“My Everything”, la recensione del nuovo album di Ariana Grande

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Dopo aver conquistato e mantenuto per settimane i vertici delle classifiche di tutto il mondo con il singolo “Problem”, la nuova stella del pop, Ariana Grande pubblica “My Everything”. L’album, già n.1 su iTunes Italia, uscirà nei negozi tradizionali il prossimo 16 settembre e ha già fatto palare molto di sé, grazie ai potentissimi singoli che lo hanno anticipato. Composto da 12 tracce nell’edizione standard e da 15 in quella deluxe, “My Everything” è un lavoro complesso, in cui Ariana si è lanciata in numerose ed importanti collaborazioni, su tutte la coproduzione di Max Martin, nome che si nasconde dietro a numerosi successi da classifica e che, con il suo team, ha prodotto ben 5 brani del disco. La giovanissima artista, appena ventunenne, unisce alla sua potente voce da soprano, un innato carisma ed una forte carica sensuale. In attesa che il nuovo singolo “Bang Bang”, realizzato insieme a Nicki Minaj e a Jessie J,  in radio dal prossimo 29 agosto, conquisti le emittenti radiofoniche italiane, addentriamoci all’interno di questo lavoro, che pare essere in possesso di tutti i requisiti per catapultare Ariana nell’olimpo dei big.

Ariana Grande Ph Jones Crow

Ariana Grande Ph Jones Crow

Ad aprire la tracklist è una morbida e breve intro davvero adatta a scaldare l’atmosfera e a propiziare l’ascolto. Allegra e frizzante  è, invece, “Problem” (Feat. Iggy Azalea): un’irresistibile hit che unisce il ritmo beat urban con un classico ritornello pop-friendly creando una miscela ballabile ed energetica, fortificata dal rap di Iggy Azalea. Le sonorità virano verso orizzonti più vicine alla dance in “One Last Time” mentre “Why Try”, prodotta da Ryan Tedder, unitamente a Benny Blanco, rappresenta una midtempo in grado di valorizzare la vocalità di Ariana, senza, tuttavia, risultare abbastanza incisiva. “Break Free” (Feat. Zedd) sta letteralmente spopolando in America; un concentrato di energia. “Best Mistake” (Feat. Big Sean) rappresenta, invece, l’occasione di lasciarsi coccolare da un flow ovattato e soffice, così come lo è la voce di Ariana che, più volte accostata a quella di Mariah Carey, riesce a rendere originale il proprio tocco artistico, grazie ad una personalità forte e determinata. Sonorità r’n’b accarezzano “Be My Baby” (Feat. Cashmere Cat) mentre “Break Your Heart Right Back” (Feat. Childish Gambino) ci catapulta al centro degli anni ’90 omaggiando Diana Ross. Bello e più delicato il tono “Love Me Harder”, in duetto con The Weekend, che, insieme a “A Little Bit Of Your Heart” racchiude i momenti più intimi del disco. Il ritorno alla vitalità avviene con “Hands On Me” (Feat. A$AP Ferg), seguito dalla titletrack “My Everything”, altra pop-ballad inserita nel progetto. Come già accennato in apertura “Band Bang”, rappresenta, invece, uno dei brani più radiofonici del disco ed è la prima delle bonus tracks, a cui si aggiungono “Only 1” e “You Don’t Know Me”, che nulla aggiungono a questo interessante lavoro discografico in grado di inserirsi in uno scenario musicale apparentemente saturo ma ancora in grado di premiare voci belle e potenti come quelle di Ariana.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Problem”

Intervista a Francesco Loccisano: “Vi svelo i segreti della chitarra battente”

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Francesco Loccisano è un musicista italiano che ha incentrato la sua intensa carriera su uno strumento in particolare: la chitarra battente. Competenza, talento e originalità sono gli elementi che gli hanno consentito di svolgere un’intensa attività concertistica, dapprima al seguito di Eugenio Bennato con i Taranta Power e in seguito da solista. Ricerca, studio e composizione sono i passaggi che accompagnano costantemente il percorso artistico di Francesco che, dopo la pubblicazione di “Battente Italiana” e “Mastrìa”, si appresta al completamento della scrittura di un terzo album. Spesso protagonista di lezioni-concerto e masterclasses, Loccisano si è raccontato in questa approfondita intervista lasciandoci entrare nel suo mondo fatto di note e di emozioni senza tempo.

A 10 anni eri già un polistrumentista…come hai capito che sei nato per fare musica?

Da bambino seguivo l’istinto facendo ciò che più mi piaceva, senza avere alcuna costrizione.  Poi da grande mi sono accorto che tutte queste cose le ho fatte non perchè qualcuno me le aveva imposte ma perché davvero mi piaceva stare a contatto con la musica. Avevo 14 anni quando decisi di fare il musicista e da allora non mi sono più fermato.

Hai definito la chitarra battente “il vestito perfetto per le tue giornate” cosa intendevi dire?

Visto che cercavo l’originalità in quello che facevo, ho trovato in uno strumento della mia terra il canale espressivo che mi avrebbe reso, a mio modo, unico agli occhi del resto del mondo.

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Ci racconti, in breve, le origini di questo strumento e le sue particolarità sonore?

La chitarra battente è uno strumento che ha un’origine ben precisa, deriva dalla chitarra barocca che, a sua volta, nasce in Spagna e ha cinque corde doppie in budello. La chitarra battente si differenzia nel fatto che, pur avendo le stesse corde e la forma un po’ allungata, ha le corde in metallo, quindi per via della tensione delle corde stesse, il suono dello strumento cambia. Subendo questa piccola modifica, lo strumento ha preso il nome di chitarra battente perché viene percosso con la mano destra su tutta la lunghezza delle corde creando un suono omogeneo che richiama molto la risacca del mare, diventando in questo modo, un po’ caratteristico del Sud Italia. Le prime tracce della chitarra battente sono presenti a partire dal 1500, su tutto il territorio nazionale, ed era uno strumento di origine colta. Il primo sviluppo avvenne nel Nord Italia, grazie ai fratelli Matteo e Giorgio Sellas anche se fu solo grazie alle popolazioni del Centro e del Sud che questo strumento riuscì a sopravvivere nel tempo e a mantenere il proprio ruolo sociale. La battente, infatti, fu adottata dal mondo contadino come strumento di accompagnamento al canto tradizionale. A ridare lustro allo strumento è stato il lavoro della famiglia De Bonis (Bisignano, Cs) ed in particolare di Nicola e Vincenzo che, a partire dal 1950, hanno riproposto un modello di chitarra battente d’autore. Una tradizione che prosegue oggi grazie all’impegno dei fratelli Costantino e Vincenzo, che tramandano la loro esperienza all’unica “erede” di questa famiglia, Rosalba.

 In che modo hai personalizzato questo strumento?

Per 400 anni la chitarra battente è stato uno strumento di accompagnamento al canto poi pian piano ha cominciato a conquistarsi un ruolo da solista. Per quanto riguarda me, nel 2005 sono stato in tournèe con Eugenio Bennato e lui cominciò subito a spronarmi perché vedeva in me la possibilità di dare un valore aggiunto allo strumento, dato che riuscivo a dare un tocco personale e inedito al suono della chitarra battente. Ho, quindi, pensato di aggiungere dei tasti in più sulla tastiera dello strumento per avere un range di frequenze alte e un maggior numero di note, non c’è stato alcun snaturamento nel suono. Nelle composizioni gioco molto sul suono battente, inoltre con l’arpeggio, che di solito non si usa sulla battente, accade qualcosa di meraviglioso: se chiudi gli occhi non ti rendi conto se si tratta di un’arpa o di una chitarra. Spesso ai concerti mi vengono a chiedere se ho altri strumenti nascosti, visto il suono molto ricco dello strumento. Ho inoltre intitolato il mio primo album “Battente Italiana” per evidenziare l’origine dello strumento e marcare la sua appartenenza alla nostra tradizione che, mentre il nord Italia ha tirato fuori, il Sud mantiene viva e  porta avanti…in questo senso l’Italia, spesso divisa sotto tanti punti di vista, è stata unita ed inconsciamente coerente.

Quali storie, quali protagonisti e quali suoni proponi in “Mastría”, l’album pubblicato nel 2013?

In questo album c’è una consapevolezza maggiore. Mentre il primo l’ho registrato a rate perché ero molto impegnato con la tournèe di Eugenio, in questo caso ho deciso, invece, di fermarmi, di lasciare la tourneè con Eugenio e Taranta Power per dedicarmi esclusivamente alla chitarra battente. Per questa ragione la scrittura del disco è molto più consapevole, più pensata e poi ho voluto produrre questo disco dentro casa mia, senza uscire mai per mesi. Per poter suonare la chitarra battente, disse un mio amico musicologo, ci vuole Maestria, e ripensando alle sue parole, intitolai così l’album.

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Hai tenuto più di 550 concerti con Eugenio Bennato…cosa ti ha insegnato e cosa ricordi di quel periodo?

Questo è stato uno dei periodi più importanti della mia vita, grazie ad Eugenio ho riempito il passaporto di bolli… abbiamo suonato in Etiopia, Sudafrica, Madagascar, Algeria, Libano e tantissimi altri paesi del mondo…tutto questo mi ha forgiato perché suonare senza sosta, dormire negli aeroporti, stare sempre a contatto con la gente ti fortifica molto. La concezione del fare l’artista con Eugenio la si apprende bene perché la musica non ti lascia né scampo, né spazio. Per fare musica devi lavorare e soffrire molto.

Un’altra collaborazione importante è quella con Vinicio Capossela…

Vinicio venne in Calabria per fare un concerto al Politeama di Catanzaro, una giornalista mia amica, che era stata al concerto per intervistarlo, mi disse che l’artista voleva conoscermi perché aveva sentito parlare del suono particolare del mio strumento. Riuscimmo ad incontrarci al Petruzzelli di Bari, mi invitò nel suo camerino, s’incuriosì molto e facemmo delle prove. Da allora la nostra collaborazione si è consolidata nel tempo. Abbiamo fatto dei concerti insieme a Cosenza, Diamante, Bari…Vinicio ha anche comprato una chitarra battente un pò sgangherata e ho dovuto rimettergliela apposto. Lui è uno di quelli che non si fermano un attimo, sta scrivendo tantissime cose per preparare un disco nuovo.

Tieni anche corsi di insegnamento?

Mi piace molto tenere lezioni-concerto e masterclasses in cui faccio conoscere il mio stile. Ogni volta è bello spiegare come si suona un certo brano, approfondire gli aspetti tecnici dello strumento, come si considera la chitarra battente in certe occasioni etc… Questo tipo di interazione con il pubblico è linfa vitale per  noi musicisti.

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Francesco Loccisano Ph Roberta Gioberti

Inciderai a breve un nuovo album?

Sto lavorando al terzo disco, sono a metà strada ma la composizione è un’attività che non mi lascia mai… se non componi, non tiri fuori quello che hai dentro. L’intento sarà quello di fare sempre meglio con l’obiettivo di emozionare l’ascoltatore… ciò da cui traggo ispirazione è quello che vivo.

Quali saranno i tuoi prossimi appuntamenti?

Agosto sarà un mese davvero carico di appuntamenti che potrete scoprire consultando il mio sito internet http://www.francescoloccisano.it/ e sulla mia pagina Facebook. Poi il primo di settembre terrò una lezione in un camping di tedeschi a Sellia Marina, dal 26 al 28 settembre sarò a Cremona Mondo Musica, dove sarà installato un guitar village e, darò vita ad un endorsement con il liutaio Sergio Pugliesi, in arte Oliver, il quale ha costruito una chitarra battente apposta per me, utilizzando tecniche moderne e legni selezionati, lo strumento sarà in vendita a partire da settembre.

Raffaella Sbrescia

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Video: “La Tarantella di Zio Nicola”

Afterhours in concerto a Palmi (RC): quando il live diventa un evento di culto

Afterhours Ph Massimiliano Natale

Afterhours Ph Massimiliano Natale

Lo scorso 5 agosto l’Anfiteatro Comunale di Palmi in Calabria ha ospitato gli Afterhours, band culto del rock italiano che, dopo il tour primaverile, ha portato l’ormai celebre reloaded and remastered di “Hai Paura del Buio” ancora una volta in giro per lo Stivale italiano, anche in virtù degli importanti e prestigiosi riconoscimenti di cui l’album è stato insignito dalla stampa specializzata. Carica, adrenalina, passione e compiacimento psicofisico hanno accompagnato il pubblico durante le fasi di quello che rappresenta un concerto nel concerto, un memorabile evento, una rara opportunità di godere e beneficiare della prestanza scenica e strumentale della band milanese. Vestiti di tutto punto, così come all’epoca, gli Afterhours hanno subito infilato, come perle di una preziosa collana artigianale, i brani contenuti in “Hai paura del Buio”, riproducendo la stessa scaletta stilata durante il tour che seguì l’uscita del disco nel ’97. Concentrati, completamente immersi cuore e anima al centro della più intima essenza delle proprie canzoni, gli Afterhours riescono ancora a creare uno speciale legame simbiotico con il pubblico che, rapito, segue le parole, le note e i movimenti di ciascuno dei membri della band all’interno di un magico scambio extrasensoriale.

Afterhours Ph Massimiliano Natale

Afterhours Ph Massimiliano Natale

Affamati di emozioni, gli spettatori si lasciano andare con trasporto alla propria voracità emotiva fornendo, così, agli Afterhours, la materia prima necessaria per dare tutto e anche di più, adesso come allora. A racchiudere il fulcro del live nel live i successi contenuti in “Padania” a “Strategie”, due dei lavori più rappresentativi della recente storia musicale del gruppo. Dai  pezzi pop, a quelli eseguiti al piano sino al cantato post punk di quelli più tirati, gli Afterhours agiscono con estrema precisione ed efficacia senza mai trascurare il legame e la compartecipazione del pubblico veracemente, violentemente, animatamente presente. D’altronde l’opportunità di lasciare l’anima sottopalco non è una cosa che avviene di frequente ormai, e quando accade di potersi dedicare corpo e anima ad un sogno fatto di note, bisogna cogliere l’occasione al volo strizzando ogni singolo muscolo fino al limite.

Fotogallery a cura di: Massimiliano Natale

Afterhours Ph Massimiliano Natale

Afterhours Ph Massimiliano Natale

 

Afterhours Ph Massimiliano Natale

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Afterhours Ph Massimiliano Natale

Afterhours Ph Massimiliano Natale

Afterhours Ph Massimiliano Natale

Afterhours Ph Massimiliano Natale

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Afterhours Ph Massimiliano Natale

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Afterhours Ph Massimiliano Natale

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Afterhours Ph Massimiliano Natale

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Intervista a Jimmy Ingrassia: “Per votarmi scrivi sì” è il preludio al mio nuovo album

 jimmi ingrassia foto

Jimmy Ingrassia è un cantante di origine siciliana da sempre in contatto con il mondo della musica. Dopo una serie di esperienze che l’hanno visto protagonista di trasmissioni tv come Domenica In e The Voice, oltre ad una lunga serie di concorsi canori e collaborazioni artistiche, Jimmi è giunto ad una nuova cifra stilistica ed una maturazione tangibile attraverso le note di  “Per votarmi scrivi sì”, un brano che ironizza sul televoto, inteso come un male, sempre meno una reale espressione di preferenza e di talento e che anticipa il nuovo album di inediti del cantautore. Scopriamo insieme cosa ci ha raccontato a tal proposito l’artista in questa intervista.

Il tuo percorso con la musica è iniziato quando avevi soltanto 11 anni, cosa rappresenta per te il canto e qual è la tua cifra stilistica?

In verità ad 11 anni ho cominciato a strimpellare con una pianola giocattolo della Bontempi e da lì mi sono avvicinato alle prime note accorgendomi che mi piaceva suonare. Per questa ragione, i miei mi hanno iscritto a delle lezioni private di pianoforte. Le cose hanno cominciato a farsi serie quando a 17 anni ho partecipato ad un concorso canoro per accompagnare una persona che doveva cantare, in quel caso il direttore artistico di quella manifestazione mi invitò a cantare, cosa che io non avevo mai fatto prima, e mi resi conto che quella era la mia vera vocazione. Ho quindi abbandonato un po’ l’attività di musicista e mi sono concentrato sul canto. Il mio stile si destreggia tra pop e cantautorato. Il nuovo singolo, infatti, ha questa matrice, al cui interno ci sono anche degli spunti folk.

“Per votarmi scrivi si” è il tuo ultimo singolo… con uno stile ironico ed un arrangiamento orecchiabile, realizzato da Francesco Musacco e scritto con Matte con Sperandeo parli, tra le altre cose, del male del televoto… Qual è il messaggio che intendi comunicare al pubblico? Come hai scelto la location del video “Baglio Vecchio”? C’è qualche legame con il discorso di ecocompatibilità sostenuto dalla Steel Rose?

Il tema del brano si concentra sul fatto che ormai qualsiasi cosa si faccia, dal piccolo concorso alla trasmissione televisiva, chiunque chiede di essere votato. Questo meccanismo svilisce e ridicolizza il valore artistico della musica. Ho scritto questo brano un pò di anni fa ma ho deciso di farlo uscire adesso perché è più attuale che mai. Lo scrissi dopo aver partecipato ad un concorso legato al Festival di Sanremo. Dopo quella esperienza io e Matteo decidemmo di scrivere questa canzone incentrata sul sistema del televoto. Alla regia del video c’è Marco Gallo, un giovane promettente, mentre alla produzione c’è la Steel Rose Records, una realtà che armonizza la musica con l’ambiente, in cui mi trovo a mio agio. La location del video è una piccola frazione di Dattilo, in provincia di Trapani con 900 abitanti, comprese le pecore. In questo luogo io ho vissuto la mia infanzia perché ci abitavano i miei nonni. Tutte le estati si andava lì da loro e sono quindi molto legato a questo posto, tanto è vero che quando scrissi questo brano, pensando ad un eventuale videoclip, avevo già in mente dove girarlo.

Jimmy Ingrassia

Jimmy Ingrassia

Come hai vissuto il tuo percorso a “The Voice” nel team Noemi e cosa ti ha insegnato?

Nel 2005/2006 feci il primo programma importante con un primo contratto serio… si trattava di Domenica In. A quel tempo pensavo, stupidamente, di aver compiuto il passo decisivo passando dal settore amatoriale e quello professionale invece, nonostante i contratti e le produzioni, è importante avere le spalle coperte. Forse proprio perché vengo dal basso, ho capito che non si è mai arrivati, soprattutto in quest’epoca non c’è niente di certo, ogni volta devi essere sempre attento a come mantenerti e stare con i piedi per terra. Finita l’esperienza a Domenica In io non sapevo perché non arrivavano altre chiamate del genere e sono tornato a cantare nei locali come facevo prima. The Voice è stata un’ulteriore esperienza in cui mi sono messo in gioco. The Voice è un programma che ti dà una bella visibilità con tutti i pro e contro annessi. Si tratta di una trasmissione televisiva che non sempre coincide con la musica, nel senso che bisogna portare avanti quello che è lo spettacolo, spesso a discapito dell’identità musicale di un artista. Prima di andarci, comunque, io ero al corrente di tutto, così come tutti gli altri, e, in ogni caso, è giusto dire che un talent show, oggi come oggi, rappresenta comunque un’’importante opportunità da cogliere al volo.

Hai cantato in coro e da solista davanti a Papa Francesco in occasione dell’evento “Le società sportive con Papa Francesco”….che emozioni hai vissuto in quel contesto?

Si è trattata di una bellissima giornata, di certo non capita tutti i giorni di cantare davanti al Papa! Ho vissuto questa emozione insieme ad altri coristi, tutti amici, e devo dire che anche se ero molto  stanco, giacchè avevo fatto i salti mortali per esserci e avevo dormito in tutto due ore, sono stato davvero felicissimo di partecipare.

Prendendo in considerazione l’Ep “Indifesa” cosa porteresti avanti  di quel progetto e cosa, invece, vorresti modificare, cambiare, evolvere pensando ad un lavoro discografico?

Spesso mi è capitato di produrre dei lavori che poi si bloccavano, non per mio volere. Le canzoni che fanno parte di  “Indifesa”, uscito un anno e mezzo fa, sono brani che avevo già scritto e arrangiato e che per alcune ragioni non erano stati pubblicati. Quando è uscito l’Ep non lo sentivo più mio perché, nel frattempo, ero già passato a fare qualcosa di diverso. Ovvero il genere cantautorale che adotto adesso in stile ironico, con matrice folk. Ora finalmente sono arrivato a fare quello che desideravo e l’album, attualmente in lavorazione, sarà l’espressione di quello che sono oggi.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Per Votarmi Scrivi Sì”

Le Diverse Mode: Tra “Pioggia d’Estate”, un nuovo album e musica ecocompatibile

le diverse mode

Anni di live e una vita dedicata alla musica hanno forgiato la musica de Le Diverse Mode, la band tarantina composta da Giuseppe Cavallo (voce), Giovanni Pagliaro (chitarra), Andrea Manco (basso), Daniele Manco (batteria). Il gruppo pubblicherà a breve un nuovo album di inediti, anticipato dal singolo “Pioggia d’estate”, un brano dalle sonorità semplici eppure incisive: suoni acustici, dal fascino retrò, s’imprimono nella mente seguendo il flusso evolutivo di una storia d’amore dal corso breve. A curare i progetti discografici de Le Diverse Mode è la Steel Rose Records, un’etichetta musicale indipendente, caratterizzata da un’impronta dichiaratamente ecologista, finalizzata ad un nuovo modo di approcciare alla musica con progetti a impatto zero, volti a ridurre le emissioni di CO2 generate dalle attività di persone, eventi, aziende e organizzazioni. In questa intervista è Giuseppe Calvallo, frontman de Le Diverse Mode a parlarci del percorso artistico della band e dei nuovi importanti passi artistici che determineranno una svolta considerevole per il gruppo.

Perché il nome della Band è “Le Diverse Mode”? Qual è la cifra stilistica del gruppo ed il target di pubblico a cui si rivolge?

Le Diverse Mode nascono come tutte le band emergenti in Italia, abbiamo cominciato a fare delle cover italiane e a fare musica per il gusto di stare insieme. Il nome è la conseguenza del fatto che tutte le persone che hanno cominciato a seguirci erano incuriosite dal nostro modo di fare musica, di stare sul palco, di stare tra la gente….eravamo un po’ diversi, per l’appunto… Non abbiamo un prototipo a cui ci ispiriamo, il nostro genere è un british pop che spazia da sonorità datate come quelle dei Beatles fino ad arrivare ai Blur, agli Oasis.

Siete tutti molto giovani ma da sempre legati alla musica…cosa vi ha dato fino ad oggi il vostro percorso insieme?

Nel tempo abbiamo fatto davvero molti sacrifici e abbiamo suonato nei posti più strani (in riferimento ai quali potremmo aprire un capitolo a parte). La tournèe l’abbiamo fatta perché avevamo fame di farci ascoltare e di suonare la nostra musica il più possibile. Certo, è stato difficile ma non ci sono mancate delle belle esperienze come Area Sanremo, Sanremo Social Day (scelti nei primi 30 dal web), abbiamo fatto un bel po’ di gavetta ma la cosa più importante è non fermarsi mai e non avere limiti, non sentirsi appagati e stare sempre sul campo per lavorare e produrre. Soprattutto adesso che abbiamo dato forma alla nostra musica e alle nostre idee e abbiamo un direttore artistico che lavora a Roma ma che è di Taranto, si tratta di Francesco Basile che cura la direzione artistica del progetto e che ha dato il là a quello che può rappresentare un nuovo inizio per Le Diverse Mode.

La vostra etichetta discografica è la Steel Rose, una realtà molto attenta all’ ecosostenibilità…come vi siete uniti a questa tipologia di discorso?

Abbiamo sempre fatto musica portando avanti le nostre idee anche a Taranto, una città dove c’è una situazione ambientale veramente delicata. Siamo attivi da tempo sul nostro territorio ed è stato molto bello incontrare Christian Gentile, fondatore della Steel Rose, che aveva un po’ le nostre stesse idee e voleva fare una musica ecosostenibile perseguendo un abbinamento tra musica e ambiente. Ritrovandoci in sintonia con queste intenzioni è nata questa collaborazione. Spiegare l’ecosostenibilità in musica è facile: ci riferiamo all’ambiente a 360 gradi, dalla scrittura del brano nei posti più belli che abbiamo, alla produzione del video che può mettere in evidenza la terra in cui viviamo. Nel video di “Pioggia d’Estate”, ad esempio, mettiamo in evidenza gli ulivi, il mare, la spiaggia.

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“Pioggia d’estate” è il vostro nuovo singolo… di cosa parlate in questo brano e in che modo intende rappresentare il preludio al nuovo album?

Questo brano, in effetti, è il singolo che anticipa l’album…la storia del brano è particolare, abbiamo deciso di pubblicarla appena l’abbiamo scritta. Eravamo a Taranto, in fase di pre-produzione e, mentre sceglievamo i brani, abbiamo cominciato a scrivere le prime parole. Insieme a Daniele Loreti, collaboratore della nostra etichetta, abbiamo scritto prima il riff, poi il ritornello. Si tratta di una canzone pop ed è incentrata sull’amore.

Cosa ci anticipi di questo nuovo imminente lavoro?

L’album avrà tante sonorità, la cosa particolare è che anche il packaging del disco sarà realizzato con materiali ecologici, come cartone riciclato… Al suo interno ci saranno anche i semi di una piantina da coltivare, porteremo un po’ di ambiente nelle case delle persone che vorranno conoscere la nostra  musica. Il disco parlerà sicuramente delle esperienze nostre e della gente che vive nella nostra terra, dei sorrisi, della felicità, qualcosa che sarà leggero da ascoltare e che in qualche modo potrà rappresentare il nostro trampolino di lancio e che speriamo potrà lasciare il segno.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Pioggia d’Estate

Intervista a Francesco Gabbani: “Scrivere canzoni è la mia forma di espressione”

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Francesco Gabbani è un polistrumentista e un cantautore. Figlio d’arte, classe 1982, Francesco si dedica da sempre alla musica scrivendo, arrangiando e suonando praticamente tutti gli strumenti che servono per realizzare le sue canzoni con un unico obiettivo: trasmettere emozioni. Dopo un intenso e gratificante percorso artistico vissuto insieme ai Trikobalto, il cantautore ha intrapreso la carriera da solista. In questa intervista Francesco ha parlato di sé a 360 gradi, senza tralasciare un doveroso approfondimento relativo al suo album “Greitist Iz” e al fortunato singolo “I dischi non si suonano”.

Sei un cantautore e polistrumentista da sempre vicino alla musica. Il tuo percorso è ricco di esperienze molto eterogenee tra loro…ci racconti la fase di studio, quella degli inizi e quella attuale?

Sono nato in un ambiente musicale, mio padre era un musicista ed ha sempre avuto un negozio di strumenti musicali. Ho cominciato a suonare la batteria quando avevo soltanto 4 o 5 anni, poi ho iniziato a suonare chitarra seriamente intorno ai 9 anni. In seguito mi sono reso conto che scrivere canzoni era la mia forma di espressione e, intorno ai 14 anni, ho cominciato a buttare giù i primi testi. All’età di vent’anni ho vissuto la mia prima esperienza discografica: un contratto con Sony BMG insieme ai Trikobalto mi ha regalato esperienze molto importanti… tanti live, tanti festival come l’Heineken Jammin Festival, siamo stati supporter degli Oasis e degli Stereophonics. Nel 2010, invece, ho deciso di intraprendere il percorso da cantautore solista ed eccomi qua.

“Greatist Iz” è il titolo del tuo primo disco da solista. Quali tematiche affronti e da dove hai attinto le idee per i testi e gli arrangiamenti?

Si tratta di un album piuttosto eterogeneo, sia per quanto riguarda i suoni, sia per quanto riguarda i testi. Si va dal cantautorato al reggae, ad atmosfere più soul. Nei brani ho lasciato convergere l’espressione di quello che sono io spaziando anche verso tematiche più contemporanee come l’approccio facile e superficiale alle droghe da parte dei giovani fino ad arrivare a canzoni prettamente incentrate sull’amore e sull’esistenzialismo.

“I dischi non si suonano” è il tuo ironico e realista nuovo singolo. Cosa racconti in questo brano?

Questo è un brano diverso rispetto ai contenuti del disco. Già dal titolo è facile intuire una matrice chiaramente ironica. Faccio riferimento al diverbio verbale tra i dj e i musicisti: spesso i dj dicono “sono a suonare qui, sono a suonare lì”… Partendo dal presupposto che io non ho nulla contro i dj,  dato che nel videoclip della canzone compare anche il noto dj Joe T Vannelli, ho colto l’occasione per cercare un modo simpatico per riflettere, più in generale, sulla facilità di approccio che offrono i mezzi digitali. C’è un po’ di esubero di ragazzi che si atteggiano ad essere quello che non sono, sono tutti in po’ fotografi, videomaker, artisti, dj… da qui nasce il concetto che “i dischi non si suonano, sono già suonati”.

Hai avuto anche esperienze in veste di autore? Come ti approcci a questo tipo di veste artistica?

Siccome scrivere è, per me, il frutto di una vera e propria esigenza, butto giù canzoni…poi alcune finiscono nelle mie produzioni altre ovviamente finiscono nelle grazie di altri artisti. Questo è ciò che, ad esempio, è successo con Raffaella Carrà, che ha ascoltato dei miei brani e ne ha scelto uno da inserire in un suo lavoro. Al momento ho alcune canzoni nelle mani di artisti molto importanti, tra cui una delle regine della musica italiana, ma non posso ancora rivelare il nome!

Francesco Gabbani

Francesco Gabbani

Per quanto riguarda la dimensione live… che tipo di concerto offri al pubblico e dove potremo ascoltarti dal vivo?

Sui miei canali social potrete scoprire tutto sulle mie date live anche se il vero e proprio tour partirà in autunno e lo stiamo ancora organizzando. Sul palco porto semplicemente me stesso, ad accompagnarmi c’è una band composta da miei collaboratori, denominata Le buone intenzioni. Ho sempre suonato live e la mia dimensione ideale è quella, tra l’altro la forma migliore di divulgazione di un disco è proprio quella di salire sul palco e dargli vita con gli strumenti.

Hai altri progetti e passioni parallele?

Sono amante della ricerca, intesa in senso intimistico. Sono in cerca di quello che può essere il senso della vita per ognuno di noi. Mi ritrovo un po’ allergico al modus operandi tipico del sistema nuovo. C’è tendenzialmente una grande superficialità d’approccio, l’ha vinta chi s’atteggia in un certo modo mentre io cerco le emozioni che nascono dallo stomaco. Sono un grande amante della natura, mi piace molto andare nei boschi, sulle montagne, per ritrovare legame e coerenza con il corso della natura. Cerco artisti musicali e figurativi (pittori e scultori)che, nel corso della storia, hanno cercato di carpire questa unione tra l’essere umano e la natura. Più in generale sono un moderato, non sono selettivo in maniera estrema, prendo il buono in tutto quello che c’è.

Raffaella Sbrescia

Video: “I dischi non si suonano”

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Anna Calvi: “Strange Weather” è un piccolo caleidoscopio di emozioni

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L’eterea, intensa, corposa voce di Anna Calvi torna ad ammaliare il pubblico di tutto il mondo con “Strange Weather”, un Ep contenente cinque ricercate cover rivisitate, non solo dal punto di vista vocale ma anche e soprattutto strumentale. Ad impreziosire ulteriormente un lavoro, già di per sé elegante, sono le due tracce realizzate con David Byrne, esponente di spicco della scena musicale internazionale, già protagonista di altre collaborazioni con le migliori voci femminili in circolazione. Anche se la Calvi non ci propone nessun brano inedito, è particolarmente interessante notare l’intensità delle sue interpretazioni ed il modo con cui trasforma e rivisita a proprio modo piccoli e grandi successi altrui.

Anna Calvi

Anna Calvi

Davvero speciale la title track “Strange Weather”, quasi tutta giocata sul piano; una noir ballad in cui le voci di Anna e David si rincorrono sfiorandosi in modo carezzevolmente melodrammatico. Da ascoltare e riascoltare tra parallelismi e suggestioni sempre diverse. Il secondo incontro tra i due artisti avviene sulle note di “I’m The Man, That Will Find You”, il brano del musicista neozelandese Connan Mockasin che, pur non essendo particolarmente noto ai più, possiede spunti interpretativi in grado di mettere in evidenza le bellissime voci dei due interpreti. Palpabile è la tensione che attraversa “Papi Pacify”, la personale rivisitazione di un recente midtempo r&b di FKA Twigs. La carica rock della chitarra elettrica di Anna Calvi, unita alla sua rinomata verve perturbante, emergono nel psichedelico fascino di “Ghost Rider”, la traccia con la quale i Suicide nel 1977 aprirono il loro primo omonimo disco. A chiudere l’ep uno speciale omaggio a David Bowie: la reinterpretazione di “Lady Grinning Soul”, la ballad che nel 1973 chiudeva “Aladdin Sane”, rappresenta un’ultima preziosa occasione per restare incantati dall’infinita classe di un’artista assolutamente superlativa.

Raffaella Sbrescia

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Classifica FIMI: Biagio Antonacci riconquista la vetta

biagio antonacci

Biagio Antonacci ritorna, a sorpresa, in cima alla classifica FIMI/GFK degli album più venduti della settimana in Italia con “L’amore comporta”spodestando, dunque, i Dear Jack, secondi con “Domani è un altro film”, e i Coldplay che chiudono il podio con “Ghost Stories”. Risale in quarta posizione Laura Pausini con “20 The Greatest Hits”, seguita da un altro ritorno in top ten; si tratta di Giorgia che si classifica in quinta posizione con “Senza paura”. Al sesto posto ritroviamo i 5 Seconds of Summer mentre alle loro spalle c’è “Tempo reale” di Francesco Renga. Ottavo Ligabue ed il suo “Mondovisione”, seguito da Deborah Iurato che, dalla quinta scende alla nona posizione. A chiudere la top ten è Alessandra Amoroso con “Amore puro”.

Intervista a The Sweet Life Society: “Swing Circus racchiude il nostro immaginario”

Cover album Swing Circus

Il duo torinese The Sweet Life Society, composto da Gabriele Concas e Matteo Marini, considerato pioniere di una nuova declinazione del genere electroswing, contraddistinto da una commistione fra strumenti acustici ed elettronici, presenta “Swing Circus”, l’album pubblicato lo scorso 15 luglio 2014 su etichetta Warner Music. Partito nel 2009 dal quartiere San Salvario di Torino, il duo piemontese si è affermato sulla scena musicale internazionale attraverso un ibrido di swing, electroswing e spettacoli circensi. “Swing Circus” racchiude, dunque, il loro modo di vivere la musica. Grandi ospiti hanno preso parte a questo interessante progetto discografico; tra gli altri spiccano Estel Luz nel brano “Holding My Breath”, la cantante soul britannica Hannah Williams – leader della band Hannah Williams and The Tastemakers – che valorizza la cover dello standard jazz “St. James Infirmary”, i concittadini Incomprensibile Fc nella traccia “Criminale”, La Mattanza e le Sorelle Marinetti in “My Sound”. Ospiti e musicisti sono stati coinvolti in session libere in cui essi hanno potuto esprimere il proprio talento e le proprie idee con la massima spontaneità. In questa intervista Gabriele e Matteo ci raccontano, in maniera approfondita, non solo la genesi di “Swing Circus” ma anche l’essenza del proprio universo musicale.

“Swing Circus” è il titolo del vostro album d’esordio: tante storie, tante sfumature e tante collaborazioni in un progetto fresco e ambizioso…

Abbiamo iniziato facendo remix, quindi restando chiusi in uno studio e producendo a testa bassa. In quattro anni abbiamo messo su la nostra realtà. Il disco è stato lavorato con tante persone e tanti musicisti, sia dal punto di vista puramente strumentale (sezione fiati, fisarmoniche, contrabbassi) sia dal punto di vista vocale. Questa scelta è dovuta soprattutto alla nostra inclinazione sperimentale. I featuring vocali sono stati fatti tutti da persone che, in qualche maniera, hanno lavorato con noi e con cui c’è stato un percorso umano.

Nella cover di “St. James Infirmary” la voce di Hannah Williams dà nuova vita ad un bellissimo brano jazz. Come vi è venuta l’idea e la voglia di ripensare questo brano a modo vostro?

Siamo innamorati di una versione di questo brano suonata da Louis Armstrong. Il brano è un traditional jazz, una marcia funebre, interpretata da svariati musicisti… Grazie a questa nostra infatuazione abbiamo deciso di riarrangiare il brano e farlo un po’ nostro, anche grazie ad Hannah Williams, la cui interpretazione pensiamo sia incredibile. Ogni ascolto di questo brano ci dà i brividi; forse anche perché esso è stato trattato un po’ diversamente rispetto agli altri…tutta la parte strumentale è stata registrata senza editing, suonata in una session unica, proprio come si faceva una volta…

Cosa ci dite di “Castelli di tweet”?

Questo brano racchiude il tentativo di mischiare una sonorità molto british, con tratti più vicini al reggae e all’hip hop, ad un cantato in italiano. A livello musicale volevamo raggiungere un risultato con un accezione più marcatamente pop. Per quanto riguarda il contenuto, invece, si tratta di una piccola riflessione sul mondo dei social network e su come essi portino paradossalmente ad isolarsi dalla realtà. Noi siamo molto legati ai live, suoniamo tantissimo e per noi la realtà tangibile è molto importante. Ci siamo resi conto, però, che c’è tutto un ramo musicale, ad esempio quello relativo ai rapper che, di base, esiste molto di più sul web. Noi ogni settimana siamo su un palco, ogni settimana abbracciamo le persone e ci piaceva reiterare il fatto che la ricerca della verità non debba essere soltanto compiuta attraverso uno schermo; bisogna imparare a stare insieme per davvero e ad utilizzare il proprio corpo.

Sweetlife

Sweetlife

Nel vostro swing contaminato “fate scratch sul grammofono”… questa frase può sintetizzare l’essenza della vostra musica?

Lo swing contaminato è solo una parte di tutto ciò che ci rappresenta. Diciamo che siamo sicuramente appassionati di musica vintage  e ci piace mischiarla con le sonorità moderne. Allo swing aggiungiamo il blues, il jazz, il gospel, il calypso, il raggae. Questi generi rappresentano tutti dei grossi stimoli da cui partiamo per la creazione delle nostre canzoni. In “Gran Balon” c’è il mambo, in “ Soul Chef” ci sono i cori bulgari, insomma c’è tutta una serie di elementi legati alla tradizione popolare e al vintage. In conclusione,“faccio scratch sul grammofono” rappresenta comunque molto bene la nostra attitudine.

Che riscontro avete avuto all’estero? Negli Stati Uniti in particolar modo?

Abbiamo da poco concluso un giro lungo e interessante. Abbiamo macinato tanti chilometri arrivando a Montreal, facendo tutto il giro degli Stati Uniti in senso antiorario. Abbiamo ottenuto molto dal punto di vista anche umano che, come diceva prima Matteo, per noi è molto importante. Parlarsi, toccarsi, abbracciarsi,  ballare insieme… questo e tanto altro è stato possibile a Vancouver, su una piccola isola con 1000 persone, così come in situazioni più da dancefloor e da clubbing a New York . La cosa importante da sottolineare è che in quei contesti eravamo noi a portare il suono. In America sono un po’ indietro da questo punto  di vista. Per noi è stato piuttosto paraddossale perché di solito siamo abituati a percepire gli Usa come un posto in cui nascono le cose. In questo caso, invece, siamo stati visti come precursori. Abbiamo anche avuto la fortuna di stare 3 giorni a New Orleans, per noi la patria dell’immaginario. C’erano tante persone che suonavano per strada, abbiamo sentito da subito un fortissimo feeling con questo posto e l’idea di tornare lì e di lavorare, magari, alle pre-produzioni di un nuovo lavoro rappresenta un sogno. Ci siamo anche accorti che, a differenza nostra, i musicisti lì sono ancora legati all’attività live. Per i nordamericani è importante avere sul palco delle persone che suonano, cosa che invece non è riscontrabile in Europa. I live trovano sempre più ostracismo e difficoltà, soprattutto per un discorso legato ai soldi.

The Sweet Life Society

The Sweet Life Society

Vi siete definiti una factory di grafici, videomaker, animatori, musicisti…che prospettive avete per il futuro in questo senso?

Questo è quello che facciamo a livello personale sia io che Matteo. Io sono fotografo, lui è grafico e ci siamo conosciuti in un laboratorio a Torino in cui si faceva grafica, fotografia, musica. Sperimentando insieme è venuto fuori questo suono che ci caratterizza. Ci definiamo factory perché crediamo che con le nuove tecnologie si possa lavorare insieme e fare rete. Non a caso quello che facciamo si basa su contenuti video e grafici creati da noi e da altri amici e collaboratori con cui condividiamo questo tipo di filosofia, che riteniamo vincente. Ci riteniamo esportatori dell’immaginario…

Dove e quando potremo ascoltarvi dal vivo?

Suoneremo in Sicilia, in Umbria, in Puglia e torneremo anche Oltre Manica, in agosto, per una replica al BoomTown Festival. Ad inizio settembre, invece, saremo in concerto al Bestival sull’isola di Wight.

Raffaella Sbrescia

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Malaspina, un nuovo capolavoro d’autore

malaspina

“E’ vita che evapora, si condensa nella poesia e piove di nuovo, in gocce d’oro e disperazione. L’album prende il nome dell’autore, e forse è una benedetta coincidenza tematica, perché in esso imperano gli uomini cui la luce ha girato le spalle, gravitano nella nudità le cose che accadono “al di sopra delle parole”come avrebbe detto Fabrizio De Andrè che proprio in Oliviero vide il coautore del suo ultimo album di notturni, rimasto incompiuto…”. Queste le parole, estratte dalla prefazione scritta da Giuseppe Cristaldi per “Malaspina”, l’ultimo album del cantautore e poeta pavese Oliviero Malaspina. Pubblicato lo scorso 15 maggio, ad otto anni di distanza da ‘Marinai Di Terra’, questo disco è considerato uno dei più importanti ed intensi della carriera dell’artista che, attraverso le 12 tracce racchiuse nel disco, ci svela il lato più intimo ed introspettivo del suo mondo fatto di parole e musica.

Prodotto da Amedeo Pesce, che ha curato gli arrangiamenti dei brani, e da Cosimo Lupo, “Malaspina” è il frutto della sinergia tra due etichette discografiche, si tratta di Hydra Music e Ululati dell’editore salentino Lupo Editore. All’interno dei brani pensati, costruiti, cesellati come piccole sculture di pensieri, Malaspina lascia convergere delicate riflessioni che si muovono agli antipodi dell’animo umano.

Ad aprire l’album è “Poi”: 51 secondi di musica psichedelica accompagnano la perturbante voce di Teresa Draghi: “Poi diedero la parola agli innocenti ed il silenzio fu terrificante”; poche intense parole su cui potremmo edificare un vero e proprio trattato la cui utilità, di fronte alla schiacciante efficacia delle parole della Draghi, sarebbe sicuramente ben poca. “Volevo essere la luna sui campi” è, invece, il primo singolo estratto dal disco. Grande protagonista della melodia è un violino delicatamente imperante. Tra fontane di salamandre, fieno ed erba marcita si consuma il ricordo di un passato beneficiario di un indiscusso amore filiale. “Vita ancora viva” racconta un’anima poco pratica dell’amore eppure traboccante di ardente desiderio: di terra e di mare, di carne e di saliva, di schiaffi e dolore. Toni cupi e crepuscolari attraversano la malinconica drammaticità di “In viaggio, fermi”: “senza orizzonti né costellazioni, senza sogni e senza rancori. Solo il vuoto intorno ai nostri occhi sfondati”, canta Oliviero Malaspina che, senza voler spegnere sogni e prospettive baratta “i ricordi peggiori per un abbaglio di futuro”.

Oliviero Malaspina

Oliviero Malaspina

Un insolito latin sound attraversa, invece, il mood di “Quasi tutti”, una canzone che, tirando in ballo l’umanità tutta, affronta il difficile tema della preghiera, intesa come atto di vicinanza e di immedesimazione collettiva. L’enigmatico testo di “Vostra signora dei fiori” racconta una storia senza benedizioni né consacrazioni mentre “La strada”, cantata da Oliviero Malaspina in duetto con Roberta Di Lorenzo, offre all’ascoltatore un liberatorio e motivante invito all’amore “senza pensare che il tempo non ci potrebbe bastare”, “Senza scusa e senza rimpianto”, “senza tempo perché il tempo è un inganno”. Volti che raccontano miseria, lamento e dolore sono quelle dei “Migranti” descritti nell’omonimo brano di Malaspina. Facce che chiedono luce e colore ricevono in cambio dolore in mondovisione. Facce mediocri dal sorriso sicuro comandano l’esercito dei senza niente seminando sconforto e sconcerto.

Bellissimo anche il testo de “Il vuoto”: “Fa paura questo freddo nell’anima. Fa paura questo odio nel mondo, Fa paura questo vuoto che avanza. Fa paura quasi tutto qui intorno. Il vuoto ci parla…ci parla…e sa colpire duro, implacabile, indifferente, esso ci annulla nel corpo e nello spirito. Spaventosamente affascinante, questo brano racconta, nero su bianco, il nostro oggi. Ancora un duetto con Ennio Salomone sulle note di “Vengo a portarti il mio nuovo amore”, un “pensiero che si muove tra la risacca alla gola e la stella polare”, che “non ha interessi, non ha difetti, non ha ricchezze e non ha tesori, è senza sogni e senza dolori”. “Signore dei naufragi e degli incendi dacci un minimo di dignità e allunga la tua mano più bella a cambiare il nostro destino. Signore degli innocenti fa che nessuno muoia invano e lasciaci un segno di pace e uno sbocco di sangue benigno” scrivono Malaspina e Cristaldi in “E dell’infinito fine”, dando voce ad una collettiva, intensa preghiera, arricchita da un finale nichilista: “l’amore è morto (virgola), l’amore è morto (punto). Quando la merda avrà un valore noi nasceremo senza culo”. A chiudere questo prezioso lavoro di poesia e musica è “Dopo”, un finale ciclico, vissuto insieme a Joy Zanetti, che individua negli anfratti dell’anima un anelito di salvezza in nome di un abbaglio di futuro.

Raffaella Sbrescia

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Video:” Volevo essere la luna sui campi”

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