disco di Arisa. Al quarto posto troviamo Noemi con “Made in London” mentre scivola in quinta posizione “High Hopes” di Bruce Springsteen. Al sesto e settimo posto ci sono Laura Pausini con “20 The Greatest Hits” e Mika con “Song Book vol.1”. Risale clamorosamente dalla 77 ma alla ottava posizione Alessandro Casillo con “#Ale”. Chiudono la top ten Emma Marrone con “Schiena vs Schiena” e la new entry Beck con l’album intitolato “Morning Phase”.

Milonga madre: un album intriso di storie e passioni

milonga madre (2)“Milonga madre” è il quarto progetto discografico del collettivo Sulle rive del tango. Edito dall’etichetta partenopea Agualoca Records, il disco mira ad un’attenta ed approfondita indagine musicale, attraverso 18 brani che, ad uno ad uno, svelano ed intarsiano i più intimi dettagli della milonga, tradizionalmente definita “madre del tango”. Traccia dopo traccia sussulti, battiti ed emozioni si avvolgono in uno stretto abbraccio sensoriale, pronto a lasciarci soccombere di fronte alla straordinaria capacità che la musica possiede nel saperci sorprendere ancora e ancora. La poliedricità del disco sta nei modi, nei tempi, nelle parole e negli strumenti che sono confluiti in un progetto assolutamente vario e ricco di spunti. Il primo ce lo offre “La colegiala”, brano sornione, dal fascino vintage. Il ritmo sinuoso del “Polpo d’amor”, scritto dal cantautore Vinicio Capossela, su musica dei Calexico, è un divertente bolero beffardo mentre estremamente fascinosa è l’elegante vocalità di Floriana Cangiano, in arte Flo, nel brano intitolato  “Ca ne tient pas la route”. Origini e radici mediterranee animano le atmosfere di “Respiro”, interpretato da un intenso Raiz con i Radicanto. Lingue, storie e suoni s’intrecciano attraverso le travolgenti note di “Emma”, “Mulatada”, “Los Vino” fino alla title track “Milonga Madre”, rivisitazione di una milonga tradizionale di Alfredo Zitarrosa, ad opera del trio partenopeo Orchestra Joubès, che firma anche il penultimo brano del disco “La neve sottile”, in collaborazione con l’interprete messicano Yayo Gonzalez, voce e leader dei Patè de Fuà. A seguire la suadente musica per immagini del “Tango per Dì”  dei Sineterra e poi, ancora, l’urban sound di “Addicted” e le improvvisazioni strumentali della singolare versione del famoso “Lilies of the Valley” (brano utilizzato da Pina Bausch nelle sue coreografie) realizzata da Tango in Vilnius. La vitalità del disco prende, all’improvviso, una piega più intimista, quasi malinconica con “Egentilig En Danser”, l’electro-tango di “I know he’s mine” e l’imponente violino di “Milonga para una harmonica”. L’ultima parte del disco è affidata alla dolcezza delle parole di “I’ll gonna miss me” e alla singhiozzante preghiera d’amore di “Una noche mas”. L’ultimo spiffero d’amore è racchiuso, infine, nel breve ed intenso “Volo” di Alberto Becucci.

Raffaella Sbrescia

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Dante Brancatisano: “Storia straordinaria di un uomo ordinario”

Dante Brancatisano

Dante Brancatisano

Dante Brancatisano è un cantante, chitarrista e compositore italiano. La sua carriera da solista è iniziata nel 1998 ma nel 2003 il suo sogno musicale ha subito uno stop di tre anni a causa di una lunga permanenza in carcere dovuta, così come raccontato dallo stesso artista, ad un caso di “malagiustizia”. Dante, che si è sempre dichiarato innocente, appena tornato in libertà ha fondato la Eden Music, etichetta discografica indipendente. Nel 2011 ha aperto, nel Ticino, Il Villaggio della musica, una scuola che dà la possibilità ai giovani artisti di formarsi grazie al supporto di professionisti del mondo musicale e nel 2013 l’artista ha pubblicato il suo nuovo disco intitolato “Via Gleno”, nonché il libro autobiografico “Storia straordinaria di un uomo ordinario” (Volo Libero Edizioni e Distribuzione Libraria CdA).

Dolore, solitudine ed impotenza sono i temi centrali di “Via Gleno”, un disco che racchiude la tua dolorosa esperienza in carcere. Cosa ti ha dato la forza di comporre i testi e qual è il messaggio che intendi trasmettere con queste canzoni?

La forza l’ho trovata nella musica, che da sempre è la colonna sonora della mia vita.

Chi ha partecipato alla realizzazione di questo progetto?

Sono tantissime persone che hanno lavorato e che tutt’ora ci lavorano, i musicisti che hanno collaborato sono Alfredo Golino, Andrea Innesto, Andrea Braido .

Copertina CD_Via Gleno (2)Quando è nata la tua passione per la musica e come sei riuscito a coltivarla nel corso degli anni?

La passione musica la coltivo sin da bambino, credo sia nata con me.

Come si fa, secondo te, a lasciar vivere la speranza anche quando tutto ci sembra buio?

Si deve trovare la forza che è dentro ognuno di noi, in fondo siamo noi arbitri della nostra vita.

Hai raccontato la tua vicenda giudiziaria anche nel libro autobiografico “Storia straordinaria di un uomo ordinario”… qual è l’obiettivo con cui hai scritto questo volume e quali sono gli aspetti su cui vorresti che il lettore si focalizzasse?

L’obiettivo è quello di sensibilizzare le persone circa il fatto che, in fondo, una storia cosi può capitare a chiunque e vorrei si riflettesse su come poter rendere la nostra società una società migliore.

Hai fondato la scuola di musica “Il villaggio della musica”. Quali sono le attività principali della scuola e quali sono i valori su cui si fonda?

Le attività principali della scuola sono le lezioni con professionisti del mondo musicale, che arricchiscono i giovani talenti con informazioni sull’industria musicale, oltre a coltivare le loro doti canore ed espressive. La scuola vuole comunque trasmettere i valori alla base del progetto che sono quelli del rispetto e dell’unione.

Quali sono i tuoi prossimi progetti e che aspettative hai per il futuro?

Sono in studio per preparare un nuovo album, affiancato Da Alfredo Golino, Andrea Braido, Paolo Costa, Manco Tafulli, Luca Colombo e sicuramente si aggiungerà qualcun altro. Spero di regalare ancora qualche emozione.

Raffaella Sbrescia

Video: “Via Gleno”

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Serena Rossi presenta “Nella casa di Pepe” al Trianon di Napoli

Serena Rossi

Serena Rossi

La cantante e attrice napoletana Serena Rossi torna al canto, suo primo grande amore. Dopo aver conquistato numerosi consensi in tv ed in teatro, la giovane artista ha recentemente pubblicato un album intitolato “Nella casa di Pepe”, prodotto da Paolo Varriale, su etichetta Sun-ra. Il disco, composto da 8 inediti e 2 cover, mette in risalto la voce cristallina di Serena che, in questo lavoro, si è avvalsa della collaborazione di artisti eccellenti per parlare dell’amore seguendo angolazioni diverse. Eugenio Finardi, Paolo Varriale, Nino Buonocore, Fernando Osorio ed Enzo Gragnaniello sono solo alcuni dei grandi nomi che hanno contribuito alla realizzazione di questo disco che, alle 21 del prossimo 21 marzo, sarà interpretato da Serena, sottoforma di recital, presso il teatro Trianon di Napoli. Eleganti arrangiamenti  jazz e melodiche ballads daranno forma ad una serata pensata con l’obiettivo di spaziare in un range sonoro piuttosto ampio. L’idea su cui si fonda il concerto, intitolato proprio come il disco di Serena, è quella di offrire un repertorio che, aldilà dei confini geografici, sappia condurre l’immaginario collettivo in un altrove fatto soprattutto di sentimenti ed emozioni.  Si andrà da “Nessuno”, incentrato sull’amore omosessuale femminile, al tango passionale di “Senza di te”. Teatro e musica si fonderanno, dunque, in uno spettacolo partecipativo, così come sempre si prefigge di fare il teatro Trianon nei riguardi della città di Napoli.

Biglietti numerati, distribuiti anche nelle prevendite abituali, nonché online sul sito del teatro teatrotrianon.org. Info: tel. 081-225 82 85.  Costo: posto unico € 15

Raffaella Sbrescia

Video: “Nessuno”

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“Libera te”: il canto di Roberta Pagani sposa l’elettronica

roberta pagani“Libera te” è il titolo del quarto disco della cantautrice milanese Roberta Pagani. Prodotto e arrangiato interamente dal musicista e produttore  Hal della Black Factory Music  di Milano, edito da Music Force e distribuito da Self, questo progetto discografico è il frutto di un dosaggio di elementi: i sintetizzatori, i campionamenti e le contaminazioni elettroniche dell’ esperto ricercatore musicale e la linea melodica della voce di Roberta che, forte di una laurea con lode, diploma in canto lirico, canto classico, teoria e solfeggio, pianoforte complementare, armonia complementare e storia della musica, lascia confluire la propria personalità in ciascuna delle tracce che compongono l’album. La tracklist si apre con “Nuova luna”: nuovi mondi possibili vengono descritti da un cantato altisonante, quasi lirico. I riferimenti intellettualistici di “Tesla” lasciano trasparire, in maniera sempre velata, la voglia dell’autrice di differenziarsi, lasciando emergere le proprie conoscenze culturali. “La legge di Darwin” è una frenetica full immersion nella vita quotidiana: azione e produzione scandiscono le nostre esistenze brevi e labili. L’energia dei vibrati e dei virtuosismi di Roberta si sposa con le ballabili incursioni elettroniche di Hal anche se la miscela non è priva di tratti un po’ più difficili da digerire. Catene di silenzio e buio sono le protagoniste della title track “Libera te”: un gioco di parole che inneggiano ad una vita priva di pregiudizi e condizionamenti. La traccia più riuscita è “Gocce d’inconscio”. Temi sociali e riflessioni individualistiche offrono una lucida chiave interpretativa di “Respiro” e “Naturale”: i due brani chiudono il disco con il dichiarato intento di invogliare l’ascoltare ad un’attenta riflessione, attraverso una stimolazione sonora all’avanguardia  e fuori dal comune.

Raffaella Sbrescia

Arisa: “Se vedo te” è l’album della maturità

arisa_se-vedo-teLasciato il clamore sanremese e la vittoria del 64mo Festival della Canzone Italiana, è tempo di conoscere tutti i dettagli di “Se vedo te”, il nuovo album di Arisa che, alla luce degli ultimi risvolti, acquista ancora più importanza per la carriera dell’artista. Il primo dato importante da sottolineare è che la cantante ha scelto di lavorare con autori giovani ma indubbiamente talentuosi e, forse anche questo, l’album contiene diverse sfaccettature, sia per quanto riguarda il discorso strettamente musicale, che quello inerente ai contenuti. Il filo conduttore di tutto il lavoro, a cui hanno preso parte più produttori e arrangiatori come Carlo U. Rossi, Saverio Lanza, Giuseppe Barbera, rimane l’impeccabile capacità interpretativa di Arisa che, attraverso la sua voce sottile e limpida, riesce ad innalzare i volumi e le geometrie di ogni brano. Ad aprire il disco è “L’ultima volta”, il brano scritto da Angelo Trabace, un ritmo pop dance rimanda la mente agli anni ’80 mentre le valutazioni e i rimpianti di “Chissà cosa diresti”, uno dei brani scritti da Cristina Donà, insieme a “Lentamente”, “Se vedo te”, “Dici che non mi trovi mai”, evidenzia un ritorno della voce di Arisa ai tempi di “Sincerità” e si accompagna vivacemente a interessanti chitarre dissonanti. Il terzo brano del disco è “La cosa più importante”: il testo porta la firma di Arisa e di Christian Lavoro e descrive il tempo come un mero inganno. La title track “Se vedo te” è sicuramente più intimista: “faccio spazio dentro agli occhi perché tu li riempi, faccio spazio nei miei giorni perché tu li attraversi”, canta Arisa, mentre le trombe e gli archi di “Lentamente” appesantiscono inevitabilmente l’atmosfera. “Quante parole che non dici” porta la firma del cantautore palermitano Antonio Dimartino: la melodia si sviluppa in un crescendo emotivo che esplode in un ritornello cantato a pieni polmoni. “Sinceramente”, il brano scritto da Dente, al secolo Giuseppe Peveri, è uno dei testi più intensi e più riusciti dell’album: un arrangiamento curato e ricco di sonorità, in particolare quelle degli archi e del sax, si affianca ad una cascata di parole pregne di significato, che ben si sposano con l’idea di comunicare un legame tra sentimento e ragione. “Dici che non mi trovi mai” è un altro dei brani scritti dalla Donà, il sound si scosta parecchio dalle canzoni precedenti e, a dirla tutta, questa svolta strumentale non dispiace affatto. “Dimmi se adesso mi vedi” è frutto del lavoro del giovane cantautore Marco Guazzone che, insieme agli STAG, si sta costruendo un’interessante carriera internazionale. Il brano profuma di sofferenza e di dolore ma l’inconfondibile presenza del pianoforte regala una piacevole aura poetica a tutto l’insieme. A seguire c’è “Controvento”: il brano si è aggiudicato la vittoria del Festival di Sanremo ed è stato scritto da Giuseppe Anastasi, uno degli autori che ha scritto in assoluto il maggior numero di canzoni per Arisa. Il testo, apparentemente leggero e sobrio, offre molteplici chiavi interpretative. Chiude l’album “Stai bene su di me” in cui Arisa è coautrice insieme a Dimartino: “come un vestito, come la luna sulla pelle, come la luce che invade la città, come la felicità che piove su di noi”, una romantica ballad per pianoforte e archi, che mette ancora una volta in risalto la limpidezza di una voce sicuramente unica.

Raffaella Sbrescia

Video: “Controvento”

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Classifica FIMI: Noemi e Arisa sul podio della top ten

noemiContinua il dominio di Luciano Ligabue nella classifica FIMI/GfK degli album più venduti della settimana in Italia con l’album “Mondovisione”. Debuttano, rispettivamente al secondo e terzo posto della top ten, Noemi con “Made in London” e la vincitrice del 64mo Festival di Sanremo Arisa con l’album intitolato “Se vedo te”. Scende al quarto posto “High Hopes” di Bruce Springsteen, seguito da Laura Pausini con “20 The Greatest Hits”. Rimangono stabilmente, in sesta e settima posizione, Elisa con “L’anima vola” e Giorgia con “Senza Paura”. All’ottavo posto c’è l’apprezzatissimo Stromae che, dopo aver conquistato le classifiche europee, entra ora anche nella top ten italiana con “Racine Carée”. Il disco è, tra l’altro, al primo posto in Iitalia su iTunes, Amazon e Spotify. In nona posizione ritroviamo Mika con “Song Book vol.1” mentre resiste, al decimo posto, Emma Marrone con “Schiena vs Schiena”.

 

Gennaro Porcelli: “Il blues è la mia missione”

Gennaro Porcelli © Cristina Molteni

Gennaro Porcelli © Cristina Molteni

Gennaro Porcelli è uno dei più noti esponenti italiani del blues Made in Italy nel mondo. Nonostante la sua giovane età, il talento e la passione per la chitarra, lo hanno avvicinato ai più grandi musicisti che, in più occasioni, lo hanno accolto sotto la propria ala. Da ormai 8 anni è il chitarrista di Edoardo Bennato e, contemporaneamente, ha fondato “The Highway 61”, un trio blues che vede la partecipazione di Diego Imparato al basso e Carmine (Bulldog) Landolfi alla batteria. In questa approfondita chiacchierata, Gennaro ci ha raccontato la genesi del suo ultimo disco “Alien in transit” senza tralasciare aneddoti e confidenze.

Gennaro, come si è evoluta nel tempo la tua anima blues?

La continua ricerca, gli approfondimenti strumentali e svariate esperienze di vita vissuta hanno forgiato, non solo il mio spirito, ma anche il mio modo di suonare. Con la recente disavventura nel carcere statunitense, che mi ha visto prigioniero per due giorni, ho provato, nel mio piccolo, delle sensazioni di cui sentivo parlare nei testi dei miei miti musicali. Per quanto riguarda la parte strumentale ho imparato nuove tecniche chitarristiche, conosciuto nuovi artisti e scoperto nuove correnti musicali. Tutto questo mi ha portato a ragionare e a scrivere in modo diverso, più intimo, più diretto. La mia evoluzione personale mi ha anche permesso di essere apprezzato un po’ in tutto il mondo e, tra l’altro,  ho notato che il mio disco “Alien in Transit” sta avendo molto successo su Itunes, soprattutto in Europa. Questa cosa mi gratifica molto perché comunque fare il musicista non è mai semplice e, per me che vivo solo di musica, si tratta di una bella soddisfazione.

The Highway 61 Blues Trio nel backstage del Bloom

The Highway 61 Blues Trio nel backstage del Bloom

Come riesci a conciliare la tua vita on stage con Edoardo Bennato ed il progetto parallelo “The Highway 61”?

Fortunatamente lo gestisco molto bene. Edoardo è soprattutto un mio amico ed un grande appassionato di blues. Rispetto ad altri artisti, che vogliono una sorta di esclusiva, lui è felicissimo, viene a quasi tutti i miei concerti, quando può mi viene a trovare, si siede tra il pubblico dei club e nel frattempo giriamo l’Europa insieme, ormai da più di 8 anni. Prima che diventasse un amico, Edoardo era uno dei miei artisti preferiti da bambino, perché è stato uno dei primi a portare il blues in Italia quindi, quando ho avuto il piacere di iniziare a collaborare con lui  è stato il coronamento di un piccolo sogno, che continua con nuovi progetti insieme. Nel periodo invernale mi dedico ovviamente anche al mio gruppo “The Hightway 61”, che comunque non abbandonerò mai.

alien in transit“Alien in transit” è il tuo progetto discografico più recente. Ci racconti il disco, track by track, e le tante collaborazioni che ci sono al suo interno?

“Alien in transit” è il modo in cui viene chiamato il prigioniero di passaggio in carcere. Fu la prima cosa che mi salto all’occhio sul mio foglio di arresto negli Usa. Da lì è nato il primo brano del disco “Immigration man”, che ho scritto insieme a Mark Epstein, già bassista di Johnny Winter. Con lui avevo un rapporto già consolidato perché avevamo fatto un paio di tour negli Usa e uno in Italia. Fu proprio lui, all’aeroporto di Philadelphia, a cantarmi il tormentone “I’m the immigration man,  you are not wanted” e, da lì, è nato il brano suonato live in studio. Durante il periodo in cui facevamo un tour, qui in Italia, abbiamo approfittato dei days off per registrare questo brano e anche “I’m here”, un testo che abbiamo scritto insieme con una musica molto dolce, decisamente diversa dal mio groove generale. Si tratta di una ballata in versione acustica, anche questa registrata live in studio, una tipica  storia d’amore blues: un amore mai iniziato, di cui rimangono soltanto bei ricordi. “You don’t know me but I’m here”: lui si innamora di lei, capisce tutto di lei, ma la lei in questione non lo ha mai visto. Poi c’è “It takes a lot to lough it takes a train to cry”, un vecchio brano di Bob Dylan che ho rielaborato completamente insieme a Rody Rotta che, con la sua carriera quarantennale, è stato il mio maestro da piccolo e oggi è un mio grandissimo amico e collaboratore. Il disco contiene anche un brano anomalo, che non doveva essere in questo cd, intitolato “La giostra”, commissionatomi da una grossa radio italiana. Sicuramente è un brano che farà storcere il naso a un po’ di persone, visto che si tratta di una canzonetta ben suonata, ma l’ho messo all’interno del cd come provocazione, è stata una scelta voluta. Proseguendo questo viaggio nella valle del blues, vorrei parlarvi di  un brano, eseguito dal vivo al Capo d’Orlando Blues Festival, s’intitola “Dallas” ed è stato scritto da Johnny Winter, uno dei miei miti, con cui ho avuto il piacere interagire anni fa a Padova. Ho quindi ripreso questo brano suonandolo in duo con Andy J. Forest, uno dei più grandi armonicisti al mondo, anche lui caro amico mio. “Slim’s walk”, è, invece, un brano strumentale, scritto qualche anno fa, che ho registrato con l’aiuto di Ricky Portera, chitarrista storico di Lucio Dalla e degli Stadio. In pratica mi sono circondato di amici! Tra gli altri cito Ronnie Jones che ha iniziato a suonare con i padri fondatori del British Blues, con cui mi incontro e mi sento molto spesso. Poi c’è il nostro Enzo Gragnaniello, una persona eccezionale che ha scelto di riarrangiare “L’Erba cattiva”. In questo caso ho stravolto il brano nello stile blues di J. J. Cale, padre del toulsa sound ed il risultato, secondo me, è uno dei meglio riusciti, anche perché il napoletano, come l’inglese, è fatto di parole tronche.

Che relazione c’è, secondo te, tra Napoli ed il blues?

Beh, Napoli ha perso molto! Il blues è stato avvicinato da tante persone sbagliate negli ultimi anni… Rispetto a quando io ho iniziato, molti musicisti, anche bravissimi, si sono un po’ arresi alle leggi del mercato. A differenza di quando ero ragazzino, adesso, tranne qualcuno, pochi sanno cosa stanno suonando, per il resto vedo molte brutte copie. C’è chi dà più spazio alla parte scenica, ai luoghi comuni del blues rispetto all’essenza della musica e queste persone fanno solo un danno a questo genere musicale

Che progetti hai in programma e qual è l’evento più recente che ti lasciato qualcosa dentro?

Il 22 gennaio ho fatto un concerto molto importante, ho suonato allo storico Bloom di Mezzago ed ero in cartellone con John Hammond, Johnny Winter e tanti altri musicisti storici. Per me è stato un concerto davvero da ricordare. Quello del Bloom è un palco prestigiosissimo, ci hanno suonato i Nirvana, i Greenday e tutti i grandi del blues passano da lì. Il fatto che mi abbiano inserito mi ha onorato moltissimo! Per quando riguarda i progetti con “The Highway 61”, tra qualche mese vorremmo pubblicare un singolo, soltanto in formato digitale, con un altro ospite prestigioso… però non posso ancora dire di cosa si tratta! Posso solo anticiparvi che si tratta di un inedito bello tosto, non so ancora se farlo uscire in italiano o in inglese…. Sto lavorando anche in studio per alcuni amici e per tutto il resto vi basta seguire la mia pagina ufficiale su facebook https://www.facebook.com/gennaroporcelliofficial?fref=ts

Raffaella Sbrescia

Video: “L’erba cattiva” feat. Enzo Gragnaniello

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“Non mi piace niente”, l’esordio di LinFante

LinFante

LinFante

 “Non mi piace niente” è l’album di debutto di Stefano Scrima, in arte LinFante. L’album, che uscirà il prossimo 10 aprile per Sinusite Records, è stato scritto, composto e suonato dallo stesso artista e registrato da Fabio “Flex” Guarneri presso La Maison Studio di Cremona. Armato semplicemente della propria voce e delle sei corde della sua fedele chitarra, LinFante prova a realizzare una full immersion in un limbo cantautorale che ci riporta, a tratti, tra le note e le emozioni di alcuni artisti generalmente considerati di nicchia. Stefano non bada ai fronzoli, la sua musica è minimal, essenziale, forse troppo, ma la sensazione che suscita il disco è proprio la voglia di mettersi a nudo. Il filo conduttore è un intimismo a tratti nichilista ma procediamo per gradi.

Cover Album (2) L’album si apre con “Pelegiano”, voce e chitarra accompagnano visioni e ricordi che si prolungano anche ne “L’invidia”.Chiudo gli occhi e non penso a te” è, invece, un brano che narra un’urgenza estemporanea, seguito da “Bile nera”, un arrivederci sussurrato in punta di piedi. “Ascolto le stesse canzoni perchè so l’effetto che fa”, canta LinFante in “Medievalità”. Il cantato si fa sussurrato in “Deliquio” mentre si torna a toni veementi e lapidari in “Paglia”. I “pensieri scaduti” di “Mentisenti” abbassano le difese e Stefano lascia che ci si avvicini un pò di più alla sua anima. L’occasione perfetta si presenta con la title track “Non mi piace niente”: l’armonica a bocca regala un prezioso tocco folk ad un canto onesto e sincero, che introduce la fine di un viaggio solitario, la cui conclusione è affidata a “Muoio di sonno”.

Raffaella Sbrescia

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