Continuano gli appuntamenti di “Mercoledì Note”, la rassegna musicale organizzata dal Caffè Letterario Intra Moenia di Piazza Bellini a Napoli. Stavolta vi raccontiamo il concerto degli Anima Nova, un gruppo nato sette anni fa e che annovera al proprio interno Gabriella Cascella (voce), Vincenzo De Martino (chitarra) e Federico Maria Perfetto (batteria). Con loro Daniele De Santo (basso) e Domenico Guastafierro (flauto traverso). La compagine partenopea ha scaldato la piazza, proprio a ridosso della cerimonia inaugurale dei Mondiali di calcio in Brasile, sia grazie alla freschezza degli arrangiamenti di brani classici del repertorio musicale bossanova e samba, sia grazie al frizzante ritmo dei brani che il gruppo ha pubblicato all’interno del primo lavoro discografico intitolato “Embora”.
Anima Nova @ Intra Moenia Ph Luigi Maffettone
Spaziando dal samba allo swing, dalla bossanova al tango, gli Anima Nova sono fautori dell’ “Italian Bossa Concept®”, un’interpretazione di brani pop, riletti in maniera semplice ed elegante al contempo. Con un repertorio che va da “Manhã de Carnaval (Black Orpheus)”, “Mais Feliz”,“Quello che”, famoso brano dei 99 Posse in versione swing, la famosissima “Mas que nada”, “Guarda che luna” di Buscaglione, “Fiore nell’asfalto” di Bono Rondelli e pezzi inediti come “Embora” o il primo singolo “E poi che fa” ed il più recente “Diagonal del Mar”, gli Anima Nova mettono in luce sia l’alchimia che gli equilibri all’interno del gruppo, senza dimenticare di evidenziare, in particolare, la bellezza e la soavità della voce di Gabriella Cascella e il tocco magico di Domenico Guastafierro al flauto traverso.
Anima Nova @ Intra Moenia Ph Luigi Maffettone
Non rimane dunque che attendere il nuovo album di inediti del gruppo, la cui pubblicazione è prevista per il prossimo autunno/inverno. A darci qualche importante anticipazione è il batterista Federico Maria Perfetto:«Nel nostro disco precedente abbiamo combinato varie sonorità, appartenenti alla matrice brasiliana con dei richiami alla lounge music e a qualcosa che andasse in direzione del jazz. Nel prossimo disco, invece, ci sarà un’evoluzione, sia dal punto di vista musicale che da quello testuale, legata alle cose che ci hanno portato fortuna durante la prima parte del nostro percorso. Il nostro obiettivo è, dunque, quello di valorizzare a marcare in maniera più decisa il nostro sound. Per quanto riguarda i testi ce ne stiamo occupando prevalentemente io, Gabriella e Vincenzo, non c’è una tematica precisa… Mentre il primo album “Embora” ha rappresentato una fase di viaggio, corrispondente a quella della nostra cantante Gabriella, nel nostro prossimo lavoro ci saranno tantissime sorprese ». Non ci rimane che atten
Continua l’inarrestabile ascesa dei Dear Jack che conquistano la vetta della classifica FIMI/GFK degli album più venduti della settimana in Italia con “Domani è un altro film”. Alle loro spalle c’è Deborah Iurato, seguita dai Coldplay con “Ghost Stories”. Scendono in quarta posizione Gemitaiz/Madman con “Kepler”, alle loro spalle ritroviamo Biagio Antonacci con “L’amore comporta”. Al sesto posto c’è Ligabue con “Mondovisione”, seguito da “Xscape”, l’album postumo di Michael Jackson. La new entry della settimana è Giada con “Da capo” mentre Cesare Cremonini è stabile al nono posto con “Logico”. Chiude la top ten Moreno con “Incredibile”.
“Selfie” è il titolo del nuovo album di inediti di Mina, composto da tredici tracce selezionate con cura artigianale ed arrangiate con certosina attenzione ai dettagli. In questo disco l’artista realizza non solo un autoritratto di se stessa ma di tutte le donne: dalle più forti e spregiudicate alle più timide e indifese. Si parte dai testi, scritti da autori storici e sconosciuti, per arrivare alle parole interpretate come se la voce diventasse, all’improvviso, l’inchiostro con cui mettere nero su bianco i propri pensieri più reconditi.Un mondo al femminile, dunque, in cui Mina si mette in gioco, regalandoci, ancora una volta, tutte le sfumature offerte dal suo prezioso e raro prisma vocale.
Se per la copertina, Mina sceglie l’iconica ed irriverente foto di un macaco giapponese, è perché l’artista ha sempre amato giocare con la propria immagine, rivelandosi antesignana di quello che oggi è ordinario. Arrangiato con classe e con versatilità strumentale, “Selfie” racconta, ad ampio raggio, una serie di storie evergreen, in cui ciascuno di noi può ritrovare un pezzo di se stesso o della propria vita.
Mina
Si parte da “Questa donna insopportabile”, che vede il debutto dell’autore Federico Spagnoli. Il brano racchiude lo straziante e complicato rapporto di una donna con se stessa ed è impreziosito da un arrangiamento delicatamente jazzy e retrò: “Questa donna insopportabile si alza sempre insieme a me/ sono ancora troppo fragile per affrontare questa vita inutile che sia piena di tristezza ma dopotutto mia”, canta Mina, trasformandosi, subito dopo, in un’inafferrabile tigre nella graffiante “Io non sono lei”: “Io non sono lei che fa tutto ciò che vuoi, che sopporta il male che le fai/Io no, io no, io no/Lei è buona perdona io mai/Prova e vedrai ai ai ai…”; superfluo aggiungere altro. Il delicatissimo e arioso arrangiamento, intriso di archi, de “La sola ballerina che tu avrai” rappresenta una dolce ed eterea voglia di poesia.
Decisamente distante è il sound scelto per “Il pelo nell’uovo”, la dichiarazione che nessuno vorrebbe: “Ho trovato il difetto: ti lascio perché, da te ho avuto già tutto”. Lo struggimento amoroso di “Alla fermata”, scritto dal debuttante Gianni Leuci, rimanda l’immaginario collettivo alle prime cotte, ai maldestri tentativi di approccio amoroso finiti poi in un angolo della nostra memoria.
Una richiesta d’amore, di rispetto, di onesta, di verità è racchiusa, invece, in “Perdimi”: “e non ci pensi mai che forse mi rimpiangerai tu rispettami oppure perdimi se vuoi….se vuoi…”. Mina cambia ancora volto e registro ne “Il giocattolo”: “E le ore passate a aspettare un segnale di te/ Ah, che strazio/ La tua voce di miele che toglie il respiro dov’è/Ah, con qualcun altro”; una vorticosa vertigine d’amore.
Intima e speciale è “Mai visti due”: “diversi noi, due modi di essere e insieme poi un solo essere”: la descrizione dell’amore con la A maiuscola. Tenero è il duetto di Mina con il nipotino Edoardo sull’intro di “Troppa Luce”: una questione di equilibri e prospettive, il bilancio dei pro e dei contro di fronte alla solitudine. “La palla è rotonda” è il singolo che ha anticipato l’uscita del disco. Scritto dal cantautore milanese Claudio Sanfilippo, il brano ci regala una versione di Mina leggera e frizzante, una ulteriore prova della sua versatilità artistica.
“Oui c’est la vie” è la canzone che ci regala alcuni dei picchi emotivi più intensi: “Ogni vita ha i suoi perché / Ci sta un tempo anche per te vedrai”: un faro di speranza nella notte più buia. L’episodio onirico di “Selfie” è racchiuso tra le note e le parole di “Aspettando l’alba”, un accorato e suggestivo discorso alla luna. L’album si chiude emblematicamente con “Fine”, il brano firmato da Don Backy, in cui Mina dà voce ad un disperato bisogno d’amore, immedesimandosi, ancora un volta, con il corpo e con l’anima, senza mai lasciare nulla al caso, per un risultato che coinvolge e colpisce nel profondo.
Giuliano Palma riparte da se stesso. Dopo 27 anni di carriera e innumerevoli collaborazioni artistiche, il cantante rilancia la propria avventura da solista e, reduce dall’avventura sanremese dello scorso febbraio, ritorna sui palchi di tutta Italia con l’ “Old Boy tour”. Il nuovo disco ha determinato un cambio di formula radicale: stop allo ska e alle cover, spazio agli inediti e nuove forme espressive, arricchite da un melodioso e piacevole Rythm & blues.
Giuliano Palma Ph Roberta Gioberti
Se il risultato in studio risulta incoraggiante, è dal vivo che Giuliano riesce a mettere tangibilmente a frutto le sue qualità di carismatico mattatore. Il ritmo degli arrangiamenti, si accompagna ai suoi più grandi successi passando dallo ska al rocksteady, dal reggae al soul mentre la sua indiscutibile padronanza del palco e quel fascino sfacciatamente retrò delle sue scelte artistiche rappresentano un mix in grado di far ballare platee e piazze di ogni dove.
Giuliano Palma Ph Roberta Gioberti
“Old boy” racchiude dunque, un concetto più complesso di quanto sembri: il titolo costituisce un esplicito richiamo alle sonorità predilette da Palma, appartenenti al periodo a cavallo tra anni ’50 e ’70, ai beat statunitensi e alle notti di Detroit; “boy” è, invece, il termine più adatto per definire la carica energica, frizzante e vitale con cui Giuliano ha saputo conquistare numerosi consensi ed affezionati sostenitori.
Ventitre anni di musica e non sentirli, i Sud Sound System pubblicano “Sta tornu”. Il nono album del gruppo salentino è stato registrato al Salento Sound Studio di San Donato di Lecce, mixato da Riccardo Rinaldi “Ohm Guru” e da Sandro Nozza del One Drop Studio e masterizzato all’Exchange Studio di Londra. Fedeli alle proprie radici e alle inconfondibili sonorità reggae del proprio repertorio, i Sud Sound System pubblicano questo disco a 4 anni di distanza dal precedente album di inediti, un periodo durante il quale i salentini non hanno mai lasciato i palcoscenici di tutta Italia, continuando a macinare km di strada e anni di esperienza.
Sud Sound System
In barba a tutti i detrattori del dialetto salentino, i Sud Sound System rappresentano uno dei punti di riferimento in Italia e nel mondo. Il loro studio è considerato la Giamaica d’Italia e, proprio in questo magico contesto, sono stati numerosi i musicisti che hanno partecipato al progetto del gruppo. Si va dalla Bag A Riddim Band, alla tromba di Cesare dell’Anna, al sax di Luca Manno alle prestigiose collaborazioni come quella con il leggendario singjay Capletone e con i giovani talenti di Kingstone Leftside aka Dr Evil e Alozade.
Nelle 19 tracce che compongono “Sta tornu”, il filo conduttore è un importante messaggio di speranza, una sensazione di positività e di rinascita possibile. Impegno sociale, denuncia e voglia di riscatto sono gli elementi attraverso cui risalire la china e recuperare il proprio futuro. I collaudati ritmi dancehall, contaminati da hip hop, dubstep, funk e rhythm & blues trovano nuove formule di combinazioni sonore, accompagnando parole che, come sempre, toccano le corde del cuore. I Sud Sound System hanno definito la loro musica come una “medicina”.
Sud Sound System
Nel disco si va dalla ballata d’amore “Do Parole”, arricchita da un arrangiamento d’altri tempi e squisitamente black. La title track “Sta Tornu” racconta il riscatto di chi è partito e, grazie ai propri sacrifici, può permettersi di tornare nella terra d’origine come esempio di libertà. Parole di condanna per gente senza scrupoli che all’avidità non mette limiti in “Man in pasta” mentre il monito è quello di impegnarsi quotidianamente e cercare la gioia in ogni giorno in “Day by day” feat. Capleton. “Fumo nell’anima” è l’emblematico titolo di uno dei brani più intensi dell’album: il fumo delle fabbriche è anche il fumo della falsità che annebbia la vista e uccide inesorabilmente. “Herbman” rappresenta, invece, un vero e proprio inno alla marijuana: il testo racchiude una serie di riflessioni incentrate sulla mancanza di chiarezza e trasparenza in merito all’utilizzo di questa sostanza. Un testo che desterà sicuramente numerosi dibattiti. “Nazione strana” è una canzone in cui i Sud Sound System ragionano sul fatto che l’Italia ha finito con l’allontanare i propri figli, cancellando una cultura millenaria. In netta contrapposizione con il suddetto brano c’è “Roja”, un canto d’amore, in lingua spagnola, dedicato alla nostra terra sfruttata e venduta per pochi spiccioli. Davvero molto toccante è l’intro di “Mito da Sfatare”. Ad ogni modo la musica rimane “La Megghiu Medicina”, in grado di tramutare in melodia parole, pensieri e stadi d’animo altrimenti impossibili da decifrare con altrettanta lucidità e capacità di condivisione. L’ultimo brano è “Sorge il sole”: non ti fermare davanti a niente che ti faccia esitare”, cantano i Sud Sound System, incoraggiandoci a reagire, a lottare senza mollare mai la presa.
“Sottovuoto” è il nuovo singolo di Renzo Rubino. Il brano è tratto dall’album di inediti del cantautore pugliese, intitolato “Secondo Rubino”. Accompagnato da un video frizzante ed originale, realizzato da Duccio Forzano, il brano racchiude i brandelli di una storia d’amore, raccontati quasi sottoforma di filastrocca magica. Un incantesimo, più simile ad un maleficio, colpirà la malcapitata di turno: “fingevi amore/senza amore rimarrai”, “Riveli vuoto e un sottovuoto diventerai”, canta Renzo Rubino che, con la consueta attenzione ai dettagli, necessari per fare ancora una volta la differenza, associa al testo un arrangiamento veloce e travolgente; pianoforte ed archi si congiungono in un mix irresistibile e giocoso. Come preannunciato in apertura, il brano è accompagnato da un videoclip ispirato al surrealismo metafisico di artisti eterni come De Chirico e Dalì.
Nelle sequenze di questa storia narrata per immagini, Renzo veste i panni di se stesso inserendo nel video tutte le sue passioni: pianoforte, ciliegie e barattoli sono i compagni di viaggio di un piccolo genio vestito di tutto punto ma con dei calzini che rivelano una percentuale di follia, sufficiente quanto basta, per stravolgere la routine quotidiana. Una piccola coreografia, eseguita dallo stesso Renzo, moltiplicato a decine, rende appieno la versatilità di un cantamusicattore che, saltellando sui tasti di un pianoforte, riesce sempre a coinvolgerci nel suo magico mondo di note e a lasciarci il sorriso sulle labbra.
“Un fedele ritratto” è il titolo del quinto album da solista del cantautore Giorgio Barbarotta. Scrittore di raccolte di poesie e racconti, vincitore di svariati riconoscimenti in ambito musicale e letterario, Giorgio presenta un lavoro artigianale, costituito da 12 brani, che rappresentano il frutto di un’accurata ricerca lirica, testuale e strumentale. Un disco personale che, attraverso l’energia del rock elettrico, la pacatezza del cantautorato folk, la poesia di un surrealismo enigmatico intende realizzare una panoramica elegante ed esaustiva del nostro oggi.
L’album si apre con “Sbotta”, un brano incentrato sui grandi mali della nostra società: indifferenza, arroganza, ignoranza. A seguire c’è “Camerino al neon”, un romantico elogio del quotidiano: “Le cose semplici ci portano sempre conforto e ci riallacciano all’essenza stessa della vita”, canta Barbarotta, mentre oggetti presi da un quotidiano passato riemergono nelle immagini descritte in “Roba da buttare” un riuscito ritratto d’ambiente, realizzato fotogramma per fotogramma. Inquietante è, invece, il testo di “Portami a casa”, ansia e disagio si destreggiano tra solitudine e desolazione, in contrapposizione all’incalzante batteria scelta per l’arrangiamento del brano. “Tra oracoli divini e le rotte delle stelle, che da secoli, preziose, tracciano le civiltà, “L’eclissi di sole” mette in risalto la raffinata padronanza linguistica che contraddistingue i testi di Giorgio. L’inno sacro, intitolato “Gratia Dei” ispira i cuori e infonde la speranza mentre “L’ancora e la deriva” racchiude una brillante allegoria sul connubio tra noto e ignoto. “Tutti giù per terra” gioca sulla valenza semantica di verbi dal significato simile: cadere, cascare, crollare, calare sono le azioni si rincorrono e che si susseguono in una spirale distruttiva che non lascia scampo. Il sarcasmo pessimista di Barbarotta si acuisce in “Nuovamente liberi”: noi, puro capriccio del caso nel moto perpetuo, ci lasciamo sfibrare, schiacciare, aggirare dalle effimere sfide del quotidiano perdendo di vista le cose realmente importanti. Una parentesi avulsa dal contesto circostante è il brano “Stelle e strisce”: un piano sequenza di tutte le contraddizioni e le incoerenze 100%Made in Usa. Il disco si chiude con “Echi di Tokio”, un brano onirico e d’altri tempi: “ è sorprendente saperti in equilibrio a spasso tra i continenti”…ecco, uno dei meriti di Barbarotta è pensare e scrivere cose a cui non si pensa più e che, invece, potrebbero addolcire la nostra esistenza.
Sulla scia del successo di “Déjà vu”, il cantante salernitano Manuel Foresta presenta “Se fossi ancora qui”, il nuovo singolo che anticipa un nuovo album di prossima pubblicazione per l’etichetta Rusty Records. Con la produzione artistica di Davide Maggioni, il brano intende rappresentare il frutto di percorso di ricerca musicale che Manuel ci ha raccontato in questa intervista, in cui, tra l’altro, il giovane interprete ha parlato anche dei suoi impegnativi studi di architettura e dei recentissimi opening acts dei concerti di Renzo Rubino.
“Se fossi ancora qui” è il tuo nuovo singolo. Da dove nasce l’idea di coniugare elettronica a sonorità più tradizionali come quella del tango e qual è il percorso che ti ha portato a questo risultato artistico?
Il mio nuovo singolo è il frutto di un’oculata ricerca fatta insieme al mio produttore artistico Davide Maggioni. Cercavamo qualcosa di particolare che rispecchiasse il mio personale gusto per alcuni strumenti tradizionali, come la fisarmonica ed il pianoforte, ma che si prestasse bene anche ad essere stravolto con il beat elettronico. “Se fossi ancora qui” fin dal primo ascolto ci è sembrata perfetta ed i suoni del tango ci hanno entusiasmati e convinti. L’autore Simone Baldini Tosi utilizza nel testo un linguaggio semplice e diretto che, con l’arrangiamento che avevamo in mente, raggiunge l’incisività e l’audacia che stavamo cercando.
Di cosa parli in questo brano e cosa intendi comunicare in esso?
In questo brano parlo di una storia vera, sentita, di pancia. Dentro c’è l’irrequietezza di chi non si rassegna e non si vergogna ad ammettere una propria debolezza, una propria mancanza. L’ho sentita da subito mia, nel suo linguaggio semplice e diretto, ma soprattutto tormentato.
Con chi ti sei interfacciato per la produzione del singolo e del disco di prossima uscita?
La produzione del singolo e del disco è affidata alla Rusty Records, con la produzione artistica di Davide Maggioni. La nostra collaborazione è nata quasi per caso, come tutte le cose belle. In loro ho trovato qualcosa in più di una squadra di lavoro. Ho trovato una grande famiglia che mi ha accolto con affetto e che mi sostiene ogni giorno con grande professionalità.
Quali saranno i contenuti di questo lavoro e quanto ti rispecchierà questa tua prima produzione discografica?
L’album è pensato sulla scia del primo singolo, che proprio per questo, abbiamo scelto come apripista. In tutto il disco ci saranno suoni audaci, forti, mescolati a quelli più tradizionali. Con esso cercherò di parlare il linguaggio della mia generazione conservandone l’incisività ma anche tutte le contraddizioni.
Manuel Foresta
Qual è il bilancio di questa prima parte del tuo viaggio musicale? Cosa pensi di aver intuito, cosa, invece, ti ha sorpreso e cosa, ancora, pensi ti abbia messo davvero alla prova?
Il bilancio è sicuramente positivo. Penso di aver ormai capito che la maggior parte delle cose capitano per caso e ti stravolgono, senza poterle pianificare ed è per questo che l’unica cosa che conviene davvero fare è impegnarsi con amore in quello che ci piace.
Mi ha sorpreso di certo l’affetto delle persone, quelle che mi seguono da sempre e che non pretendono niente in cambio, quelle che credono in me anche più di quanto a volte non lo faccia io.
Ho capito che forse c’è solo una cosa che mi possa mettere davvero a dura prova ed è l’ansia da prestazione, quella che a volte rischia di farti dimenticare che l’opportunità di fare quello che ami è di gran lunga più importante della meta che vorresti raggiungere.
Manuel Foresta
Come sono andati gli opening act del “Secondo Rubino tour”? Che tipo di esperienza è stata?
Renzo porta sul palco un mondo stravagante fatto di luci e colori e in esso dipinge perfettamente il suo punto di vista. E’ stata un’esperienza bellissima perché da lui ho cercato di assorbire come una spugna tutto quello che c’era da imparare. In più il pubblico del suo Tour è un pubblico attento che mi ha ascoltato con interesse e mi ha riservato tanto affetto. Per me avere un’occasione del genere è stato davvero molto stimolante e lo ringrazio.
Quali sono le tue prospettive per il futuro? Oltre alla musica ti interessi anche di altro? Quali saranno i tuoi prossimi impegni?
Nella musica sto investendo gran parte delle mie energie e, pian piano, come solo i veri amori fanno, ha preso il sopravvento su tutto il resto. Di sicuro quindi la mia speranza è di poter vivere di questa mia passione sconsiderata.
Parallelamente alla musica, però, c’è un’altra grande passione che è l’architettura. Nella vita di tutti i giorni, giù dal palco, sono uno studente che si fa in quattro tra studio ed esami, senza risparmiarsi mai. Dietro l’angolo ho un importante impegno che è la laurea e nei prossimi mesi dovrò rimboccarmi le maniche per riuscire, come faccio ormai da tanti anni, a conciliare lo studio con i miei impegni da cantante.
Pierpaolo Capovilla lascia da parte, per un attimo, i rumorismi de Il Teatro degli Orrori e si spinge verso nuovi intimi suoni ispirati a Scott Walker e Tom Waits in “Obtorto Collo”, il disco da solista, pubblicato lo scorso 27 maggio su etichetta Virgin / La Tempesta per Universal Music e prodotto da Taketo Gohara, ad eccezione dei brani “Irene” e “Dove Vai”, co-prodotte da Giulio Ragno Favero. L’album racchiude una serie di riflessioni mirate ad un autobiografismo nazionale. Quello di cui Pierpaolo scrive, servendosi di parole semplici che nascondono, tuttavia, una profonda complessità narrativa, serve per fare il punto su chi siamo, su cosa siamo diventati e in che direzione ci stiamo dirigendo. La forma canzone utilizzata dal cantante-letterato si inserisce in una dimensione intima, privata, risultando scomoda per la valenza contemporaneamente pubblica e politica.
Pierpaolo Capovilla
Atmosfere scure, notturne, crepuscolari, perturbanti accompagnano la voce profonda di Capovilla che, scandendo le undici storie narrate nel disco, acquisisce, di volta in volta, una diversa caratterizzazione. Anche il titolo “Obtorto collo” ha una doppia valenza: il nostro vivere malvolentieri, nella più totale indifferenza, si oppone ad una condizione esistenziale mirata al riscatto e al cambiamento di una serie di circostanze che non ci stanno bene. Nel tentativo di rappresentare un piccolo e dettagliato affresco musicale dell’Italia ai giorni nostri, Pierpaolo Capovilla, e i 20 bravissimi musicisti che l’hanno accompagnato in questa avventura, iniziano da “Invitami”, la premessa perfetta per introdurre tutto il disco: “Invitami/invitami da te/nel tuo spazio/nella tua vita. Io vorrei dirti cose che non dico mai ma che vorrei tanto dire, pensare, sperare, ogni giorno”. E ancora: Io non ho paura/me ne frego della gente, di ciò che crede o pensa di sapere dello schifo che hanno nell’anima, nei loro cuori di cane abbaiano/abbaiano e basta. Il sound sinistro, poetico, doloroso lascia che l’ascolto si soffermi sulla voce, sulle parole, sullo stile parlato, spiegato, raccontato di Capovilla. Nuvole scappano vie come profughi ne “Il cielo blu”, una canzone in cui l’amore, perso ormai anni fa, è ancora il pensiero fisso di una notte vedova. “Che cosa sono diventato, cosa mai diventerò? E poi perché, perché, perché?”, si chiede il cantautore in “Dove vai”, il singolo che ha anticipato il disco e che, attraverso la commerciabilità di un ritornello che si stampa impresso nella mente, impone degli interrogativi che pretendono risposte: “Dove vai, cosa fai, con chi esci, con chi ti confidi e quando ti confidi che cosa pensi, che cosa senti, che cosa provi?”. Ancora il cielo, imbarazzato per la vergogna, apre lo scenario di “Come ti vorrei”, la descrizione di un desiderio forte, implacabile, indomabile nei risvegli dell’estate,
nelle sere tristi d’autunno, negli inverni del cuore, nelle primavere : “Per quanto io cerchi fra milioni di parole vorrei dirti cose così semplici che… che quasi preferisco stare zitto”. “Irene” è, invece, una canzone dedicata al popolo romanì, ultimo tra gli ultimi in Italia, denigrato a tal punto che questa ragazzina, realmente esistente, dal nome di fantasia, cerca di nascondersi per sembrare uguale agli altri mentre “i pregiudizi sono cosi grandi che li vedi camminare per le strade della città”.
Pierpaolo ha voglia di parlare e soprattutto di dare spazio a fatti e vicende che, nonostante la loro abominevole atrocità, si ripetono con tale frequenza da lasciare che la gente ci si possa addirittura abituare. Stiamo parlando del femminicidio e delle terribili vessazioni che le donne subiscono giorno dopo giorno. In “Quando”, Capovilla s’impersonifica, dunque, in una donna omaggiando musicalmente Tom Waits e soprattutto dando voce all’incubo quotidiano delle donne: “Ma quando un uomo è come te le speranze diventano incubi giornalieri/i sogni si infrangono in questi quartieri e, alla mestezza e al chiarore del giorno, subentrano notti cupe e piovose ti viene voglia di morire. Perché no? Morire”. Magica è l’atmosfera di “Bucharest”, tra i brani più stranianti del disco, un esercizio letterario che nasconde suggestioni narrative versatili e libere da approcci individualistici. Il brano più drammatico in assoluto è “Ottantadueore”, ispirato all’atroce vicenda di Francesco Mastrogiovanni, un uomo inerme e innocente, morto dopo essere stato sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio: “Francesco non aveva niente di male, non aveva alcun male ma è morto lo stesso. Francesco ma in che paese viviamo?” Viviamo del paese del “finchè non capita a me, tutto bene”, viviamo nel paese del “che scendo a fare in piazza”, del “chi me lo fa fare”. Non si sa come siamo arrivati a diventare complici compiacenti di questi assassini, il fatto è che dobbiamo imparare a far valere i nostri diritti, soprattutto quello alla vita, in nome di Francesco Mastrogiovanni e di tutti gli uomini, che come lui, sono morti a causa dell’indifferenza omicida.
“La gente che esiste intorno a noi e che intorno a noi sembra essere felice ma se la guardi attentamente scopri che dietro ai sorrisi e ai convenevoli non vede l’ora di morire ma che intanto vive obtorto collo”, questo è la gente ritratta nella title track “Obtorto collo”.“La luce delle stelle” non è che un’illusione, canta Capovilla, “non c’è più tempo per le idee come ce n’era una volta, ognuno per se – tutti contro tutti, domani in fondo è un altro giorno” fino ad arrivare alla conclusiva “Arrivederci”: “Accetto tutto, anche la tua assenza. Che m’importa di queste moltitudini che sciamano nei bar e nei centri commerciali, nei cinema e negli ospedali, negli uffici postali, ogni giorno più nervosi, ogni giorno più stanchi ed ogni giorno più infelici/ma lasciamelo dire ogni giorno più brutti, avvelenano anche te, anche me, anche noi che gli diamo retta. Arrivederci amico mio oppure addio”. Il brano racchiude la cifra narrativa dell’album: lo smarrimento culturale, la disgregazione sociale, l’incomunicabilità relazionale ed il radicato sentimento che non ci sia più niente da fare trova sbocco nelle parole di Capovilla che, con chirurgica attenzione, estrae i nostri mali dal cuore per provare ad esorcizzarli.
“Revolution is me” è il titolo del primo album dei RIM, il gruppo nato nel 2011 da un’idea di Olga Maletta ed Alberto Ruzza, a cui si sono uniti anche il batterista Stefano Cesari ed il bassista Jacopo Fiore. Anticipato dal primo singolo “Disarmer”, il disco pubblicato per Onemorelab & North2North records, racchiude lo spirito musicale e i pensieri di questi quattro ragazzi che provano a dire la loro tra testi in inglese e un rock appassionato. Partendo dalla realtà quotidiana, i RIM tracciano diverse linee tangenziali in cui lasciar confluire idee e pensieri su tematiche svariate fino all’idealizzazione finale di un cambiamento possibile. Contenuti e ragionamenti che solo giovani sognatori possono permettersi, persone che non hanno ancora conosciuto la parola disillusione, persone che ancora credono nella parola sogno. Ispirandosi a realtà musicali come Biffy Clyro, Foo Fighters, Jimmy Eat World e Paramore, i RIM passano dall’emotività di “40 days”, al doloroso mondo di “Disarmer”: un monito a non lasciarsi andare. Ad inquadrare lo stato di solitudine sociale in cui siamo incappati è “Synapse”, così come “Let you go”. Lo strumentalismo di “Pluto” e la parentesi più romantica di “Good times” si associano ai messaggi complessivi dei testi dell’album. “Revolution is me” rappresenta, dunque, un desiderio di rivalsa che, attraverso le emozioni, sentimenti e le speranze di questi quattro giovani, trova una naturale via di espressione in note.
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