Caparezza, “Museica” è l’album più venduto della settimana

La recensione di Museica, il nuovo album di Caparezza

La recensione di Museica, il nuovo album di Caparezza

Caparezza debutta subito in cima alla classifica FIMI/GFK degli album più venduti della settimana in Italia con l’album di inediti intitolato “Museica” scalzando “L’amore comporta” di Biagio Antonacci. Chiude il podio Davide Van De Sfroos con “Goga e Magoga”, seguito da Paolo Nutini ed il suo “Caustic love”. Stabile al quinto posto c’è Moreno con “Incredibile” mentre alle sue spalle c’è il pluripremiato “Mondovisione” di Ligabue. Al settimo posto si posiziona Mondo Marcio con l’album “Nella bocca della tigre” mentre ritroviamo Stromae ed il suo “Racine Carrèe” soltanto in ottava posizione. Scivola al nono posto Rocco Hunt con “’A Verità” mentre Giorgia risale dalla 16ma alla decima posizione chiudendo la top ten con “Senza Paura”

Damon Albarn, la recensione dell’album “Everyday Robots”

damon-albarn-everyday-robotsCome una falena attratta sia dalla bellezza che dalla tristezza, Damon Albarn, universalmente riconosciuto come icona della musica britannica, presenta “Everyday Robots”, il primo album da solista della sua carriera costellata di successi e importanti riconoscimenti, ottenuti in particolar modo coi Blur e con il progetto Gorillaz. Senza tergiversare troppo in preamboli e prolisse introduzioni, arriviamo subito al fulcro di questo disco che è indubbiamente il più intimo e personale dell’artista. Un viaggio a ritroso, compiuto in maniera elegante e sussurrata, attraverso una delicata texture sonora, studiata ad hoc dal produttore Richard Russell, capo della XL Recordings, che si abbina ad una linea melodica e vocale pacata, intensa, riflessiva, quasi controcorrente. Mentre il mondo impone, martella, corre e sfianca, Albarn raccoglie tempo ed energie per creare la giusta atmosfera, necessaria per parlare finalmente di sé e non degli altri. L’alienazione da tecnologia è il tema centrale della title track “Everyday Robots”: we are everyday robots on our phones in the processo f getting home. Looking like standing stones out there on our own. We’re everyday robots in control, in tre process of being sold. Parole forti che non fanno sconti, un testo consapevole che trova una strada perfetta in un minimalismo ricco e consapevole. La malinconica e ricercata “Hostiles” precede l’incerta e tormentata “Lonely Press play” mentre malinconici ricordi fanno capolino tra le calde percussioni africane di “Mr Tembo”. Damon Albarn lavora per sottrazione, seguendo la filosofia, spesso vincente, del “less is more”. Lo strumentalismo scarno di “Parakeel” si riveste di un’enigmatico ed immaginifico fascino mentre Natasha Khan dei Bat for Lashes compare nel ritornello di “The Selfish Giant”, inserendosi con impercettibile grazia e leggerezza tra le pieghe di una relazione di lungo corso. Parole che fluttuano tra passato, presente e futuro sono quelle cantate da Albarn che, in “You & Me” trova la forza di fare un cenno alla dipendenza dalle droghe. “Hollow Ponds” racconta, invece, l’elegante e luminosa Londra del 1976 mentre il sontuoso pianoforte di “Seven High” rientra tra i momenti più sofisticati del disco. Sentimenti e amore la fanno da padrone in “History of a cheating Heart” mentre l’album si avvia alla conclusione sulle note di “Heavy Seas Of Love”: Brian Eno, già collaboratore di Albarn in Africa Express, arricchisce, senza manie di protagonismo, il gradevolissimo carico emotivo trainato dal testo del brano: “When your soul isn’t right / And it’s raw to the night / It’s in your hands / When the traces of dark come to fade in the light / You’re in safe hands. Heavy seas of love/Radiance is in you/As above so below/On the heavy seas of love”: cantori del cuore si nasce e Damon Albarn lo nacque.

Raffaella Sbrescia

Video: Lonely Press Play

“Blues Tale”, l’album d’esordio dell’Alex Usai Blues Band

COVER ALBUM_Blues Tale_Alex Usai Blues Band_b (2)“Blues Tale”  è la favola blues che segna l’esordio artistico della Alex Usai Blues Band. Un conglomerato di quattro anime milanesi, legate a doppio filo ad un genere musicale che ha segnato la storia e l’evoluzione della musica mondiale. Alex Usai (chitarra, voce), Alberto Gurrisi, (hammond), Ivo Barbieri, (basso, voce), Martino Malacrida (batteria), si sono dunque uniti in un progetto che ha visto la luce lo scorso 7 marzo. Il disco si compone di 9 tracce, di cui 7 inediti e due particolari arrangiamenti di “All you need is love”, tributo ai Beatles, e “Britta’s Blues” di Anthony Wilson. Alex Usai compone musiche e melodie spaziando tra generi e secoli, traendo ispirazione sia dal blues americano contemporaneo che dallo shuffle tipico dei primi anni 60. Virtuosismi e accenti strumentali lasciano trasparire l’esperienza e la disinvoltura con cui l’Alex Usai Blues Band intende creare un sound riconoscibile.

Alex Usai Blues Band

Alex Usai Blues Band

Il brano d’apertura del disco è la title track “Blues tale”: il racconto di un incontro che segnerà il destino di più persone. “No More Sunny Days” lascia la parola agli strumenti, attraverso un  flusso di visioni e suggestioni ispirate ai blues player d’oltreoceano. La già citata “Britta’s Blues” si riveste di suoni elettrici, senza, tuttavia, travisare l’antico protagonismo di organo e chitarra. A seguire c’è “Follow Me”, il canto di un’avventura selvaggia. Lacrime e pensieri inseguono lividi e sudore in una battaglia strumentale senza campo. “I’m Not Wide Awake” è la prima ballad del disco, un grido intimista per uscire dal torpore psichico e sensoriale in cui spesso preferiamo sostare per non lasciarci travolgere da un’angosciante sensazione di smarrimento. L’ Alex Usai blues band trasforma tutto ciò che incontra sulla propria strada. Stessa cosa avviene con “All You Need Is Love”, il classicone beatlesiano diventa una rock ballad decisamente diversa dal solito. Il brano più intenso del disco è  “Hope”: una chitarra acustica traccia speranze e concetti, attraverso un suono caldo e semplice, come la vita. L’incontro tra blues e pop avviene in “Mr. Man”, l’obiettivo, riuscito, è una valida esaltazione della personalità di Alex Usai. Chiude il disco “Tilly”, una ballad strumentale, soft e riflessiva, in grado di rispecchiare fedelmente lo spirito autentico e verace dei professionisti che hanno dato vita ad un racconto senza tempo e senza etichette.

Raffaella Sbrescia

Ascolta “Blues tale”

A New Horizon, la recensione dell’album “Penrose”

Copertina - A New Horizon - Penrose (2)“Penrose” è il secondo album full-lenght dei napoletani A New Horizon, la band alternative rock composta da Giancarlo Gallinoro (voci e chitarre), Alvaro d’Apollonio (chitarre) e Yulan Morra (basso). Prodotto da Antonio Filippelli, l’album si contraddistingue per un utilizzo più evidente e ben calibrato dell’elettronica:  suoni campionati, synths e pads costituiscono, infatti, la base portante dei brani, a cui si aggiunge un’articolata sezione ritmica, impreziosita dal featuring con Jacopo Volpe (Vanilla Sky, We Love Drums). I testi, di cui esiste anche la versione inglese per  5 dei 10 brani di “Penrose”, contenuta nell’ep dal titolo “Now or Never”,  ruotano attorno a pochi ma fondamentali temi: sogni e aspirazioni fanno i conti con una lucida presa di coscienza, auspicando una rivalsa possibile.

A New Horizon

A New Horizon

Il disco si apre con “Adesso So”: preferisco rischiare che pian piano sparire, canta Gallinoro, mentre la riuscita formula tra elettronica e delay sulle chitarre costituisce il fascino di “Più che esistere”. Lontano dall’abitudine che logora, che consuma pian piano idee e anima, c’è l’istinto, la voglia innata di reagire, di farsi sentire, di riuscire a costruire se stessi per non limitarsi semplicemente a sopravvivere. “Vorrei”, il primo singolo del disco, è un brano fortemente autobiografico, seguito da “Non è più tempo per noi”: come fai a credere che il tuo sia vivere? Una domanda complessa, a cui sarebbe altrettanto complesso rispondere. Molto interessante è l’arrangiamento di “Qui per te”, arricchito da archi e chitarre slapback dei ritornelli. Nonostante il disorientamento su cui è imperniato il testo di “Leggera”, il finale del brano è assolutamente in linea con l’ottimismo generale del disco che, tra l’altro, irradia anche le parole di “Continuerò a camminare”, il brano urban dubstep dell’album. “Io ci sarò” presenta il testo più distante dagli altri, sebbene l’effluvio elettronico rimanga una costante anche in questo caso. Molto intensa è  “Solo Un Gioco”, una ballad in cui il grande protagonista è il pianoforte: Sono qui ancora in piedi fino a che c’è da resistere, parole profonde e coinvolgenti che ci introducono alle note spensierate di “Un Giorno Sereno”, un brano dal mood leggero che chiude il disco con un tocco di ottimismo che non guasta. Gli A New Horizon sanno bene cosa vogliono e, pian piano, si stanno costruendo un proprio spazio, senza strafare. Aldilà dei riconoscimenti, la band lavora alacremente sulla costruzione melodica e strumentale dei propri pezzi e i risultati sono tangibili.

 Raffaella Sbrescia

Video: “Vorrei”

Ascolta “Penrose” in streaming:

 

 

“Apolide”, il nuovo album di Eusebio Martinelli. La recensione

apolide“Apolide” è il termine che racchiude il titolo e lo spirito del nuovo album di Eusebio Martinelli, il virtuoso trombettista che, con l’inseparabile Gipsy Abarth Orkestar, diverte e conquista grazie a nuovi gustosi elementi: sonorità, collaborazioni, testi e sfumature nuove assorbono e fanno propria l’anima artistica di Martinelli che, restando fedele al proprio background, approfondisce e sviscera il suo mondo privo di confini e limitazioni. “Apolide” è, infatti, un viaggio coinvolgente e sfrenato, trainato dalle vele di un veliero fatto di inchiostro nero, pieno di note cosmopolite. Il folk si sposa alla trascinante baldanza della tradizione balcanica e tzigana, trovando inedite vie espressive attraverso il virtuosismo dei numerosi musicisti che hanno preso parte a questo meritevole  progetto.

eusebio martinelliLa prima traccia dell’album è la title track “Apolide”: un ritmo serrato ed incalzante vitalizza suoni e colori di una non dimensione. “Danze sulla polvere” è la prima delle tre tracce  cantate, la bellezza che inebria le idee rompe le catene imbevute di ego e vanità. Siamo fatti di polvere, meglio ricordarlo ballandoci su. “Surus” è un brano mistico, ispirato dal nome del valoroso elefante di Annibale che, a capo dell’esercito Cartaginese, valicò le Alpi. “Surus” si riveste di ipnotico fascino grazie al seducente theremin del polistrumentista Vincenzo Vasi che, come Martinelli, vanta una durevole collaborazione con Vinicio Capossela. Il brano più intenso del disco è “Grecale”: il canto di Amira Sehtl si sposa al violino tzigano di suo figlio Mario Sehtl, creando un’immagine  solenne e festosa al contempo. Musica e pensieri si lasciano accarezzare da una brezza di emozioni provenienti da  Nord-Est. “Oleao” rappresenta, invece, il brano caciarone. L’originale reinterpretazione delle melodie tratte dagli storici film di Alberto Sordi riesce a disegnare un sorriso sul volto. “Le cantine di San Giglio” è il titolo di una canzone ispirata ad una ricorrenza che, più di una festa, rappresenta l’occasione di un viaggio cullato da un timoniere speciale, la “Cicala”, il celebre vino dell’isola, in grado di animare amori e melodie. Libero sfogo alla creatività di Martinelli in “Sinfonia 5”: orchestra e solisti si alternano tra ritmi gitani e le inflessioni più tipicamente mediterranee fino a convergere in un travolgente crescendo finale. A chiudere il disco è il remix realizzato da Dj Tagadà di “Gazpacho”, brano tratto dal precedente omonimo album di Martinelli. Un balkan beat  perfetto per concludere una festa di note.

Raffaella Sbrescia

“Vetulonia/Dakar”, l’ep d’esordio di Lucio Corsi

corsi cover“Vetulonia/Dakar” è il titolo dell’ep d’esordio di Lucio Corsi. Il cantautore diciannovenne si affaccia alla vita e alla musica con innocente spensieratezza, le 5 canzoni che compongono questo suo primo lavoro sono scritte di getto e hanno ancora il profumo dei prati della Maremma e i colori dei cieli della Toscana, la terra dove note e parole hanno visto la luce. Fresco e curioso, il sound di Lucio Corsi abbraccia il country ed il folk e le loro sonorità allegre e gaudenti per dare vitalità ai suoi testi popolati da personaggi e bestiole di svariata tipologia. Si parte da “Dinosauri”, l’inno all’amore per la terra, passando per “Soren”, un brano che scorre veloce come il pensiero, attraverso immaginifiche similitudini con la breve vita delle farfalle. Sono ancora degli insetti i protagonisti de “ Le Api”, il primo singolo tratto dall’ep, che verrà suonato per la prima volta dal vivo il prossimo 7 giugno, durante il MIAMI Festival 2014.

Lucio Corsi

Lucio Corsi

Lucio, disteso su un prato, si gode l’unico vero tramonto del giorno, lasciando la mente libera di vagare tutt’intorno, velocemente, certo, ma non più di un treno regionale. “Cocomero” è, sicuramente, il brano con il testo più bizzarro e allo stesso tempo più consapevole. L’ep si chiude con “Canzone per me”, tra occhi che non si vedono e mani che non si toccano, per una delicata ma intensa descrizione di due anime lontane. Ad accompagnare il tutto, una chitarra acustica, una cassa e qualche percussione; musica minimal in evoluzione.

Raffaella Sbrescia

Video: “Soren”

 

Biagio Antonacci, “L’amore comporta” è l’album più venduto della settimana in Italia

Biagio Antonacci

Biagio Antonacci

Biagio Antonacci si mantiene saldamente al comando della classifica FIMI/GFK degli album più venduti in Italia con il nuovo album di inediti “L’amore comporta”. Al secondo posto  c’è “Goga e Magoga” di Davide Van de Sfroos. Chiude il podio della top ten Paolo Nutini con “Caustic Love”. In quarta posizione ancora una new entry, si tratta di Mondo Marcio con il disco intitolato “Nella bocca della tigre”, seguito da “Incredibile” di Moreno. Al sesto posto un’altra novità, ci sono i Nomadi con “Nomadi 50+1”. Scende al settimo posto Ligabue con “Mondovisione” mentre alle sue spalle c’è Stromae con “Racine Carrèe”.  Scivola in nona posizione Rocco Hunt con “ ‘A Verità mentre Alessandra Amoroso chiude la top ten con “Amore Puro”.

Alcova, “Il sole nudo” è un album per imparare a riflettere

cover Alcova“Il sole nudo” è il secondo disco degli Alcova, il gruppo alt-rock di origine milanese composto da Francesco Ghezzi (voce), Gianmarco Bassi (chitarra), Marco Fusco (basso), Folkert Beukers (batteria). Questo nuovo lavoro, pubblicato lo scorso 25 marzo, nasce con una forte identità sia sonora che strumentale: il sound è potente e incalzante: al punk si uniscono elementi new wave e tracce di gothic, conferendo austerità e rigore ad un disco che non vuole e non può scherzare. Le nove tracce che compongono “Il sole nudo”, rappresentano, infatti, una critica decisa e precisa auspicando l’opportunità di ricominciare a riflettere con cognizione di causa e non in base alle mode correnti.

Al centro del disco c’è un forte malessere, espresso attraverso parole urlate, cantate, sussurrate, sputate. Ad aprire l’album è “Damasco”, il brano incentrato sul dramma della guerra in Siria: tra trattati  farlocchi e la più incivile delle barbarie, “le mani che tremano come giovani rami scossi dal vento” restano inermi “nel giorno squarciato dagli spazi nella caduta dell’umanità”: un’immagine truculenta, tragica, in grado di scuotere le coscienze e attirare attenzione per cercare di capire cosa sta realmente accadendo.

Alcova

Alcova

Anche il brano “Adelheid” è ambientato in tempo di guerra, la protagonista è una giovane adolescente divisa tra “notti di luci esplose e giorni battezzati nel silenzio”. “Il sapore della sconfitta” è il tema del brano intitolato “Cannibali”, il cui testo è dedicato alla denuncia contro l’uccisione e la tortura degli animali a fini di divertimento. La title track “Il sole nudo” è, forse, l’unica parentesi incentrata sull’amore, inteso come entità autonoma e dotata di vita propria. Subito dopo le tenebre calano nuovamente sulla musica degli Alcova, “L’Alba verrà” è un brano importante che prova a descrivere un lutto senza parole di una padre che ha perso suo figlio in guerra ma che, nonostante il dolore e la devastazione, tuttavia, riesce ancora ad avere speranza nel domani. Davvero intenso è il testo di “Scintille”, una canzone dedicata ai movimenti di protesta, a chi ha sete di vendetta e tempesta, stanco di infinite sofferenze e soprusi. Un canto universale: “voi siete come foglie al vento, noi invece siamo come gli sterpi, bruciamo come scintille alimentate dai venti, il vento caldo d’Oriente sfiora i nostri visi piangenti si unisce alla nostra voce di vendetta e tempesta”.

“Come fai a non vedere che ci stanno derubando della nostra consapevolezza?” denunciano gli Alcova in “Risvegli” mentre “Occhi neri” offre un’immediata istantanea del turismo vorace e famelico di gente che, imperterrita, continua a fare visita a posti deturpati dalla violenza, dalla povertà e dall’indifferenza generale. Infine c’è “Marilyn”, il ritratto di una classe politica inetta che svende il nostro futuro e la nostra dignità. “Strateghi dell’angoscia e divinità di cartapesta” si ergono a gerarchi della macchina del consenso, nutrendo il popolo di paure. Parole che, come fendenti lame, colpiscono duro creando una rara occasione per imparare a riflettere su noi stessi e sul mondo che ci circonda.

Raffaella Sbrescia

Video: “Cannibali”

I ricavati di questo brano andranno interamente alla Onlus Ulmino (www.ulmino.it) per animali in difficoltà

Caparezza presenta “Museica”, il manifesto del “capaism”

museicaCaparezza presenta “Museica”, un nuovo lavoro discografico ricco di spunti, riferimenti artistici, musicali e letterari, mixato da Chris Lord-Alge. Diciannove tracce da ascoltare, se necessario più volte, per stare al passo della frenetica ed inconfondibile dialettica di Michele Salvemini che, superati i 40 anni, può permettersi di sperimentare come e quanto vuole. Anche la copertina è molto particolare: Domenico Dell’Osso, creatore della copertina, ha realizzato un lavoro ricco nei colori e nella dinamica visiva, dando un’originale interpretazione alle lunghe chiacchierate con Caparezza, che hanno preceduto il lavoro. Nel suo sesto disco l’artista pugliese si lascia conquistare da suggestioni pittoriche passando da Antonio Ligabue a Dalì, da Van Gogh a Goya fino a Duchamp. Ad introdurci in questa ricca esposizione audiovisiva e l’audioguida di “Canzone all’entrata” in cui Caparezza mette subito le cose in chiaro: “Quest’album che non vedi l’ora di sentire, soprattutto tu che non vedi l’ora di dissentire…amici miei dite cose alla cazzo…”, canta spavaldo il Capa mettendo mani e piedi avanti.

L’album si muove in maniera disinvolta su due fronti diametralmente opposti: da un lato la drammaticità del vivere contemporaneo, dall’altro l’arte. L’intro apocalittica di “Avrai ragione tu” dà il via ad una scarica di botta e risposta senza se e senza ma “viaggio sulla quarantina ma non ho ancora smaltito l’adrenalina”, si sente e si vede, Caparezza si è veramente lasciato ispirare in “Mica Van Gogh” l’artista si lancia in un esilarante parallelo tra un comune mortale del 2014 ed il grande pittore olandese; una lotta tra ideali, usi e costumi tra “olio su tela e olio su muscoli”, il risultato è un umiliante ritratto di una gioventù contemporanea ridotta in cenere. L’intro folk di “Non  me lo posso permettere”, il brano ispirato ai ‘Tre studi di Lucian Freud’, un trittico del pittore irlandese Francis Bacon, dà il via ad un’approfondita digressione tutta incentrata sulla frase più popolare di quest’era di crisi latente. Molto duro, e altrettanto schietto, è il ritratto del pessimo rapporto tra Saturno ed suoi figli in “Figli d’arte”: “mio madre non mi ama, non mi caca, tiene più a voi che a me”, canta Caparezza. La canzone ready made del disco è “Comunque Dada” tra suoni elettronici e neologismi sciapi. Il disco è davvero trascinante, Caparezza ha parole brillanti per tutto e tutti. In “Giotto Beat” denuncia una mancanza di prospettiva e auspica la  ricerca di un “nuovo punto di vista” mentre in “Cover” il cuore del Capa pulsa tra i Velvet Underground, Nirvana, Iron Maiden, Eminem, Depeche Mode e chi più ne ha, più ne metta.

Caparezza

Caparezza

“Canzone a metà” si districa tra la paura del punto fine e quella di un cattivo feedback, l’estro che non c’è e l’ispirazione che manca. Caparezza opera tra note e parole come giocando con un flipper, l’obiettivo, riuscito, è quello di prendersi gioco delle nostre certezze, come canta in “Teste di Modì”. In “Argenti vive” c’è la replica in puro stile rapcore di Filippo Argenti a Dante, che nella Divina Commedia lo aveva confinato tra i dannati dell’Inferno. “Ogni crimine ha un indotto” canta Caparezza in “Compro Horror” mentre “Kitaro”, la cover del cartone animato giapponese (Ge ge ge no Kitaro), denuncia uno stile di vita monotono e arido. Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza Da Volpedo è l’ispirazione per “Troppo Politico”, altra brillante prova creativa. “Appendimi al muro, lascia che la gente ti dipinga come crede” è il messaggio chiave di “Fai da tela”, cantato con Diego Perrone. Fra gli ospiti del disco c’è anche Michael Franti, con un featuring in inglese per il brano intitolato “E’ tardi”, una lucida riflessione sulla volontà di non arrendersi in nessun caso e per nessun motivo. “Museica” si chiude, infine, con “Canzone all’uscita” il manifesto del “capaism”: “se ciò che canto ha preso lascialo appeso sulla parete”, lo faremo di sicuro.

Raffaella Sbrescia

Video: “Non me lo posso permettere”

Intervista ai Fiberglass, un duo retro alternative pop

Hush Cover (2)I Fiberglass sono un duo elecropop con radici ben piantate negli eighties: Liz Martin (Annalisa De Martino,) cantante/polistrumentista/lyricist e Luca Thomas D’Agiout, arrangiatore/compositore specializzato in soundtrack, sono due artisti campani che, insieme, hanno dato alla luce un disco di 9 tracce intitolato “Hush,” un lavoro che riflette la reale entità del loro affollato e caotico background musicale. Abbiamo sentito Annalisa al telefono per capire da quali presupposti è un nato questo invitante mix di alternative rock anni ’90 e moderno synth-pop.

I Fiberglass riuniscono in un unico progetto musicale due entità molto diverse… come avete lavorato all’album “Hush”?

Luca è principalmente un producer ed un arrangiatore bravo a spaziare tra generi molto diversi. Io invece ho militato in diverse formazioni, mi muovo molto in giro, canto, suono la chitarra ed il pianoforte e ultimamente suono in una band più orientata al jazz. Nel nostro album “Hush”, ciascuno ha messo il suo, io ho cantato e ho collaborato anche alla scrittura di alcuni pezzi, soprattutto i testi, mentre Luca, oltre la parte autorale, ha curato tutta la produzione e l’arrangiamento del disco.

Che ci dici dei temi dei testi?

In realtà i testi sono i classici brani da classifica pop europea… ci sono magari dei passaggi più lirici, più poetici, alcuni un po’ onirici, ma più in generale, si tratta di canzoni molto fresche sia per quanto riguarda la musica che i testi.

Liz Martin

Liz Martin

E’ vero che amate definire il vostro genere retro alternative pop?

Sì, questa definizione comprende delle sfaccettature diverse della nostra musica pop (chiarissima sia negli arrangiamenti che nella struttura dei pezzi, nell’armonie e nelle melodie). Tuttavia non si tratta di un pop contemporaneo, ci siamo definiti retro perché ci ispiriamo soprattutto agli anni’ 80 e ’90. Infine siamo alternative perché ci sono delle note alternative in alcuni pezzi… in sintesi siamo un mix di questi tre elementi.

In una recente intervista avete dichiarato “Ascoltiamo, suoniamo, facciamo esperienze e ci rivediamo in studio”… alla luce di questo, cosa avete ascoltato e quali esperienze avete fatto dopo quel fatidico open act del concerto di Tricky durante lo scorso Neapolis Festival?

Noi ascoltiamo musiche di vario tipo, da quando collaboro con Luca mi sono avvicinata di più alla musica orchestrale, alle colonne sonore di film ma, in genere, ascoltiamo anche le hit americane come quelle di Pharrell o cose più alternative… a me in questo periodo piace moltissimo Anna Calvi, la cantautrice inglese. Forse, e non per snobismo, l’unica cosa che ascoltiamo di meno è proprio la musica italiana. Infatti, se qualcuno ascolta la nostra musica si sente subito che essa è di chiara ispirazione esterofila.

Luca Thomas D'Agiout

Luca Thomas D’Agiout

A cosa state lavorando attualmente e quali sono i vostri progetti paralleli?

Luca studia moltissimo da solo e quotidianamente produce musica, a prescindere dal progetto Fiberglass. Il suo mondo abbraccia musiche di ogni tipo spaziando tra moltissimi generi, io invece ogni tanto suono live con un trio molto diverso da Fiberglass, si tratta di un trio jazz e suoniamo principalmente musiche degli anni ’30, il trio si chiama Le jazz hot. Nel nostro repertorio c’è una sorta di schizofrenia, intesa con accezione positiva.

E per quanto riguarda Fiberglass?

Proprio in questo periodo, io e Luca stiamo ultimando un set live che ha richiesto un po’ di tempo per essere organizzato e costruito. Il disco è chiaramente da studio, noi siamo in due ma con l’aiuto della tecnologia abbiamo creato un disco di una band classica, ci sono tutti gli strumenti, tutti suonati da noi ma ovviamente dal vivo la cosa non è fattibile. Abbiamo messo a punto un set acustico con delle drum machines, delle cose un po’ lo fi e penso che a brevissimo comunicheremo qualche data! Per il resto stiamo scrivendo, d’altronde scriviamo sempre perché ci piace e vi sveliamo anche che stiamo lavorando anche ad un secondo disco!

Raffaella Sbrescia

Si ringraziano Annalisa De Martino e Giulio Di Donna per la disponibilità

Video: Baby’s Got

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